Ripercorrendo la mia carriera nel mondo delle parole
Prima puntata
TRE. IL NUMERO IMPERFETTO
Ricordo l'emozione di quel momento e anche l'assegno di 300 euro :-D Non prendetemi per venale, ma il fatto di stringere tra le mani un assegno per qualcosa che avevo scritto è stato il primo segnale che forse la mia scrittura valeva qualcosa... Col tempo poi ho capito che le due cose non sono affatto collegate ;-) ma questa è un'altra storia.
Ho venduto pochissimo e ho cominciato a pensare che forse non era così facile ;-) (sono una donna perspicace :-D)
Appunto. Ho deciso di raccontarvi la mia storia. Anche se per sommi capi. Perché? Non lo so. Ho voglia di farlo.
TRE
IL NUMERO IMPERFETTO
Capitolo uno
Yuri era seduto accanto a lei, le teneva la mano e la guardava ancora incredulo per ciò che era accaduto.
Camilla giaceva nel letto, i capelli rossi
sparsi sul cuscino, il viso bianco
e rilassato, sembrava che dormisse. Yuri non poteva
darsi pace, si
riteneva colpevole per l’incidente.
Perché aveva fatto quello scatto quando
aveva cercato di baciarla? Questa domanda continuava a martellare nella sua mente, lui l’amava e
sapeva di essere corrisposto.
O forse no?
A un tratto si aprì la porta della camera ed
entrò il medico.
«Buongiorno» disse il
dottor Pardi.
«Buongiorno» rispose
Yuri. E domandò preoccupato: «Mi dica, quali sono le condizioni di
Camilla?»
«La situazione è
stazionaria; la paziente è in coma, mi dispiace, non posso dirle
altro. Possiamo solo sperare che si riprenda.
Comunque è sotto osservazione,
al minimo cenno di
miglioramento l’avviseremo
subito. Lei è un parente?»
«No, sono un suo
amico.»
«Il marito è stato
avvisato?»
«Sì» rispose, facendosi più
cupo in viso. «L’ho fatto personalmente, dovrebbe arrivare a momenti.»
«Allora non ci resta che
attendere, cerchi di essere ottimista, vedrà, andrà tutto bene.»
Il dottore uscì dalla stanza. Yuri tornò a
guardarla cercando di cogliere
ogni minimo movimento.
Povera Camilla, così dolce, così bella,
così tormentata da quello che era nato tra loro e dalla sconvolgente realtà che
aveva scoperto. Se non ce l’avesse fatta, non se lo sarebbe mai perdonato. Ma non doveva
pensare al peggio, doveva pensare che si sarebbe
risvegliata e tutto si sarebbe risolto.
Assorto in quei pensieri, non sentì aprirsi
la porta: lui era arrivato.
Andrea rimase in fondo alla stanza, in silenzio, a guardarli. Passò qualche istante prima che Yuri si accorgesse della sua presenza.
Era lì, dietro le sue spalle. Aspettò un momento prima di voltarsi, cercando di raccogliere tutto il coraggio, la freddezza, la calma di cui poteva disporre. Poi, lentamente, si alzò in piedi e si voltò verso Andrea.
Ecco, erano uno di fronte all’altro
e si guardavano negli occhi, in un lungo gelido sguardo.
Capitolo due
Yuri e
Andrea si conoscevano da sempre. Erano nati
e cresciuti a Portovenere, un
borgo marinaro della Liguria. E quanto era bella Portovenere coi suoi vicoli, la chiesetta arroccata sulla scogliera, con
quella terrazza raggiungibile solo
attraverso una scalinata piccola e stretta da
dove si poteva
ammirare il mare
fino all’orizzonte, avendo la
sensazione di poter toccare le isole di fronte.
Le barche dei pescatori, i gatti a ogni angolo... E
quelle case, tutte colorate a tinte pastello, come fossero parte di un bel dipinto.
Lì, Yuri e Andrea, avevano percorso insieme un tratto della loro vita. Avevano vent’anni, in quegli anni settanta, quando le loro strade si erano separate per differenti scelte. Frequentavano entrambi la facoltà di architettura, ma Yuri aveva deciso di abbandonare gli studi universitari per inseguire un sogno, quello di fare della sua passione una vera professione: voleva diventare fotografo.
Desiderava immortalare gli angoli più
belli della Terra, conoscere altri popoli, uomini e donne di razze diverse
e fermare tutto ciò nelle sue immagini.
Decise quindi di partire. Andrea, essendo un tipo estremamente razionale, pensò
che fosse diventato pazzo.
«Come vivrai?» gli chiese.
Ma Yuri era deciso e gli rispose che aveva del denaro da parte, grazie
alla sua famiglia che aveva risparmiato per lui, mese dopo mese dal giorno della sua nascita, per
garantirgli un futuro.
«Con questi soldi posso cominciare; mi basteranno per qualche tempo, per trovare una sistemazione e
un lavoro, e poi vedrò, strada facendo.»
Era inutile, la decisione era stata
presa e qualsiasi cosa Andrea
avesse potuto dire al suo più caro amico, sarebbe stata vana. Così lo vide
partire una mattina di
settembre per la Francia: da lì sarebbe iniziata la sua
avventura. La sera prima della partenza andarono a bere la
solita birra. Yuri era euforico per l’esperienza che stava per vivere, ma al momento
di salutarsi, sentì gli occhi inumidirsi. Strinse Andrea in un abbraccio
fraterno senza dire una parola.
«Buona fortuna» sussurrò Andrea, e si girò per non mostrare
la sua commozione, allontanandosi verso casa.
Sì, erano amici, grandi amici. In
quegli anni, lo erano.
Yuri e Andrea, non si sarebbero più
rivisti per quindici anni.
«Andrea, svegliati, sono le otto!»
Lui socchiuse gli occhi e nella penombra della camera vide Camilla porgergli il caffè, cosa che faceva sempre da quando si erano sposati. Si mise a sedere sistemandosi bene i cuscini dietro la schiena, mentre lei apriva le persiane facendo entrare la luce del sole di quella mattina estiva. Ancora assonnato, sorseggiava il suo caffè e intanto la guardava prepararsi per uscire. Si era tolta l’accappatoio e l’aveva appoggiato su un piccolo divano bianco di fronte al letto in ferro battuto. Sul divano c’erano dei cuscini il cui colore albicocca riprendeva quello delle pareti dove erano appese delle vecchie fotografie dal caratteristico colore nero di seppia, Camilla le aveva sistemate in cornici d’argento. La osservò mentre stava frugando in un antico cassettone per scegliere la biancheria da indossare. Pensò che sua moglie fosse veramente bella: alta, snella, con un corpo ben modellato. Effettivamente cercava di tenersi in forma; per niente al mondo avrebbe rinunciato alla sua mezz’ora di corsa all’alba. Andrea si chiedeva dove trovasse l’energia per alzarsi di prima mattina e andare a correre; i primi tempi del loro matrimonio, aveva cercato di trascinarlo con sé, ma lui si era sempre rifiutato, amava la sua pigrizia; ciò nonostante portava bene i suoi trentacinque anni, il suo non era un fisico atletico, ma era alto e magro; i tratti del viso erano delicati, portava i capelli biondi tagliati molto corti, mettendo così in risalto gli occhi di un azzurro intenso. Neanche per quanto riguarda la colazione era riuscita a fargli cambiare abitudini; per lei, quel primo pasto del giorno, era quasi un rito e soprattutto pantagruelico, almeno agli occhi di Andrea che beveva solo un caffè. Continuò a guardarla. Stava scegliendo il vestito adatto per la giornata, optando, dopo averci pensato un po’, per un tailleur blu. Era sempre molto elegante, almeno quanto lui, sempre impeccabile nei suoi abiti. S’infilò la gonna e, prima di mettere la giacca, cominciò a spazzolare i lunghi capelli rossi, le piaceva tenerli sciolti e le stavano bene perché erano morbidamente ondulati. Cominciò poi a truccarsi guardandosi in un grande specchio sopra il cassettone: un velo di cipria, un po’ di matita nera sugli occhi, occhi grandi e scuri, e per finire un po’ di rossetto sulle labbra carnose. S’infilò la giacca senza dimenticare di mettere un fazzolettino di pizzo bianco nel taschino. Era quasi pronta. Si guardò le mani per controllare che lo smalto rosso fosse in ordine, quindi si mise un unico anello, quello che Andrea le aveva regalato in occasione del loro ultimo anniversario, il quinto. Si spruzzò il profumo che preferiva, dall’aroma orientale. Infilò gli Chanel, controllò che nella borsetta ci fosse tutto e alzò lo sguardo verso il marito.
«Ma sei ancora a letto?
Alzati o farai tardi allo studio. Io vado, ci vediamo questa sera.»
«Perché» rispose
sbadigliando. «A pranzo dove sei?»
«Non ti ricordi che mi vedo
con Francesca? Te l’ho detto ieri sera.»
«Già, è vero. Se riesco passo
dal negozio nel pomeriggio» disse Andrea, alzandosi finalmente dal letto e andandole incontro per
salutarla.
Camilla aveva un negozio di antiquariato nel centro di Todi. Il negozio era piccolo, ma molto conosciuto nella zona in quanto lei aveva la fama di riuscire a scovare i migliori pezzi della tradizione umbra. Francesca, oltre a essere la sua migliore amica, era anche la restauratrice. Insieme lavoravano bene. I loro caratteri si compensavano perfettamente e ciò le aveva portate a fare grandi progetti per il futuro. Volevano aprire una serie di Botteghe dell’antiquariato - così avevano deciso di chiamarle - per tutta l’Umbria.
Avevano la stessa età, trentadue anni. Francesca abitava da sola in un piccolo appartamento insieme a una gatta completamente bianca, a eccezione della punta della coda che era nera. L’aveva chiamata Neve. Le era molto affezionata, e Neve era sempre in adorazione quando la sua padroncina era in casa. Viveva in un perenne disordine, cercando di districarsi tra pile di riviste di arredamento, libri in attesa di essere sistemati e un’infinità di oggetti comprati dai rigattieri. Camilla, che al contrario era molto ordinata, non capiva come l’amica potesse vivere in una tale confusione, però le piaceva andare a casa sua e perdersi tra le montagne di libri. Più di una volta, Francesca, quando l’aveva invitata a pranzo o a bere un caffè, l’aveva vista aprire e sfogliare con cura dei piccoli volumetti di poesie alla ricerca delle sue preferite. Avevano in comune l’amore per la lettura e discutevano a lungo di libri che si erano scambiate.
Francesca l’ammirava per la sua bellezza così sobria. Al
contrario, non aveva una grande considerazione del proprio aspetto, nonostante
Camilla le ripetesse in continuazione che era una bella donna. Effettivamente
aveva ragione, Francesca aveva dei folti e lunghi capelli biondi che portava
sempre raccolti, i suoi occhi erano verdi e il corpo sottile, troppo sottile,
era solita dire. Non aveva una vita sentimentale, era completamente dedita ai
loro progetti.
Camilla camminava con passo spedito verso il negozio, gustando l’aria fresca e pulita, e riempiendosi gli occhi delle bellezze di Todi. Mentre salutava con un sorriso le persone che era solita incontrare, pensava a quanto le piacesse percorrere ogni mattina quel tratto di strada.
Il negozio era un rifugio in cui
dimenticare gli aspetti del suo matrimonio che la facevano soffrire. In
quei giorni aveva deciso di affrontare quelli che lei percepiva come problemi nella
sua vita con Andrea.
Aveva cercato più volte l’occasione
per parlargli, voleva fargli capire il suo stato d’animo, ma Andrea era
talmente impegnato con il suo lavoro da non riuscire a trovare il tempo da
dedicarle. Camilla si era sempre sforzata di comprendere quell’atteggiamento,
ma ultimamente non si sentiva più capace di farlo.
Si sentiva immensamente sola, ma da lì a poco qualcosa sarebbe cambiato nella sua vita. Questo, però, ancora non lo sapeva.
Capitolo quattro
Yuri guardò l’orologio
appoggiato sul comodino, erano le
dieci del mattino. Aveva dormito più del solito, ma non aveva fretta.
Era arrivato a Todi la sera prima; si era
fermato al Tuder, un albergo
appena fuori le Mura. Gli sarebbe piaciuto andare subito
da Andrea, ma era troppo tardi e aveva deciso di rimandare al
giorno dopo.
Si alzò, si avviò alla doccia; l’acqua
era tiepida ed era piacevole lasciarsela
scorrere addosso. Cominciò a radersi con cura e al momento di vestirsi scelse
attentamente gli abiti da indossare, quel giorno voleva essere al meglio. Si accese una sigaretta e scese nella hall. Depositò la chiave della camera e
si avviò all’uscita. Salì sul taxi
che aveva fatto chiamare dal
portiere e si fece accompagnare fino a dove si poteva arrivare in
automobile. Lo studio di
Andrea si trovava
nel centro storico ed era raggiungibile solo a piedi. Fece questa passeggiata fino a
via Roma, cercò il numero sette
dove lavorava Andrea.
Era emozionato. Aveva faticato tanto per rintracciarlo e ora era lì! Entro pochi minuti avrebbe rivisto colui che era stato l’amico più importante mai avuto. Pensò con un certo senso di colpa ai lunghi anni trascorsi senza dargli notizie. I primi tempi, dopo la sua partenza per la Francia, gli aveva scritto; a mano a mano che si spostava da un posto all’altro, gli aveva spedito qualche cartolina. Raramente gli aveva telefonato. Il denaro, a quell’epoca, non era molto e spesso aveva dovuto rinunciare a tutto ciò che non fosse indispensabile per vivere. Successivamente era stato travolto dalle novità che incontrava durante i suoi viaggi, dal lavoro che andava sviluppandosi, dai nuovi incontri e così non si era fatto più vivo con Andrea. Di lui ormai sapeva solo che era diventato un celebre architetto, che si era sposato e che viveva a Todi. Eppure non l’aveva mai dimenticato e adesso lo avrebbe rivisto.
Erano trascorsi quindici anni. Non erano più due ragazzi, erano due uomini. Si guardò riflesso nella vetrina
di un negozio. Vide un uomo leggermente appesantito rispetto a quello che era a
vent’anni, con una ruga profonda sulla fronte e qualcuna intorno agli occhi; lo
sguardo sicuro, ma allo stesso tempo vide anche un uomo solo. Certo,
aveva realizzato il suo sogno, le sue fotografie erano ben quotate e le prospettive di lavoro all’orizzonte erano
ottime; il denaro, per lui, non era più un problema. Non era ricco, ma il suo tenore di vita era
certamente migliorato negli ultimi
tempi. Apparentemente aveva raggiunto
ciò che aveva a lungo desiderato da
ragazzo, però era un
uomo solo.
Viaggiare tanto aveva arricchito la
sua anima; era entrato nella vita di tanta gente e attraverso queste persone aveva vissuto
storie talvolta commoventi, talvolta
disperate, altre divertenti, buffe o
sorprendenti. In alcune occasioni, per fortuna rare, si era
ritrovato in situazioni persino
pericolose. Ma il suo spostarsi
continuamente gli aveva impedito di creare dei legami solidi e duraturi con
qualcuno.
Forse per questo era nato in lui il
desiderio di ritrovare Andrea.
Suonò il citofono.
[CONTINUA]
Alla prossima,
con la seconda puntata della mia storia,
dalla vostra
Stefania Convalle
Bella la tua storia, Stefania. Grazie di avermi regalato questa tua prima opera. Anche se imperfetta, come tu dici, è un qualcosa di prezioso per te. Onorata, quindi, di conservarla nella mia libreria.
RispondiEliminaGrazie, Elisabetta, per questo tuo commento che mi fa tanto piacere :-)
EliminaRipeto il commento già scritto prima (chissà dov’è andato a finire!)
RispondiEliminaIo voto:
Besana originale e gradevole
Malerba: simpatico e leggero
Motta romantico e gradevole
Pirola piacevole e scorrevole
Barilaro semplice ma gradevole