domenica 4 dicembre 2016

Numero 256 - Puntatone sui racconti del treno. Pronti? Si parte!! - 4 Dicembre 2016


PUNTATONE SUI RACCONTI DEL TRENO

Sedetevi comodi, prendete una bella tisana da sorseggiare e preparatevi a leggere 11 + 1 racconti del treno, uno più bello dell'altro.
Eh sì, lo so, sono di parte, perché sono i racconti scritti dai miei "allievi" che si sono sfidati in una simpatica gara tra loro, un pretesto per mettersi in gioco con le parole.
Il risultato è stato il vedere nascere 11 piccole storie (più una, poi vi spiego;-)...) una più bella dell'altra.
Sono bravissimi, non c'è che dire!
Siete pronti?
Bene. Rigorosamente in ordine alfabetico, partiamo con Sergio Bertinelli.
Sergio ha iniziato da poco a frequentare il laboratorio, ma ci conosciamo dai tempi in cui facevo yoga, tanti anni fa.
Musicista, ho scoperto  la sua vena creativa relativa alla scrittura  ed è stata una bella sorpresa: ha un'ironia innata e uno stile tutto suo. 
Ecco a voi il suo racconto:




FRA 30 ANNI, SU UN TRENO, AD UN ATTORE
di
Sergio Bertinelli

Vedeva poco e sentiva ancora meno; rifiutava, in ogni caso, di indossare occhiali o apparecchi acustici, balbettava al momento di viaggiare.
Era sul treno che lo portava a Syracuse, accompagnato fin dentro la carrozza dal suo miglior amico, Jack, 140 kg di simpatia e di fame infinita.
“Jack, pa-pa-pa-passami la borsa, stai do-do-do-do-oo-rmendo?” 
L’amico però era in fondo al vagone, lo spuntino del pomeriggio era la sua meta.
”Fiiiiii.” 
Il fischio del capostazione dava l’okay al macchinista per la partenza del convoglio.
“Ma cosa fi-fi-fi-fiiischi? Pa-pa-passami la borsa!!” 
Equivocò Tom alterandosi. “Non posso fare tutto da solo, non ciiiii ve-ve-vedo in questo scompartimento buio [la luce era quella del sole di luglio], aiutami, al posto di fischiare, in-in-in-somma!!”.
Jack, non rispondeva, ancora alle prese con una scelta vitale.
“E' libero qua, nonno?”
Era la voce di una ragazza, agghindata di percing, come l’albero di natale di palline colorate.
“Sta di-di-dicendo a me, signore?”
“Veramente sarei una ragazza! E' libero, ho chiesto!?!”
“No, è–è-è-è occu-cu–cu-cu-pato, non vede il mio amico Jack?!”
“Certo, certo, lo vedo, pensavo proprio di mettermi in braccio a lui! Hey Jack , non ti spiace se ti calpesto, vero? Come ti chiami, nonno?”
“Ti ho detto che questo posto è occupato, mi chiamo Tom- Tom-Tom- Ma-ma-pother”
“Non ho mai conosciuto nessuno che si chiamasse Tom Tom! Me l’hanno appena regalato!”
“No-no-non mi chiamo Tom Tom, mi chiamo To-to--Tom-Tom Mapother”
“Tu non stai bene... Da quando balbetti così tanto?”
“Io non ba-ba-balbetto, signorina!”
“Sì, non balbetti, qui c’è Jack! Smettila di dire cazzate!Nonno.”
“Esci subito dal nostro scompartimento, zoticona!”
Paf!
Uno schiaffo si stampò sul viso di Tom, e, mentre perdeva l’equilibrio, si aggrappò alla maglietta della ragazza, strappandola, così da mostrargli, si fa per dire, il reggiseno (black) e a svelare (se li avesse visti) una selva di tatuaggi.
Infuriata (“cazzo!”), prese la testa di Tom tra le mani per strappargliela (“ha-ha-ha-aia”) tenendolo in ginocchio davanti ai suoi fianchi, proprio mentre entrava il capotreno nello scompartimento:
“Signori! cosa fate?!, è una carrozza questa, non un pied–a-terre! Rivestitevi o sarò costretto a farvi scendere!!”
“Que-que-que sta donna mi ha aggredito!”
“Tu mi hai strappato la camicetta, imbecille!!”
“Basta! Inutile fingere, ho visto tutto! Fuori!!”

In men che non si dica il corridoio fu pieno di curiosi accorsi per le grida, volti a sapere cosa fosse successo, o a sbirciare le grazie di quella ragazza, o capire come potesse accadere che un vecchio, cieco, sordo e balbuziente, riuscisse a sedurre una ragazza così carina; probabilmente, oltre a essere sordo, cieco e balbuziente, era sicuramente ricco, questo signor Tom Mapother, più noto come Tom Cruise, di professione attore.

...

Dall'ironia di Sergio, passiamo a un tema forte, affrontato da Rosanna Calandra. Rosanna ha iniziato a frequentare il laboratorio, come Sergio, da pochi mesi. E' una donna molto accogliente che trasmette al primo sguardo il calore del Sud. 
Calore che ho ritrovato nei primi racconti che ha scritto. Penna talentuosa, ha scritto un racconto per la gara del treno che mi ha davvero emozionato. 
Un racconto che fa riflettere.



BINARI DI VITA
di
Rosanna Calandra

Nawal, calmati! Respira profondamente, chiudi gli occhi, va tutto bene! Me lo ripeto in continuazione, chiusa nel bagno di questo vecchio treno che puzza di piscio e intanto, sullo schermo nero degli occhi appena chiusi, si rincorrono le immagini degli ultimi otto mesi.

Non so ancora come ci sono finita su questo serpente di ferro e come ho fatto a evitare il capotreno, appena uscito dallo scompartimento in fondo al corridoio. Qualcuno da lassù deve avermi fatto un regalo, già un regalo, come il significato del nome che porto.

Nessuno, in questa terra straniera, può comprendere la bellezza del mio nome, ma tutti possono giudicarmi, solo scorgendo il colore della mia pelle, scura. Chi può sapere cosa ha dovuto subire questo corpo, solo per il fatto di essere donna, attaccabile, conquistabile, penetrabile, senza alcun consenso, senza nessun rispetto.

Un biglietto troppo caro per la libertà o forse un biglietto scontato per la vita, la mia e quella di quel cuore che batte forte appena sotto il mio seno. E’ un attimo. Mi sento inondare sotto la grande gonna. Incontrollato il mio urlo supera le mie orecchie, ancora un attimo e quel capotreno, da me abilmente dribblato, spalanca la porta.

Mi accascio sulla mia piccola borsa, custode di tutti i miei averi, mentre lui ha già capito tutto, con un solo sguardo a quel liquido torbido sul pavimento. Mi aiuta a sdraiarmi, senza motivo urla anche lui, così subito accorre il poliziotto che solo dieci minuti prima mi avrebbe interrogata, impassibile nel suo ruolo di controllore della legalità.

Ti sento spingere tra le cosce. Mi tocco e le mie dita si sporcano di sangue, lo stesso che mi aveva macchiato i vestiti su quella barca colma di esseri umani, troppo calda, più del deserto che ho attraversato per raggiungere le coste della Libia.

I due uomini continuano a parlare velocemente e io non capisco quello che dicono. Il poliziotto mi tiene la mano. Le mani del capotreno invece trafficano tra le mie gambe. Alzando la testa le vedo. Sono sporche e cercano anche loro di togliermi qualcosa.

Ecco, scivoli fuori, con la semplicità della natura. Sento le mie lacrime calde e vedo quelle degli uomini che ti hanno aiutato a nascere.
Adesso ci sei anche tu, viaggiatore non pagante, sui binari della vita.

...

Voltiamo pagina, senza però abbandonare i temi che riflettono i mali di un'epoca. 
Michele Fierro, allievo speciale che conosco da tempo, già bravo di suo, è approdato al laboratorio per fare una nuova esperienza nel campo della scrittura. Non poteva certo immaginare cosa l'aspettasse! ;-) Una "maestra" un po' fuori dai soliti schemi ;-)
Comunque, a parte questo, Michele aveva il compito di scrivere una storia sentimentale. E lo ha fatto, ambientandola ai tempi della seconda guerra mondiale con i suoi drammi e le sue tragedie. Una storia che parla d'amore, ma che allo stesso tempo, ci ricorda una pagina di storia che non dobbiamo dimenticare mai.


  L’ULTIMO TRENO
di
Michele Fierro

Le pianure della Masovia erano povere di vento in quella stagione e la stazione di  Nowy Dwor non faceva eccezione in quella fredda serata del 1941.
Il diretto per Danzica, partito a Varsavia, restava perciò semi avvolto dalla nebbia, fermo sui binari in attesa di poter riprendere il lungo viaggio che in quindici ore sarebbe giunto a destinazione.
Jaroslaw Kowalczyk, il Capo Stazione, stava in piedi davanti al convoglio quando vide avvicinarsi, attraverso il portone di ingresso, la donna più bella che avesse mai calcato il selciato della banchina.
Guardandola, cappotto pesante e borsa di panno, vedeva la stessa splendida ragazza ebrea che, vent’anni prima, aveva incrociato fuori dalla sinagoga mentre lui, cattolico, rincasava da messa.
Anche la sua Agnieszka lo stava guardando allo stesso modo.
Distolse lo sguardo, e così fece anche la donna, proprio come si erano raccomandati qualche ora prima consumando, forse, il loro ultimo pasto insieme.
Le si fece incontro, cercando di apparire disinvolto, e si fece dare biglietto e documenti che finse di controllare.
Poi si voltò verso il Capo Treno che, nel frattempo, si era affacciato dalla porta di uno dei vagoni. L’uomo disse qualcosa a Jaroslaw che rispose con un cenno del capo e aiutò, infine, la donna a salire.
Agnieszka raggiunse lo scompartimento e, dal finestrino,  concesse un ultimo saluto al suo Jaro, il suo caro marito che avrebbe pregato per lei affinché riuscisse a salire sul traghetto per Stoccolma, la mattina dopo.
Un ombra, silenzioso come solo quei demoni della Gestapo riuscivano a essere, il tenente Ulfred Vogel raggiunse Jaroslaw alle spalle.
Aveva visto tutto.
Il polacco lo capì dal suo sguardo.
“Bella donna, vero herr Kowalczyk?” Chiese il tedesco con un sorriso maligno.
“Sì, carina…” Rispose Jaroslaw, indifferente.
“I documenti erano in ordine?”
“Certamente.”
“E’ sposato, herr Kowalczyk?”
“Purtroppo non ancora.” Mentì amaramente Jaroslaw.
“Abbia fede, grazie al Reich vedrà che potrà avere in moglie, anche lei, una donna così bella.”
“Avrò fede. Ci può contare.”  Rispose accennando il saluto.

“Heil Hitler, herr Kowalczyk.”
“Heil Hitler, herr Vogel.”

 E il treno partì.

...

Racconti belli tosti e soprattutto, tutti belli, vero?
Adesso tocca a Barbara Gallo.
Barbara, che conosco da pochissimo, è una persona molto particolare che sto scoprendo laboratorio dopo laboratorio.
All'inizio la vedevo molto riservata e quasi protetta da una torre dentro la quale si era rifugiata, ma un po' alla volta credo  sia nato un feeling che ci ha permesso di cominciare ad instaurare un dialogo fatto non solo di scrittura.
Da quel poco che ho visto, credo che la penna le sia familiare;-) Se dovessi scegliere un frutto per definirla, penserei a una melagrana: fuori una scorza un po' dura, ma dentro decine di chicchi color rubino, tutti con un loro codice da scoprire.
Barbara ci propone un pezzo introspettivo, tosto anche questo!



TRENO
di
Barbara Gallo


Jane socchiuse gli occhi di fronte al paesaggio che scorreva davanti al finestrino del treno sperando che dopo i mesi di lontananza, la tranquilla campagna del Devon l’avesse aspettata per riabbracciarla e calmarla dando un senso al maremoto interiore.
Quante volte le era già successo? Quante salite e ricadute aveva già vissuto? Ormai non pretendeva neanche più di capire il perché, ma almeno avrebbe voluto trovare un modo per mettersi al riparo; era come uno scatto interiore, un brusco risveglio, passare dal sentirsi sana, protetta, al caldo, EQUILIBRATA, a iniziare ad avvertire, come un’ombra che avanzava, i primi sintomi della calma che si stava per turbare. Da lì, l’inizio della fine.
Perché non era veramente quella che tutti credevano fosse? Bella, intelligente, dotata. No. No. Questo all’apparenza. Jane era così, una moneta a due facce: una aperta, passionale, pulita, timida, sembra ombre; l’altra nera, oscura, inesplorata, divorata dalle tenebre che la assalivano da dentro. Entrambe erano oneste, dirette e attraevano come la luce attira le falene. Che finivano per bruciarsi.
Cosa avrebbe dovuto fare questa volta? Continuare a fingere? Non ne era mai stata capace, entrambi i suoi lati erano sinceri. Qual era davvero il problema? Lei era il problema, un groviglio unico, un pozzo senza fondo, una notte buia senza luce. Sarebbe corsa via se questo avesse voluto dire poter lasciare la propria pelle dove era. Doveva assolutamente riprendere il controllo estremo di tutto, solo così forse se la sarebbe cavata, e con lei l’uomo che l’amava e tutto quello che ne derivava.

Bussarono alla porta del suo scompartimento, con lei solo una signora anziana piuttosto minuta. Il capotreno fece capolino: “Buonasera, prossima stazione: Plymouth. E’ possibile scendere”. Jane strinse a sé la borsetta rossa. Faceva freddo fuori, ma forse un po’ d’aria le avrebbe fatto bene ai pensieri.
Fece un respiro profondo, chiuse nuovamente gli occhi e si lasciò andare nel dormiveglia all’immaginazione: sognò il vento, freddo, che soffiando spazzava via tutto e anche lei, come le foglie, veniva portata via, finalmente, sgretolandosi pezzettino dopo pezzettino perdendo la propria forma e rimanendo solo anima. 
Niente più dolore, né per lei né per gli altri. 
Solo leggerezza.

...

Sorridiamo un po' con il racconto di Marilena Mascarello che doveva sperimentare il genere zoologico :-D 
Insomma, su questo treno doveva mettere qualche animale;-)
Ne è  nata una simpatica storiella, che ha messo in evidenza anche un nuovo lato narrativo di Marilena, secondo me potrebbe scrivere una bella raccolta di storie per bambini! :-) 
Marilena, d'altronde, è una poetessa dall'animo gentile; nei suoi scritti c'è sempre tanto lirismo e un'atmosfera bucolica.
E adesso, con il laboratorio, sta scoprendo lati nuovi della sua scrittura (e anche di se stessa), tutti da indagare e sperimentare. 
Godiamoci il suo racconto!



UN VIAGGIO A SORPRESA
di 
Marilena Mascarello

Teresa prese la decisione con coraggio. Sarebbe partita con il treno dalla sua cittadina verso il paesino che tanto desiderava raggiungere. Una curiosa donnina d'altri tempi, Teresa. Stile Mary Poppins, gonna al ginocchio, camicetta con fiocco e giacca demodè, un vezzoso cappellino e l'immancabile borsa come comodo accessorio, esibita con un tocco di eleganza.
Suoi compagni inseparabili erano Minù la gattina e Pedro il pappagallino. Naturalmente li avrebbe portati con sé.
Il giorno della partenza salì sul treno locale e si sistemò accanto al finestrino con la portantina di Minù sul sedile a fianco, sulle ginocchia la piccola gabbietta con Pedro e la borsa che custodiva il suo piccolo segreto.
Di fronte a lei un bambino e la sua mamma. Il bambino, incuriosito, si avvicinava un po' a Minù e un po' a Pedro stuzzicandoli, mentre la mamma tentava invano di trattenerlo. Minù era dolcissima, candida, pelo folto e occhi azzurri; Pedro, con le penne verdi striate di rosso, non taceva mai.
Fu un attimo, la porta della gabbia si aprì e il pappagallino cominciò a svolazzare sulle teste dei viaggiatori. L'unico a divertirsi pareva essere il bambino, che peraltro era l'autore della fuga di Pedro! Minù rizzò le orecchie e cominciò ad agitarsi. Teresa, preoccupata, non abbandonò mai il suo posto e tenne sempre la borsa stretta a sé. Tutti erano infastiditi e reclamavano a voce alta.
Arrivò il capotreno, accertò che la signora Teresa fosse in regola per il trasporto degli animali e comandò l'arresto del convoglio. Appena il capotreno riuscì a riportare l'ordine, si vide Pedro posato sul cappello di un anziano signore il quale, per nulla turbato, comunicava incessantemente col pappagallo. Tutti sorrisero a quella scena. L'anziano portò la mano sul capo e Pedro si lasciò prendere, si guardarono entrambi con occhi vivaci prima di lasciarsi, lo porse a Teresa che lo sistemò  nella gabbietta. Il treno riprese la sua corsa e  il capotreno si allontanò.
Ancora poche ore di viaggio. Nello scompartimento regnava la calma, il bambino si era  addormentato sulle ginocchia della mamma che con occhi sognanti rincorreva il paesaggio oltre il finestrino.
Teresa guardò i piccoli compagni che sonnecchiavano. Rincuorata dopo tanto trambusto, tenne  la borsa stretta al petto  e assaporò l'incontro che l'aspettava.

...

E ora tocca al racconto Giallo di Teresa Pancallo. 
Teresa, mia compagna quando praticavo Tai Chi, è un concentrato di determinazione mischiata a una bella dose di timidezza.
Il suo sguardo vivace e peperino, è una presenza sine qua non!
La penna di Teresa, a voi!





IL TRENO DELLA NOTTE
di
Teresa Pancallo
   
Il treno lasciò la stazione in perfetto orario. I due passeggeri dello scompartimento sistemarono i propri bagagli e, dopo alcuni brevi convenevoli, si prepararono a dormire nelle cuccette loro assegnate. Cullati dal ritmo regolare del convoglio non tardarono ad addormentarsi.
Le prime luci dell’alba svegliarono per prima la donna.
Poi si svegliò anche l’uomo, e nell’atto di mettere i piedi a terra, inciampò rovinosamente su una borsa da donna. Imprecò, poi si scusò con la compagna di viaggio che, sicuramente, l’aveva fatta cadere involontariamente. Ma lei disse: "Quella borsa non è mia!"
I due si guardarono perplessi: erano sicuri che, la sera prima, sul pavimento non ci fosse nulla. E allora, da dove era spuntata? Chi e quando l’aveva messa lì?
Chiamarono il capotreno.
"Siete proprio sicuri che non appartenga a nessuno di voi? Avete visto o sentito qualcosa durante la notte?"
Dati i tempi, la preoccupazione cominciò a salire: e se ci fosse stata dentro una bomba? Doveva essere sicuramente opera di qualcuno dell’Isis che voleva procurare una strage!
Il capotreno si avvicinò, scrutò senza toccare. Cercò di mantenere la calma e invitò la piccola folla che si stava radunando a fare altrettanto.
"Guardi lì, c’è un biglietto!" La donna, che osservava da un’altra angolazione, notò il post-it giallo che spuntava tra i manici della borsa.
Il capotreno sfilò delicatamente il pezzetto di carta, cominciò a leggere, e rimase a bocca aperta. Non credeva ai suoi occhi, non riusciva a proferir parola, porse l’oggetto alla donna. Lei, prese il foglietto, lo guardò, esplose in una fragorosa risata e poi lesse per gli attoniti spettatori:
“Scusate il disturbo. Mia figlia l’ha dimenticata ieri a casa mia. La troverete in capo al binario, all’arrivo. Indosserà un cappotto rosso.”
Ma gli altri non la pensavano allo stesso modo: qualcuno parlò di depistaggio, propose di abbandonare quel vagone in fretta e di chiamare gli artificieri; qualcun altro propose di attivare la fermata d’emergenza e di evacuare l’intero treno.
Quando si resero conto che il treno aveva raggiunto la sua meta, si dileguarono alla velocità della luce.


Nella fretta di lasciare la stazione, nessuno si ricordò della signora col cappotto rosso.

...

Torniamo a sognare col racconto del treno di Daniela Perego. Una penna che volge al sentimento; nell'arco dei mesi si è trasformata, laboratorio dopo laboratorio, puntando dritta verso una narrativa raffinata, elegante, che parli d'amore senza perdersi in mielosità.
Nel 2017 ci sfornerà un bel romanzo d'amore e non solo?
Io credo proprio di sì!



IL TRENO
di
Daniela Perego

Una grande luna bianca accende il paesaggio riflettendosi sulla distesa di neve, dove un treno, a fatica, la divide al suo passaggio sollevandola in piccole nuvole brillanti.
Seduta sul divanetto trapuntato in velluto rosso, nella carrozza di prima classe, compio questo viaggio che mi porterà verso la mia nuova vita, da un marito che purtroppo non ho scelto, ma dal quale sono stata scelta,  possiamo dire “comprata” con una generosa offerta al collegio in cui sono cresciuta.

Volevo un amore vero, l’ho sognato da sempre e il Destino ha voluto regalarmene un po': durante una delle mie frequenti visite alla biblioteca ho incrociato lo sguardo di un ragazzo, anche lui con una pila di libri sottobraccio; me ne sono innamorata, ma ora il sogno è stato infranto... 
Porterò con me il ricordo dei suoi occhi scuri, il sorriso timido, la gentilezza dei modi nell’aprirmi la porta e cedermi il passo.

Sussulto al passaggio di due signori di mezza età che, ridendo, raccontano della giornata appena trascorsa;  sono elegantemente vestiti con cappotti bordati di pelliccia e bastoni con impugnature in osso.
Lacrime mi offuscano lo sguardo pensando a quanto mi attende alla fine del viaggio: uno di questi uomini potrebbe essere il mio destino!

Sento la voce del capotreno che alle mie spalle chiede i biglietti, apro la piccola borsetta in stoffa grigia con le mie iniziali ricamate dalla madre superiora, come regalo di nozze.
Alzo lo sguardo mentre porgo il biglietto e i miei occhi incrociano i suoi: neri come la pece, profondi come l’abisso in cui sto cadendo. Ci fissiamo a lungo senza parlare, siamo ipnotizzati e il tempo resta sospeso mentre il treno fischia, prima di arrivare a destinazione.

No. Io non scendo, qui.

...

E dopo il romanticismo di Daniela Perego, torniamo al viaggio in treno introspettivo, quello di Carla Pozzi, allieva da pochi mesi, con la capacità di descrivere stati d'animo di cui ancora non è consapevole, ma coach Stefi è lì per questo!! :-)
Riflessioni e malinconia, un mix che ha prodotto questo bel pezzo.


IL RACCONTO DEL TRENO 
di
Carla Pozzi

Entro nella stazione.  Fuori è ancora buio. Sono le sei di una mattina di fine ottobre. Accelero il passo, dagli altoparlanti una voce femminile sta annunciando che “il Frecciarossa per Siena delle 6.15 è in arrivo sul binario 7”. Sulla banchina, il capotreno sta fornendo un’indicazione a  dei turisti, i nostri sguardi si incrociano e mi sorride. Mi conosce. La carrozza è quasi vuota, mi siedo vicino al finestrino e appoggio la mia borsetta sul sedile accanto. Un fischio assordante, subito dopo il convoglio sobbalza e si mette in movimento.
Inizia il mio viaggio. Nessuno si è seduto accanto a me. Nel sedile di fronte un tizio  attira la mia attenzione, si è tolto la giacca e l’ha stesa sul sedile di fianco; ha un MacBook sottile aperto davanti a lui e sembra assorto nei suoi pensieri. Appoggio la testa al finestrino, sento il calore dei primi raggi di sole e mi lascio cullare dal dondolio del treno. Superiamo una stazione, il treno riprende velocità e la periferia si confonde con il grigiore della città. Villette lasciano il posto a ponti coperti di graffiti, case disabitate con le finestre sfondate. Sono quasi le otto e il paesaggio è decisamente cambiato. Mi perdo con lo sguardo verso la distesa d’erba che stiamo costeggiando; file di alberi ormai spogli, vecchie cascine. 
Siamo fermi al rosso e una piccola casetta dipinta di rosa attira la mia attenzione, è circondata da un giardino curato con al centro un’altalena. Immagino la mia vita in quella casa; sono al tavolo della cucina per la colazione, Marco è di fronte a me con in mano la tazzina di caffè e sta leggendo il giornale. Alle sue spalle, entrano due bambini assonnati che ci danno il buongiorno.

Un raggio di sole mi abbaglia, strizzo gli occhi e tutto sparisce. Il treno riparte. Il cellulare squilla nella mia borsa, mi fa sobbalzare, lo prendo, guardo il display e lo spengo. Era Marco. Provo a immaginare la scena di lui nella cucina, ma il quadretto è rovinato dalle tracce della sua nuova vita. 
E'  sera quando torno a casa, è vuota, non c’è Marco, non ci sono i bambini che mi corrono incontro.
Il nulla.

...

Un po' di ironia, ora ci vuole :-) 
 Ce la regala l'abile penna di Daniela Quadri: ma chi la ferma più??? Ormai scrive di qualsiasi cosa con una maestria non indifferente!
Quasi 350 parole per raccontarci di "strani incontri" in treno.
Finale perfetto, con battuta ad hoc!
Pronti? Via!



COL SORRISO
di
Daniela Quadri

Arrivo in stazione: il treno delle 7:25 è fermo al binario. Due respiri profondi e, a forza di gomiti e ginocchia, mi fiondo nell’ultimo vagone. Risalgo la corrente e – sia lodato l’Altissimo! – in uno scompartimento adocchio un posto libero.
Mi siedo, allungo le gambe e mi rilasso. Chiudo anche gli occhi in un patetico tentativo di sonnecchiare tra suonerie che mi esplodono nelle orecchie, zaini che mi si infilano nelle costole e il gocciolare degli ombrelli che mi inzuppano le scarpe.
Li riapro e la vedo. Giovane, non avrà trent’anni, con un faccino pulito e, ahimè, una notevole pancia. Se non fossi un gentiluomo ripiomberei nel mio finto dormiveglia, ma – per mia sfortuna lo sono - mi alzo e le cedo il posto.
Lei si siede, s’infila le cuffiette e inizia a ruminare comesenoncifosseundomani. Ma come? Né un grazie, né un sorriso! E pensare che pago fior di soldi l’analista per sentirmi dire che la gentilezza non esige ricompensa.
La fisso ingrugnito mentre si sbottona il cappotto e – miracolo! – la pancia si muove. Un musino peloso, due etti di carne e un Dolby Sorround al posto delle tonsille, spunta da una borsetta. Anche lui mi guarda e – ho come l’impressione - mi fa una boccaccia, prima di scomparire di nuovo nella borsetta.
Biglietti, prego! Reclama il controllore dietro di me. Stizzito – ci mancava pure questo! – frugo nelle tasche. Qui niente, là neanche. Vuoi vedere che è rimasto nell’altra giacca? Già mi immagino; paonazzo, balbetto qualche scusa improbabile per evitare la multa.
Signore, biglietto, prego! Che faccio? Mi sento sprofondare, ma all’improvviso l’ingrata sfodera un sorriso angelico e porge due biglietti al controllore. Poi ci fissa, si sfiora la pancia e cinguetta: con lui siamo in tre.   
Grazie! Farfuglio, quando il controllore passa oltre. Biglietto scaduto per le emergenze; mi devi un caffè, chiarisce e subito riprende a masticare. Il topino peloso ricompare da sotto il cappotto, e questa volta – ne sono sicuro! – mi sta sorridendo.
La gratitudine sarà un’opinione, ma un sorriso fa meraviglie. Proverò a pagarci il mio analista.

...

Il tornado Carmen, ora tocca a lei!
Da quanto la conosco, vent'anni? Forse.
E da quanto ho saputo che le sarebbe piaciuto imparare a scrivere? Pochi mesi.
Carmen è davvero speciale nella sua volontà di imparare e trasgressione, allo stesso tempo, ma sforna pezzi di impatto. Pezzi che affrontano i temi dei disagi sociali.
Molto strong.


VIAGGIO IN TRENO
di
Carmen Ronco

Arrivai alla stazione di Siracusa, giovane ragazza, senza neanche un soldo, con il mio zaino in spalla e decisa a prendere quel treno diretto a Milano Centrale. Avevo preso tante volte un treno senza biglietto, ma quello era un viaggio lungo; mi consolò il fatto che se non fossi riuscita ad arrivare a Milano in un unico viaggio incontrando il capotreno che mi chiedeva il biglietto, sarei scesa e avrei preso quello successivo.
Il treno era fermo sul binario; in attesa che le persone salissero, mi guardai intorno e saltai su.

Mi lasciavo alle spalle un'esperienza dura, di quelle che ti segnano per sempre,  ma avevo preso una decisione difficile e non avrei potuto tornare indietro: lasciavo mia figlia con delle persone che l'avrebbero accudita e protetta, ma senza la sua mamma.

Volevo tornare a casa, quella casa tanto amata quanto odiata, ma pur sempre casa mia.

Incominciai a cercare un posto libero. Attraversai tante carrozze, ne trovai una aperta con seduti tre viaggiatori. La donna al finestrino guardava il paesaggio che cambiava aspetto costantemente, di fronte a lei un ragazzo che leggeva, mentre io avevo vicino un signore sulla cinquantina che mi guardava insistentemente tentando in qualche modo un approccio, cercava il mio sguardo e io pensai che più sono vecchi, più sono rincoglioniti...

A un certo punto i accorsi che arrivava il bigliettaio, di corsa mi alzai e facendo finta di niente andai verso il bagno, mi  ci chiusi a chiave e aspettai il tempo necessario che il controllore passasse all'altra carrozza. Poi uscii e ritornai al mio posto.

Intanto arrivammo a Firenze e pensai che metà del viaggio era andato liscio, mancava ancora parecchia strada, ma ci sarei riuscita. Passò ancora qualche ora e arrivammo finalmente a Milano. Scesi dal treno, di lì a poco avrei rivisto la mia famiglia e i miei amici, ma ero decisa a cambiare vita.
Avrei trovato un lavoro.

Ma soprattutto... sarei ritornata a prenderla. Lei, mia figlia.

...

Dulcis in fundo, Maria Rita Sanna, con le sue atmosfere suggestive, quasi epiche, che narrano storie e leggende della sua terra, la Sardegna.
Maria Rita Sanna è una penna vivace, dalla fantasia sconfinata! Sono sicura che ci stupirà sempre di più, di racconto in racconto.



IL BANDITO
di
Maria Rita Sanna

La donna guardava fuori dal finestrino, tenendo tra le mani il rosario, mentre il treno sbuffava, percorrendo lento tra la vegetazione di querce e lecci, nell'autunno inoltrato, con l'umidità che esaltava i profumi di muschio e funghi. Nonostante l'età e la malattia, era felice perché finalmente avrebbe rivisto, dopo tanti anni di latitanza, l'unico figlio rimasto, proprio nel giorno del suo compleanno. 
Voltando lo sguardo al finestrino opposto, si accorse che il capotreno la osservava, incuriosito dalla borsa che teneva in grembo; periodicamente, infatti, avvenivano gli assalti al treno con lo scopo di rapinare i viaggiatori e, al contempo, fornire ai banditi, tramite complici, armi e viveri per la latitanza. Il ferroviere si mosse sospettoso in direzione dell'anziana, ma sommariamente tranquillo, essendo l'unica passeggera in carrozza. 
Non ci fu il tempo di parlare perché la locomotiva frenò bruscamente, emettendo un forte fischio, fino a fermarsi. Il capotreno capì immediatamente cosa lo attendeva, precipitandosi eccitato nei binari; l'anziana donna, eccitata anch'essa, ma da sentimento opposto al ferroviere, cominciò a tremare come una foglia, trattenendo a stento le lacrime, guardò dal finestrino e lo vide, alto e possente, gli occhi quasi coperti dal berretto. Con una mano teneva le briglie, e con l'altra  lisciava il manto bruno del cavallo, mentre questo muoveva la testa ritmicamente in un continuo, e quasi allegro, “sì”. Era il famigerato bandito che, proprio quel giorno, aveva deciso di regalarsi la libertà, cancellando per sempre la prigionia della vita da fuggiasco. Disse questo al capotreno che lo scortò alla carrozza; si avvicinò all'anziana mamma, inginocchiandosi e avvolgendola con le sua forti braccia. In quell'atmosfera quasi surreale, si sentiva solo il sussultare della donna che  accarezzava il viso aspro e ruvido di suo figlio, vedendo nei suoi occhi neri, non più sete di vendetta, ma desiderio di riscatto. 
Furono attimi di tenerezza,  male interpretati dal ferroviere quando il bandito tentò di aprire la borsa della madre. Il capotreno lo prese alle spalle, facendo cadere la borsa e constatandone il contenuto rovesciato: vestiti puliti, che la donna aveva preparato per il figlio rinato.

...

Ma dove andate???
Non è ancora finita!
Eh no, adesso c'è la ciliegina sulla torta.
Dovete sapere che questa sfida ha visto un unico giurato che ha avuto il compito arduo di stabilire quale squadra fosse la vincitrice della gara.
Riccardo Simoncini, di lavoro capotreno, scrittore per passione. Chi, meglio di lui, poteva ricoprire il ruolo di ago della bilancia?
Va beh, alla fine l'abbiamo adottato ed è diventato la mascotte del laboratorio! E quindi, anche per lui, il compitino capestro di scrivere il racconto del treno è arrivato.
Originale, incisivo, un sunto perfetto di questa tematica affrontata da diverse angolazioni dagli altri autori.
Bravo!
Quindi, ecco a voi, questo inedito!


L'ARMATURA DI STOFFA
di
Riccardo Simoncini

Lui mi chiama cosi: l’armatura di stoffa.
Perché sostiene che io lo nasconda, lo protegga, lo esponga. Che lo cambi agli occhi del mondo, perché vedono me prima di lui, in treno.
Ogni volta che mi indossa, per la mia azienda diventa un numero.
Ogni volta che mi indossa, per i clienti diventa l’azienda.
Ogni volta che mi indossa, si veste di un’autorità che non gli appartiene.
Ma sotto questa divisa, c’è lui. Lui con i suoi pensieri, le paure, le opinioni, i limiti e le gioie. L’armatura di stoffa non elimina le sue incertezze, ma tende a nasconderle. E allo stesso modo accentua, attira o placa quelle degli altri. Io lo vedo. Comincia subito, quando chiude le porte del treno, si gira, si guarda intorno, controlla ciò che sa che deve controllare. Sessantacinque chili che autorizzano il movimento di cinquecentottanta tonnellate di ferro e carne, verso destinazioni e aspettative differenti. Loro lo guardano e sorridono, giudicano, approvano o criticano, a voce o in silenzio. 
E poi siamo soli: io, lui e loro.

E lui si innamora. Di parole, del volto di un vecchio, di un bimbo, di un cane, di una mano che si muove elegante verso una borsa. Di quel particolare che è solo una porta dietro alla quale scorge un intero mondo.
E lui assorbe. Le storie di chi racconta della sua vita, dei suoi problemi, della sua direzione, di chi li aspetta alla fine del viaggio o da chi stanno scappando. Di chi, in realtà, parla a me, non a lui.
E lui ha paura. Dei cattivi, degli ignoranti, dei disperati, dei folli, dei confusi. Della rabbia che viene mostrata davanti a un’autorità che non gli appartiene.
E lui sorride. Delle fughe precipitose, delle scuse improbabili, dell’imbarazzo, della paura che suscita la stessa autorità che neppure in questa veste è sua.

E poi, alla fine del viaggio, quando mi ripone in un armadio, torna se stesso. Ma senza cambiare. Perché quando toglie l’armatura di stoffa, tutto quello che ha vissuto con me gli rimane attaccato addosso, rendendolo ancor di più ciò che è.

...


 Siamo arrivati alla fine, ho impiegato 4 ore ad assemblare tutti i racconti del treno, corredati di foto etc etc, ma sono contenta perché credo sia stato un bel lavoro da parte di tutti gli autori!
Solo che, adesso... con tutto 'sto parlare di treni, mi è venuta voglia di partire: chi viene con me?
;-)
















21 commenti:

  1. Che dire. ...tutte bellissime storie. Un finale a sorpresa con un "capotreno " scrittore che attraverso la divisa da lavoro racconta il suo quotidiano in modo quasi poetico; veramente bravo e ora si che anch'io vorrei partire e regalarmi un viaggio a bordo di tutti questi treni protagonisti.
    Un complimento e un saluto a tutti.
    Applausi alla maestra Stefania Convalle.

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    1. Applausi a voi che siete un "vivaio" eccezionale! Autori doc!!

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    2. Innanzitutto, complimenti a te Stefania, per il lavoro che hai fatto. È perfetto. Hai colto in ognuno di noi le caratteristiche che ci contraddistinguono. Sei anche una bravissima psicologa! I racconti, rileggendoli, sono bellissimi. Riccardo, è la "ciliegina sulla torta " bello e originale il suo racconto. Bravissimo! Complimenti a tutti noi!

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    3. Carla Pozzi, sei tutti noi!! Coach Stefi :-))

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  2. Viva noi. Mitica Stefania. Complimenti a tutti. Splendide emozioni :) :)

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  3. Eccomi!
    Riletti tutti ed è vero che alla seconda lettura risultino ancora più belli!
    Rinnovo i miei complimenti, e sappiate che avete reso il mio ingrato compito ancora più difficile.
    E poi mi avete anche tirato dentro! Dove si è mai visto un giudice che debba svolgere gli stessi compiti dei partecipanti? :)
    Quando mi avete assegnato "il compitino capestro" ho pensato che avrei voluto farvi sapeter quello che probabilmente non sapete di chi svolge questo lavoro: che è una persona come tante.
    È un lavoro di responsabilità, così come tutti quelli che comportano l'indossare una divisa e molti altri ancora, di cui si potrebbe trattare.
    Ma io conosco questo.
    E di questo ho scritto.
    È principalmente introspettivo... ma credo che fra le righe potrete leggere diversi ingredienti.
    Ovviamente non approfonditi, perché il limite delle 350 parole è da rispettare!
    Spero vi sia piaciuto.
    A me, i vostri, tantissimo.

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    1. Tu rientri tra quegli scrittori che sarebbero interessanti da leggere anche se scrivessero la lista della spesa :-D

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  4. Stefania, posso ricordare che al Numero 253, ti sei cimentata anche tu?
    :)

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    1. Certo! Grazie!! :-D Però poi se dicono che il racconto di Simoncini è più bello, m'inkezzo :-D :-D :-D

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    2. Il che, a prescindere da questo commento che esclude ogni ulteriore remota possibilità, non credo sarebbe mai avvenuto!
      :D

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  5. Bravissimi a tutti: dalla maestra agli allievi pezzi di bravura eccezionali!

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    1. Grazie, Dany! Puntatone davvero ricco e per tutti i gusti! :-))

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    2. Molto bello il tuo racconto! Hai una vena inesauribile!
      Ezia

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  6. Bravissimi a tutti: dalla maestra agli allievi pezzi di bravura eccezionali!

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  7. Belli belli belli! Ingredienti per tutti i gusti! L'insieme dei racconti rende questo spazio incredibilmente variegato e piacevole. Brava davvero Stefania per saper cogliere ciò che ci caratterizza e per il lavoro svolto nell'assemblare perfettamente il tutto.

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  8. 11+1=12 perle...da leggere con gli occhi umidi di pianto e il sorriso. Complimenti a tutti perchè siete bravissimi. D'altra parte con un un'insegnante "esplosiva" come Stefania il risultato è garantito

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    1. Wow, Tania! Che carina che sei!! Però hai ragione;-) sono tutti bravissimi e in questi racconti, ce n'è per tutti i gusti:-) Grazie anche per le tue parole sempre carine nei miei confronti. Sai che la stima è reciproca! Bacione!

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  9. Beh adesso dopo la lettura di questi bellissimi e fantasiosi racconti è venuta voglia anche a me di prendere il treno. Che ne dite di un bel viaggio a bordo del mitico ORIENT EXPRESS?

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