Magazine n° 7
24 Marzo 2014
Voglio dedicare l'intero numero del Magazine di questa settimana a Cinzia che da più di un mese ci regala servizi degni di una grande rivista, su pittori famosi!
Voglio dirle G.R.A.Z.I.E per il tempo che dedica alla costruzione di questo Blog che vuole mantenere un suo "STILE" che sia volto esclusivamente al positivo, trattando argomenti culturali e motivazionali, senza cadere mai nella "rissa" che fa tanto audience in altri luoghi;-)
Grazie, quindi, a Cinzia per l'impegno che mette ogni settimana nel proporci la vita di un pittore con le sue opere, arricchendo il nostro sapere. Grazie a chi ci segue con affetto, a chi dedica qualche minuto del suo tempo per lasciare un pensiero, un'opinione, un suggerimento.
Grazie a tutti e buona settimana!
Vincent Van Gogh
(1853 – 1890)
a cura di Cinzia
Vincent
si dedica alla pittura per ribellarsi ad una società pragmatistica che lo ha
sempre respinto, considerando il profitto come unico fine del lavoro;
costantemente colmo d’angoscia, si è sempre interrogato sul significato
dell’esistenza, del proprio essere nel mondo.
Quando
si fece pastore e poi missionario tra i minatori del Borinage, in Belgio, viene
espulso anche dalla Chiesa, solidale con i padroni.
Si può
dire che diventi pittore per disperazione, non per vocazione; a trent’anni si
rifugia tra colori e pennelli, pagando questa sua rivolta con il manicomio ed
il suicidio.
Nel
primo periodo, in Olanda, si concentra sulla miseria e sulla disperazione dei
contadini, causata dall’industrialismo che prospera nelle città, portando
carestia nelle campagne, privando oltre che la gioia di vivere, perfino la luce
ed i colori.
Dipinge
la loro condizione con toni cupi, bui, sono quadri monocromatici:
(I mangiatori di patate –
1885)
Questo
è il dipinto più importante del periodo olandese, Vincent lo considera (anche
in seguito) uno dei suoi capolavori, nel quale è impressa un’immagine di grande
crudezza e realismo: Vincent esalta la grossolanità dei personaggi, usando
colori scuri e sporchi.
In una
lettera al fratello spiega di aver voluto sottolineare come “questa gente ha
zappato la terra con le stesse mani nodose che ora protende nel piatto” ed
aggiunge “parlo del lavoro manuale e di come essi si sono guadagnati
onestamente il cibo.”
Le
figure appaiono isolate, i loro sguardi non si incrociano e la ragazzina in
ombra, di spalle, è un fattore di distanziamento che esclude dalla scena lo
spettatore.
Questo
quadro rimane un “manifesto” del suo
credo artistico e sociale: il suo
“quadro di storia” più significativo.
Nel
1886, si stabilisce a Parigi dal fratello Theo, conosce gli impressionisti e
trasferisce questo suo cambiamento sulle tele, proponendo un cromatismo
violento.
Abbandona
i temi sociali perché capisce che l’arte non deve essere uno strumento, ma un
agente di trasformazione della società e più precisamente, un’esperienza che
l’uomo fa del mondo; l’arte deve inserirsi come una forza attiva nella società,
una luminosa verità contro la crescente tendenza all’alienazione.
Anche
la tecnica della pittura deve mutare,
opporsi alla tecnica meccanica dell’industria, non si tratta più di
rappresentare il mondo in modo superficiale o profondo: ogni segno di Vincent è un “gesto” con cui affronta la realtà per
cogliere e far proprio il suo contenuto essenziale, la vita, quella vita che la
società borghese, col suo lavoro alienante, estingue nell’uomo.
Vincent
cerca in tutti i modi di dipingere la realtà nella sua espressione più vera,
una percezione della realtà nella sua esistenza “qui ed ora”, una pittura vera
fino all’esasperazione, all’assurdo, al delirio, al tragico, alla morte.
Si può
osservare come fa il ritratto del postino Roulin, uno dei suoi migliori amici
ed uno dei più fedeli della sua vita:
( Ritratto di Joseph
Roulin – 1888)
Che sia
un postino si vede dall’uniforme turchina e gallonata, dalla scritta cubitale
sul berretto: la dominante coloristica del quadro è proprio lo spicco del
giallo-oro sul blu della stoffa.
Non c’è
alcun interesse sociale , Vincent non ritrae il signor Roulin perché sia un
postino, né perché lo interessi come tipo umano.
E’ una
realtà che non giudica né commenta: può solo subirla passivamente oppure
rifarla con gli atti mestieranti del pittore.
Infatti,
VIVE lo spessore del panno nella densità opaca del turchino, la ruvidezza
spinosa della barba in un intreccio di secche pennellate, non divagando
sull’ambiente.
Vincent
sembra riflettere: la realtà è altro da me, ma senza l’altro io non avrei
coscienza del mio essere, io, non sarei; quanto più l’altro è altro, diverso,
incomunicante, tanto io sono io, tanto meglio scopro la mia identità, il
senso-non-senso del mio essere nel mondo.
Il
“tragico” nel ritratto del postino Roulin è vedere la realtà e vedersi nella
realtà con lucida evidenza; è tragico riconoscere il nostro limite nel limite
delle cose e non potersene liberare.
E’
tragico, di fronte alla realtà, non poterla contemplare, ma dover fare e fare
con passione e furia: lottare per impedire che la sua esistenza distrugga la
nostra.
L’arte
diventa “mestiere di vivere”, Vincent contrappone questo, disperatamente, al
lavoro meccanico dell’industria, che non è vita.
Certamente,
a livello stilistico, non è facile farlo rientrare in una categoria, anche nel
suo periodo, prolifero di movimenti, dall’Impressionismo al Simbolismo, dal
Decadentismo al Futurismo.
Vincent
porta a compimento la propria formazione tra un fermento di stili ed
orientamenti, ma, nonostante il suo interesse ai movimenti più progressisti,
non fa parte né dell’Impressionismo, né del Pointillisme, né può essere
considerato un simbolista: Vincent si costruisce uno stile che rimane soltanto
suo, personalissimo.
Sperimenta,
senza sosta, l’espressività del colore e l’uso di pennellate diverse,
allungate, puntinate, a virgola, per trasmettere sulla tela i suoi stati
d’animo.
Vincent
spiega a Gauguin che i colori assumono, per lui, il significato di “concetti
poetici”, la loro intensificazione o distorsione, gli permettono di raggiungere
la tanto cercata fusione tra percezione visiva e psichica.
Insieme
alle esperienze parigine, giunge a maturazione lo studio delle stampe
giapponesi che indirizza Vincent verso una semplificazione delle forme.
In
questo periodo, Vincent si trasferisce in Provenza, ad Arles nella Casa Gialla
con Gauguin: i loro caratteri e le propensioni artistiche si scontrano;
nonostante questo, accade un avvicinamento stilistico nel quadro “ Ricordo del
giardino di Etten – 1888”
Questo
quadro è attraversato da un’atmosfera misteriosa, risentendo dell’ascendenza di
Gauguin, del quale Vincent ha un’enorme ammirazione, lo considera la sua
“guida”.
Tra i
due amici esiste una differenza sostanziale: tanto Gauguin vuole allontanarsi
dalla realtà, quanto Vincent vuole coglierne l’emozione.
Ma le
tensioni tra i due amici aumentano, al punto che una notte Vincent (già preda
di un forte esaurimento), vedendo uscire Gauguin di casa, si mutila l’orecchio
destro con un rasoio e lo consegna ad una prostituta; ritorna a casa, dove il
giorno seguente viene trovato, svenuto, dalla polizia.
Gauguin
che ha dormito in albergo, scoperto l’esito della nottata, riparte per Parigi
senza vedere l’amico, limitandosi ad avvertire Theo, il fratello di Vincent.
Dopo
due settimane di ospedale, dipinge in più tele il proprio autoritratto con
l’orecchio bendato:
(Autoritratto con
l’orecchio bendato – 1889)
In
questo autoritratto, il suo sguardo sfugge quello dell’osservatore e la
pennellata è spezzata in piccoli tratti verticali, accidentati.
La
giacca abbottonata ed il cappello in testa contribuiscono a trasmettere un
senso di chiusura; Vincent parla tranquillamente delle proprie condizioni,
rendendosi conto di incutere paura alla gente.
In
seguito, una seconda crisi nervosa costringe Vincent ad un nuovo ricovero, una
volta dimesso riprende a lavorare, ma i cittadini di Arles firmano una
petizione, chiedendone l’internamento.
Vincent
non si oppone, ma, in una lettera al fratello scrive “Sogno di accettare con
fermezza il mio mestiere di pazzo, ma ecco, non mi sento proprio la forza
necessaria per assumere questo ruolo.”
Ma,
Vincent decide di farsi ricoverare nel manicomio di Saint-Remy, non lontano da
Arles, dicendo che non riesce più a vivere da solo.
In
questa struttura, Vincent non riceve alcuna cura specifica, ha il permesso di
dipingere anche fuori del ricovero.
Il
luogo gli trasmette tranquillità, ma, l’atmosfera deprimente gli infonde uno
stato di malinconia esistenziale, perdendo ogni speranza di guarigione.
Vive
nel terrore di essere assalito da nuovi attacchi allucinatori, dei quali parla
con orrore, riferendosi alla pittura come la salvezza dall’abulia totale.
In
questo periodo dipinge molto, il suo stile è ancora in evoluzione, verso una
sempre maggiore espressività; la sua fonte d’ispirazione è la natura, un
esempio è “ Il giardino di Saint-Paul – 1889:
In
questo quadro si nota il richiamo alle linee decorative dell’arte giapponese,
evocate nell’andamento contorto di alcuni tronchi.
Anche
il cielo diventa ornamento, attraverso l’uso della pennellata a virgola,
differenziandolo solo nel colore rispetto alle chiome degli alberi, tanto che
l’orizzonte sembra non esistere.
La
superficie della tela sembra ondeggiare, dando l’impressione di una ripresa in
movimento.
Pochi
mesi dopo, Vincent è preda di una fortissima crisi che lo getta in una profonda
depressione, ancora più aggravata dalla proibizione di dipingere, imposta dai
medici, poiché nel corso dell’ultimo attacco ha tentato di ingerire dei colori.
Ad un
anno dal suo ricovero, nel 1890, Vincent lascia la Provenza per andare a Parigi;
gli ultimi mesi sono stati sereni, dieci dei suoi dipinti di Arles e Saint-Remy
hanno ricevuto grandi apprezzamenti alla nuova esposizione degli Indépendants,
soprattutto da parte dei colleghi, tra cui Monet, Pissarro, Bernard e perfino Gauguin gli ha scritto una lettera
colma di complimenti.
Qui,
incontra l’eccentrico dottor Gachet (amico di Victor Hugo, Paul Cézanne,
Camille Pissarro) che entra immediatamente in sintonia con Vincent, il quale
incontra finalmente qualcuno con cui condividere i suoi interessi, le proprie
vedute sull’arte.
Vincent
trova in Gachet il tanto cercato modello e, dopo sole due settimane di
conoscenza, si appresta a ritrarlo, lavorando molto intensamente:
(Ritratto del dottor
Gachet – 1890)
Il
dipinto è estremamente innovativo, l’artista abbandona le pose statiche e convenzionali dei ritratti eseguiti ad
Arles, cogliendo l’amico in un gesto familiare.
Nell’espressione
triste di Gachet, Vincent vede “l’espressione disillusa del nostro tempo.”
Ci sono
diversi tipi di pennellata nell’opera: il piano del tavolo è steso in modo
piatto, mentre la giacca ed una parte dello sfondo hanno tratti curvilinei; la
parte superiore dell’opera, è riempita con incroci ortogonali che hanno
caratterizzato i ritratti provenzali.
A turbare questo equilibrio tra Vincent e Gachet sono
una serie di problemi capitati al fratello Theo (la moglie ed il figlio si
ammalano gravemente), come sempre Vincent se ne sente in colpa e viene attanagliato
dall’angoscia; ha un diverbio con Gachet e rompe ogni rapporto con lui.
Terrorizzato all’idea di subire nuovi attacchi
depressivi, il 27 luglio 1890 si spara un colpo di pistola, nei campi.
Si
ferisce soltanto, ma muore due giorni dopo, il 29 luglio 1890, avendo
completamente perso la volontà di vivere.
***
Per
Vincent, lo strumento principale per esprimere sentimenti trasmessi dalla
natura è il colore, è convinto che
la “cromia” sia il miglior modo per esprimere la propria soggettività e
comunicarla agli altri.
Oltre
al colore, usava la pennellata quale mezzo espressivo: personalissima, sempre
in evoluzione con tratti, puntini, virgole, spirali.
Vincent
ricercò, durante la sua vita artistica, l’autenticità della visione,
un’interpretazione sincera di un modello realmente esistente.
Camille
Pissarro disse di lui : “Costui o diventerà pazzo, o ci farà mangiare la
polvere a tutti quanti.
Se poi
farà l’uno e l’altro, non sono in grado di prevederlo.”
(Campo di grano con corvi
– 1890)