Volevo solo avere più tempo

Volevo solo avere più tempo
Il nuovo romanzo di Stefania Convalle

giovedì 26 agosto 2021

Numero 386 - Follie di Brooklyn, Paul Auster - 26 Agosto 2021


Uuuuhhhh, quante cose ci sono da dire su questo BELLISSIMO romanzo!
Ma andiamo per gradi.
Ho iniziato a leggere quest'opera di Paul Auster nel gruppo di lettura Letteraturiamo insieme che ho creato all'inizio dell'estate su Facebook. Lo scopo era quello di condividere il piacere della lettura di opere che fanno parte della Letteratura per gustarcele insieme. Devo dire che è stato bello leggere insieme agli iscritti al gruppo i primi capitoli del romanzo, me lo ha fatto apprezzare ancora di più perché leggere a voce alta per gli altri aumenta il grado di attenzione e si colgono tutte le sfumature.
Mi sono innamorata - tipo colpo di fulmine - della scrittura di Auster, scrittore che non conoscevo. La trama mi ha coinvolta e mi sarei gettata a capofitto nella lettura, ma la cosa bella di leggere in un gruppo una volta alla settimana è anche quello di procedere insieme e di sorprendersi con gli altri dello svolgersi della storia. Anche il sottile piacere dell'attesa della "prossima puntata" non è niente male. 
Però la pausa vacanziera mi ha suggerito di invitare tutti gli amici lettori/ascoltatori di proseguire in solitario. 
E così abbiamo fatto.
Proprio ieri ho terminato "Follie di Brooklyn".
In primis mi viene da dire che ho amato fin da subito il protagonista: Nathan Glass.
Un mio coetaneo, a pensarci bene, che si trasferisce a Brooklyn, dove è nato, per cercare un buon posto per morire.
Detto così potrebbe dare l'idea di essere un romanzo che volge alla tristezza. 
E invece, lo stile brillante di Auster e la narrazione in prima persona di quest'uomo - il protagonista - così speciale, regalano momenti di leggerezza e ilarità memorabili.
Nathan ha alle spalle un matrimonio finito, una grave malattia da cui è uscito indenne, e ha lo spirito di colui che ha vissuto la vita, ne conosce il valore e cerca di godersi quello che resta davanti a sé. 
Come? 
Il progetto di Nathan è dedicarsi a un'opera letteraria, che lui affronta senza sentirsi mai uno scrittore sul piedistallo, dal titolo Il libro della follia umana, dove raccogliere aneddoti della sua vita che scrive su foglietti e getta in scatole a seconda dell'argomento. Il problema è che Nathan non riesce mai a dedicarsi a questo progetto perché coinvolto, pagina dopo pagina, in eventi che si susseguono in rapida sequenza quali il rapporto conflittuale con la figlia Rachel; la conoscenza con il libraio Harry, nella cui libreria Nathan ritroverà dopo anni, e non senza stupore, il nipote Tom; e poi la pronipote Lucy, appena ragazzina, della quale dovrà prendersi cura cercando di fare chiarezza sul mistero che l'avvolge. Questi i personaggi principali, ma le vicende sono tante e i personaggi secondari, ma non meno incisivi, non mancano, dando grande ritmo alla storia che non manca di colpi di scena, invogliando il lettore a voltare sempre la pagina.
Mentre scrivo penso che non è facile tentare di fare un ritratto di quest'opera che renda giustizia al suo valore, ma ci provo.
Il mio intento non è di certo raccontare ciò che il lettore deve invece leggere per suo conto, senza troppe anticipazioni che possono solo privarlo del piacere della scoperta di una bella storia. 
Del resto, da scrittrice, non amo io stessa le recensioni che svelino la trama dei miei romanzi, ritengo che sia come fare un torto al lettore.
I romanzi vanno letti, non raccontati ;-)
Ma torniamo a mio caro Auster, che dopo questa lettura è incluso nella rosa dei miei scrittori preferiti.
E torniamo soprattutto a Nathan Glass. 
Nathan è l'uomo che tutti vorremmo come amico. Perché lui è amico anche per quel nipote ritrovato, come anche per Lucy. Come anche degli altri personaggi che siano la cameriera di cui s'infatua, della nipote Aurora scomparsa nel nulla, della B.P.M. - Bellissima e Perfetta Madre - ma non chiedetemi di più perché non ve lo dico. 
Lui è l'amico che tutti vorremmo perché ascolta; li ascolta tutti, coloro che circolano per quella Brooklyn un po' stravagante, li ascolta senza giudicare, né condizionare scelte di vita. 
Quante sono le persone capaci di fare questo?
E il suo ascolto è partecipato, non è assente o un paravento. No no. Lui ascolta e c'è per chi è nell'orbita della sua esistenza. Potrei dire che Nathan è l'icona dell'empatia! Generoso e leale. Wow! mi verrebbe da dire...
Perché lui ascolta e cerca di aiutare a dipanare la matassa emotiva e pratica, insieme ai nipoti, pronipoti, amici, regalando perle di saggezza a noi lettori.
E come un vero amico - e questa cosa mi ha colpito davvero tanto, forse perché è così che io intendo l'amicizia - non indugia nel difendere coloro a cui vuole bene, facendo anche la parte del duro, se necessario, se la situazione lo richiede.
Ma non posso dirvi di più, dovete leggerlo e poi ne parleremo.
Ma una cosa la so per certo: lo amerete.
E sarete insieme a lui nella splendida scena finale, dove una mattina di pieno sole e dal cielo azzurro, dopo una notte fatta di paura-riflessione-sollievo, camminerà verso casa.
Quella mattina: l'11 settembre 2001.

Un grande romanzo.
265 pagine.
Uno scrittore dell'Olimpo.

Caro Paul Auster, se leggerai mai questa recensione, sappi che leggerò tutto quello che hai fin qui scritto.



Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle




domenica 8 agosto 2021

Numero 385 - "Lasciar andare" di Philip Roth - 8 Agosto 2021


Di questo romanzo mi aveva attirato il titolo: Lasciar andare. 
Quando Philip Roth è morto, nel 2018, mi sono detta che non potevo non aver letto niente di questo scrittore - Premio Pulitzer per la narrativa - e così mi sono recata in libreria e sono uscita con questo romanzo di quasi ottocento pagine, scritte in piccolissimo :-( 
Secondo me è un dovere preciso, per chi scrive (come me) e per chi lavora nel mondo dell'editoria (come me) leggere i cosiddetti Classici e le opere degli autori contemporanei che sono entrati nella storia della letteratura. Non si tratta più, quindi, di leggere solo per diletto, né di giudicare un'opera che, al di là che piaccia o no, deve essere rispettata, ma anche per studiare la scrittura. E imparare. 
E così sono entrata nel mondo di Philip Roth da una porta laterale, non quella che rappresenta le sue opere più famose, quelle della maturità, ma da quella che incarna il suo esordio.
"Lasciar andare", il suo primo romanzo, scritto quando aveva ventinove anni.
Ho amato e odiato questo romanzo, nel corso di questi mesi, mentre cercavo di ritagliarmi del tempo per portare a termine questa lettura.
L'ho amato per un incipit che mi ha coinvolto subito e portato dentro l'atmosfera del romanzo.
L'ho odiato quando Philip Roth diventava prolisso e sorridevo al pensiero di quanto gli avrebbe detto Cechov se Roth gli avesse inviato qualcosa da leggere per avere un'opinione. Forse gli avrebbe detto quello che scrisse al fratello Aleksandr Cechov in una lettera  del 1889: la brevità è la sorella del talento.
L'ho amato per la potenza di saper entrare nell'interiorità dei suoi personaggi, costituite prevalentemente da disagi personali, rapporti difficili, con sé stessi e con i familiari, o amanti o, amici. E questa sua capacità mi ha fatto affezionare a Gabe Wallach, protagonista del romanzo; a Libby e Paul Hertz, amici di Gabe dove i sentimenti correranno per tutto il romanzo in bilico tra amore e amicizia. E poi Martha, carnale, esatto opposto di Libby, quasi eterea. E poi la madre di Gabe, la cui presenza aleggia nel romanzo, mentre quella del padre, seppur sporadica, emerge potente facendoci addentrare nel rapporto padri e figli.
L'ho ammirato perché scrivere un'opera prima del genere è qualcosa che porta scritto su ogni pagina: questo è un vero scrittore, questo è talento.
Tante sono le riflessioni scaturite durante la lettura. Ritrovare l'America descritta nei racconti di Carver, quell'ombra di squallore e recessione, con tutte le conseguenze sul ceto medio. Ritrovare anche il guizzo ironico di Paul Auster, quello che ho scoperto e mi ha fatto innamorare di lui leggendo il romanzo "Follie di Brooklyn".
Philip Roth non mi ha fatto innamorare in toto, ma leggendo alcune pagine mi ha fatto commuovere. 
Non voglio raccontarvi la trama perché secondo me una recensione non deve raccontare la storia di un romanzo che, per me, deve solo essere letto senza levare niente al lettore che scoprirà da solo, in un rapporto a tu per tu con l'opera, quanto lo scrittore ha voluto mettere sulla carta. 
E, dunque, non vi racconterò la storia di Gabe, di Libby, di Paul, di Martha e dei suoi figli, di Theresa, del padre di Gabe e così via.
Vi dico, però, che anche se in alcuni passaggi ho fatto fatica a proseguire per il divagare dello scrittore lungo vie traverse rispetto a quella principale, "Lasciar andare" è un romanzo da leggere.
Ma, attenzione - specifico - non è un romanzo da bere in una sorsata, come spesso si fa con certa narrativa. No, è da leggere con calma, godendo, oltre che della storia, della bella scrittura che appartiene a pochi. Un romanzo da assaporare.
Lasciar andare, dice il titolo... Lasciar andare come fa la madre nella lettera che scrive proprio a lui, al figlio Gabe. 
Lasciar andare come fa Gabe, nella lettera che conclude il romanzo, quella che scrive a Libby.
Un romanzo che si apre e si chiude con una lettera. Un finale che lascia un sospeso, quasi alla Carver, ma esattamente com'è la vita.
Lasciar andare: leggetelo.



Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle