sabato 29 gennaio 2022

Numero 398 - Intervista al vincitore per la sezione Poesie, GARA LAMPO - 29 Gennaio 2022


Eccolo qui, il vincitore della Gara Lampo che ha allietato le feste natalizie di chi ama scrivere. Stefano Buzzi è arrivato primo per la sezione Poesie. Breve e intensa. 
Leggiamola insieme.


VIE D’USCITA

 Sorge oggi il sole

e ancora leverà

in nuove primavere quotidiane

a dispetto della notte

a supporto di speranza

e credibili vie d’uscita.


Di grande significato, a mio giudizio. Versi liberi, immediati, che lasciano un senso di speranza, perché il sole sorge sempre, a dispetto della notte (magnifico verso).

Ma siamo qui, in questo numero del Blog, per fare una bella chiacchierata con Stefano Buzzi.

S. – Per prima cosa, Stefano, desidero complimentarmi con te per il risultato nella Gara Lampo, con la tua poesia. La poesia è il tuo primo amore, giusto? Ma scrivi anche prosa. Voglio partire con una domanda da un milione di dollari: sei su una torre e devi gettare una di queste tue passioni: la Poesia o la Prosa. Che cosa tieni con te?

Stefano – Grazie a te Stefania, in particolare per il vortice di energie e proposte che ti ruotano intorno. Mi fai proprio una bella domanda. Come dici tu la poesia mi accompagna fin da quando ero un ragazzo, è stato il genere con il quale mi sono tolto importanti soddisfazioni, non ultime tre pubblicazioni. La prosa invece nella mia mente identifica il domani, il futuro. Quello che devo ancora fare  e che sto facendo . In questo periodo della mia vita terrei con me la prosa: lo sguardo rivolto a ciò che deve ancora accadermi.

S. – Sei stato bravo a rispondere a questa domanda, non è facile scegliere tra Poesia e Prosa, quando si sente il richiamo per entrambe e in qualche modo si compenetrano nella vita di un autore, come nel tuo caso. Ma è interessante vedere che sei proiettato verso il futuro che, oggi come oggi, per te è la narrativa. Vorrei restare ancora per un attimo su questo argomento e chiederti com’è il poeta che vive in te e com’è lo scrittore. Se dovessi definirli, guardandoti dall’esterno, quali parole useresti?

Stefano – E ma che domande difficili. Se lo sapevo non vincevo 😊. Il poeta senza dubbio è molto più triste e sensibile dello scrittore. Scava più a fondo. Con la prosa invece aggiungo una particolare attenzione all’intrattenimento per chi legge. Dovendo definirli con due parole, comunque direi malinconico il poeta e osservatore lo scrittore. Resta comunque il fatto che per entrambi i generi il minimo comune denominatore del mio scrivere sono la voglia di raccontare e l’importanza delle storie che ci girano intorno senza saperlo.


S. – Sei molto simpatico, Stefano. Preferivi non vincere per evitare domande difficili? :-D  Va beh, dai, adesso te ne faccio una semplice. Vediamo… Tu sei anche un D.J., ci vuoi raccontare la tua esperienza con la radio e la musica e poi, mi chiedo, hai mai pensato di scrivere testi per le canzoni?

Stefano – In realtà sono uno speaker radiofonico, dj è una parola troppo grossa per quello che faccio. La musica è il mio primo grande amore. Quello che non potrò mai abbandonare, almeno in qualità di appassionato e fruitore di canzoni. La mia scrittura, almeno per quanto riguarda la poesia, è molto influenzata dalle canzoni. Mi ispiro di più ai cantautori che ai classici della letteratura. Per quanto riguarda la radio, da dieci anni mi diletto a condurre programmi da me scritti e ideati – a quattro mani con l’amico Latinista – che vanno in onda sulle emittenti locali della nostra zona. Scegliere le canzoni mi è sempre piaciuto, trovo sia un bellissimo modo di raccontarsi. E poi grazie alla radio ho la possibilità di confrontarmi con tanti artisti di ogni tipo e di ogni livello… sono stato anche tre anni di fila al Festival di Sanremo come inviato. Spero di poterci tornare in futuro, anche perché vorrà dire che la pandemia finalmente ci avrà abbandonato. Concludendo, sì, ho scritto dei testi di canzoni, ma per il momento sono chiusi in una cartella del mio computer. Però in effetti non sarebbe male vincere Sanremo come autore 😊



S. – In effetti è una strada, quella del paroliere, che devi percorrere. Restando nel mondo della musica, se dovessi dedicarti una canzone, quale sceglieresti e perché? E (domanda doppia) se usassi quella stessa canzone come ispirazione per scrivere un racconto, quali sarebbero l’ambientazione della storia, l’atmosfera e il carattere del personaggio principale?

Stefano – Sempre più difficile rispondere, perché ci sono tantissime canzoni che sento mie e che mi rappresentano. Iniziamo col dire che in realtà ho già fatto questo esperimento scrivendo un racconto tratto dalla canzone The river di Bruce Springsteen. L’ambientazione del mio testo è un luogo della provincia lombarda dove un ragazzo si innamora di una studentessa universitaria che arriva dalla capitale, dalla città. Lui artigiano calzolaio e lei in procinto di partire per la Svezia al fine di specializzarsi negli studi. È un racconto che ho perso di vista in qualche cartella del mio vecchio PC, devo dirti grazie per avermelo fatto ricordare. Potrebbe essere giunta l’ora di rivedere e rielaborare anche quello. La canzone che mi dedico invece è La verità di Brunori Sas perché… beh basta ascoltarla per capirlo.



S. – Le tue risposte sono piene di belle scoperte, per me. Ho ascoltato La verità che non conoscevo: molto bella e significativa. E io, che ho un po’ ti conosco, ti ho ritrovato. E The river di Bruce, uno dei miei cantanti preferiti, appartiene agli Stati Uniti. Tu sei stato a New York e l’hai amata. Cosa c’è in te di newyorkese?

Stefano – Direi niente. Io sono molto legato ai miei luoghi di origine, alla Brianza. Certo tornerei appena possibile a NY, è una città che mi ha conquistato e sedotto, ma non penso che tutto quel caos mi appartenga. Amo la tranquillità e le mie abitudini. Mi piace anche stravolgerle ma per mia scelta, non perché in balia di un ambiente che mi costringe a farlo. Posso dirti che ho molto apprezzato i quartieri periferici tipo il Queens, Harlem e anche il West Village. Direi che son gusti in linea con il mio credo: il mondo rappresentato da Times Square è bellissimo, ma quando decido io di andarci 😉



S. – Pensa che, invece, io ti vedo molto metropolitano. Ti immagino a NY a declamare le tue poesie in qualche locale underground! A proposito di poesie, hai pubblicato con Edizioni Convalle “Poesie fatte in casa”. Ci vuoi raccontare com’è nata questa silloge e dirci qual è la poesia alla quale sei più legato e perché?



Stefano – Si tratta di poesie scritte tra il 2018 e il 2019, anno in cui poi a novembre è uscito il libro. Sono per lo più poesie d’amore che esprimono il nobile sentimento riducendolo al nocciolo della questione. Mi piaci, ti amo, e te lo dico senza tanti giri di parole, con termini semplici e quotidiani: fatti in casa. L’ordine delle poesie segue il calendario, nel senso che si inizia con poesie di ambientazione invernale e una dopo l’altra si percorrono le quattro stagioni e gli appuntamenti importanti che le caratterizzano. O almeno quelli che mi hanno ispirato. Prendo molto spunto dal quotidiano nel mio scrivere. La poesia a cui sono più legato in realtà non c’è, anche perché ogni volta che lo rileggo o che preparo una scaletta per un reading o una presentazione scopro che il mio gradimento verso quello che ho scritto varia. È il bello della poesia, no? Arriva e ti conquista in modo più o meno intenso a seconda di quello che stai vivendo nel momento in cui ti ci approcci. Proprio come le canzoni. Se proprio mi obblighi a sceglierne una, comunque direi Guido io perché racconta un momento importante della mia vita.



S. – Bella poesia, vogliamo farla leggere ai nostri lettori?


Guido io


Ti ho vista

per lunghi e inesorabili tratti

della mia esistenza

danzare leggiadra sotto quei portici

che ogni sera

scorrevano fuori dal finestrino

e io

seduto all’ultimo posto del bus

ho sempre sognato di venire a incontrarti.

 

Ho immaginato

e sognato

e fantasticato

quei gesti così coordinati

ogni sera prima di dormire

e ogni mattina durante il caffè

ma restavo in silenzio,

inerme,

ogni sera sfilandoti davanti

seduto all’ultimo posto del bus.

 

Poi un giorno

vinto da cotanta beltà

e sfinito dal livore di osservati solamente

ho premuto il pulsante,

ho preso coraggio,

e son sceso alla giusta fermata.

Ti sono venuto incontro

e tu eri lì ad aspettarmi

come si aspetta un regalo a Natale.

 

Ti ho abbracciata

perché tu mi appartieni

e ora se permetti guido io.

Incastrerò i miei passi coi tuoi

e non danzerai più da sola,

né io starò fermo a mirarti.

 

Ora ti ho preso per mano

Vita.

 



Siamo giunti alla fine di questa bella conversazione. Un’ultima domanda. Stai lavorando alla tua raccolta di racconti che vedrà la luce a breve. Qual è il leitmotiv di questa opera?

Stefano – Ma le diamo così con questa sfacciataggine le notizie? 😊 Ebbene sì, sono nella fase finale della mia prima opera di prosa. Diciamo che sto facendo le guarnizioni con la saccapoche e poi mi aspetta l’arduo compito di trovarle un titolo. Sono racconti che ho scritto negli ultimi due anni, alcuni dei quali anche grazie al lavoro svolto nei tuoi laboratori di scrittura. I temi trattati saranno tre elementi che contraddistinguono la quotidianità: l’amore, il lavoro e le riflessioni sulla vita. Ho scritto storie in cui spero ognuno di noi possa riconoscersi, nel bene e nel male. Non ci saranno eroi ma gente comune. Ogni racconto infatti sarà presentato con un nome proprio di persona a introdurlo; questo per sottolineare la grande sfida che ognuno di noi fa nel metterci costantemente – avverbio! – la faccia nel vivere giorno per giorno. Direi di non aggiungere altro, altrimenti poi svanisce l’effetto wow quando uscirà il libro.


Aspettiamo dunque la prossima opera di Stefano Buzzi, che probabilmente sarà presente al Salone internazionale del libro di Torino, dal 19 al 23 maggio. Sono certa che sarà un'opera di un certo livello, conoscendo bene la sua penna.
Una bella chiacchierata, quella di oggi, come quella che facemmo a febbraio 2020 durante un evento per festeggiare il compleanno di Edizioni Convalle.


Ricordo che potrete trovare Stefano sui social, fb e instagram, e nel sito www.stefanobuzzi.com


Alla prossima 

dalla Vostra

Stefania Convalle


 

 

 



domenica 2 gennaio 2022

Numero 396 - Ripercorrendo la mia carriera nel mondo delle parole. Quarta puntata - 2 Gennaio 2022


 Ripercorrendo la mia carriera nel mondo delle parole

Quarta puntata


Riassunto delle puntate precedenti :-D

Se volete partire dall'inizio ;-) ecco i link dei numeri del blog dove, un passo alla volta, vi sto raccontando tutto (o quasi) di me, nel mondo delle parole e delle emozioni.

https://st62co.blogspot.com/2021/05/numero-376-ripercorrendo-la-mia.html

https://st62co.blogspot.com/2021/05/numero-378-ripercorrendo-la-mia.html

https://st62co.blogspot.com/2021/05/numero-379-ripercorrendo-la-mia.html


Questa quarta puntata potrebbe diventare lunga, mettetevi comodi :-D In effetti l'accelerazione è stata costante e sempre più intensa.

Nel 2015 pubblicai per la prima volta, con una casa editrice di Roma, il romanzo "Una calda tazza di caffè americano".


                                                        La copertina della  prima edizione

Ma facciamo un passo indietro: com'era nato questo romanzo?

Ricordo che ero nella mia Milano e passeggiavo in Galleria Vittorio Emanuele, finendo come sempre alla libreria Rizzoli. Entrai. Lo sguardo mi cadde su un blocco, un notes che si chiamava, in uno strano gioco di parole, "Il blocco dello scrittore". Potete immaginare la mia curiosità, non tanto perché avessi quel blocco lì - dello scrittore - che non ho mai sperimentato perché starei sempre a scrivere e le idee non mancano, ma perché parlava di scrittura. Così lo comprai. Dentro conteneva un po' di consigli vari, tra i quali uno in particolare: scrivere per dieci minuti al giorno senza fermarsi. 

Facile, no?

Ci volli provare.

E così entrai dritta dritta nella scrittura di pancia.

Qualsiasi cosa stessi facendo, una volta al giorno mi fermavo, andavo al computer, sceglievo la musica e mettevo la sveglia. Dieci minuti di scrittura senza fermarsi.

E così è nato il romanzo.

Chi l'ha letto lo sa: è in due parti. Nella prima, il risultato di questo esperimento, dove c'è molto, direi tutto di quei giorni, della mia vita. Quel "tutto di me" che poi è diventato il "tutto di Molly", la protagonista di quello che poi si è trasformato in un romanzo vero e proprio.

"Una calda tazza di caffè americano", un romanzo che segna il passaggio in modo netto verso quella scrittura che è diventata la mia modalità: scrivere senza un progetto, scrivere di pancia, scrivere lasciandosi guidare dalle emozioni in una forte immedesimazione nei personaggi. Ero Molly, ma ero anche Alan. 

La svolta. Ecco.

Ma prima di proporvi un passo del romanzo, voglio anche ricordare che in quell'anno decisi di dare vita al premio letterario Dentro l'amore.

Come sempre, quando le idee mi frullano in testa, le metto in pratica e mi butto. E così feci anche quella volta, senza particolari aspettative, anzi, pensavo che sarebbe stata la prima e unica edizione, e invece fu un successo. Una serata finale in un locale gremito, dove cominciai a mettere in pratica un'altra idea: quella di dare vita a una serata finale che fosse anche spettacolo, non solo premiazioni.

Indimenticabile.


Stava per cominciare la serata. In prima fila vedete anche Cinzia Zerba, vincitrice per la sezione racconti. Fu proprio in quell'occasione che ci conoscemmo e questo diede il via al nostro sodalizio artistico che ancora oggi prosegue con tanti progetti.


Qui si giocava a fare le interviste ;-) Da sinistra: Rebecca Martinez, Madrina del Premio e modella; me medesima ;-) e Anna Quartiroli, giornalista.


La prima giuria del Premio


Il tango


E per finire, alla fine di tutto, avevamo festeggiato il compleanno di Giuseppe, a sorpresa! 
Bei ricordi :-)

Fu un anno pieno di eventi importanti, ricco di esperienze come quella di Voghera, l'Iria Castle Festival.



Eventi da condividere sempre con amici artisti. Qui con me Renata Vismara, la ballerina, e Carola Nadal, artista argentina professionista che mi aveva concesso l'onore di averla nel mio Poe-Tango.






In questa foto anche Cinzia Zerba che era una delle voci narranti, brava come sempre.



E poi, ancora a Voghera, un'altra esperienza molto particolare, un Poe-Tango in un centro commerciale. 








Le voci narranti: Cinzia Zerba e Simona Saglimbeni. Insieme mi hanno accompagnato in tanti eventi.


Quante esperienze in quell'anno, il tutto stava diventando impegnativo ed entusiasmante.

Quanta gavetta, ma cosa c'è di più bello?

Eh, quante cose ci sarebbero da raccontare... 

"Una calda tazza di caffè americano" è poi stato ripubblicato in una nuova veste nel 2017, con Edizioni Convalle. Dopo sei anni, ad oggi, dalla sua nascita, conquista ancora lettori e prosegue il suo cammino insieme a tutte le mie opere, quelle uscite prima e quelle che sarebbero uscite dopo, in questa straordinaria avventura.


Per voi ho scelto un brano particolare. Non è l'inizio, non è la fine, è la vita che scorre.


Da "Una calda tazza di caffè americano"

Come si fa a dire grazie alla Vita quando ti tradisce così? Non so dire se la rabbia che sento è la maschera di un dolore che non oso attraversare. Ho paura.

Lui non sapeva che, ogni volta che salvava uno scritto dei nostri “dieci minuti”, io ero lì a leggere i suoi pensieri, le sue parole, il suo ricordare, il suo raccontare del passato e di quel nuovo oggi che sembrava appartenerci. Eravamo due PC collegati e, di clic in clic, ero stata nella sua mente e avevo osservato in silenzio quello che maturava nel cuore di quell’uomo apparentemente duro.

E quando il silenzio si è fatto più forte ho capito, senza che nessuno me lo dicesse, che quell’aereo di cui parlava il telegiornale era quello sul quale si trovava lui, quello che aveva preso per venire qui, a prendermi.

È difficile spiegare. Ma ho chiuso tutte le persiane e poi le finestre, cercavo il buio, la notte perenne, l’assenza di rumore. In quei momenti si fanno le cose più strane e non so perché ho mangiato anche se non avevo fame, ho preso una pentola, l’ho riempita d’acqua, ho acceso il fuoco, l’ho fissata aspettando che bollisse e ho buttato gli spaghetti, ho preparato un sugo come se lui fosse a cena con me, ho riempito un bicchiere di vino, ho bevuto tutto d’un fiato senza farmi domande, senza perché, senza ma né come, ho affondato la forchetta nel piatto e l’ho girata, girata, girata, fino a quando il boccone era pronto. E ho mangiato, tutto, fissando una lavagnetta davanti a me dove scrivo le cose che non devo dimenticare e dove avevo segnato con un gessetto polveroso, solo pochi giorni fa, Alan sta per arrivare, disegnando una faccina col sorriso, come fanno i bambini. Ero felice.

Il vino rimane quello che mi può consolare, anestetizza i pensieri, offusca lo sguardo e stordisce le orecchie, non sento il telefono che squilla, squilla, squilla. Ma io non voglio sentire, parlare, piangere o urlare. Voglio stare qui e mi sento un felino ammaccato in mezzo alla savana, cerco un riparo, mi lecco le ferite e aspetto, aspetto che passi, aspetto che il tempo, come dicono, mi faccia dimenticare.

Ma come si fa a dimenticare?

Forse gli amori giovani e ancora non radicati sono quelli che passano prima? Che follia! Non è vero. Non lo è stato in passato, per me, e non lo è ora.

L’amore è l’amore e non conta da quanto ami.

Alan, sei stato il mio ultimo amore, lo so. L’ultima occasione che mi ha dato la Vita. Sei stato un sorriso che ha squarciato il mio cielo, e ora, ora, dove sei?

So che sei con Emily e, se ci penso, mi sembra tutto talmente assurdo! Un anno fa non conoscevo nessuno dei due, me ne stavo tranquilla qui a galleggiare dentro a un mare di equilibrio, ma com’è facile trovarsi dove non si tocca più, in balia delle profondità e sentirsi di nuovo in pericolo, fragili e vulnerabili; e quella sensazione di essere invincibili, come fa presto a trasformarsi in una sensazione di sconfitta e di perdita, di nuovo. Ma questa è la Vita, la lezione l’ho imparata tanto tempo fa, prende e dà, prende e dà, e a me ha dato qualcosa di inaspettato. Volevo dirtelo appena fossi arrivato qui. E invece non lo saprai mai. O forse sì, lo saprai da dove sei.

E allora, Alan, mio amore, dimmi tu cosa devo fare. Ti ascolto. Sono seduta tranquilla su questa poltrona, le mani lungo il corpo, mi guardo intorno, cerco nelle ombre, non ho paura, fatti vedere, mostrati, lo so che sei qui, dicono che le persone amate non se ne vanno subito, ma restano fino a quando sono necessarie. E tu lo sei. Adesso più che mai.

Dimmelo tu cosa devo fare. Ora.

Le ombre si muovono mute, persino i pensieri attraversano la mia mente al rallentatore. Sembra tutto annacquato come i miei occhi e mi ricordo di Alan quando spaccava la legna al funerale di Emily; forse anch’io dovrei fare qualcosa del genere, non so, spostare i mobili, fare fatica, sudare, sfinire i miei muscoli: anche il cuore lo è.

Mi viene in mente Rebecca e una mattina d’inverno quando lei, ancora piccola, sui tre anni, mentre giocava e sembrava assorta in quello che stava facendo, senza neppure alzare lo sguardo mi chiedeva: Tata, cosa c’è? Si era accorta di come mi ero incantata, guardando nel vuoto per qualche mio momento difficile di allora. Piccola adulta, aveva colto questo frammento di me e, come se fosse grande, se ne interessava. Chissà perché questo episodio attraversa la mia mente. Piccola grande Rebecca. Ti ho voluto così bene da averne paura. Ma perché dico così? Non sto per morire, anche se la morte m’insegue attraverso gli altri. Mi accorgo di pensare alla morte. Un pensiero che non mi piace mi attraversa. Forse la vita non m’interessa più, pensiero inquietante che allontano subito, quasi con un gesto delle mani. Ma lui, pensiero ostinato, insiste e sembra sussurrarmi che al di là di questa vita ci sono le persone a me più care, e poi c’è Alan…

Alan – Alan – Alan – Alan – Alan – Alan – Alan.

Sto perdendo il controllo. Devo uscire. Mi alzo, non mi curo di quello che indosso, afferro le chiavi della macchina ed esco.

E guido, guido, guido, guido, chilometri, chilometri, chilometri, non so dove vado, autostrada, per dove? Non guardo, non m’interessa. E non so come mi ritrovo nei pressi del mare, è notte, non c’è anima viva in giro, solo qualche pescatore che prepara la barca, lascio l’auto in qualche modo, non m’importa, c’è vento, mi colpisce il viso, mi accorgo che non ho una giacca, le braccia nude, ma non sento freddo. Cammino lungo la battigia. Tolgo le scarpe, i piedi nell’acqua e cammino. Il mare è nero, ma la Luna è piena e luminosa. Qualcosa mi chiama, qualcuno mi chiama, non tra le onde, no, sarebbe la morte e ho deciso che devo vivere. Tra quelle barche, là, verso un molo deserto. Una figura. Metto a fuoco.

Alan, ecco, ti riconosco, sei arrivato. Sì, corro, so che hai risposto al mio richiamo, le barriere non esistono, tutto fa parte del Tutto. Non c’è Vita, non c’è Morte.

C’è solo l’Amore.

E allora eccomi, ti abbraccio. Sei qui per me e capisco che non sarò mai sola. Senza voce mi dici “vai avanti, niente ti può fermare, non guardarti indietro perché io sono solo un passo avanti a te, ma ti aspetto per quando sarà il nostro tempo. Intanto vivi. Respira. Sogna. E ama ancora.”



Alla prossima puntata

dalla vostra 

Stefania Convalle