mercoledì 20 luglio 2022

Numero 408 - "La sovrana lettrice", Alan Bennet, recensione - 20 Luglio 2022


 

"La sovrana lettrice" mi aveva incuriosito dal primo sguardo: titolo, copertina, sinossi.

Un colpo di fulmine che non ha deluso. 
Un romanzo breve, brevissimo, ma come dico sempre nei miei laboratori di scrittura, né una parola di troppo, né una parola di meno. Perfetto.

La storia è geniale (ma The Queen lo sa? :-O ).

Ci sono tanti aspetti di questo gioiellino che mi hanno conquistato.
In primis, la storia in sé della Regina che, per caso, sembra scoprire l'esistenza dei libri e della lettura. Lo scrittore ci porta negli appartamenti reali, nella vita di Elizabeth fatta di doveri, educata fin da sempre a pensare, comportarsi, tenere a bada emozioni, come una Regina.
Ho sempre pensato che non sia una bella vita, l'etichetta fatta di protocolli, regole e sotto-regole... Insomma, una gabbia dorata, come si dice. E in questo romanzo si assiste a una sorta di risveglio della Regina che, pur mantenendo sempre il suo savoir faire e la compostezza che il ruolo le impone, comincia a fare alcune riflessioni sulla sua vita, sulle cose di cui è stata privata, per esempio...
Il messaggio che arriva forte dalle pagine è quanto dirompente possa essere il potere dei libri, della parola scritta, delle storie narrate che aprono porte, una dietro l'altra.

Al buio, la regina rifletté che una volta morta sarebbe esistita solo nei ricordi della gente. Lei, che non era mai stata sotto di nessuno, sarebbe diventata pari a chiunque altro. Leggere non avrebbe cambiato le cose... Scrivere magari sì.
Dovendo rispondere alla domanda se la lettura le avesse arricchito la vita, avrebbe risposto di sì, salvo aggiungere con altrettanta certezza che l'aveva anche vuotata di qualsiasi scopo. In passato era stata una donna risoluta che conosceva i suoi doveri e intendeva compierli fin quando possibile. Adesso si sentiva troppo spesso scissa in due. Leggere non era agire, quello era il problema. Anche a ottant'anni, lei era una donna d'azione.
Riaccese la luce. prese il taccuino e annotò: "Non si mette la vita nei libri. La si trova."
Poi si addormentò. 

Un processo di consapevolezza attraverso il mondo dei libri, della lettura. Questo il percorso della Regina in questo romanzo. Un percorso non privo di ostacoli, a partire da tutto l'entourage che si allarma di fronte a una regina che sembra voler dedicare - finalmente - tempo a sé stessa e - pericolo pericolo - con la lettura! Ma la Regina non è certo una donna che si lascia intimorire e sa mettere al suo posto chiunque le rompa le scatole e le faccia anche degli sgambetti. 
Insomma, una Regina che sa fatto il suo. 
Una donna dalla forza di carattere e dalla saggezza invidiabile.

Il romanzo non dà solo spazio alla riflessione, ma fa sorridere più di una volta per lo sconcerto che il nuovo interesse della Regina crea in coloro che la circondano, mentre lei cerca di coinvolgerli in questa passione. Le citazioni letterarie piovono tra le pagine mentre Queen Elizabeth chiede agli uni e agli altri se conoscono Proust, per esempio. 

Un romanzo che mi ha divertito, mi ha fatto amare ancora di più la Regina più famosa al mondo, con un colpo di scena finale che le auguriamo tutti.

Voglio chiudere questa recensione con un breve passo del libro, in uno dei suoi incontri con scrittori. 

Uno scrittore scozzese si rivelò particolarmente temibile. Alla domanda su come venga l'ispirazione rispose con ferocia: «Non viene. Maestà. Bisogna andarsela a prendere.» 

Scelgo questa citazione perché si sposa col mio pensiero di scrittrice e coach, lo dico sempre a coloro che seguono i miei laboratori di scrittura che il vero scrittore non aspetta l'ispirazione, ma sa come - appunto - andarsela a prendere. E a tale scopo facciamo un grande lavoro insieme. (Ma questo è un altro discorso).

Tornando al romanzo "La sovrana lettrice": promosso ;-) da leggere, poi mi direte la vostra opinione.

Viva la Regina!


Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle










domenica 3 luglio 2022

Numero 407 - Preghiere esaudite, Truman Capote - 3 luglio 2022


Quando avevo letto una delle prime opere di Truman Capote, "L'arpa d'erba", mi ero innamorata della sua scrittura che, anche se parecchio descrittiva, mostrava chiaramente la sua penna di vero talento. Come dimenticare alcuni passaggi di quel breve romanzo, pieni di poesia: 
Se, uscendo dalla città, imboccate la strada della chiesa, rasenterete di lì a poco una abbagliante collina di pietre candide come ossa e di scuri fiori riarsi: è il cimitero Battista. Vi sono sepolti i membri della nostra famiglia, i Talbo, i Fenwick. Mia madre riposa accanto a mio padre e le tombe dei parenti e degli affini, venti o più, sono disposte intorno a loro come radici prone di un albero di pietra. Sotto la collina si stende un campo di saggina, che muta di colore ad ogni stagione; andate a vederlo in autunno, nel tardo settembre, quando diventa rosso come il tramonto, mentre riflessi scarlatti simili a falò ondeggiano su di esso ed i venti dell’autunno battono sulle foglie secche evocando il sospiro di una musica umana di un’arpa di voci. [...] Senti? È un’arpa d’erba, che racconta qualche storia. Conosce la storia di tutta la gente della collina, di tutta la gente che è vissuta, e quando saremo morti racconterà anche la nostra storia.

Ecco, ero rimasta affascinata da quel capolavoro e così mi sono comprata anche "Colazione da Tiffany" (che non ho ancora letto) e "Preghiere esaudite" (che, ahimè, ho letto).

Che dire...
Vediamo di fare ordine nei pensieri.

La storia narra di uno scrittore che insegue il successo e che per fare ciò è disposto a tutto per entrare nelle grazie del gotha newyorkese di quegli anni. Questo essere disposto a tutto si concentra soprattutto su vizi e perversioni sessuali, alcol a fiumi e tutto il repertorio della decadenza più nera. 
Avete presente quando nella recensione al romanzo di Bukowski, "Post Office", palesavo il mio fastidio riguardo alcuni passaggi dove - forse - il sesso veniva raccontato con troppa chiarezza (diciamo così)? Ecco, se paragoniamo Bukowski, per come parla di sesso in quel romanzo, a Capote per come lo racconta in "Preghiere esaudite", beh... il primo si potrebbe definire un damerino. Nel romanzo di Capote abbondano espressioni volgari, ma soprattutto ciniche. Molto ciniche. E forse è proprio il cinismo che disturba. La derisione.
Ma il personaggio è questo: un cinico disposto a tutto.
E forse lo era anche Capote? Perché in fondo lui nel romanzo affida al personaggio i pettegolezzi più beceri sul mondo che lo stesso Capote frequentava e che l'aveva portato al successo.
Sembra che Capote abbia voluto vomitare su pagine e pagine, facendo parlare l'alter ego di carta, tutte le nefandezze di coloro che erano i suoi "amici".
Gente famosa, gente ricca, gente potente. Attori, attrici, produttori etc etc. Una sfilza di nomi famosi, come Mongomery Clift, che diventano i protagonisti del gossip della voce narrante, in aneddoti che mostrano questa lunga serie di personaggi nel lato più fragile, vulnerabile, discutibile. Imbarazzante.
Capote non si preoccupò di modificare i nomi, se non di alcuni, convinto che non si sarebbero riconosciuti.
Al suo biografo ufficiale, che aveva mostrato qualche perplessità alla lettura di un certo capitolo, sul fatto che qualcuno avrebbe potuto capire di chi si parlava, disse: "Naaaaa, sono troppo scemi. Non se ne accorgeranno mai."
E invece se ne accorsero.
E fu una disfatta.

"Preghiere esaudite" è un romanzo incompiuto che fu pubblicato (tre capitoli, quelli che fecero scandalo) postumo.
Però quei tre capitoli uscirono su una rivista in anteprima quando Capote era ancora osannato dal jet set e scatenarono l'inferno.
Una donna, Ann Woodward, che nel romanzo porta il nome di Ann Hopkins - che era stata protagonista di un fatto di cronaca nera vent'anni prima - leggendo la sua storia spiattellata senza troppi complimenti in quel terzo capitolo, non resse e si suicidò.
Capote venne ripudiato da tutti quegli amici che erano, in fondo, il suo mondo. Gli tolsero il saluto, lo isolarono. Era fuori. Dalle stelle alle stalle, come si dice.

Il romanzo è un mistero... Che chi dice che lui non lo terminò, chi dice che stracciò i capitoli successivi e non ancora pubblicati, chi dice che ci sia la parte restante da qualche parte, pronta ad uscire allo scoperto.

Il giudizio morale rispetto a un'opera del genere mi nasce spontaneo. Cosa può spingere uno scrittore ormai famoso a fare una cosa del genere? 

Per me lettrice italiana del 2022, l'opera è risultata noiosa e un elenco infinito di nomi di persone di cui non sapevo niente. Un elenco disordinato, che salta di palo in frasca. Personalmente mi sono annoiata, oltre che innervosita, perché vedere sprecato il talento mi irrita proprio. Salvo alcuni passaggi dove riconosco lo scrittore. Per il resto, bocciato.

Ma la domanda resta: perché? Ma lui non ce lo può più spiegare, se è stata solo arroganza e disprezzo del piatto dove aveva mangiato, in un delirio di ego ipertrofico. Oppure se è stato un suicidio letterario lucido e voluto. 

Non so.

Io penserò a lui come colui che ha scritto "L'arpa d'erba", che vi consiglio di leggere.





Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle