Sarà la primavera, ma mi è tornata la voglia di giocare a raccontare una storia insieme ad altri autori :-)
Loro ancora non lo sanno, lo scopriranno tra poco, quando li nominerò per proseguire questa sorta di staffetta dove lancio il primo capitolo e poi non si sa quello che accadrà!
Un palleggio dove ogni autore andrà avanti a scrivere questa storia, seguendo la propria fantasia.
Non si sa dove si andrà a finire, ed è questo il bello!
E allora, via, si parte!
Il secondo capitolo è affidato a
Francesco Lisa
Una new entry in questo Blog
Una nuova penna che vi piacerà;-)
Il terzo capitolo a una "vecchia" conoscenza di questo Blog, una penna che avete già avuto modo di apprezzare in "Rosamarea"
Daniela Perego
Quarto capitolo, una penna d'autore, quella di
Riccardo Simoncini,
ad un passo dalla pubblicazione della sua opera prima con la Edizioni Convalle ;-)
Quinto capitolo, una scrittrice misteriosa già quotata ;-)
Veronica
una penna esperta;-)
Sesto capitolo, torna una penna che conosciamo bene,
quella di
Tania Mignani
Il terzo capitolo a una "vecchia" conoscenza di questo Blog, una penna che avete già avuto modo di apprezzare in "Rosamarea"
Daniela Perego
Quarto capitolo, una penna d'autore, quella di
Riccardo Simoncini,
ad un passo dalla pubblicazione della sua opera prima con la Edizioni Convalle ;-)
Quinto capitolo, una scrittrice misteriosa già quotata ;-)
Veronica
una penna esperta;-)
Sesto capitolo, torna una penna che conosciamo bene,
quella di
Tania Mignani
penna agile e strong!
Settimo capitolo, anche questa autrice è una "vecchia" conoscenza del blog
Maria Rita Sanna
ha dato un assaggio del suo stile ;-)
"un uragano" ;-)
Ottavo capitolo, torna
Francesco Lisa
con abilità porta avanti personaggi e storia
facendo crescere la suspance che sta appassionando i lettori
di capitolo in capitolo :-)
Capitolo nove:
Michele Fierro
penna nota a questo Blog,
aumenta l'intreccio ;-)
Il passato ritorna...
Capitolo dieci:
Daniela Perego
penna romantica, ma non solo;-)
e quel "non solo" ci piace un sacco!
Capitolo undici
Riccardo Simoncini
...romanticone...
Capitolo dodici
Veronica
La stoffa della scrittrice: si vede;-)
Capitolo tredici
Tania Mignani
ma quanto è brava? ;-)
Capitolo quattordici
una concreta Maria Rita Sanna
sta tirando le fila?
Capitolo quindici
Michele Fierro
verso la soluzione?
Capitolo sedici
Daniela Perego
Settimo capitolo, anche questa autrice è una "vecchia" conoscenza del blog
Maria Rita Sanna
ha dato un assaggio del suo stile ;-)
"un uragano" ;-)
Ottavo capitolo, torna
Francesco Lisa
con abilità porta avanti personaggi e storia
facendo crescere la suspance che sta appassionando i lettori
di capitolo in capitolo :-)
Capitolo nove:
Michele Fierro
penna nota a questo Blog,
aumenta l'intreccio ;-)
Il passato ritorna...
Capitolo dieci:
Daniela Perego
penna romantica, ma non solo;-)
e quel "non solo" ci piace un sacco!
Capitolo undici
Riccardo Simoncini
...romanticone...
Capitolo dodici
Veronica
La stoffa della scrittrice: si vede;-)
Capitolo tredici
Tania Mignani
ma quanto è brava? ;-)
Capitolo quattordici
una concreta Maria Rita Sanna
sta tirando le fila?
Capitolo quindici
Michele Fierro
verso la soluzione?
Capitolo sedici
Daniela Perego
il dilemma di Emma/Patrizia
Capitolo diciassette
Francesco Lisa
ma che svolta romantica!!!
Capitolo diciotto
Riccardo Simoncini
riconfermo: un romanticone ;-)
Capitolo diciannove
Veronica
Colpo di scena?
Capitolo venti
Tania Mignani
Questa storia è piena di valigie;-)
Capitolo diciassette
Francesco Lisa
ma che svolta romantica!!!
Capitolo diciotto
Riccardo Simoncini
riconfermo: un romanticone ;-)
Capitolo diciannove
Veronica
Colpo di scena?
Capitolo venti
Tania Mignani
Questa storia è piena di valigie;-)
Il titolo?
Lo sceglierete voi lettori :-)
Capitolo 1
di
Stefania Convalle
L'ora del tramonto, quando tutto si placa in una luce calda. C'era ancora qualcuno su quella spiaggia, assorto, a godersi lo spettacolo dei colori che offriva il cielo, illuminato dal sole che si tuffava nel mare.
L'atmosfera era tranquilla, come ogni sera a quell'ora. Ma poco più in là, Emma era già in movimento. In qualche modo si godeva anche lei quel momento di pace prima della serata.
Girava per i tavoli del suo locale in riva al mare controllando che tutto fosse a posto: le tovaglie di lino, le stoviglie rigorosamente bianche, i calici di cristallo, le candele poste a galleggiare in un recipiente insieme a dei fiori, tutto curato nei minimi particolari per garantire ai suoi ospiti una serata indimenticabile. Le stelle e il rumore del mare completavano lo scenario e non era un caso che il suo ristorante fosse sempre al completo.
Quella sera pensò che era ormai trascorso un anno dal suo arrivo. Le sembrava passato un secolo: un'altra vita, un'altra Emma.
Già, c'era stato bisogno di coraggio, ma quello non le era mai mancato. Un anno prima aveva mandato all'aria tutta la sua esistenza, tutte le certezze buttate al vento; aveva fatto la valigia e se n'era andata.
Lontano. Altri luoghi. Altra gente. Altri colori. Altri suoni. Aveva detto basta.
Aveva gridato, basta.
E quelli che avevano cercato di fermarla, ammutoliti dalla sua determinazione, si erano fatti poi da parte e l'avevano lasciata passare.
Un anno prima. Soltanto un anno prima.
Capitolo 2
di
Francesco Lisa
Federico aveva avuto una giornata
tosta, di quelle che nascono storte e si concludono ancora peggio. Pareva che
tutto il modo si fosse dimenticato di lui e della sua sensibilità. Ogni persona
che aveva incontrato e ogni cosa che aveva osservato quel giorno sembravano
avere un solo obbiettivo: distruggere la sua autostima.
A nessuno importava più
del simpatico ragazzo dalla carriera brillante, pure i riccioli d’oro che gli
pendevano ai lati delle tempie si erano afflosciati quando, la sera prima,
Marta lo aveva lasciato fuori di casa. Gli era bastato vedere le valigie appoggiate al portone per capire l’antifona, non aveva avuto nemmeno la forza di
citofonarle o chiamarla per cercare un chiarimento. Dopo sette anni era tornato
a passare la notte nella sua vecchia cameretta che era stata il suo nido
dall’infanzia fino all’adolescenza. Le carezze di mamma Maria avevano alleviato
il dolore accompagnandolo in un sonno profondo, come ai vecchi tempi, quando era
un piccolo ometto da proteggere.
Al risveglio il dolore era tornato
con veemenza scombussolandogli l’intera giornata che per fortuna era finita.
Uscito dall’ufficio, prima di tornare a casa dei genitori, era andato al
mare. Voleva accertarsi che almeno quello non si fosse dimenticato di lui e che
non fosse fuggito via, si rallegrò quando lo vide lì, al solito posto, mentre
accarezzava la spiaggia semideserta.
Tolse le scarpe e corse a
perdifiato costeggiando la riva fino alla scogliera del Tono per poi tornare
indietro ancora più veloce, per eliminare le tossine. Sfinito dalla fatica si fermò
a recuperare il fiato e si sedette sulla sabbia, di fronte al locale di Emma.
Le onde gli lambivano le caviglie, alcune gli bagnavano i polpacci rinfrescando
i muscoli, mentre lui fissava il mare. Sapeva di aver sbagliato, ma a volte un
uomo va anche perdonato, pensava; avrebbe riavvolto il
nastro per ricominciare da zero, ma non era possibile, e forse sarebbe stato
fin troppo facile.
Uno a uno scagliava i ciottoli verso l’orizzonte,
sempre più forte, sempre più lontani, come fossero pensieri cattivi dai quali
voleva e doveva liberarsi al più presto, per sempre.
Quando la spiaggia rimase vuota
e silenziosa, sotto il cielo scuro come i suoi occhi, si tolse la camicia e i
pantaloni e con una breve rincorsa si tuffò in acqua, ad affogare il malumore.
Riaffiorò dopo parecchi secondi, distante una ventina di metri dalla riva,
liberò i riccioli facendoli schizzare intorno e gli sembrò davvero di essersi
liberato di un grande peso. Forse, davvero il mare non si era dimenticato di lui,
aveva raccolto la zavorra negativa che si era scrollato di dosso e che ora
doveva rimanere sul fondale per sempre.
Uscì dall’acqua incurante che qualcuno
lo potesse vedere, in spiaggia non c’era più nessuno e il locale di Emma era ancora vuoto. La luce della luna piena che si specchiava sul mare illuminava i
lineamenti del suo corpo scolpito da anni di palestra. I pettorali e gli
addominali ben definiti non passarono inosservati agli occhi di Emma che lo
aveva seguito con lo sguardo, incuriosita fin dal suo arrivo in spiaggia. Dopo essersi
rivestito diede un'ultima occhiata al mare, forse aveva dimenticato di
raccontargli qualche particolare di quella triste storia; si rimise in macchina
e si avviò verso casa dei genitori.
Ed Emma tornò a pensare al suo lavoro.
Capitolo 3
di
Daniela Perego
Era passato solo un anno. Trecentosessantacinque
giorni di Emma.
La "vecchia" Patrizia – ora Emma – era morta quel giovedì di giugno, quando l’intera banda che gestiva la prostituzione
in città venne arrestata. Grazie a lei.
Seduta sul muretto che separava il
ristorante dalla spiaggia, con lo sguardo perso tra le onde, ripensò all’intera
vicenda.
Era nata in una famiglia molto religiosa,
passava tutto il suo tempo libero in parrocchia, tra oratorio e sacrestia;
negli ultimi anni aveva affiancato Don Albino nella missione - quasi
impossibile - di togliere dalla strada le ragazze straniere arrivate in Italia con
il sogno di una vita libera e di un lavoro onesto.
Un brivido le ricordò le fredde
serate invernali, passate a parlare con Aina, Asabi, Irina, Raissa e molte
altre di cui non seppe mai il nome; molte di loro non capivano e non parlavano
neppure la lingua italiana. La paura di qualcuna vacillò, facendo pensare a lei
e a Don Albino di essere riusciti nell’intento, ma la punizione degli sfruttatori
arrivò pesante e violenta lasciando una
cicatrice sul volto di Raissa e il parroco sanguinante a terra.
Nonostante il divieto della
famiglia, continuò a occuparsi delle ragazze, ormai sola. Ricevette minacce, comparvero
scritte sul muro della sua abitazione e le incendiarono l’auto.
Esattamente un anno prima, in una
notte stellata come quella sera, l’epilogo della storia: le forze dell’ordine arrestarono
gli sfruttatori in Italia e nei Paesi coinvolti nel traffico di prostitute.
E in poche ore si trovò a decidere del
suo futuro.
A molti piacerebbe rifarsi una
vita, cambiare Paese, abitudini, clima, amici e altro ancora; ma essere
costretti a farlo per una ragione di vita o di morte è tutt’altro.
Fu straziante salutare i suoi genitori, suo fratello Claudio e sua sorella Lara.
Nessuno avrebbe potuto conoscere la sua nuova
identità. Per tutti, lei doveva essere morta. Il suo cuore tremò quando le
dissero che era ora di andare, il tempo dei saluti era scaduto.
Dov’era Giorgio?
Non lo aveva salutato, non gli
aveva spiegato. Non c’era stato tempo.
No, Giorgio no. Doveva sapere.
L’avrebbe cercata. L’avrebbe odiata.
Ed Emma lo amava tanto.
Ma l’amore per la vita aveva vinto: era partita.
Si asciugò le lacrime, pronta ad
accogliere i primi clienti.
Respirò profondamente l’aria
salmastra dando un ultimo sguardo alla spiaggia. Tra le ombre della sera le
parve di notare qualcuno allontanarsi...
Capitolo 4
di
Veronica
La luce che filtrava dalla finestra colpì Lara come una spada acuminata proprio in mezzo agli occhi. Fissò il soffitto cercando di emergere da quel mare di incoscienza in cui le pareva di galleggiare.
Qualcosa le pesava sul petto, un braccio tatuato il cui resto del corpo russava rumorosamente al suo fianco. Tentò di alzarsi a fatica mentre la testa vorticava furiosamente. Pur non conoscendo la combinazione dei vari locali in quell’appartamento del tutto sconosciuto, aprendo la prima porta trovò ciò che cercava. Pochi istanti dopo, inginocchiata davanti al gabinetto si liberava di tutte le sostanze bevute e sniffate durante la notte. Peccato non potere liberarsi dell’abituale disprezzo che provava verso se stessa e gettarlo nel vortice di acqua generato dallo sciacquone.
La testa le pulsava insopportabilmente, ingerì due aspirine bevendo direttamente dal rubinetto. Rialzandosi incontrò la sconosciuta riflessa nello specchio: un volto scarno, pallido dagli occhi infossati e lividi. Quasi si spaventò, poi sorrise amaramente nel riconoscere su quel corpo ossuto i segni della sua disperazione, di quel senso di inadeguatezza che sempre più spesso trovava sfogo nelle ferite autoinferte, cicatrici seppur sbiadite sulla pelle, ancora pulsanti nel suo animo.
di
Veronica
di
Riccardo Simoncini
Oggi era il merdaversario.
Un anno esatto dalla scomparsa di
Patrizia.
Scomparsa era la parola esatta. Non
si era nascosta, non lo aveva lasciato, non lo stava evitando. Era scomparsa.
Come una bolla di sapone dopo i suoi pochi istanti di compattezza.
Quel giorno, Giorgio, si concesse
l’insensato lusso di comporre ancora una volta il numero di telefono che aveva
imparato a memoria durante la loro intensa storia. Gli rispose una donna
gentile, che con una delicata voce registrata lo informava che il numero da lui
selezionato era inesistente. Riagganciò, socchiuse gli occhi e appoggiò la
fronte contro il vetro fresco della finestra senza provare alcun sollievo.
Dove sei, Patrizia? pensò. Da
qualche parte, certamente. La madre, ammesso che sapesse qualcosa, era ossuta e
forte come il carattere che aveva trasmesso alla figlia. Non aveva mai lasciato
trapelare nulla, schermando informazioni ed emozioni nello scrigno
inespugnabile di uno stoico, insensato silenzio. Il padre era l’anello debole. Su
di lui avrebbe dovuto fare più pressione. Una volta, una sola volta, si era
lasciato scappare parole di cui subito si era evidentemente pentito, frasi
sconnesse pronunciate con un’espressione di sincero dolore, che gli avevano
lasciato intendere che da qualche parte la donna con la quale aveva condiviso
l’Amore aveva trovato rifugio. Era la conferma che Patrizia non aveva cessato
di esistere.
“Quanto sei grande, Mondo? In quale
delle tue tasche me l’hai nascosta, bastardo?” chiese alla minuscola porzione
di panorama oltre la finestra.
Un anno.
Ogni volta che ti guardi indietro,
un semplice anno si perde nei numeri grandi del passato. Ma l’ultimo, quello
che ti sei appena lasciato alle spalle, quello più fresco, quello più recente,
quello che non ha ancora avuto modo di nascondersi tra le pieghe del Tempo,
sembra sempre avere un peso speciale, una massa più importante, un metabolismo
più lento.
Giorgio lo sapeva.
Era questione di altro tempo, e
un’altra donna sarebbe arrivata a cancellare la sua solitudine e i suoi
ricordi. E quando si fosse innamorato di nuovo, avrebbe smesso di mangiare da
solo, di dormire da solo, di fare l’amore da solo.
E Giorgio non voleva.
Non voleva un nuovo mare con onde
impetuose che arrivassero a cancellare i segni che insieme a lei aveva
disegnato sulla sabbia. Non voleva nuova vita, nuove gioie, nuove emozioni. Lui
chiedeva soltanto di riprendere il suo percorso da dove era stato interrotto senza
motivo, senza spiegazioni, senza la consolazione, per quanto amara, della
rassegnazione.
Era odio quello che sentiva, in
certi momenti. Odio che abbracciava l’amore e cercava di mischiarsi ad esso
come se fosse della stessa natura. Ne era pieno. Dell’uno e dell’altro. Ma
erano ben definiti, separati da una densità differente, come acqua e olio in
uno stesso recipiente.
L’odio era facile. Dettato
dall’esasperazione, regalava una piacevole compagnia facendo un sacco di
rumore, fornendo spiegazioni e facili risposte alle mille domande che si
ammassavano senza alcun ordine.
L’amore, invece, faceva un sacco di
male. Era figlio dei ricordi e delle sensazioni. Rimava zitto, in silenzio,
come un vecchio saggio e paziente, seduto in attesa, sorridente davanti
all’eterna battaglia tra cuore e ragione.
Era fottutamente indisponente,
l’amore.
Vaffanculo, amore mio, sintetizzò
Giorgio soffiando su quella immaginaria prima candelina che segnava il tempo
passato senza Patrizia.
Capitolo 5
Camminare a piedi nudi sulla
battigia rappresentava, per Patrizia, uno dei piaceri a cui non avrebbe saputo
rinunciare, e se a fare da cornice vi era uno scenario come quello, ecco, si
sentiva graziata. All'inizio della settimana si concedeva sempre una
passeggiata nel tardo pomeriggio, sapeva che erano giorni meno impegnativi
rispetto all'affluenza solita e poi il locale era in buone mani con Carlo e
Marina, i suoi collaboratori.
Stava bene in quella parte di mondo
dove si era rifugiata, peccato non poter condividere quel paradiso con Giorgio,
l'unico uomo che aveva amato sul serio, l'unico che aveva abbandonato senza una
parola di spiegazione. Che ironia!
Si fermò, chiuse gli occhi e trasse
un profondo respiro, il vento le scompigliava i capelli, le carezzava la pelle
e soprattutto le dava forza, ne aveva veramente bisogno così lontana dai suoi
affetti, dalle sue abitudini, dalle sue radici.
Non era pentita delle sue scelte,
anzi, era più che mai convinta di aver operato nella maniera giusta, restare significava mettere in pericolo la
vita dei suoi cari, non solo la propria.
Tornò verso il ristorante, il sole
era già tramontato e a breve si sarebbero presentati i primi avventori.
Era quasi arrivata quando notò il
ragazzo biondo seduto vicino all'acqua, lo stesso di qualche giorno prima; se
avesse seguito l'istinto sarebbe andata a sedersi accanto a lui, ma il suo
cuore non ne voleva sapere di nuove occasioni, troppa sofferenza ancora da
smaltire, ci voleva tempo.
Entrò decisa nel locale dove
qualcuno si era già accomodato, si accertò che tutto fosse a posto e si diresse
verso la cucina per dare una mano. La situazione era sotto controllo e Carlo la
rispedì in sala, dove sarebbe stata senz'altro più necessaria.
“Il mio chef non mi vuole fra i piedi” disse sorridendo ai clienti
seduti vicino alla vecchia pendola in fondo alla sala, coi quali era più in
confidenza.
“Le pietanze sono di vostro gradimento? Desiderate altro vino?”
Si girò per prendere nuove
ordinazioni e si accorse, con sorpresa, che il ragazzo biondo era appena
entrato e stava guardando in giro alla ricerca di un posto per sedersi.
Gli andò incontro e lo guidò verso
uno dei tavoli vicino alle finestre, la posizione migliore, quella col panorama mozzafiato per nutrire non solo il
corpo, anche l'anima.
“Io sono Emma. Grazie per aver scelto il nostro ristorante.”disse
tendendogli la mano.
“Piacere, Federico. Era da un pezzo che volevo entrare e devo dire che
le mie aspettative non sono state disattese, è molto accogliente. Immagino che la cucina sia all'altezza
dell'arredo, vista l'affluenza di gente.”
La serata stava volgendo al
termine, il locale si stava lentamente vuotando e la stanchezza cominciava a
farsi sentire.
“Desidera altro, Federico? Vuole un dolce, il caffè?”
“Vorrei che si sedesse a chiacchierare un po' con me.”
“D'accordo, ma dammi pure del tu, siamo coetanei, immagino.”
“Da dove arrivi, Emma? Non ti avevo mai visto nei dintorni e a Gaeta ci
si conosce tutti. Io ci sono nato, abito a poca distanza da qui.”
“Io... arrivo da Cuneo.”
“Ah, dal Piemonte, mi sembrava un accento famigliare! Ho trascorso
diversi anni a Torino, fino a quando la multinazionale per cui lavoro non ha
aperto una nuova filiale proprio a Gaeta, circa un anno fa, e mi ha proposto il
trasferimento. Ma ho detto qualcosa di sbagliato? Sei diventata pallidissima!”
“No, va tutto bene. Sono solo un po' stanca, non preoccuparti.”
“Mi mancano gli amici di Torino, con alcuni sono ancora in contatto,
perlopiù colleghi di lavoro. Quest'anno ho invitato due di loro
a casa mia, trascorreremo insieme le vacanze; devo ancora dirlo ai miei ma non
credo solleveranno problemi, abbiamo spazio a sufficienza.”
Dopo essersi salutati, Patrizia
salì nella sua stanza e si buttò sul letto, esausta. Avrebbe dovuto mentire per
tutta la vita e a chiunque.
Quante coincidenze, pensò, lei era
proprio di Torino e Giorgio lavorava in una multinazionale.
Capitolo 6
di
Tania Mignani
La luce che filtrava dalla finestra colpì Lara come una spada acuminata proprio in mezzo agli occhi. Fissò il soffitto cercando di emergere da quel mare di incoscienza in cui le pareva di galleggiare.
Qualcosa le pesava sul petto, un braccio tatuato il cui resto del corpo russava rumorosamente al suo fianco. Tentò di alzarsi a fatica mentre la testa vorticava furiosamente. Pur non conoscendo la combinazione dei vari locali in quell’appartamento del tutto sconosciuto, aprendo la prima porta trovò ciò che cercava. Pochi istanti dopo, inginocchiata davanti al gabinetto si liberava di tutte le sostanze bevute e sniffate durante la notte. Peccato non potere liberarsi dell’abituale disprezzo che provava verso se stessa e gettarlo nel vortice di acqua generato dallo sciacquone.
La testa le pulsava insopportabilmente, ingerì due aspirine bevendo direttamente dal rubinetto. Rialzandosi incontrò la sconosciuta riflessa nello specchio: un volto scarno, pallido dagli occhi infossati e lividi. Quasi si spaventò, poi sorrise amaramente nel riconoscere su quel corpo ossuto i segni della sua disperazione, di quel senso di inadeguatezza che sempre più spesso trovava sfogo nelle ferite autoinferte, cicatrici seppur sbiadite sulla pelle, ancora pulsanti nel suo animo.
Gli occhi le si riempirono di
lacrime, nella mente come tanti fotogrammi impazziti riaffiorarono ricordi: lei
che la trovava in bagno e guardava inorridita i tagli sulle braccia e sulle
gambe. “Che hai fatto Lara?”, le gridava disperata “Perché?”.
Già, perché?
Perché lo faceva? Per farli sentire
in colpa? Perché per anni era stata sempre considerata quella non
all’altezza?
Non brillante e intelligente come
Claudio.
Non coraggiosa e intraprendente come
Patrizia.
No, non erano queste le motivazioni,
voleva semplicemente attirare l’attenzione, sentirsi amata, e la sorella lo
aveva capito.
“Perché lo fai?” le gridava, mentre
Lara fissava quasi in trance i sottili rivoli rossi che cadevano nella vasca.
Ricordava le sberle, sonore, forti che la risvegliavano e la riportavano alla
realtà. Le sue braccia che la accoglievano, la disperazione che finalmente
trovava sfogo e tutte quelle lacrime che sgorgavano liberandole l’anima. Non
era stato facile, ma ci erano riuscite, insieme.
Patrizia era diventata il suo
punto fermo, le aveva regalato una sorta di equilibrio, l’aveva aiutata ad
accettarsi, a capire che anche lei valeva qualcosa. E quando finalmente ci
stava riuscendo se ne era andata, per sempre.
Lara si sciacquò il viso con
l’acqua fredda cercando di lavare via anche la nostalgia, esattamente un anno
prima la sorella era scomparsa e ora lei stava sprofondando nuovamente in quel
baratro dal quale Patrizia l’aveva strappata a fatica.
Inutile abbandonarsi ai ricordi,
aveva problemi concreti e urgenti da risolvere. Pochi giorni prima aveva perso
il lavoro, quei pochi soldi che guadagnava servendo ai tavoli di uno squallido
ristorante le servivano a pagare l’affitto di una camera nell’appartamento
condiviso con altre tre ragazze. Era in arretrato di quattro mesi e le sue coinquiline l’avevano cacciata. Splendido! Senza
casa e senza lavoro.
Rivestendosi notò che
l’appartamento in cui si trovava era piuttosto elegante, sicuramente il tizio
col quale aveva trascorso la notte era il classico figlio di papà che giocava
a fare il ribelle prima di omologarsi in una vita predefinita.
Diede
furtivamente un’occhiata in giro per cercare di capire dove potesse trovare dei
soldi. Aprì cassetti e armadi senza alcun esito. Raccolse da terra i jeans del
suo amante occasionale, nel portafogli c’erano solo dieci euro, meglio di niente
e, a ben pensarci, forse lei non valeva un centesimo di più, concluse
amaramente. Lanciò un’occhiata veloce allo scaffale sui cui erano allineati i
cd, ne afferrò alcuni mettendoli velocemente nella borsa, sarebbe riuscita a
rivenderli per qualche decina di Euro. Cercando di non fare rumore si chiuse la
porta alle spalle e se ne andò.
Il quartiere in cui si trovava le era
sconosciuto, cercò inutilmente alcuni punti di riferimento tra il traffico del
mattino e dopo aver vagato per vie del tutto estranee, entrò in un bar.
“Cosa vuoi?” la apostrofò la
barista, evidentemente preoccupata dal suo aspetto poco rassicurante.
“Un caffè doppio” rispose poggiando
sul bancone i dieci euro e ignorando la lampante ostilità della donna.
Poco dopo sorseggiando il liquido
amaro si avvicinò alla vetrina del locale, alcuni palazzi dalla parte opposta
della strada avevano attirato la sua attenzione. Era sicura di essere già stata
da quelle parti, forse dopo una notte come quella appena trascorsa?
Giorgio!
Ricordò di avere accompagnato Patrizia a casa
sua molto tempo prima. Fra loro due non c’era mai stato un buon rapporto, anzi,
a voler essere sinceri si trovavano reciprocamente antipatici, durante quel
difficile ultimo anno si erano incrociati un paio di volte in centro fingendo
entrambi di non essersi riconosciuti.
Finì velocemente il caffè e pochi
minuti dopo stava suonando il campanello. La porta si aprì.
“E tu, che ci fai qui?”
Certo che una mareggiata simile non si era mai vista, soprattutto in piena estate. Emma e Federico camminavano con i piedi immersi nella fanghiglia e molti detriti sparsi nel locale. Era proprio vero che il clima stava cambiando e la sua furia lo dimostrava. Tutta la notte il vento aveva soffiato forte, una tromba d'aria aveva distrutto completamente un chiosco bar, all'altro lato della spiaggia. Il locale di Emma era inondato, inagibile, e lo sarebbe stato per alcuni giorni.
Federico era diventato un cliente abituale, si era affezionato a quella ragazza dagli occhi malinconici. All'alba di quella mattina trovò Emma tra le lacrime, nella sala ristorante, e lui senza dire niente si mise al lavoro per rimettere un po' d'ordine. Con l'arrivo poi di Carlo e Marina, fecero un bel mucchio di cose da buttare; nel pomeriggio entrò un raggio di sole a bucare quella tetra visione.
Capitolo 7
di
Maria Rita Sanna
Certo che una mareggiata simile non si era mai vista, soprattutto in piena estate. Emma e Federico camminavano con i piedi immersi nella fanghiglia e molti detriti sparsi nel locale. Era proprio vero che il clima stava cambiando e la sua furia lo dimostrava. Tutta la notte il vento aveva soffiato forte, una tromba d'aria aveva distrutto completamente un chiosco bar, all'altro lato della spiaggia. Il locale di Emma era inondato, inagibile, e lo sarebbe stato per alcuni giorni.
Federico era diventato un cliente abituale, si era affezionato a quella ragazza dagli occhi malinconici. All'alba di quella mattina trovò Emma tra le lacrime, nella sala ristorante, e lui senza dire niente si mise al lavoro per rimettere un po' d'ordine. Con l'arrivo poi di Carlo e Marina, fecero un bel mucchio di cose da buttare; nel pomeriggio entrò un raggio di sole a bucare quella tetra visione.
Qualcosa nel cumulo di immondezza sorprese l'attenzione di Emma che,
avvicinandosi, scoprì l'oggetto. Era una bottiglia, vuota e chiusa
ermeticamente; anzi, qualcosa dentro c'era. Federico si avvicinò alla ragazza.
“Emma, per ora abbiamo finito, domani verranno gli elettricisti a
ristabilire l'impianto, poi daremo una bella imbiancata e tra una settimana
l'attività ripartirà. Vedrai, faremo una bella festa per i miei amici che
passeranno qui qualche giorno di vacanza, e io ti aiuterò in tutto.”
“Ti ringrazio, Federico, mi stai aiutando parecchio e non solo
manualmente. Da quando ti ho conosco mi sento più allegra, ma questo
disastro, purtroppo, mi ha fatto crollare il mondo addosso... Per la seconda
volta...”
Il giovane, sorvolando su quelle ultime parole, iniziò a fantasticare su
quella strana bottiglia, ipotizzando un tesoro nascosto da cercare.
“Pensa, Federico, questa bottiglia è l'unica cosa simpatica di oggi.
Dai, apriamola!”
Con mani emozionate, Emma, svolse il biglietto e insieme al nuovo amico lo lesse.
Patrizia! PATRIZIA! Dove sei? Ma che razza di persona sei?
Hai salvato delle puttane
qualsiasi, ma non hai pensato a salvare me, che sarei stato il tuo futuro. Non
hai pensato alla tua famiglia, che ha
scoperto la tossicodipendenza di tua sorella, ricaduta in quell'inferno.
Oh, come la odio! E quanto ti
assomiglia! Vorrei eliminarla all'istante quelle rare volte che la incontro,
solo perché lei c'è e tu no.
Dov'è il tuo Dio? Il NOSTRO Dio?
Pace, amore, solidarietà...
E io? Chi cazzo sono? Cosa cazzo
ero per te?
Niente, ecco cosa rappresentavo. E
guarda come sono ridotto, a scrivere i miei stronzi pensieri in un foglio e
buttarli in mare.
Vorrei buttarmi pure io, per farla
finita, ma non ho nemmeno quel coraggio. Non ho più nulla. Solo quello stupido
numero di telefono che ancora compongo: il tuo. Macino chilometri con la
macchina, in cerca di un possibile indizio che mi porti a te.
Forse ti amo ancora, sto impazzendo
e sono disperato.
MARE, CIELO, TERRA, se mi ascoltate: io sono Giorgio e
amo Patrizia.
“Però, che stronza, questa Patrizia!” disse Federico, che fece appena in tempo a prendere tra le braccia Emma,
svenuta.
Capitolo 8
di
Francesco Lisa
Giorgio
camminava nervoso intorno alla stanza e di tanto in tanto si fermava dietro la
finestra a osservare il cielo. Il piagnisteo di Lara continuava inesorabile
come una litania snervante, peraltro inconcludente. Giorgio aveva pensato di
sbatterle la porta in faccia quando l’aveva vista. Ma alla fine aveva fatto
prevalere la ragione sull’istinto e l’aveva fatta entrare. L’aveva accolta nel
suo appartamento non perché le facesse tenerezza vederla ridotta in quello stato
e nemmeno per evitare di sentirsi attanagliato dal rimorso di coscienza; lo
aveva fatto solo perché quella donna era l’ultimo appiglio da afferrare; era
lei l’unica persona che poteva tenere viva la speranza di ritrovare Patrizia.
Lara si era arresa alla sua
fragilità riversandosi sul divano, tentava di asciugarsi le lacrime, mormorava
frasi incomprensibili ch’erano figlie di quei maledetti pensieri che facevano a
gara per prevalere l’uno sull’altro.
«Smettila di lamentarti,
dovresti imparare ad amarti, piuttosto che ridurti in queste condizioni. Hai
ventisei anni e ti comporti come se la vita non avesse più niente da offrirti.» gli
arringava Giorgio fermandosi alle sue spalle.
Tante volte aveva assistito alle scene
turbolente tra le due sorelle, così simili fisicamente e dannatamente diverse
nel modo di affrontare la vita. Prendere il ruolo di Patrizia lo faceva sentire
più vicino a quell’amore perduto, sparito nel nulla, ma mai morto
definitivamente e che lui teneva in vita a modo suo, affidando i suoi pensieri
al mare.
«Giorgio io non sono come lei, non
sono nemmeno come Claudio. Io sono un fallimento, ecco cosa sono. La mela
marcia della famiglia Cristante.»
«Tu non sei niente, non sei mai stata
niente e sai perché? Perché hai avuto sempre tutto facile, non hai mai
conosciuto il significato della parola sacrificio. Ti piaceva sperperare i
soldi di tuo padre con quelle schifezze che ti passavano i tuoi amici e ora
guardati. Guarda come cazzo ti sei ridotta. Dimmi, sei piombata a casa mia per
fare cosa?»
«Ho perso il lavoro, non ho più un
tetto sotto il quale ripararmi, e gli amici, quelli si sono dileguati come se
fossi un pericolo per le loro vite. Sono nella merda, Giorgio, aiutami a uscirne. Ti prego.»
«Tieni!» le disse Giorgio porgendole
un bicchiere d’acqua intanto che pensava a cosa fosse giusto fare.
Il futuro di quella ragazza ora
dipendeva da lui e dalla decisione che avrebbe preso. Nessuno gli impediva di
rifiutarsi di aiutarla. Per lei sarebbe stata la fine, non sarebbe mai tornata
a chiedere aiuto ai genitori, la vergogna era troppa e non glielo permetteva.
Magari sarebbe andata a dormire alla stazione o in qualche vicolo buio, sarebbe
divenuta preda del degrado urbano. Giorgio la detestava ma non poteva
riservarle niente di tutto questo, decise di proporle un patto.
«Senti, ora tu mi ascolti bene e fai
quello che ti dico. Giocatela bene questa carta perché è l’ultima opportunità
che hai di uscire dalla merda e farti una vita dignitosa. Un mese, non un giorno
in più, potrai condividere l’appartamento con me, dormirai nella stanza degli
ospiti. Non porterai dentro nessuno stronzo né quella roba che ti ha ridotto
così. Ho parecchi amici imprenditori, proverò pure a trovarti un impiego ma
devi promettermi due cose.»
«Tutto quello che vuoi, Giorgio, giuro
che farò tutto quello che desideri basta che mi aiuti, non ce la faccio più a
sentirmi così, così schifosa.» negli occhi aveva riflessa la speranza di una
via d’uscita tanto cercata e mai trovata.
«Devi promettermi che in questo mese
farai di tutto per farmi ritrovare Patrizia, dopo di che sparirai per sempre
dalla mia vita.»
«La troveremo.» gli sussurrò Lara, con
l’ultimo filo di voce che le era rimasto, scivolando ai suoi piedi.
Capitolo 9
di
Michele Fierro
Sapeva che erano lì, da qualche parte.
Magari li avevano seguiti a distanza e si erano fermati in strada, proprio
dietro l’angolo che avevano svoltato per appartarsi in quel residuo scampolo di
boscaglia, in mezzo a quello schifo squallido di zona industriale.
Maledetti stronzi.
C’era voluto poco, subito dopo aver
riacquistato la libertà, e insieme a quella il passaporto che le avevano
portato via tanti anni prima, per ritrovarsi punto e a capo. Dicevano di essere
“amici suoi”, che erano diversi da quelli di prima, che per lei sarebbe
cambiato tutto.
Già, proprio così.
Tempo un paio di settimane e il
prezzo di quella “amicizia” le era stato presentato, puntuale come la rata di
un mutuo. Un debito eterno e sapeva benissimo che non lo avrebbe mai finito di
pagare. Una cambiale senza data, incollata alla sua pelle come un tatuaggio.
Così il suo passaporto era sparito
un’altra volta, svanito a forza di ceffoni sul muso e calci sulla schiena, là
dove i lividi non si sarebbero visti. Ora, mentre sfiorava con le dita della
mano la cicatrice sul suo giovane viso, ripensava a quella ragazza e a quel
prete che avevano cercato di strapparla al suo destino infame.
Le era rimasto soltanto un nome,
Patrizia, otto lettere che aveva archiviato con speranza tra le parole del suo
italiano stentato. Quella donna, o la speranza che il prete fosse sopravvissuto
alla lama tagliente che il suo stesso corpo aveva conosciuto quella sera, erano
le sue uniche possibilità di sopravvivere.
Svetlana guardava le stempiature
tristi dell’uomo seduto al posto di guida. I ciuffi di capelli, a lato della
testa, non si muovevano più in quel modo grottesco che li faceva assomigliare a
delle buffe ciglia.
In fondo era dispiaciuta per quello
sconosciuto. Le aveva detto di chiamarsi Paolo, ma lei non ci aveva creduto. Conoscere
il nome dei suoi clienti, quello vero, non era poi così importante. Erano tutti
uguali, a modo loro, uguali per lei che faceva ormai presto a dimenticarli.
Non aveva nemmeno fatto in tempo a
slacciarsi i pantaloni quando, strizzando gli occhi, si era portato la mano al
petto tenendosi il braccio sinistro attaccato al fianco, rigido come una mazza
da baseball.
Aveva capito subito cosa stava
succedendo. Lo aveva capito lui, ma lo aveva capito anche Svetlana che, da
infermiera diplomata, certe cose le aveva studiate.
Eppure non aveva trovato il
coraggio di alzare un dito per aiutarlo. In quell’automobile non c’era la
stessa donna che aveva studiato i sintomi di un infarto e alla quale avevano
insegnato quanto fosse importante chiamare i soccorsi in quei casi. La vera Svetlana
era altrove, rimasta sul fondo del cassone di un camion passato alla frontiera
di Chiasso, solo qualche anno prima.
A un certo punto, quando l’uomo stava
per emettere l’ultimo vagito prima di spirare, aveva persino avuto l’istinto di
tappargli la bocca, già certa del suo disegno criminale e pronta a tutto pur di
metterlo in pratica. Ma non ce n’era stato bisogno: l’uomo era morto senza
nemmeno un rantolo e così, con certezza, nessuno aveva potuto sentire nulla.
La ricerca affannata nelle tasche
dell’abito a buon mercato, addosso al cadavere, aveva dato scarsi risultati.
Pochi spiccioli in un portafoglio estratto a fatica dalla tasca posteriore dei
pantaloni, quasi irraggiungibile, schiacciato sotto il peso di quel corpo flaccido
e immobile.
Ebbe più fortuna rovistando nel
cassetto portaoggetti. Dentro una busta completamente anonima, che non lasciava
promettere niente di buono, spuntarono fuori settanta bigliettoni bianchi e
arancio, ognuno a modo suo promettente con un rassicurante numero cinquanta
metodicamente stampigliato.
Davvero un bel gruzzolo, la
pazienza della donna era stata premiata.
Si guardò alle spalle, nel
tentativo di scorgere eventuali movimenti che potessero aiutarla a scegliere la
direzione giusta per non essere seguita. Fuori da quell’auto la stava
aspettando quella nuova vita che aveva sognato troppe volte.
Il sogno di una libertà mai
assaporata, soffocata tra le braccia di sconosciuti avvinazzati e puzzolenti,
madidi di sudori insopportabili e dalle mani sempre troppo sgraziate, la stava
aspettando a pochi metri.
Dopo aver disattivato la luce
dell’abitacolo, socchiuse la portiera della berlina tedesca, protetta dalla
penombra e dal vestito scuro che la mimetizzava perfettamente sullo sfondo
della carrozzeria nero lucente, e uscì all’aperto. Richiuse lo sportello,
facendo attenzione a non far scattare la serratura, e si allontanò a piccoli
passi in direzione opposta alla strada.
Conosceva fin troppo bene quella
zona. Le sarebbe bastato arrivare dall’altra parte dei campi coltivati che
lambivano la statale, con lo scopo di evitare la strada sulla quale l’avrebbero
potuta vedere. Doveva assolutamente raggiungere i viottoli di campagna che l’avrebbero
portata comunque fino alla città e, una volta lì, alla stazione dei treni.
Certe sue amiche stavano appena
fuori città. Le avrebbe raggiunte e loro l’avrebbero aiutata a rifarsi un nome
e dei documenti nuovi. Una nuova vita finalmente, da cominciare lontano da lì,
alla ricerca dei suoi angeli custodi, una ragazza e un prete.
Si voltò indietro, solo per un
attimo, a guardare l’auto immobile tra gli alberi, un po’ pentita per aver
approfittato di quell’uomo. Si perdonò giusto un attimo dopo, pensando che in
fondo lui stava per fare altrettanto con lei.
La stessa vita che quell’uomo aveva
perso, a lei l’avevano portata via tanti come lui, giorno dopo giorno, notte
dopo notte.
Ora, dopo aver sepolto Svetlana sul
cassone di quel camion di frontiera, in quell’auto aveva sepolto anche Raissa.
E non voleva rivederla mai più.
Capitolo 10
di
Daniela Perego
Emma si svegliò, mentre svanivano le
immagini del sogno: era sulla spiaggia, svenuta, tra le braccia di Federico che ancora teneva nella mano la lettera della bottiglia; il destino sotto forma
di una mareggiata l’aveva spinta fino a lei che pensava di essere ormai al
sicuro, anche dai ricordi.
La missiva che Giorgio aveva
affidato al mare era sul comodino. Al suo fianco, nel letto, Federico
profondamente addormentato. Dopo lo svenimento del giorno prima, l’aveva
accompagnata a casa, si era offerto di preparare la cena, anche se Emma non aveva toccato cibo. Visibilmente scossa, gli aveva chiesto di non lasciarla sola quella
notte. Pensava così di allontanare il pensiero da Giorgio, ne percepiva quasi
la presenza fisica.
Fu a lui che pensò quella notte, mentre
faceva l’amore con un altro uomo, per la prima volta nella sua vita... Si
trattenne per non gridare il suo nome.
Alla sua sinistra, l’amore e il
passato; a destra, una nuova strada da percorrere e un possibile futuro da
costruire o, semplicemente, l’avventura di una notte.
Un altro bivio nella sua vita.
Si alzò facendo attenzione a non
svegliarlo, prese la lettera e si accomodò sul divano in salotto; la portò alle
labbra e la baciò, inspirando per cercare una traccia del profumo di Giorgio:
muschio e sandalo. Come le piaceva sentirselo addosso quando tornava a casa,
dopo le ore passate insieme! La carta stropicciata, invece, era inodore, se non
per un vago sentore di muffa.
Un attacco di nostalgia la portò
indietro nel tempo, ai giorni felici con la sua famiglia e ai progetti da
realizzare con la persona amata. Una casa da arredare, i preparativi per le
nozze con l’aiuto e la complicità di mamma e Lara – ormai rinata a nuova vita –
mentre il padre, falegname in pensione, pensava già a preparare la culla per il
primo nipote.
Tutto svanito nel nulla.
La vibrazione del cellulare, la
riportò al presente; soprattutto quando lesse il numero e il nome che
lampeggiavano: l’unica persona a sapere dove si trovasse, il suo numero e
soprattutto la sua identità.
Un brutto presagio fece tremare
la mano mentre scorreva il dito sul display per rispondere:
“Ciao Emma, tutto bene? Ho saputo che lì, ieri, si è scatenato l’inferno!”
“Ciao, sì, un nubifragio e una mareggiata da
paura, il ristorante ha subito seri danni; io sto bene. Con l’aiuto di Carlo e
Marina e un po’ di fortuna, riaprirò tra una settimana. Perché hai chiamato?
Tutto okay a casa, vero? Non ci saranno problemi con Lara?!”
“Non ti chiamo per Lara, anche se in quello
che sto per dirti lei c’entra eccome.”
“Mamma, papà?”
“Emma, tuo padre è ricoverato in
gravi condizioni al Policlinico. è stato picchiato dai pusher di tua sorella
che è sparita nel nulla lasciando debiti ovunque nel giro...”
“Parto subito. Devo vedere papà,
stare vicino alla mamma e trovare Lara. Dimmi un posto sicuro dove ci possiamo
incontrare!”
Cercò di mantenere calma e
lucidità. Mentre parlava aveva già raggiunto il bagno e aperto l’acqua della
doccia.
“Calma, Emma. Non puoi tornare. Lo
sai bene. Non fare sciocchezze. Il pesce più grosso dell’organizzazione non è
ancora caduto nella rete; sappiamo che si trova nei Balcani, ma non sei ancora
al sicuro. Tuo padre è grave ma i medici sono ottimisti. Mantieni la calma e
tutto si risolverà al meglio, ne sono certo”
“Non capisci. La mia decisione è
irrevocabile. Torno adesso, che tu lo voglia o no. Quando sarà tutto finito
penserai a come farmi sparire di nuovo.”
“No. Non se ne parla. Hai accettato
le condizioni e non puoi riapparire e sparire a tuo piacimento. Non avrei
neanche dovuto avvisarti. Patrizia non esiste più. Emma è figlia unica, orfana
di padre e madre. Discorso chiuso. Non ti muovere da lì o non potrò più
proteggerti. Ti chiamo stasera.”
Mentre le lacrime le appannavano gli
occhi, si diresse nel ripostiglio, aprì la cassaforte estraendo un album
rilegato in stoffa con un nome ricamato al centro: Patrizia.
Alle spalle, la voce di Federico
che sussurrava il “buongiorno” baciandola delicatamente sul collo.
Giorgio, papà, Lara. Federico.
Capitolo 11
di
Riccardo Simoncini
Giorgio, papà, Lara. Federico.
Sono stata una stupida. Che senso
ha fare l’amore con lui, se ancora, dentro, ho il profumo di Giorgio?
Federico ha un debole per me,
questo è chiaro, e io non dovrei assecondarlo.
Sono stata una stupida e sto
confermando di esserlo. Papà è in ospedale e io sono ancora qui. Non mi avrebbe
mai chiamata se non fosse stato grave. E’ gentile, ma so che quella telefonata
rappresenterà il suo scarico di coscienza, se papà non dovesse farcela. “Io non
potevo dirtelo espressamente, ma ho cercato di farti capire che tuo padre stava
davvero, molto male…”
E Lara. Maledizione, Lara, avevi
promesso!
E Giorgio. Non mi ha dimenticata e
mi cerca ancora, adesso ne ho la conferma.
Perché quel messaggio in bottiglia
non può essere uno scherzo del caso, una combinazione del destino assolutamente
unica. Quel messaggio non ammette errori.
Ma non ha una data.
Potrebbe essere di qualche giorno
fa così come dell’anno passato. Giorgio potrebbe avermi dimenticata. Spero
l’abbia fatto, perché è ciò che merito. Ma Lara? Lei sta certamente vivendo
ancora la sua maledetta storia d’amore col veleno.
E papà? Non c’è nulla che riguardi
papà, in bottiglia....
Seduta sul bordo della vasca, chiusa in bagno, Emma districava i
pensieri annodati, mentre Federico canticchiava in cucina preparando la
colazione. Era contento. Si sentiva dal tono allegro delle canzoni e dal volume
alto della voce.
Povero ragazzo. Se non fossi nelle
condizioni in cui sono potrebbe rappresentare il mio presente e il mio futuro,
ma…
Io non voglio vivere piena di “ma”!
Ma papà?
Sono scappata via da casa, ho
abbandonato ogni affetto e ogni prospettiva per dei bastardi che piegavano
persone alla loro volontà, e adesso dovrei abbandonare al loro destino mamma,
papà e Lara?
Davvero ho esaurito la possibilità
di poter combattere per le giuste cause? Sul serio dopo una sola occasione,
alla fine vincono loro e io sono costretta a sparire per sempre?
Un anno.
Ma cosa ho fatto? Come ho potuto?
Come ho potuto permettere che l’egoismo e la paura dettassero i nuovi ritmi
della mia vita, decidendo per me?
Giorgio, papà, Lara.
Patrizia asciugò lacrime che aveva
sempre associato a debolezza, tirò su col naso, tossì un paio di volte per
schiarirsi la voce e compose un numero di telefono.
“Pronto, Marina? Sì, sono io, Emma.
Sì, sto bene, grazie. E’ tutto a posto davvero, ma ho un grandissimo favore da
chiedervi: tu e Carlo dovreste pensare al ristorante per qualche giorno.
Occuparvi voi della sistemazione, insomma. La mia assenza non peserà
particolarmente mentre il locale è ancora chiuso. No, non so quanti, ma vi
informerò. Ma no, non è nulla di grave! Ho solo delle piccole cose da sbrigare
a Cuneo e non so ancora quanto tempo mi porteranno via. Grazie, Marina. E’
bello sapere di poter contare su di voi. Sì, mi farò sentire io. Ciao.”
Bene. Inutile stare a pensare. Nel
dubbio, ho messo in moto gli eventi. Ho spinto giù la biglia in equilibrio
precario. Adesso farò ciò che sono sempre stata abituata a fare. Affronterò gli
eventi, uno per uno. E il primo mi attende fuori dalla porta.
“Federico…”
“Dimmi, Emma! Vieni a tavola
intanto, che i pancake sono pronti! ”
“Federico, sei molto gentile, ma io
penso di aver fatto un errore, stanotte, con te.”
Senza dargli il tempo di
interromperla, proseguì.
Dopo aver preso la sua decisione,
Emma si sentiva di nuovo Patrizia. Una nave inaffondabile che cavalca ogni
onda, senza mai indietreggiare davanti a nessuna tempesta.
“Ho ricevuto delle telefonate.
Parto per Cuneo oggi stesso. Non so quanto starò via, ma devo andare.”
Federico, un cuore ferito di
recente, ma che non si arrendeva facilmente, un po’ le donne le conosceva. Il
fatto che Emma le piacesse, non annebbiava la sua percezione delle cose.
Lui
non era stato un errore, le si leggeva negli occhi chiaramente. E poi c’era
altro, meno immediato da interpretare, ma forse era una richiesta d’aiuto.
Capitolo 12
Il paesaggio correva veloce fuori
dal finestrino. Patrizia non perdeva un'immagine di quel viaggio che mai
avrebbe pensato di fare se non molto più avanti negli anni, quando le acque si
fossero calmate.
Finalmente rilassata sulla comoda
poltrona del treno, pregustava il momento in cui avrebbe rivisto i suoi
famigliari, e naturalmente lui, Giorgio. Fantasticava sugli incontri elaborando
le diverse situazioni che si sarebbero potute verificare, e ogni tanto le
sfuggiva un sorriso di compiacimento.
Più di una volta aveva sorpreso il
tizio seduto di fronte a guardarla, probabilmente incuriosito dalle sue
eloquenti espressioni.
Le era spiaciuto dare una delusione
a Federico, ma non poteva certo confessare di avergli mentito né metterlo al
corrente dei fatti, non lo conosceva ancora abbastanza per avere la certezza di
potersi fidare. Con imbarazzo, gli aveva spiegato che sarebbe stata molto
impegnata, che non avrebbe avuto tempo da dedicargli e le sarebbe spiaciuto
lasciarlo solo per la maggior parte del tempo. Gli aveva promesso che sarebbe
tornata nel giro di pochi giorni e avrebbero parlato, anche del loro rapporto.
Federico era rimasto male davanti
al fermo rifiuto di lei, non capiva, ma alla fine si era arreso alla sua
determinazione, l'aveva baciata e se n'era andato con quell'aria imbronciata
che riusciva perfino ad accentuare la bellezza del suo volto.
Il treno stava entrando in
stazione, prese la valigia dal portaoggetti e si avvicinò alle porte
automatiche, mentre una voce annunciava l'arrivo a Torino.
Salì su un taxi e diede l'indirizzo
dell'ospedale dov'era ricoverato suo padre, la sua prima tappa.
Una volta arrivata, si recò al
reparto rianimazione dove fermò il primo camice bianco che le capitò davanti e
gli chiese notizie sulle condizioni di suo padre. Il medico disse che era
ancora grave ma stazionario e loro erano fiduciosi che presto sarebbe
migliorato.
Indossò gli indumenti sterili per
entrare nella stanza; alla vista di quel corpo inerte scoppiò in lacrime: era
pieno di ecchimosi e lividi, con un braccio ingessato e la testa fasciata. Era
tenuto in coma farmacologico, attaccato alla vita da cannule e respiratore
automatico.
Non poté fare altro che carezzarlo
e pregarlo di reagire, di farlo per lei, che aveva un disperato bisogno di
rivedere il suo rassicurante sorriso.
Una volta fuori, inspirò una
generosa dose di aria e si apprestò a cercare un albergo dove trascorrere la
notte, era troppo stanca per vedere chiunque.
Il mattino successivo si svegliò di
buon'ora, regolò il conto e prese la metropolitana che l'avrebbe condotta a
casa di Giorgio. Il cuore le martellava nel petto, mille domande le affollavano
la mente.
Come l'avrebbe presa? E se ad
aprire fosse stata una donna, ipotesi assai probabile, cosa le avrebbe detto?
Il sabato mattina Giorgio si
concedeva qualche ora di sonno in più, per questo non le aveva ancora risposto
nonostante avesse già suonato due volte. A un tratto, le sembrò di udire rumore
di passi e le venne voglia di scappare, ma i piedi rimasero incollati al
pavimento.
“Patrizia?” fu la sola reazione,
seguita da un silenzio insopportabile.
Per qualche istante si guardarono
storditi, incapaci di qualsiasi iniziativa.
“Ma si può sapere dove diavolo eri
finita?” fu il grido di rabbia di Giorgio quando la sorpresa lasciò il posto al
dolore.
“Se mi fai entrare proverò a
spiegartelo.”
Una volta chiusa la porta, non
ebbero più voglia di parlare. Avvinghiati l'uno all'altro, si scambiarono
interminabili baci mentre i vestiti cadevano velocemente sul pavimento. Si
toccavano, increduli e, a un tratto, lui si bloccò, le tirò indietro i capelli
e si riempì gli occhi della sua immagine. Neppure si spostarono, fecero l'amore
nell'ingresso, appoggiati alla parete. E dopo ancora, in camera da letto.
Poi Patrizia gli raccontò ogni
cosa.
“Lara sta qui da me.”
“Lara? E ora dov'è?”
“Lavora anche il sabato, sarà a
casa verso le due.”
“Ma sta per arrivare! Non voglio
che mi veda, per adesso! Io vado, poi mi spiegherai, telefonami appena ti è
possibile, questo è il numero.”
Corse via come una ladra, felice
come non lo era da tempo, nonostante tutto.
Lo sparo lacerò l'aria, e poi la
sua carne. Cadde a terra e, abbracciata all'asfalto, si rese conto di essere
preparata a quanto stava accadendo. Qualcosa di caldo le bagnò il viso prima
che si abbandonasse al torpore.
Il turno era ormai finito, Lara si
avviò verso lo spogliatoio per cambiarsi. Finalmente era sabato, sorridendo
pensò al programma per la serata: sapeva che Giorgio sarebbe rimasto a casa
quella sera, così aveva pensato di fargli una sorpresa e preparare la cena. Non era una brava cuoca, ma aveva studiato
alcune semplici ricette fin nei minimi dettagli, nel tragitto verso casa
avrebbe acquistato alcuni ingredienti che le mancavano.
Giorgio. Il suo pensiero riempiva
ogni istante delle sue giornate, un sentimento sconosciuto e nuovo, nel quale
dominava la riconoscenza per quanto aveva fatto per lei in tutte quelle
settimane. Pareva che l’uomo avesse, almeno momentaneamente, accantonato il
dolore per la scomparsa di Patrizia, per dedicarsi solo a Lara. Durante i primi
giorni di quella strana convivenza era scostante, quasi sgarbato, anzi, a volte
si comportava come se lei non esistesse e la ignorava. Una sera Lara era stata
molto male, sapeva che sarebbe successo, la forza dei primi giorni era stata
solo un’illusione, aveva già vissuto quell’incubo in passato superandolo grazie
all’aiuto di Patrizia. Quella sera si sentiva sola, abbandonata alla sua
debolezza, ma nel momento in cui stava
per gettare la spugna, pronta per uscire e andare incontro a quello che
ormai considerava il suo inevitabile e unico destino, aveva incontrato gli
occhi di Giorgio. L’uomo non aveva detto una parola, si era limitato a
guardarla. Nei suoi occhi Lara aveva riconosciuto la sconfitta, la sua
debolezza e si era finalmente interrogata se ne sarebbe valsa la pena. Con quel
poco di lucidità ancora in suo possesso, rivisse come tanti fotogrammi la sua
vita negli ultimi mesi, lo squallore di letti sconosciuti, dove credeva di
trovare, se non tenerezza, almeno comprensione. Le notti e i giorni trascorsi a
uccidersi piano piano. Giorgio era rimasto in silenzio ma il suo sguardo pareva
dire: “Se è questo che vuoi, se sei così inetta e debole, apri quella porta e
vattene, altrimenti sai cosa devi fare”. Aveva deciso di resistere ed era
rimasta.
Era stata la notte peggiore della sua vita e alla fine l’aveva
superata. Giorgio era stato al suo fianco ogni istante, presenza silenziosa e
forte, nelle cui braccia si era abbandonata riversando tutto il dolore e la
disperazione che provava. Il mattino successivo si era risvegliata debolissima
ma con la consapevolezza di avere ormai superato il momento peggiore. Nello
sguardo di Giorgio c’era una luce nuova, la disapprovazione che vi leggeva fino
alla sera precedente aveva lasciato spazio a sentimenti più positivi nei quali
si celavano stima e soddisfazione per la forza che aveva dimostrato di
possedere. Lara era consapevole che il cammino sarebbe stato ancora lungo,
altre crisi l’avrebbero assalita, ma ora Giorgio era al suo fianco e i suoi
occhi la spronavano, mentre le sue
braccia la accoglievano.
Poche settimane più tardi, grazie ad alcune amicizie dell’uomo, aveva cominciato a
lavorare in quell’albergo in centro, acquisendo sempre più sicurezza e fiducia
in se stessa.
“Ciao Lara, anche tu hai già finito
per oggi?”
“Ciao Svetlana, com’è andata oggi ai
piani?”
“Bene, siete tutti così carini e
disponibili che s’impara in fretta il lavoro.”
Lara osservò il viso della nuova
collega, la cicatrice che le attraversava la parte destra ne rilevava l’algida
bellezza, qualche giorno prima Svetlana le aveva raccontato di essere stata vittima
di un incidente automobilistico in Russia.
“Ho appuntamento con alcune amiche
in centro, ti va di unirti a noi, Lara?”
“Grazie Svetlana, ma ho già un
impegno per stasera, magari un’altra volta.”
“Un impegno galante?”
“Chissà, forse…”
“Buona fortuna allora…”
“Grazie, a lunedì”
Lara era appena scesa dall’autobus e
stava ripassando mentalmente alcuni passaggi della ricetta quando qualcosa
attirò la sua attenzione: in fondo alla strada, a pochi metri dal palazzo di
Giorgio, un gruppo di persone stava osservando alcuni paramedici intenti a
caricare una barella sull’ambulanza che ripartì immediatamente a sirene
spiegate. Nell’istante in cui si affrettò per raggiungere, preoccupata, il
luogo dell’incidente, si sentì afferrare con forza alle spalle. Una voce sconosciuta
le sussurrò minacciosa di fingere di abbracciarlo e seguirlo. Nella schiena
sentiva puntata la canna di una pistola. Lui la trascinò verso un’auto
parcheggiata a pochi metri. La fece salire e ripartì velocemente nella
direzione opposta.
Capitolo 14
di
Maria Rita Sanna
Federico aveva deciso: avrebbe raggiunto Emma a Cuneo.
Gli atteggiamenti ambigui di lei e le poche spiegazioni non lo avevano
scoraggiato, anzi, gli avevano iniettato una buona dose di adrenalina. Non
poteva lasciare quella ragazza da sola, l'avrebbe aiutata a qualunque
costo. Stranamente, dopo la partenza, Emma non aveva risposto nemmeno una volta
alle sue chiamate; tanto meglio, le avrebbe fatto una sorpresa.
Alle quattro del mattino le strade erano deserte e, se tutto fosse
andato bene, sarebbe arrivato a Torino per l'ora di pranzo. L'amico Marco lo
aspettava alla stazione Porta Nuova, dove avevano appuntamento; Federico aveva
mantenuto buoni rapporti di amicizia con i suoi ex colleghi e dopo la visita in
Piemonte, sarebbero scesi tutti insieme a Gaeta per la sospirata vacanza.
I due amici si salutarono affettuosamente, scambiandosi battute
scherzose. Marco lasciò la sua auto nel parcheggio e salì su quella di
Federico.
“Dunque, Federico, ho pianificato tutto. Passiamo a prendere Giorgio,
dopo, passiamo da Flavio; il ristorante è prenotato per quattro, quello solito,
come ai vecchi tempi.”
“Già, ricordo bene le nostre serate. Ma dimmi, Giorgio è sempre
depresso?”
“Mah! È a fasi alterne, però ultimamente lo vedo sereno, anche nel
lavoro è meno distratto. La vacanza che faremo insieme sarà un toccasana per
lui. Ecco siamo quasi arrivati... Attento!”
Federico fece giusto in tempo a salire sul marciapiede per evitare il Suv che procedeva veloce contromano, proprio incontro a loro.
“Maledetto! Tranquillo, Fede, ho preso il numero di targa e il modello;
ora lo segnalo alla polizia. Per fortuna il marciapiede era deserto!”
“Marco! La Polizia è laggiù, in fondo alla strada, e qui è tutto
bloccato... Ma che succede?”
I ragazzi scesero dall'auto, corsero verso il capannello di curiosi,
tenuti faticosamente alla larga da vigili e poliziotti; l'ambulanza partì a
sirene spiegate. Marco riconobbe l'amico Giorgio, col viso sconvolto dal pianto;
lo abbracciò chiedendogli cosa mai fosse successo.
“Vedi, Marco, avevo appena ritrovato la mia ragazza e un pazzo assetato
di vendetta me l'ha portata via. Non mi hanno voluto nell'ambulanza, ti prego
accompagnami all'ospedale.”
Era distrutto dal dolore mentre, commosso, faceva vedere ai due
amici l'ultimo selfie che aveva scattato poche ore prima.
“Ero così contento di fare la vacanza da te, Federico! E volevo
portare anche lei. Ecco, vedi, lei è Patrizia.”
“Emma!” Esclamò stupito Federico.
“Emma?!” Disse Giorgio.
di
Michele Fierro
«Agli ordini, commissario. La
attendiamo in loco.»
Chiuse la comunicazione radio con
il sovrintendente Di Stefano e parcheggiò l’auto di servizio davanti
all’ingresso dell’albergo.
Il commissario Melis aveva
ascoltato la voce gracchiante del piantone della centrale operativa, pochi
minuti prima, e aveva così saputo che c’era stato uno scontro a fuoco nel quale
era stata ferita gravemente una donna.
Aveva deciso che avrebbe raggiunto
i suoi uomini dopo aver provato a raccogliere informazioni per l’indagine sul
pestaggio che aveva subito il padre di Patrizia. Aveva scoperto che sua sorella
Lara aveva trovato impiego in quell’albergo e sperava di poter ricavare qualche
indizio prezioso che potesse illuminare il buio pesto nel quale stava vagando.
Soltanto dopo avrebbe raggiunto le
pattuglie che aveva mandato sul luogo del ferimento di quella donna. Dopotutto
era un tentativo, il suo, nel quale non riponeva grandi speranze ed era certo
che ci avrebbe impiegato solo pochi minuti.
Scese dall’auto e attraversò
l’ingresso dell’hotel. Si avvicinò al banco della reception infilando
contemporaneamente la mano nella tasca interna della giacca, per estrarre il
distintivo della Polizia.
Stava per aprire bocca e
presentarsi, quando il suo occhio allenato colse un lampo dalla vista
periferica che non poteva sfuggirgli. Quella cicatrice l’avrebbe riconosciuta
in mezzo a mille altri volti e quello sguardo spento, quel disincanto per la
vita, non lo avrebbe mai dimenticato.
Svetlana capì che l’uomo l’aveva
riconosciuta e cominciò a maledire la mala sorte e il destino che le stavano
giocando l’ennesimo brutto scherzo. Aveva dovuto aspettare che tutte le sue
colleghe andassero via, prima di uscire da lì, per non essere vista mentre
recuperava i suoi soldi che teneva nascosti al sicuro nell’armadietto dello
spogliatoio.
La ragazza distolse lo sguardo e
voltò il capo dritto davanti a sé, cercando di non dare nell’occhio, ma la sua
tattica disperata non funzionò.
Il commissario ricacciò in fretta
il distintivo nella giacca e, farfugliando poche indefinibili parole di scuse
al portiere, tornò a grandi passi verso la porta di ingresso che la donna aveva appena superato.
Appena fuori in strada, vide la
ragazza già parecchio distante che, quasi correndo, cercava di seminarlo. Non
fu difficile per lui raggiungerla e, quando fu a portata di braccio, la afferrò
per una spalla e la costrinse a fermarsi.
«Dove credi di andare?»
«Il più lontano possibile da te e
da tutti voi.” Ripose Svetlana, restando con gli occhi puntati a terra.
«Proprio come un anno fa. Non
cambierai mai, vero?”
La donna ricordò la casa di
recupero in cui l’avevano tenuta al sicuro, dopo la retata che le aveva
fruttato la cicatrice che portava sul viso. In quel posto l’avevano protetta
per il tempo che le era stato necessario a guarire.
Ma gli sguardi delle altre ragazze,
le loro storie tristi e le speranze che morivano, giorno dopo giorno, rimanendo
nascoste come topi nella fogna, dopo un po’ erano diventate insopportabili.
Fuggì da quel posto per poi ricascare tra le braccia dei suoi aguzzini, così
come stava fuggendo anche quello stesso giorno.
Fuggire, sempre fuggire, in
continuazione fuggire. Era stanca di tutta quella storia.
«Sei venuto per parlare con Lara,
vero?»
«Non proprio. Volevo sapere se
c’erano stati strani movimenti negli ultimi giorni, qui in albergo. Non credevo
di incontrarti qui.»
«Ci lavoro solo da pochi giorni.
Comunque io non ho visto nessuno, se proprio vuoi saperlo.»
Melis guardò la ragazza, indeciso
se crederle o meno. C’era qualcosa nei suoi occhi che sembrava voler emergere
dalla solita luce piatta che ricordava.
Svetlana era indecisa. Continuare a
tenere gli occhi bassi e provare a riprendere il suo cammino nell’ombra,
strisciando lungo i muri, o liberarsi del peso che si trascinava da sempre e
provare a fidarsi di qualcuno. Sentiva che la seconda ipotesi era l’unica
strada possibile, ormai. Quell’ultimo anno le aveva insegnato che da certi
fantasmi non ci si libera e non ci sarebbe stato alcun posto al mondo nel quale
sarebbe riuscita a sentirsi davvero sicura.
Alzò il capo e guardò l’uomo dritto
negli occhi. Si accorse soltanto in quel momento di quanto fosse giovane. Forse
anche bello, ma quella era una parola della quale aveva smarrito il significato
da troppo tempo. Aprì la bocca per parlare e, mentre lo faceva, le sembrò quasi
che non fosse la sua voce, quella che stava ascoltando.
«Io so che “lui” è qui a Torino.»
Non aggiunse altro, ma al
commissario non servivano altre parole. Aveva già capito, o almeno era quello
di cui era convinto, finché la donna non continuò.
«Avevo già deciso di andare via di
qui, mi sono fermata a raccogliere le mie cose. Questo posto è diventato
pericoloso per me dopo che hanno riempito di botte il padre di Patrizia.»
Melis ci mise un po’ a capire che
l’uomo di cui stava parlando Svetlana, il suo vecchio aguzzino che l’aveva
messa a lavorare in strada, forse aveva anche a che fare con la droga e i guai
in cui si era cacciata Lara.
«Cosa sai del padre di Patrizia?»
«Quello che mi basta per non
rischiare di finire all’obitorio. Ho conosciuto Lara in albergo e mi ha parlato
di una sorella scomparsa un anno fa e di quello che hanno fatto a suo padre. Io
ho fatto solo uno più uno.»
Gli occhi della donna ritornarono
spietati e cinici mentre pronunciava quelle parole.
«Alcune mie amiche mi hanno
avvisato di quello che “lui” ha fatto fare a quel vecchio e lo hanno sentito
parlare di questo albergo. Lo conosco, prima o poi verrà a cercare Lara.»
«Quindi non è mai stato qui.»
«Qui no, per ora. Ma è in città e
ha trovato Patrizia, anche lei è qui. Le mie amiche mi hanno avvisata che è
andato a cercarla per “farla fuori”.»
Il commissario ebbe un brivido
mentre pensava alla donna a cui avevano sparato pochi minuti prima, ma pensò che
non poteva essere. Patrizia era lontana chilometri da lì.
«E tu dove pensavi di andare?»
«Non lo so ancora. Ovunque, pur che
sia dalla parte opposta del mondo rispetto a dove sta “lui”.»
«Già, come se fosse facile sapere
dove si trovi.»
«Poliziotto, forse sarà difficile
per te, ma non per me. Io so dov’è.»
Melis sbiancò in viso nel sentire
le parole della ragazza. Quella donna era preziosa come acqua nel deserto. Era
deciso a non lasciarsela più scappare, a non lasciar scappare le informazioni
che aveva e a non perdere quella bella luce che cercava di liberarsi dai suoi
occhi.
Le prese la mano dolcemente e lei
si lasciò trascinare fino alla sua auto.
L’uomo doveva
scoprire un bel po’ di cose ed era deciso a farlo insieme a quella donna.
Capitolo 16
di
Daniela Perego
Quanto
tempo era passato? Un’ora, un giorno o una settimana; non ne aveva idea. Il
tempo si era fermato nell’attimo in cui qualcosa le era arrivato dritto
addosso, esplodendole dentro; il fuoco e il dolore, poi il nulla. Solo il
buio.
Non
sapeva se fosse viva o stesse vivendo un’esperienza extra corporea. Poteva
pensare ma non vedere. Sapeva di persone che, in coma o in pericolo di vita,
vedevano i loro corpi e la scena in cui tutto si svolgeva: per lei non era
così. Pensava e ricordava ogni istante, ma attorno c'era solo nero. Immaginò di
essere vicina alla fine.
Le
sembrò di sentire ancora i baci di Giorgio e le sue carezze, i loro corpi uniti
nell’amore ritrovato. Come ultimo ricordo della sua vita terrena non poteva
sperare in niente di meglio.
Immaginava
il Commissario Melis, incazzato nero per avergli disubbidito, ma anche
triste per le conseguenze della sua impulsività. Già, lei non pensava: agiva!
Come nel voler aiutare quelle povere ragazze, a tutti i costi, mettendo in
pericolo la sua vita e quella delle persone a lei vicino.
Non
bastava Lara con i suoi problemi di personalità
fragile che l’avevano spinta a drogarsi... Sua sorella si era annullata, venduta, era
arrivata a tradire la sua famiglia per un pizzico di quella polvere magica che la stava uccidendo.
Con tanta pazienza e determinazione l’aveva aiutata, riportandola a nuova
vita. Iniezioni
di fiducia, stima e tanto amore per non vedere crollare il fragile mondo di
Lara; i genitori felici di questa “guarigione” avevano sperato in un futuro sereno per la
famiglia.
Invece, testarda come sempre, aiutata da Don Luigi, si era fatta prendere da
una nuova sfida molto più grande di lei. Aveva
salvato le ragazze e assicurato alla giustizia i malfattori, ma all’inferno
c’era finita lei. Privata del suo passato e del futuro. Addio alla famiglia e
all’amore. E tutto questo non era servito a salvarla dall’ira dell’unica
persona ancora latitante.
Il
male aveva vinto. Lei aveva perso. Forse anche la vita.
Era
colpa sua se la sorella era ricaduta nel baratro della droga. Non sapeva
spiegare la sensazione d’angoscia che provava in quel momento, sentiva che la
sorella era in pericolo e lei, ancora una volta, non c’era. Sì, l’aveva
abbandonata. E sempre per colpa sua il padre giaceva in un letto d’ospedale in
gravi condizioni. Se non fosse andata via, Lara si sarebbe laureata e papà
non sarebbe stato male.
Ah Patrizia, volevi solo fare del
bene invece, hai causato tanto male…
Ma
lei era anche Emma.
Come tale si era sempre sentita molto sola. Si era
reinventata una vita e un passato studiato a memoria durante il viaggio dal
Piemonte a Gaeta. Gli unici amici: Carlo e Marina. Simpatici e molto
disponibili nei suoi confronti, la invitavano spesso a uscire insieme, ma a lei
non piaceva fare il terzo incomodo, quindi il più delle volte rifiutava con
qualche scusa.
Un
giorno si era presentato a cena un bel ragazzo di nome Federico che, piano
piano, aveva conquistato la sua amicizia; con lui aveva passato delle belle serate sulla
spiaggia, dopo il lavoro.
Rivide
la tempesta con la mareggiata che si portò via buona parte del locale. Federico, insieme a Carlo e Marina, l’aveva aiutata a pulire e risistemare il tutto e, proprio tra i detriti portati dal mare, avevano trovato la bottiglia con la
lettera di Giorgio.
Quella
sera, Emma si era abbandonata a Federico. Non se lo sarebbe mai perdonata. Non come
Emma ma, soprattutto, come Patrizia.
Amava
Giorgio. Un amore così forte che accompagnava i suoi respiri e scorreva come
linfa nelle sue vene. Era stato la sua vita sin dal primo incontro e se non
fosse stata così testarda ora sarebbe felicemente al suo fianco. Le sembrava
quasi di sentire la sua voce che la chiamava da molto lontano…
“Patrizia, amore mio, mi senti?”
Le
sembrò di sentire voci sconosciute, in lontananza. Mentre qualcosa le punse
il braccio e un liquido freddo le procurò un brivido.
Capitolo 17
di
Francesco Lisa
Federico si ritrovava nella condizione di uomo perduto,
viveva lo stesso dolore che aveva provato la sera che Marta gli aveva fatto
trovare le valigie pronte appoggiate al portone di casa.
Dal racconto dell’amico Giorgio era riuscito a capire la
complicata evoluzione degli ultimi anni della vita di Patrizia. Una realtà che
gli veniva difficile accettare, proprio ora che in quella ragazza aveva trovato
un’amicizia così forte e vicina da tirarlo fuori dal buio in cui era piombato.
Ripensò a quella sera, quando avevano fatto l’amore... Non si
era mai pentito, forse si era illuso di poter ricominciare da Emma per riuscire a
dimenticare Marta. Ma l’amore per quella donna aveva lasciato un’impronta
indelebile nel suo cuore, nemmeno nei momenti più felici con Emma era riuscito
a dimenticarla del tutto. Marta era rimasta in lui, si era allontanata
fisicamente, non si vedevano più da quasi tre mesi, ma i loro cuori, quelli non
si sarebbero mai stancati di cercarsi.
Rannicchiato sul pavimento del bagno dell’appartamento di
Giorgio, Federico versava lacrime amare e si interrogava su cosa ne sarebbe
stato del suo futuro. Capiva le motivazioni che avevano spinto Patrizia a
comportarsi come aveva fatto, non le portava rancore e ora che era stata
dimessa dall’ospedale, era contento di vederla felice tra le braccia di
Giorgio. In fondo, aveva cercato solo di proteggere i suoi cari, lo aveva fatto
a modo suo, rischiando di perdere la vita per una lotta che avrebbe smesso di
combattere solo quando si fosse conclusa definitivamente. Nonostante il
perdono nei confronti di quella ragazza che aveva rappresentato una mera
illusione, Federico si sentiva sprofondare nello
sconforto più totale, non vedeva alcuna compagnia nel suo futuro se non quella
della solitudine.
«Federico, tutto bene? Il telefono squilla insistentemente,
penso che sia qualcosa di importante!» disse Giorgio bussando alla porta.
Federico pensò subito ai genitori, si ricompose in fretta e
uscì dal bagno per afferrare il cellulare. Tirò un sospiro di sollievo quando
vide sul display un numero che non aveva in rubrica.
«Pronto?» rispose spostandosi verso la vetrata del salone.
Ascoltava le parole dell’interlocutore senza riuscire a
rispondere, si avvicinò al divano sul quale si lasciò sprofondare mentre le
lacrime solcavano le sue guance. Giorgio e Patrizia lo osservavano con
apprensione. Alla fine riuscì soltanto a dire: «Ti raggiungo stasera.» Il
suo viso si illuminò di una luce che abbagliò il buio in cui era piombato.
«Allora? Chi era? Cos’è successo?» gli chiese Patrizia
accarezzandogli il viso.
«Marta» pronunciò quel nome con la voce strozzata
dall’emozione «è incinta di quattro mesi e mi ha chiesto di tornare a vivere
con lei per accogliere il nostro bambino. Marta mi ama ancora e mi renderà
padre.»
Mentre i due amici lo abbracciavano, Federico capì che
l’amore lo aveva salvato ancora una
volta.
Il commissario Melis ingranò la prima, la seconda e la terza marcia in rapida successione, per poi passare alla quarta e infine alla quinta in morbida sequenza, assestando il ritmo dell’auto a una rilassante velocità di crociera. Per la prima volta da diversi giorni non aveva fretta. Per la prima volta dopo molto tempo non era alla guida di un auto di servizio.
Capitolo 18
di
Riccardo Simoncini
Il commissario Melis ingranò la prima, la seconda e la terza marcia in rapida successione, per poi passare alla quarta e infine alla quinta in morbida sequenza, assestando il ritmo dell’auto a una rilassante velocità di crociera. Per la prima volta da diversi giorni non aveva fretta. Per la prima volta dopo molto tempo non era alla guida di un auto di servizio.
Spense la radio, fonte di distrazione e si dedicò a
riordinare mentalmente la serie di fatti che lo avevano portato fino a quel
punto, oggi, verso la sua insolita destinazione.
Svetlana era appena salita in auto quando la centrale lo
aveva informato del precipitare degli eventi. I suoi timori si erano rivelati
fondati: la donna a cui qualcuno aveva sparato era, inspiegabilmente, Patrizia.
La sorella, Lara, era stata presa a forza, probabilmente dallo stesso autore
del colpo di pistola e del pestaggio del padre. Quello stronzo era tornato all’opera,
e sembrava che tutti i suoi obiettivi avessero deciso di radunarsi nello stesso
punto per facilitargli l’impresa. Ancora adesso un brivido gelido gli percorse
la schiena ripensando al caso che aveva messo Lara e Svetlana a lavorare nello
stesso albergo. Ancora una volta ringraziò colui che muove le pedine dall’alto,
per averlo fatto trovare al momento giusto nel posto giusto, fuori da
quell’albergo, probabilmente a salvare inconsapevolmente la vita della donna
ucraina.
Una volta ascoltate le novità trasmesse dalla radio,
Svetlana aveva perso ogni reticenza, e aveva scaricato tutte le informazioni in
suo possesso sull’unico soggetto ancora accanito, ancora pericoloso,
probabilmente pazzo, di tutta quella torbida vicenda risalente ormai all’anno
precedente. Il fatto che fosse stato isolato ed emarginato dal giro dei
malavitosi perché ritenuto instabile e inaffidabile, spiegava come avesse fatto
a rimanere inosservato alle forze dell’ordine, nell’ombra per così tanto tempo.
L’operazione era stata organizzata, perfetta e tempestiva,
con efficienza della quale Melis si compiaceva e per la quale ringraziava la
donna, che a conclusione delle operazioni – con Lara in salvo e il bastardo con
un colpo di pistola piantato in petto – era crollata in un pianto isterico tra
le sue braccia.
Ripensando a tutte le vicissitudini passate e presenti della
ragazza, Melis non si stupiva della sua ferrea volontà di voler fuggire il più
lontano possibile, non si meravigliava dell’espressione ostile che il suo volto
assumeva ogni qualvolta si posasse su qualsiasi soggetto di sesso maschile, non
si sorprendeva della stanchezza che trovava concretezza nel tratto oltraggioso
di quella cicatrice sui lineamenti perfetti.
Quello che lo colpiva, invece, era stata la propria
reazione.
Melis aveva dato piena disponibilità e appoggio anche
ufficiale all’espatrio immediato di Svetlana, gestendo personalmente ogni pratica
burocratica e logistica, e ottenendo anche l’utilizzo di modesti fondi per la
realizzazione dei progetti della donna.
E poi le aveva chiesto di uscire. Di incontrarsi, di
vedersi, di poter avere l’occasione di parlarle davanti a un bicchiere di vino
e senza indossare una veste ufficiale, per sentirla raccontare di sé e non di
indagini.
Non si aspettava un incontro galante, non si aspettava di
poter guadagnare la fiducia di quella donna o farle recuperare da solo una luce
che si era spenta dentro lei da troppo tempo. In realtà non sapeva cosa si
aspettasse e non aveva neppure studiato adeguatamente ciò che lo avesse spinto
a quella proposta. Troppo timido, Melis, per parlare d’amore, anche con se
stesso. Troppo realista per aspettarsi un finale romantico inserito come un fiocchetto
alla storia della donna che lo stava aspettando.
Ma era concreto, Melis. E aveva espresso questa sua
improvvisa esigenza senza interrogarsi e senza fornire spiegazioni.
Lara era pronta per uscire, aveva
un appuntamento alle quindici col tipo dell'agenzia immobiliare.
Aveva indossato un paio di jeans e
una maglietta, ma sarebbe uscita anche come stava, una tuta scolorita e
deformata per l'uso all'altezza delle ginocchia, tanto le importava cercare una
nuova sistemazione.
Ma doveva andarsene, non poteva
certo restare a casa di Giorgio a fare da terzo incomodo, ora che Patrizia era
di nuovo insieme a lui.
Di tornare coi genitori non se ne
parlava proprio, ormai aveva assaporato il gusto dell'indipendenza e non
sarebbe più riuscita a sopportare i commenti e le critiche pesanti che spesso
le muovevano. Viva la libertà! Almeno quella.
Aveva perso Giorgio. Chissà cosa si
era messa in testa: non era amore, non era affetto, solo pietà.
Lei invece si era innamorata, si
era persa seguendo un'illusione. Giorgio amava Patrizia, non c'era alcun
dubbio; mai aveva rivolto a lei quegli sguardi, forse neppure la considerava
come donna, era solo la sorella di Patrizia.
Stava malissimo quando li vedeva
assieme, quando si abbracciavano o si scambiavano baci e carezze, incuranti di
lei, quasi facesse parte dell'arredo.
“Smettetela! Non vedete che sto
male? Perché dovete sempre stare appiccicati a quel modo?” pensava ogni volta, mentre cercava una scusa per uscire dalla stanza, da quella casa che l'aveva
accolta e che ora la faceva soffocare. Punto e a capo.
Meglio il veleno, quello è sempre a
portata di mano, lo compri ed è a tua disposizione, quando e come ti pare.
Uscì in strada e si incamminò verso
l'agenzia, non era distante, sarebbe arrivata in dieci minuti.
Le vetrine dei negozi riflettevano
la sua immagine, la guardava compiaciuta senza fermarsi, un gioco nuovo per lei
che fino a qualche mese prima si detestava. Aveva preso qualche chilo e i
capelli, una volta opachi e spenti, le scendevano morbidi sulle spalle; sexy
nonostante il suo abbigliamento casual. Non sarebbe durata, presto sarebbe
tornata quella di sempre, abbruttita dalla droga, incapace di combattere sul
ring per la vita.
Il ragazzo dell'immobiliare la
salutò con un largo sorriso e la invitò a salire sulla sua auto, avrebbero
raggiunto la via dove era ubicato l'appartamento di due locali che aveva visto
sulla locandina, l'unico che si poteva permettere.
Durante il tragitto Giancarlo,
questo era il suo nome, portò avanti una conversazione brillante, infiorata di
battute spiritose, ma Lara non era nella condizione di apprezzarle e desiderò
che visita e trattative si risolvessero in fretta. Inoltre la infastidiva il
suo modo di fissarla, sembrava scavarle dentro alla ricerca di verità
inconfessabili.
Era così trasparente? Lui riusciva
a vedere la sua fragilità, le sue colpe, i suoi desideri? E lei se la sentiva
di appoggiarsi a un uomo nuovo, non altri che l'ultimo di una lunga serie?
Visionato l'appartamento, stavano
tornando in agenzia per la firma del contratto.
Lui non mollava, la stava invitando
a cena, le stava chiedendo che tipo di cucina preferisse.
Lara, deciditi, ci vuoi uscire o
no?
Giancarlo parcheggiò, scese
velocemente e la raggiunse, chiudendo la portiera. Erano vicini.
“Non mi hai ancora detto cos'hai
intenzione di fare.”
“Mi piace il messicano.”
Per tutta risposta, preso
dall'entusiasmo le diede un bacio e Lara lo assecondò, un po' stordita
dall'incalzare degli eventi.
A un tratto, la netta sensazione di
essere osservata, si girò e trasalì, sentendosi in colpa come fosse stata
sorpresa a rubare. La voce le morì in gola mentre pronunciava il suo nome:
Giorgio!
L'espressione di lui non lasciava
spazio a dubbi...
Patrizia chiuse la valigia e si avvicinò alla finestra. Un’altra partenza, ormai non le sembrava di fare altro. Ripensò con un brivido agli ultimi avvenimenti. Il suo ferimento, il rapimento di Lara, ogni cosa si era fortunatamente risolta nel modo migliore. Tutti i componenti della banda erano stati arrestati, ora era libera finalmente. Libera di scegliere tra restare o andarsene, ma, soprattutto, libera di non nascondersi.
E libera di amare? Ripensò a Giorgio e sorrise con tenerezza, perché era quello il sentimento predominante: tenerezza, affetto ma, l’amore? Avrebbe potuto accontentarsi, farselo bastare forse, vivere finalmente quella tranquillità che da tanto aspettava, ma aveva sentito la morte al suo fianco, se l’era trovata davanti, faccia a faccia, come avrebbe potuto semplicemente accontentarsi? No, non dopo aver provato sulla sua pelle quanto può essere labile e precaria questa vita, talmente breve da meritarsi di vivere appieno ogni singolo istante. Era stata felice di ritrovare Giorgio, i gesti, le abitudini, le parole che tanto le erano mancate durante quell’anno di lontananza, poi aveva capito: non era più amore. Un tempo forse, ora non più.
Il vero amore era il senso di smarrimento e gli occhi abbassati di Lara quando si ritrovavano loro tre insieme. Il vero amore erano i silenzi di Giorgio, il suo sguardo alla finestra, il suo malcelato sollievo quando sentiva Lara rientrare. Patrizia aveva capito ciò che Giorgio non riconosceva ancora e quando Lara li aveva informati che se ne sarebbe andata, che stava cercando un appartamento in cui trasferirsi, il turbamento di Giorgio era talmente evidente che nessuno dei due era riuscito a ignorarlo.
Capitolo 20
di
Tania Mignani
Patrizia chiuse la valigia e si avvicinò alla finestra. Un’altra partenza, ormai non le sembrava di fare altro. Ripensò con un brivido agli ultimi avvenimenti. Il suo ferimento, il rapimento di Lara, ogni cosa si era fortunatamente risolta nel modo migliore. Tutti i componenti della banda erano stati arrestati, ora era libera finalmente. Libera di scegliere tra restare o andarsene, ma, soprattutto, libera di non nascondersi.
E libera di amare? Ripensò a Giorgio e sorrise con tenerezza, perché era quello il sentimento predominante: tenerezza, affetto ma, l’amore? Avrebbe potuto accontentarsi, farselo bastare forse, vivere finalmente quella tranquillità che da tanto aspettava, ma aveva sentito la morte al suo fianco, se l’era trovata davanti, faccia a faccia, come avrebbe potuto semplicemente accontentarsi? No, non dopo aver provato sulla sua pelle quanto può essere labile e precaria questa vita, talmente breve da meritarsi di vivere appieno ogni singolo istante. Era stata felice di ritrovare Giorgio, i gesti, le abitudini, le parole che tanto le erano mancate durante quell’anno di lontananza, poi aveva capito: non era più amore. Un tempo forse, ora non più.
Il vero amore era il senso di smarrimento e gli occhi abbassati di Lara quando si ritrovavano loro tre insieme. Il vero amore erano i silenzi di Giorgio, il suo sguardo alla finestra, il suo malcelato sollievo quando sentiva Lara rientrare. Patrizia aveva capito ciò che Giorgio non riconosceva ancora e quando Lara li aveva informati che se ne sarebbe andata, che stava cercando un appartamento in cui trasferirsi, il turbamento di Giorgio era talmente evidente che nessuno dei due era riuscito a ignorarlo.
Patrizia aveva parlato con
sincerità: “Non siamo più gli stessi di prima, Giorgio, questo è evidente.
Tutto ciò che è successo ci ha cambiati, dobbiamo riconoscerlo. È stato bello
ritrovarti, riabbracciarti, e ci ho provato, Giorgio. Dio solo sa quanto ci ho
provato: gettarmi tutto alle spalle e provare a ricominciare. Ma ho capito
che noi non ci amiamo più, e, forse non ci siamo mai amati veramente. Ci
conosciamo da tanti anni e tutto quello che è successo forse ha ingigantito i
nostri sentimenti, è stato come osservare qualcosa sotto una lente di ingrandimento,
una volta tolta puoi vedere sola la realtà.”
Giorgio aveva cercato di negare le
parole di Patrizia, quasi a voler più convincere sé stesso, poi si era
avvicinato alla finestra ed era rimasto in silenzio. Lei si era avvicinata e
abbracciandolo le aveva sussurrato: “Vai ora, cercala e riportala a casa”.
Ora Patrizia era pronta, come
quella valigia ormai chiusa. Pronta a ricominciare. Sapeva che doveva andarsene
e questa volta non era una fuga, non si sarebbe più nascosta né da chi voleva
farle del male né da sé stessa. Dove? Ancora non lo sapeva e non si sentiva
smarrita per questo, al contrario, si sentiva libera finalmente.
Un ultimo sguardo a quella camera,
alla casa, quasi a voler prendere commiato dalla sua vecchia vita, con gli
occhi lucidi di lacrime ma il volto incorniciato da un sorriso.
Si richiuse la porta alle spalle.
“Sono pronta, andiamo!”.
L'uomo aspettava nervosamente sul marciapiede senza darsi pace; ancora
una volta quella donna gli sfuggiva. Solo il giorno prima lo avevano informato
che la giovane voleva partire, ma nessuno sapeva per dove.
Capitolo 21
di
Maria Rita Sanna
“Tranquilla,
ragazza, non mi scapperai facilmente!”
Patrizia, nell'aria frizzante di quella mattina, si caricò di energia
positiva e con determinazione si diresse verso l'agenzia di viaggi, a pochi
isolati da lì, ma l'uomo alle sue spalle la raggiunse prendendola per un
braccio, quasi strattonandola.
“Dove credi di andare... Patrizia!”
“Santo cielo, commissario Melis! Mi ha fatto prendere un colpo! È vero
che in passato mi ha salvato la vita, ma ora è mancato poco perché la
perdessi.”
I due, che da tempo non si vedevano, si abbracciarono amichevolmente,
scambiandosi le notizie sulle loro vite. Tra loro era rimasta una profonda
amicizia.
“Patrizia, so io dove mandarti, in Sardegna, a Costa Rei! Stai
tranquilla, cara, nell'agriturismo gestito dalla mia famiglia, farai una vita
da regina e mia sorella si occuperà di tutto. Per questa volta lascia che sia
qualcuno a prendersi cura di te.”
Patrizia, in quella terra, iniziò una nuova vita, con la primavera che
avanzava facendo sfoggio di sé tra ginestre e rosmarino, corbezzolo e lentisco;
su tutto dominava il mare. La ragazza si rigenerava ogni giorno, guardando il
sole nascere da quell'acqua turchese, quello stesso sole che per un anno intero
lo aveva visto morire, quando si trovava nascosta a Gaeta.
Che contraddizione, la vita! Nei momenti in cui ero più vulnerabile e
prigioniera, ho avuto la libertà di amare Federico e ritornare tra le braccia
di Giorgio. Ora sono libera di muovermi con la mia identità, ma ho il cuore
prigioniero della malinconia e non c'è più spazio per l'amore.
Da poco più di un mese questi pensieri l'accompagnavano spesso durante i
suoi lavori nell'agriturismo, ma non quel giorno. Era atteso, poi, un giovane
chef professionista per la stagione turistica che avanzava, e tutto doveva
essere in ordine. Patrizia era ben felice di imparare nuove cose da una figura
competente, e mentre diceva questo a una sua collega, improvvisamente si
spalancò la porta della cucina. Antonio, lo chef, guardò le persone con occhi
severi, imponendo subito la sua superiorità e dando ordini per la
predisposizione della cucina. Iniziamo bene, pensò la ragazza, ma certo non
cadrò ai suoi piedi.
Patrizia cadde, invece, sulle sue mani: forti, grandi, nodose. Antonio
le muoveva con delicatezza tra quei cibi, trasformandoli in prelibati piatti
colorati. Gli occhi di lui, seri e scuri, non lasciavano spazio a distrazioni;
al contrario, la sua mandibola, che
formava una perfetta elle, e le labbra, gli donavano una certa simpatia. Dopo una
settimana Patrizia aveva appreso alcuni segreti per cucinare ottimamente, ma
aveva perso ogni controllo sulla ragione. E il cuore? Batteva forte davanti a
lui. Ormai aveva le idee più chiare, si stava innamorando di quell'uomo che
conosceva a malapena. In lui vedeva una barriera che aveva ben provato sulla
sua pelle tempo prima.
Nella cucina, deserta a quell'ora di mattina, Patrizia cercò
freneticamente una tisana per calmare i conati di vomito; sobbalzò dallo
spavento quando sulla porta comparve Antonio.
La ragazza non fece in tempo a parlare, ebbe un forte capogiro e cadde a
terra priva di sensi.
Antonio la svegliò dolcemente, regalandole per la prima volta un largo
sorriso, ma Patrizia di nuovo in sé fu cosciente delle sue condizioni fisiche,
e quel ritardo non dava spazio a dubbi: era incinta.
Il suo nome scaturì da un
tempo che sembrava lontano. Giorgio.
Tempo lontano
Natura selvaggia
Ridona vita
The end
Un inizio promettente. Brava come sempre Stefania. ...mi sono vista seduta ad un tavolo ad ascoltare il mare.
RispondiEliminaBuona penna a Francesco Lisa per il secondo capitolo.
Bello tutto da scoprire. Viva il mare 😘
RispondiEliminaGià mi piace questa Emma! Così risoluta, decisa a disegnare il proprio destino, capace di voltare pagina! Coraggio Francesco, adesso tocca a te farci sognare! Aspetto con ansia il seguito...:-)
RispondiEliminaPiace molto anche a me questo inizio! :-) <3
RispondiEliminaMi piace!
RispondiEliminaBravo Francesco ☺bello Federico 😉. Il mare toglie tutti i pensieri 😊
RispondiEliminaGrazie Maria Rita. Chissà come proseguirà la storia di Emma e quella di Federico... sono molto curioso. 😉
RispondiEliminaBravo, Francesco! Adesso però da qualche parte deve spuntare Montalbano...manca solo lui in questo quadro alla Camilleri 😉
RispondiEliminaAhAh...concordo con Daniela, hai dipinto uno scenario alla "Montalbano". Io però Federico me lo vedo più con il fisico alla Raoul Bova!...Bravo Francesco, hai introdotto un personaggio molto promettente!
RispondiEliminaRaoul Bova...mmmmmm... e lei?
RispondiEliminaLei la immagino tipo Vanessa Incontrada, solare, bella e il resto mettetecelo voi 😊
RispondiEliminaSì mi piace Vanessa Incontrada. ..
RispondiEliminaWow che capitolo intenso... Complimenti Daniela 😉
RispondiEliminaBella introduzione di un tema forte, Daniela. Mi piace anche lo stile pulito, incisivo, dritto al punto. Brava!
RispondiEliminaFin qui, davvero intrigante.
RispondiEliminaLa Perego, poi, ha decisamente una fantasia sfrenata.
Un bella virata con colpo di scena da consumata romanziera.
Bella lì
Michele Fierro
P.S.
Contenta, D.Q.? ��
Davvero brava Daniela! :-)
RispondiEliminaBello Daniela! Emma ha due vite,ma come farà? Tutto interessante complimenti 😊
RispondiEliminaGrazie a tutti 💜
RispondiEliminaBravaaa! Bellissima trovata, intrigante. Adesso il romanzo è aperto a moltissime possibilità di sviluppo. Sono curiosa di leggere il seguito e quindi...avanti il prossimo!😉
RispondiEliminaGrazie mille 😘
EliminaEccomi presente!
RispondiEliminaSono il 'prossimo' :)
Porgo i complimenti agli autori precedenti. Aggiungerò il mio capitolo, il mio tassello, il mio contributo alla direzione che prenderà la storia.
Arriva, arriva.
Ciao!
Sarà sicuramente un bel pezzo.
EliminaSempre troppo buona. Grazie!
EliminaLetto d'un fiato il capitolo 4. Mi piace. Molto bello e ben scritto. Bravo Riccardo. Povero Giorgio ancora innamorato di Emma....la troverà?
RispondiEliminaC'è sicuramente ancora molto da dire...
Buona scrittura alla prossima penna.
Complimenti! Molto ben scritto chissà se il destino ha scritto che si dovranno incontrare? Lo sapremo solo leggendo i prossimi capitoli....
RispondiEliminaGiorgio aveva diritto a una spiegazione. Bel capitolo Riccardo
RispondiEliminaGrazie!
RispondiEliminaComplimenti. Un bel capitolo!
RispondiEliminaGrazie anche a te!
EliminaMolto bello il capitolo 5.Brava Veronica. ..la storia sta diventando sempre più interessante. Mi piace la modalità di scrittura e lo svolgersi degli eventi. Complimenti
RispondiEliminaGrazie. Sei il mio primo commento su un blog!
EliminaVeronica
Federico sempre più bello ma Giorgio non si dimentica. Complimenti Veronica
RispondiEliminaGrazie. Non si può dimenticare Giorgio: è un vero macho!
EliminaGrazie! No, non si può dimenticare Giorgio; è un vero macho.
EliminaVeronica
Ummammamia!
RispondiEliminaVuoi vedere che Giorgio e Federico si conoscono?
Qui finisce a cazzotti! :D
Stefania, sarebbe carino se i lettori stessi ci fornissero gli spunti per il seguito! Far evolvere la storia secondo le loro aspettative e dare forma noi stessi ai loro pensieri!
è solo un'idea buttata a caso, ma chissà che tu non sappia tirarne fuori qualcosa di concreto, come sempre!
Ciao!
Mica facile competere con Giorgio. Vedremo....
EliminaVeronica
Un po' di 'groviglio'mi pare.���� premetto che domani leggerò con più calma.
RispondiEliminaTania bravissima. "Strong" con sentimento. E adesso chissà cosa cominceranno Giorgio e Lara? Oppure lei ha solo bisogno di un rifugio e di soldi?
RispondiEliminaGrazie Daniela. Io un'idea ce l'avrei...ma vediamo come si prosegue.
EliminaGli ingredienti per una "fiction " ci sono. ...
RispondiEliminaè una gran bella sfida vero Daniela?
EliminaSi. Mi piace molto partecipare a questo "gioco".
EliminaBella l'attesa del capitolo successivo, la sorpresa di quale personaggio si parlerà e di quello che accadrà.
Ancora una volta dobbiamo ringraziare Stefania per questa opportunità e questa brillante idea.
Mi ripeterò, ma... Mi piace!
RispondiEliminaAncora non riesco a capire ma mi piace aspetto il seguito
RispondiEliminaGiuliana Marini
Grazie Giuliana. Seguici e non te ne pentirai.
EliminaUn saluto a te
Ho letto i capitoli 5 e 6. La storia sta prendendo forma e, come una buona fiction, lascia aperti diversi spiragli per la prosecuzione della vicenda...dove ci condurrà la fantasia sfrenata dei prossimi scrittori? Intanto complimenti a Veronica e Tania.
RispondiEliminaIo tifo per Giorgio 😉
RispondiEliminaL'apoteosi del romanticismo! Non avrei mai osato!
EliminaAnch'io tifo per Giorgio, s'era capito.
Veronica
Bello esserci e partecipare. Non vorrei essere nei panni di Emma/Patrizia
RispondiEliminaBrava Maria Rita. Splendido capitolo con eventi in divenire...ma che bella idea la bottiglia con il messaggio. Sempre meglio questa storia. E adesso? Aspetto il nuovo capitolo e già mi vedo scorrere i titoli in televisione di una fiction di successo.
RispondiEliminaAncora complimenti Maria Rita Sanna.
Grazie Daniela. Giorgio è uno che non molla (spero) 😊
Elimina"I'll send an s.o.s. to the world" cantava Sting in "Message in a bottle" e il "message" è miracolosamente arrivato. E adesso? Ai posteri l'ardua sentenza! 😉 p.s. brava Maria Rita
RispondiEliminaGrazie 😊😊 Tiziana
EliminaSUPER Maria Rita! Bravissima!!!
RispondiEliminaGrazie Marilena 😊😊
EliminaBel capitolo Francesco. Lara si riprende una vita decente (forse) e Giorgio intravede la strada per raggiungere Patrizia (Emma ).
RispondiEliminaChissà cosa succede adesso?
Si torna al mare da Emma e Federico? Al prossimo scrittore /trice la decisione.
Tutti molto bravi a comporre le tessere di un puzzle che sta appassionando sempre di più.
Oh oh...finite le premesse adesso si entra nel vivo della storia...mi piace sempre di più. Bravo Francesco! Bravi tutti gli scrittori, formate una splendida squadra!
RispondiEliminaBravo Francesco! Speravo andasse così tra Lara e Giorgio
RispondiEliminaLARA E Giorgio si innammoreranno? e Patrizia Emma ? Bello vediamo che vi inventate siete bravissimi,complimenti Dany quando scrivi tu? Ti seguo baci
EliminaHai capito che sono Giuliana vero?
EliminaGiuliana di Alf? Grazie dei complimenti, adesso tocca a me. ..spero bene.
EliminaCiao a tutti e complimenti! Siete veramente bravi! Ho letto i capitoli scritti finora e, anche se la storia si presta a moltissimi sviluppi, mi è venuto in mente un possibile titolo per questa vostra opera: Niente è come sembra. Cosa ne pensate? Spero vi piaccia e buon proseguimento!
RispondiEliminaAiuto quanti intrecci! Anche Michele non scherza. Scommetto che la nuova ragazza troverà Patrizia prima di Giorgio 😊. Il titolo di Daniela Q. sembra buono 😊
RispondiEliminaSono in tanti a cercare Patrizia (Emma)...la troveranno? Chi per primo?
RispondiEliminaOppure vivrà la sua "nuova" con un nuovo amore e nuove amicizie?
Bello il capitolo Michele che ha dato vita a una delle donne di strada salvate da Patrizia.
Grazie, Maria Rita! Nel frattempo ho pensato ad altri titoli: La ragazza dai due volti, Ho scelto di amare, Oltre il cuore. Chissà... Dipende da dove volete andare 😉
RispondiEliminaUn nuovo capitolo intrigante...un nuovo tassello si unisce al puzzle...Il passato bussa alla porta del presente...che sorprese riserverà il futuro? A michele and co. L'ardua sentenza!😊
RispondiEliminaChe bello il decimo capitolo! E porta dove non vedo l'ora che arrivi....
RispondiEliminaVeronica
Grazie Veronica.
EliminaHo letto adesso,il tuo capitolo mi è piaciuto tanto,scrivi proprio bene Dany,siete tutti bravi e penso non sia facile portare avanti un romanzo in tanti! Allora Emma non partirà? Complimenti aspetto il prossimo capitolo! Complimenti. Con ammirazione Giuliana
EliminaGrazie cara Giuliana. Un pensiero e un abbraccio 💜
EliminaAh, già! Complimenti Daniela!
RispondiEliminaVeronica
Brava Daniela per Emma è arrivato il momento di tirare fuori gli artigli. Ma per Federico non c'era il divano o il pavimento? 😉😊😊
RispondiEliminaGrazie Maria Rita.
EliminaPer quanto riguarda Federico vedremo se potrà ancora dormire comodamente nel letto o restare addirittura fuori dalla vita di Emma. Le direzioni sono della storia sono svariate....aspettiamo le prossime penne.
Vai Riccardo Simoncini. ..buona penna a te.
RispondiEliminaGrazie, Daniela.
EliminaPronto!
Capitolo 11 in arrivo ;)
Proposta titolo: "Di spiaggia e di città".
RispondiEliminaProposta titolo : "Due nomi, una vita"
RispondiElimina"Un cuore,un amore e due vite"
Letto ora. Brava Daniela! nel complesso, però è dura tenere il filo :-) :-)....
RispondiEliminaBello, Riccardo, però no, Federico noooo! Non può andare con lei! Ora tocca a me, cavolo, un bell'impiccio!
RispondiEliminaVeronica
Grazie!
Elimina:)
E chi ti costringe? La penna scriverà ciò che tu vorrai! ;p
È divertente lasciare nei "pasticci" il prossimo autore! :D
Certo, avevo immaginato che ti fossi divertito col finale.:-)
EliminaOra ci provo io....:-)
Veronica
Bravo Riccardo. Una biglia dispettosa che perdendo l'equilibrio prende una direzione insospettabile: Federico a Cuneo?
RispondiEliminaE se vede Giorgio? Magari si conoscono.... Oppure qualcosa lo tratterrà a Gaeta...
A Veronica il difficile compito di dipanare la matassa e riportare la biglia nella corsia giusta.
E pensare che Federico ha preparato la colazione...una rarità.
Complimenti a Riccardo e buona penna a Veronica.
Forza ragazzi che qui ci scappa una fiction...
Bravi tutti.
E bravo Simoncini, che evidentemente tifa per Federico, e adesso vediamo come proseguirà la storia chi tifa per Giorgio! Attendo gli sviluppi curiosa! Cmplimenti a tutti!
RispondiEliminaE grazie!
RispondiEliminaMa sfatiamolo questo mito: io non tifo strettamente per Federico...
Al capitolo quattro ho scritto anche di Giorgio!
Semplicemente mica ci si arrende cos'! ;p
Bravo Riccardo. Forza Veronica 😊😊
RispondiEliminaCerto la storia si complica
Noooo..... e adesso?
RispondiEliminaUn bel colpo colpo di scena. Povera Patrizia!
Brava Veronica.
E Giorgio? Appena ritrovata le hanno già sparato.
Viaggiano veloci le notizie...
Sempre più intrigante e avvincente.
Complimenti Veronica e buon lavoro a chi tocca.
Wow! Sono riuscita a stupire la Perego?
EliminaDai, magari non muore!
Grazie Daniela.
Veronica
...suspance! E se Patrizia/Emma sopravvivesse ma perdesse la memoria e non si ricordasse né di Giorgio, né di Federico? (Brava Veronica!)
RispondiEliminaGrazie Tiziana
EliminaUn bel colpo di scena ci voleva!Brava, Veronica e complimenti! ��
RispondiEliminaDaniela Quadri
Grazie Daniela e grazie anche per la magnifica prefazione.
EliminaVeronica
È stato un vero piacere scriverla, Veronica. Il tuo romanzo mi ha veramente colpita! Forte, intenso, ricco di colpi di scena: proprio come piacciono a me ��
EliminaNooo Patrizia! Giorgio fai qualcosa! 😊
RispondiEliminacomplimenti Veronica 😊😊
Scusa Maria Rita, sapevo che l'avresti presa male.
EliminaMa non è detto che sia così negativo....confidiamo nel mio successore!
Veronica
Sembra "Intrigo internazionale "....molto bello e sempre più avvincente. Brava Tania! Che bel capitolo è adesso? La vedo male per Lara....confido in un finale pieno di speranza e buone notizie. Ma la storia deve ancora svelare misteri e raccontare dei protagonisti. Buona penna a Maria Rita Sanna e ancora complimenti a Tania Mignani 💜
RispondiEliminaMa questo è un bel giallo! Poverina ma chi le ha sparato non ho capito bene,vedremo in seguito.Bravi Daniela aspetto di leggerti comlimenti alla Mignani
EliminaGiuliana Marini
Giuliana
Grazie Daniela!
RispondiEliminaSecondo me Fleming si sta morendo le mani! Altro che James Bond, qui c'è materiale per agenti segreti da 007 a mille! Adesso c'è una pistola puntata, Tania Mignani non si è fatta mancare niente! Brava!
RispondiEliminaL'intreccio si fa sempre più fitto, la fiction si è tinta di giallo, la suspance aumenta...brava Tania!
RispondiEliminaBrava Maria Rita....bel capitolo. E adesso? La vedo dura per il prossimo di turno. ..ma gli eventi evolvono e i personaggi ci guidano. Complimenti ancora
RispondiEliminaComplimenti Maria Rita! L'intrigo nell'intrigo. Non vorrei proprio essere al posto di Patrizia quando e se dovesse farcela.
RispondiEliminaVeronica
Bel capitolo Maria Rita!
RispondiEliminaGrazie amiche colleghe. A dire il vero avrei voluto "vedere" una bella scazzottata. Vediamo le evoluzioni. 😊
RispondiEliminaBel capitolo Michele. Un bel l'intreccio internazionale. Svetlana sarà d'aiuto al commissario? Patrizia se la cavera' e potrà uscire di nuovo allo scoperto? E Lara?
RispondiEliminaDevo farmi venire in mente qualcosa. ..
Bravo Melis cioè Michele 😊😊
RispondiEliminaHo appena finito di leggere i capitoli 14 e 15 e, come al solito, devo complimentarmi con gli autori. Gli sviluppi sono sempre più accattivanti e, soprettutto si amalgano davvero bene gli uni con gli altri. Ogni scrittore prende il testimone dal suo predeccessore e continua a narrare la storia senza discontinuità alcuna... quasi fosse la stessa mano...questa cosa è bellissima e non finisce mai di stupirmi...siete proprio BRAVI!!!
RispondiEliminaGrazie mille.
EliminaGrazie per i complimenti, ma le mie compagne e i miei compagni di scrittura sono decisamente più bravi di me. ��
RispondiEliminaMichele Fierro
Non è così. Secondo me sei stato molto bravo a dare gli elementi per chiudere il cerchio.
EliminaVeronica
Grazie.
EliminaMichele
E brava Daniela alla fine sei riuscita a far virare la storia daĺla parte di Giorgio, certo però povero Federico, che ne sarà di lui? Al prossimo autore l'arduo conto di tirare le somme😉
RispondiEliminaGrazie Tiziana. È stata una bella esperienza questa scrittura multipla. Aspetto altre occasioni.
EliminaE brava Daniela,mi piace Giorgio anche se mi dispiace per Federico questo tipo di scrittura a piùmani vi è riuscito benissimo,anche se penso che non sia stato facile prendere ogni volta la strada iniziata e portata avanti da altri,Bravi tutti sarà unl libro! Giuliana Marini
EliminaForza Patrizia! Federico è grande e vaccinato 😉 se la caverà 😊😊 Brava Daniela 😊
RispondiEliminaGrazie tante Maria Rita 😍
EliminaMolto belli gli ultimi due capitoli. Attenzione, non è detto che sia già tutto stabilito...
RispondiEliminaFederico sembra sistemato. Qualcosa mi dice che Tania sa il fatto suo
RispondiEliminaAnche se in ritardo complimenti a Francesco per il capitolo.
EliminaHo letto tutto,il tuo capitolo con particolare attenzione,brava stai diventando sempre più attenta e con una gran proprietà di linguaggio,complimenti questa suspence mi incuriosisce molto alla prossima! Giuliana
RispondiEliminaHo finito di leggere soltanto adesso il capitolo di Francesco Lisa: bravo con un bel colpo di scena hai salvato "capra" e " cavoli" ... e vissero felici e contenti????
RispondiEliminaE proprio alla fine quando ormai i gochi sembravano fatti, ecco che nel capitolo 18 Riccardo Simoncini ci fa intravvedere un finale col botto, un altro personaggio sta per trovare il lieto fine?!? (Concordo con stefania: romanticone!)
RispondiElimina:)
EliminaOooh ma quanti pensieri! Sarà un finale col botto 😉
RispondiEliminaWow...altra suspence. Giorgio spia Lara o la segue perchè sotto sotto prova qualcosa per lei?
RispondiEliminaAltro nodo da sciogliere...cara Maria Rita a te il compito di un finale con fuochi d'artificio.
Brava Veronica
Buona scrittura a Maria Rita
Non perchè ne faccio parte ma siamo un gruppo di scrittura fantastico. Grazie a tutti, è stato un piacere condividere questo percorso con voi.
Grazie Stefania per le idee brillanti e la generosità.
Ahi ahi Veronica! Ma allora i giochi non erano fatti! Si profila un finale coi controfiocchi!
RispondiEliminaMi aspetto il rush finale con sorpresa! Forza ragazzi siete forti!
RispondiEliminaGiuliana Marini
Ahahahah!
RispondiElimina"Beautiful" ci fa un baffo!
Valigie, partenza, lacrime; sola...
RispondiEliminaManca ancora il titolo
Maria Rita
Bello Tania. ..valigia, addio e un'altra inizio per Patrizia. Un susseguirsi di colpi di scena come solo la fantasia e la bravura sanno regalare.
RispondiEliminaChissà cosa ci riserva il finale di Maria Rita Sanna?
Comunque complimenti a tutti e alla prossima "staffetta " letteraria 👏👏👏
Grazie Daniela, ora attendiamo il finale di Maria Rita con il fiato sospeso. Buon lavoro!
RispondiEliminaGrazie a tutti i "compagni di viaggio", a Stefania e alle sue bellissime idee. Ora bisogna pensare al titolo.
Ed ecco che quando i giochi sembravano ormai fatti Tania riapre ad un nuovo finale che prelude al "tutti vissero felici e contenti"... ma sarà davvero così o Maria Rita,l'ultima staffettista, spaierá di nuovo i giochi??? Brava Tania
RispondiEliminaEd ecco che quando i giochi sembravano ormai fatti Tania riapre ad un nuovo finale che prelude al "tutti vissero felici e contenti"... ma sarà davvero così o Maria Rita,l'ultima staffettista, spaierá di nuovo i giochi??? Brava Tania
RispondiEliminaBrava Tania, i giochi quindi non erano ancora fatti... A maria Rita spetta il compito del gran finale e " vissero tutti felici e contenti" ma sarà veramente cosi???
RispondiEliminaBrava Tania, i giochi quindi non erano ancora fatti... A maria Rita spetta il compito del gran finale e " vissero tutti felici e contenti" ma sarà veramente cosi???
RispondiEliminaBuongiorno a tutti. Ringrazio Stefania per avermi coinvolta in questa bella avventura, complimenti a tutti gli autori. Grazie a tutti i lettori. 😊😘
RispondiEliminaPropongo un titolo: Prigioniera del passato.
💖💖💖
Bellissimo capitolo Maria Rita. Brava.
RispondiEliminaUn finale aperto ad una seconda serie, se fosse una fiction televisiva.
Ringrazio Stefania Convalle per avermi coinvolto in questa avventura letteraria e tutti i compagni che saluto e a cui auguro una buona estate.
RispondiEliminaPropongo un titolo: "Emma & Patrizia "
Gran finale! Eh si Daniela ha proprio ragione, porte aperte al "sequel"😉 Rinnovo i complimenti a tutti gli scrittori"staffettisti". Il titolo? Propongo "Domani è un altro giorno..."
RispondiEliminaCiao a tutti!
RispondiEliminaRipeto la mia proposta del titolo: "Di spiaggia e di città" e giro quella di un amico: "Miasmi di cuore".
Alla prossima, ragazzi! ;)