VITA SFIGATA
di
Daniela Perego
Venni al mondo, non so esattamente
quando, ma anch’io nacqui ed ebbi, ovviamente, un padre e una madre naturale,
dei quali non conosco l’esistenza. Anche la data di nascita è incerta, come il
luogo in cui si udì il mio primo vagito.
Sfigato dalla nascita.
Mi trovarono
sui gradini di una chiesa. Abbandonato, come da copione, in una notte gelida; avvolto in una coperta logora, solo con una piccola salvietta al posto del pannolino
e una cuffietta lavorata all’uncinetto.
L’orfanotrofio è stato la mia casa
fino a quando la madre superiora, in combutta con il parroco della Chiesa di
St.Patrick, mi spedì in seminario. Inutile dire che tanto feci, che mi
espulsero nel giro di due mesi: ma vi pare possibile studiare tutto il giorno,
pregare in latino e farsi venire i calli alle ginocchia per le ore passate in
chiesa a meditare o ascoltare la messa?
Fui affidato alla famiglia Carter all’età di 14 anni. Rose e Nick avevano un figlio di un anno più grande di me,
un tipo dai modi effeminati, sempre con il naso nei libri; si isolava nella sua
camera a scrivere, riempiendo quaderni di poesie o brevi racconti. Una volta
riuscii a prendere dal suo scrittoio un foglio con l’inchiostro ancora fresco.
Solo qualche pensiero o forse una traccia di poesia: «…I nostri corpi abbandonati
all’oblio dei sensi, attimi rubati al mondo crudele, che nega il nostro amore…» e altre parole che non feci in
tempo a leggere.
Mi restava l’ultimo anno di liceo; Nick si era premurato di trovarmi un posto da impiegato nella stessa
azienda in cui lavorava come dirigente, dopo una lunga scalata partita dalla
qualifica di commesso. Secondo lui dovevo ritenermi fortunato a cominciare come impiegato... E questo grazie agli studi: non sono mai stato un
bravo alunno, le note e i richiami dei professori erano quasi all’ordine del
giorno.
«Prendi esempio da tuo fratello!» mi
ripeteva Rose, mentre Nick era sempre pronto con la cinghia per punirmi.
Decisi che sarei scappato: dal liceo, da Rose e Nick e da quella vita schifa che mi aspettava dietro una
scrivania.
Non mi serviva sapere. A me bastava conoscere posti e gente nuova,
volevo vedere il mondo e lo avrei fatto pagandomi gli spostamenti con qualche
lavoretto qua e là.
La mia vita era altrove.
Pensai di raggiungere mio fratello per avere la possibilità di vivere qualche mese a scrocco nella villa in cui abitava con il Professore Parker, scrittore di fama mondiale; ufficialmente era il suo
maestro nell’arte dello scrivere, lo avrebbe portato alla fama... a sentire i miei genitori; secondo me, invece, era solamente una via di fuga e di facciata dalla realtà
di una coppia di fidanzati, sorpresi più di una volta dal sottoscritto in
atteggiamenti equivoci, a dir poco “strani”, con conseguente crisi di mal di
testa da parte del signorino Paul, mio fratello.
Detto fra noi, ho sempre ritenuto
mio fratello poco dotato. Molto riservato, si chiudeva sempre in bagno a
chiave, socializzava poco e solo con i ragazzi; era evasivo nei discorsi sul
sesso. Insomma credo proprio che non si sia scopato nemmeno una ragazza.
No, non era proprio il caso di
andare da Paul. Con tutto che, magari, mi sarei ritrovato a doverlo consolare
nei momenti di crisi; non da meno in una casa di letterati mi sarebbe toccato
leggere, o addirittura acculturarmi!. Libri, parole… Vade retro, Satana!
Volevo viverla, la vita, mica
leggerla…
Basta, era ora di partire. Valigia
pronta, notte fonda e liceo quasi deserto per le vacanze natalizie.
Non sapevo che l’avventura mi
sarebbe stata servita su un piatto d’argento.
Ma lasciate che vi racconti i
fatti.
Mi avviai con la piccola valigia alla fermata della corriera per Pittsburg. Stringevo il bavero del cappotto per
ripararmi dall’aria gelida che sferzava Chicago in quel momento, pensando al
calore del termosifone della mia stanzetta al College. Attraversai Lake Park,
oltre il quale avrei raggiunto la stazione degli autobus: mi piaceva viaggiare
su quei grandi pullman color argento dalle strisce laterali blu e rosse con la
scritta American Line, sedili comodi e riscaldamento al massimo.
Il caldo non fu l’unico piacere del quale ho
goduto durante il viaggio in questi
vagoni su ruote, non so se mi spiego... Ricordo che aveva i capelli rossi come il
fuoco e due seni prosperosi bianco latte con capezzoli turgidi sotto la
maglietta bagnata dalla pioggia d’aprile. Passammo un’ora indimenticabile nel
granaio della stazione di servizio in cui la corriera fece sosta.
Ma torniamo a noi. Alla fermata fui avvicinato da una
signora sulla quarantina, impellicciata, capelli biondo platino e mani curate
con unghie laccate di rosso della stessa tonalità del rossetto; stringeva una
piccola borsetta di coccodrillo nera e trasportava a fatica una pesante
valigia di cuoio con cinghie in pelle e grandi fibbie lucide. Anche lei era
diretta a Pittsburg. Sedemmo vicini e dopo qualche battuta di cortesia mi
immersi nella lettura... Mica di un libro, solo di un volantino di propaganda
elettorale, infatti passai in breve tempo a un sonno profondo. Fu l’ultima
volta che riuscii a dormire così bene.
Il risveglio fu tragico e violento: Miss Gloria Lee era morta. Un
piccolo rivolo di sangue usciva dalla bocca, e gli occhi di un celeste acquoso erano spalancati, seppure impossibilitati a vedere.
Un cadavere proprio al mio fianco…
Una bella sfiga. L’assurdo era che non mi potevo muovere di un centimetro,
nell’attesa che la Polizia, giunta nel giro di mezz’ora dalla città più vicina,
espletasse tutte le formalità del caso: la fotografarono, esaminarono
sommariamente il cadavere procedendo alla rimozione di quella che, poche ore
prima, poteva essere un’altra esperienza da raccontare agli amici, a ricordo
del viaggio. Non era messa male a carrozzeria e pareva una a cui piacevano i
giovanotti.
Ovviamente fui interrogato ma,
vista la difficoltà con cui venni svegliato, le indagini si diressero in
un’altra direzione. Almeno per qualche ora.
Si fece buio presto e tutti i
passeggeri, più l’autista, si stavano riposando e rifocillando nell’unico bar
disponibile nel raggio di parecchi chilometri gestito dai proprietari della pompa di benzina Gulf, una coppia oversize totalmente incapace e impreparata a ricevere una
cinquantina di persone contemporaneamente.
Poco prima di mezzanotte avvenne la
scoperta che mi avrebbe coinvolto nell’intera vicenda, portandomi poi a passare
un pezzo della mia vita in questo buco di posto, in culo al mondo, dal quale,
se sarò fortunato, me ne andrò il mese prossimo.
La valigia di Miss Gloria conteneva
il corpo di un uomo, anch’egli sulla quarantina, ovviamente morto e
completamente nudo. Nessun segno apparente di violenza, ma non vi erano dubbi
che fosse stato assassinato.
Le mie impronte sulla valigia parlavano di complicità, più il fatto dell’essere seduto vicino alla “mia
amante” (magari ne avessi approfittato, invece di dormire!), come più volte ribadito
dal sergente Smith, non lasciavano dubbi: avevo ucciso il povero marito di Miss
Gloria e poi assassinato lei sull’autobus.
Il tempo, molto tempo, ha dato
ragione al mio avvocato che, seppure d’ufficio, si è impegnato a dimostrare la
mia innocenza e pare che l’epilogo si avrà tra circa un mese, alla prossima
udienza.
E' stato dimostrato che fu
Gloria a uccidere il marito, con una dose massiccia di veleno per topi; poi
con l’aiuto dell’amante vero, il portiere del suo palazzo, ha ficcato il corpo inanime
nella valigia. L’intenzione era quella di riportare il marito a casa della
madre, lasciando la valigia all’ingresso dell’abitazione come un pacco reso non
essendo risultato idoneo alla richiesta. Lei ebbe la punizione divina per mezzo
di un ictus che la colpì durante il viaggio.
Proprio vicino a me doveva
sedersi?
Se tutto questo finirà e mio
fratello Paul verrà a prendermi il
giorno che uscirò di galera per accompagnarmi dai nostri vecchi, regalerò
questa vicenda alla sua penna e non aiuterò mai più una donna a portare alcun bagaglio.
Fosse solo una piccola sporta della spesa.
Grazie Stefania. Onorata di avere in articolo del tuo blog solo per me.💜
RispondiEliminaGrazie Stefania. Onorata di avere in articolo del tuo blog solo per me. 💜
RispondiEliminaUn bel racconto: puntata meritata;-)
EliminaMoooolto carino!!! Ispirata dal caldo?😉
RispondiEliminaE' veramente un bel racconto Daniela!
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