Seduti allo stesso tavolo

Seduti allo stesso tavolo
Il nuovo romanzo di Stefania Convalle, sul mondo dell'editoria.

martedì 27 giugno 2017

Numero 285 - Una vita sfigata - 27 Giugno 2017


VITA  SFIGATA
di
Daniela Perego

Venni al mondo, non so esattamente quando, ma anch’io nacqui ed ebbi, ovviamente, un padre e una madre naturale, dei quali non conosco l’esistenza. Anche la data di nascita è incerta, come il luogo in cui si udì il mio primo vagito.

Sfigato dalla nascita. 
Mi trovarono sui gradini di una chiesa. Abbandonato, come da copione, in una notte gelida; avvolto in una coperta logora, solo con una piccola salvietta al posto del  pannolino e una cuffietta lavorata all’uncinetto.
L’orfanotrofio è stato la mia casa fino a quando la madre superiora, in combutta con il parroco della Chiesa di St.Patrick, mi spedì in seminario. Inutile dire che tanto feci, che mi espulsero nel giro di due mesi: ma vi pare possibile studiare tutto il giorno, pregare in latino e farsi venire i calli alle ginocchia per le ore passate in chiesa a meditare o ascoltare la messa?

Fui affidato alla famiglia Carter all’età di 14 anni. Rose e Nick avevano un figlio di un anno più grande di me, un tipo dai modi effeminati, sempre con il naso nei libri; si isolava nella sua camera a scrivere, riempiendo quaderni di poesie o brevi racconti. Una volta riuscii a prendere dal suo scrittoio un foglio con l’inchiostro ancora fresco. Solo qualche pensiero o forse una traccia di poesia: «I nostri corpi abbandonati all’oblio dei sensi, attimi rubati al mondo crudele, che nega il nostro amore…» e altre parole che non feci in tempo a leggere. 

Mi restava l’ultimo anno di liceo; Nick si era premurato di trovarmi un posto da impiegato nella stessa azienda in cui lavorava come dirigente, dopo una lunga scalata partita dalla qualifica di commesso. Secondo lui dovevo ritenermi fortunato a cominciare come impiegato... E questo grazie agli studi: non sono mai stato un bravo alunno, le note e i richiami dei professori erano quasi all’ordine del giorno.
«Prendi esempio da tuo fratello!» mi ripeteva Rose, mentre Nick era sempre pronto con la cinghia per punirmi.
Decisi che sarei scappato: dal liceo, da Rose e Nick e da quella vita schifa che mi aspettava dietro una scrivania. 
Non mi serviva sapere. A me bastava conoscere posti e gente nuova, volevo vedere il mondo e lo avrei fatto pagandomi gli spostamenti con qualche lavoretto qua e là.
La mia vita era altrove.

Pensai di raggiungere mio fratello per avere la possibilità di vivere qualche mese a scrocco nella villa in cui  abitava con il Professore Parker, scrittore di fama mondiale; ufficialmente era il suo maestro nell’arte dello scrivere,  lo avrebbe portato alla fama... a sentire i miei genitori; secondo me, invece, era solamente una via di fuga e di facciata dalla realtà di una coppia di fidanzati, sorpresi più di una volta dal sottoscritto in atteggiamenti equivoci, a dir poco “strani”, con conseguente crisi di mal di testa da parte del signorino Paul, mio fratello.
Detto fra noi, ho sempre ritenuto mio fratello poco dotato. Molto riservato, si chiudeva sempre in bagno a chiave, socializzava poco e solo con i ragazzi; era  evasivo nei discorsi sul sesso. Insomma credo proprio che non si sia scopato nemmeno una ragazza.
No, non era proprio il caso di andare da Paul. Con tutto che, magari, mi sarei ritrovato a doverlo consolare nei momenti di crisi; non da meno in una casa di letterati mi sarebbe toccato leggere, o addirittura acculturarmi!. Libri, parole… Vade retro, Satana!
Volevo viverla, la vita, mica leggerla…

Basta, era ora di partire. Valigia pronta, notte fonda e liceo quasi deserto per le vacanze natalizie.
Non sapevo che l’avventura mi sarebbe stata servita su un piatto d’argento.
Ma lasciate che vi racconti i fatti.


Mi avviai con la piccola valigia alla fermata della corriera per Pittsburg. Stringevo il bavero del cappotto per ripararmi dall’aria gelida che sferzava Chicago in quel momento, pensando al calore del termosifone della mia stanzetta al College. Attraversai Lake Park, oltre il quale avrei raggiunto la stazione degli autobus: mi piaceva viaggiare su quei grandi pullman color argento dalle strisce laterali blu e rosse con la scritta American Line, sedili comodi e riscaldamento al massimo.  
Il caldo non fu l’unico piacere del quale ho goduto durante il viaggio in  questi vagoni su ruote, non so se mi spiego... Ricordo che aveva i capelli rossi come il fuoco e due seni prosperosi bianco latte con capezzoli turgidi sotto la maglietta bagnata dalla pioggia d’aprile. Passammo un’ora indimenticabile nel granaio della stazione di servizio in cui la corriera fece sosta.

Ma torniamo a  noi. Alla fermata fui avvicinato da una signora sulla quarantina, impellicciata, capelli biondo platino e mani curate con unghie laccate di rosso della stessa tonalità del rossetto; stringeva una piccola borsetta di coccodrillo nera e trasportava a fatica una pesante valigia di cuoio con cinghie in pelle e grandi fibbie lucide. Anche lei era diretta a Pittsburg. Sedemmo vicini e dopo qualche battuta di cortesia mi immersi nella lettura... Mica di un libro, solo di un volantino di propaganda elettorale, infatti passai in breve tempo a un sonno profondo. Fu l’ultima volta che riuscii a dormire così bene. 
Il risveglio fu tragico e violento: Miss Gloria Lee era morta. Un piccolo rivolo di sangue usciva dalla bocca, e gli occhi di un celeste acquoso erano spalancati, seppure impossibilitati a vedere.
Un cadavere proprio al mio fianco… Una bella sfiga. L’assurdo era che  non mi potevo muovere di un centimetro, nell’attesa che la Polizia, giunta nel giro di mezz’ora dalla città più vicina, espletasse tutte le formalità del caso: la fotografarono, esaminarono sommariamente il cadavere procedendo alla rimozione di quella che, poche ore prima, poteva essere un’altra esperienza da raccontare agli amici, a ricordo del viaggio. Non era messa male a carrozzeria e pareva una a cui piacevano i giovanotti.
Ovviamente fui interrogato ma, vista la difficoltà con cui venni svegliato, le indagini si diressero in un’altra direzione. Almeno per qualche ora.
Si fece buio presto e tutti i passeggeri, più l’autista, si stavano riposando e rifocillando nell’unico bar disponibile nel raggio di parecchi chilometri gestito dai  proprietari della pompa di benzina Gulf, una coppia oversize totalmente incapace e impreparata a ricevere una cinquantina di persone contemporaneamente.

Poco prima di mezzanotte avvenne la scoperta che mi avrebbe coinvolto nell’intera vicenda, portandomi poi a passare un pezzo della mia vita in questo buco di posto, in culo al mondo, dal quale, se sarò fortunato, me ne andrò il mese prossimo.
La valigia di Miss Gloria conteneva il corpo di un uomo, anch’egli sulla quarantina, ovviamente morto e completamente nudo. Nessun segno apparente di violenza, ma non vi erano dubbi che fosse stato assassinato.
Le mie impronte sulla valigia parlavano di complicità, più il fatto dell’essere seduto vicino alla “mia amante” (magari ne avessi approfittato, invece di dormire!), come più volte ribadito dal sergente Smith, non lasciavano dubbi: avevo ucciso il povero marito di Miss Gloria e poi assassinato lei sull’autobus. 
Il tempo, molto tempo, ha dato ragione al mio avvocato che, seppure d’ufficio, si è impegnato a dimostrare la mia innocenza e pare che l’epilogo si avrà tra circa un mese, alla prossima udienza.  
E' stato dimostrato che fu Gloria a uccidere il marito, con una dose massiccia di veleno per topi; poi con l’aiuto dell’amante vero, il portiere del suo palazzo, ha ficcato il corpo inanime nella valigia. L’intenzione era quella di riportare il marito a casa della madre, lasciando la valigia all’ingresso dell’abitazione come un pacco reso non essendo risultato idoneo alla richiesta. Lei ebbe la punizione divina per mezzo di un ictus che la colpì durante il viaggio. 
Proprio vicino a me doveva sedersi?

Se tutto questo finirà e mio fratello Paul  verrà a prendermi il giorno che uscirò di galera per accompagnarmi dai nostri vecchi, regalerò questa vicenda alla sua penna e non aiuterò mai più una donna a portare alcun bagaglio. 
Fosse solo una piccola sporta della spesa.





5 commenti:

  1. Grazie Stefania. Onorata di avere in articolo del tuo blog solo per me.💜

    RispondiElimina
  2. Grazie Stefania. Onorata di avere in articolo del tuo blog solo per me. 💜

    RispondiElimina
  3. Moooolto carino!!! Ispirata dal caldo?😉

    RispondiElimina
  4. E' veramente un bel racconto Daniela!

    RispondiElimina