Seduti allo stesso tavolo

Seduti allo stesso tavolo
Il nuovo romanzo di Stefania Convalle, sul mondo dell'editoria.

lunedì 31 ottobre 2016

Numero 247 - Luna calante: ti sfido - 31 Ottobre 2016


Ripercorrendo il cammino della scrittura in questi anni... 
Un racconto scritto in una notte insonne, sei anni fa...
  
LUNA CALANTE: ti sfido
di
Stefania Convalle

Improvvisamente sento il conto alla rovescia.
Forse perché ho visto mio padre non riuscire più a tenere un bicchiere in mano da solo.
Forse perché l’ho visto salire su un’autoambulanza mentre gli dicevo – stai tranquillo, è solo per qualche giorno, vai dove ti curano meglio –
Sì, un posto da dove non uscirà vivo.
Forse perché quando mi alzo al mattino e mi guardo allo specchio vedo gli anni nei miei occhi, e anche se tutti mi dicono – caspita, non ci credo alla tua età, fammi vedere un documento – quegli anni ci sono e la paura di invecchiare, pure.

Mi alzo ogni mattina alle sei e vado da Rebecca – piccolapiccolapiccola – un anno appena. E per fortuna c’è lei nella mia vita, un cucciolo a cui posso dare tutto l’amore che ho dentro che straripa da questo mio corpo rompendo argini di ossa, muscoli, sangue, ANIMA. Ieri mi sono commossa quando l’ho vista ripetere un gesto che le avevo insegnato, lanciare bacini con la manina, lo so, una sciocchezza, si vede che sto invecchiando, ma ogni volta che mi sorride e vuole venire in braccio, penso: per fortuna c’è lei.
Già, però… Quando scrivo? Finisco alle cinque e poi cane, spesa, casa, yoga, Tai chi, amiche: quando scrivo?

Ma scrivo a lui che non risponde. Battaglia persa, lo so. E infatti sogno mille uomini che mi distraggano da quei maledetti occhi. Che stupido, non ha voluto vivere questo amore.
E allora scrivo, scrivo, scrivo, sì, ma quando? A notte fonda, quando Rebecca dorme nel suo lettino a casa sua e anch’io dovrei dormire perché altrimenti, domattina, chi si alza?

Scrivere è fatica, ma è una droga.
Ero già a letto, diligente e responsabile baby sitter che si concede le giuste ore di riposo, ma ecco che ho sentito il conto alla rovescia arrivare. Non c’è tempo, non c’è tempo. Devi farlo ora, alzati, accendi il computer, scrivi, scrivi, scrivi.
Accendo il computer, mi faccio un caffè.
Dormono tutti, vicini di casa – sopra, sotto, a fianco – ah no, quella coppia del piano di sopra non dorme, il figlio sta piangendo. Ecco, il conto alla rovescia mi ha appena ricordato che un capitolo si è di certo chiuso: non avrò bambini miei.

Le mie dita corrono veloci sulla tastiera del pc, scrivo veloce, penso che sarà a causa del pianoforte che ho studiato, ma non abbastanza – potevo, potevo, potevo –
ma
quante cose volevo, potevo e ancora potrei, eppure manca la forza e manca il tempo.

Il tempo: la più grande ricchezza di un uomo.
Time out. Gioco fermo. Come ora è la mia vita, corre dentro le cellule, ma non fuori. Però riesco ancora a vedere un mandorlo in fiore. Anche la natura non si ferma: è primavera, vietato essere infelici, è la stagione dei colori, lucido gli occhi, li spalanco e mi viene in mente quel modo di dire “quante primavere” si sono vissute. Io quarantasette e torna il tic tac, il conto alla rovescia, non c’è tempo da perdere.
Via le cose inutili, basta ammucchiare i ricordi per spolverarli ogni tanto. Basta, basta, basta.
Cos’è stata la mia vita? Un torrente, ma quante volte ho trovato le rapide! Non mi lamento, in fondo mi piacciono, ti tolgono il fiato. Quando ho trovato delle piccole anse, ho ripreso un respiro calmo e poi via di nuovo. E quando mi sono incagliata in qualche ostacolo, ecco che una corrente improvvisa, forte e impetuosa, mi ha rimessa in circolo e – rapide, rapide, rapide – amori vissuti fino allo spasmo, emozioni a mille.

Ora, però, vorrei un lago tranquillo, non una palude, ma acque trasparenti e placide.
Il mio corpo è cavo, svuotato da troppe delusioni, ma il conto alla rovescia mi ha dato uno spintone – ehi, muoviti! La vita non ti aspetta! – Potrei vendere tutto quello che ho, partire per qualche paradiso lontano, inventarmi un lavoro, vivere di poco, ma nel sole, mare, caldo perenne. Chi mi trattiene in fondo?
Le mie paure.
Basta, ho deciso, domani lo faccio. Domani.
Sì, domani.
Ora, però, spengo il pc e torno a dormire. è quasi l’alba.
(Tratto da "Dentro l'amore" - racconti - edito 2013)















venerdì 28 ottobre 2016

Numero 246 - Intanto vivi. Respira. Sogna. E ama ancora. - 28 Ottobre 2016


In questi giorni, in attesa della prossima pubblicazione sulla quale sta lavorando l'Agenzia Letteraria Thesis, sto facendo un mio viaggio attraverso quello che ho già scritto e pubblicato. Nel numero precedente del Blog vi ho riproposto la lettura di un racconto al quale tengo molto, "Gli occhi non invecchiano mai", presente nella raccolta "Dentro l'amore".
Oggi vi propongo uno stralcio dal romanzo "Una calda tazza di caffè americano". In fondo, poco conta sapere come si è arrivati a questo punto della narrazione, eventualmente lo potrete approfondire leggendo l'intero romanzo; questo breve brano credo possa vivere a se stante come messaggio, come sempre, di speranza.

Buona lettura e se volte, fatevi accompagnare da questa musica:
https://youtu.be/lodKSiWlgrg

Le ombre si muovono mute, persino i pensieri attraversano la mia mente al rallentatore. Sembra tutto annacquato come i miei occhi e mi ricordo di Alan quando spaccava la legna al funerale di Emily; forse anch’io dovrei fare qualcosa del genere, non so, spostare i mobili, fare fatica, sudare, sfinire i miei muscoli: anche il cuore lo è.
Mi viene in mente Rebecca e una mattina d’inverno quando, lei ancora piccola, sui tre anni, mentre giocava e sembrava assorta in quello che stava facendo, senza neppure alzare lo sguardo mi chiedeva – Tata, cosa c’è? – Si era accorta di come mi ero incantata, guardando nel vuoto per qualche mio momento difficile di allora. Piccola adulta aveva colto questo frammento di me e come se fosse grande, se ne interessava. Chissà perché questo episodio attraversa la mia mente. Piccola grande Rebecca. Ti ho voluto così bene da averne paura. Ma perché dico così? Non sto per morire, anche se la morte m’insegue attraverso gli altri. 
Mi accorgo di pensare alla morte. Un pensiero che non mi piace mi attraversa  – forse la vita non m’interessa più – pensiero inquietante che allontano subito, quasi con un gesto delle mani. Ma lui, pensiero ostinato, insiste e sembra sussurrarmi che al di là di questa vita ci sono le persone a me più care, e poi c’è Alan…
Alan – Alan – Alan – Alan – Alan – Alan – Alan.

Sto perdendo il controllo. Devo uscire. Mi alzo, non mi curo di quello che indosso, afferro le chiavi della macchina ed esco.
E guido, guido, guido, guido, chilometri, chilometri, chilometri, non so dove vado, autostrada, per dove? Non guardo, non m’interessa. E non so come mi ritrovo nei pressi del mare, è notte, non c’è anima viva in giro, solo qualche pescatore che  prepara la barca, lascio l’auto in qualche modo, non m’importa, c’è vento, mi colpisce il viso, mi accorgo che non ho una giacca, le braccia nude, ma non sento freddo. Cammino lungo la battigia. Tolgo le scarpe, i piedi nell’acqua e cammino. Il mare è nero, ma la Luna è piena e luminosa. Qualcosa mi chiama, qualcuno mi chiama, non tra le onde, no, sarebbe la morte e ho deciso che devo vivere. Tra quelle barche, là, verso un molo deserto. Una figura. Metto a fuoco.
Alan, ecco, ti riconosco, sei arrivato. Sì, corro, so che hai risposto al mio richiamo, le barriere non esistono, tutto fa parte del Tutto. Non c’è Vita, non c’è Morte.
C’è solo l’Amore.

E allora eccomi, ti abbraccio. Sei qui per me e capisco che non sarò mai sola. Senza voce mi dici – vai avanti,  niente ti può fermare, non guardarti indietro perché io sono solo un passo avanti  a te, ma ti aspetto per quando sarà il nostro tempo. Intanto vivi. Respira. Sogna. E ama ancora. –


 

giovedì 27 ottobre 2016

Numero 245 - Il tempo che va, ma è vero: gli occhi non invecchiano mai - 27 Ottobre 2016


Quanta acqua sotto i ponti, da quella serata, 
30 Ottobre 2010.
Il primo riconoscimento effettivo per il mio lavoro di scrittrice, un secondo posto al Premio Letterario "Il Poeta e il Narratore", i primi soldi guadagnati attraverso la scrittura. Ricordo che quella sera toccavo il cielo con un dito.

La strada era già imboccata, mi aspettava tutto un percorso fatto di salite e discese, ma pieno di soddisfazioni, di piccoli e grandi risultati che mi hanno portata fino a qui, a credere davvero con tutta me stessa di essere nata per scrivere...

Voglio riproporvi il racconto che mi regalò il piazzamento al Premio. L'ho letto a ogni presentazione, decine di volte, che ho fatto da allora... Lo leggo e lo dedico a tutte le persone "grandi", augurandomi di diventare, se mai ci arriverò, una vecchietta come quella di...



GLI OCCHI NON INVECCHIANO MAI
di
Stefania Convalle


Ho ottant’anni.
Li sento nelle ossa consumate, nelle ginocchia che scricchiolano, sulla pelle rugosa, ma non negli occhi.

L’altro giorno mi guardavo allo specchio e ho visto lo stesso sguardo di me ragazzina. Sarà proprio vero che gli occhi sono la porta dell’anima? Certo, la vecchiaia è una gran fregatura. Ti porta via il corpo, ma ti lascia la testa per capire il tempo che passa. Anche le persone che si hanno intorno contribuiscono a farti sentire più di là che di qua! L’ho notato in occasione degli ultimi compleanni, a Natale, nelle ricorrenze varie, insomma quando si presenta il momento di ricevere un regalo. Da un po’ di tempo a questa parte sono cominciati ad arrivare cioccolatini, biscotti, dolcetti, come se avessi poco tempo davanti e quindi mi regalano qualcosa che io possa “consumare” subito, alimenti con una “scadenza” vicina. Pare mi vogliano dire “mangia in fretta, non si sa mai”.

È da qualche anno che non ricevo più un libro, forse pensano che non abbia più la testa per leggere, per capire. Ma avete notato come la gente talvolta si rivolge ai vecchi? Manca solo che si mettano a sillabare, è come se parlassero con qualcuno che non capisce la loro lingua. Oppure, quelli che ti chiamano “nonna”.
Ma perché?
Improvvisamente si perde la propria identità, si diventa genericamente nonne e nonni.

Non sapete che mi è capitato, questa ve la voglio raccontare. Ero all’ospedale, dovevo sottopormi a un esame per cui chiedevano di togliersi, tra le altre cose, eventuali dentiere. Anche se può apparire strano, alla mia veneranda età i denti sono ancora tutti miei, ma all’infermiera questo sembrava impossibile.
– Se mi dice ancora una volta dai nonna togliti i denti giuro la pesto – pensai in quel momento. Per convincerla e farla contenta le dissi che se era proprio necessario avrei potuto abbattermi l’arcata dentale a colpi di martello. Alla fine mi ha creduta, ma che fatica!
La cosa mi diverte in fondo, non me la prendo, anzi, alle volte fingo di essere sorda se non mi va di parlare o preferisco stare per conto mio. Allora li vedo che si guardano tra loro come se non avessi nemmeno più gli occhi, e dicono – poverina, non c’è più con la testa –
Si dimenticano che ottant’anni di vita sono carichi di esperienza, vita vissuta, gioie, dolori, la saggezza dei vecchi. E chi ne tiene più conto ormai. Quanta tenerezza mi fanno certi giovani, pensano che l’amore sia il teorema di Pitagora, magari hanno avuto qualche delusione e dicono “basta”, decidono che gestiranno le loro emozioni, i loro sentimenti. Vogliono razionalizzare l’amore. Li guardo e sorrido, perché so che si perderanno in tante di quelle passioni nella loro vita,  che loro nemmeno possono immaginarselo.
E quelli che pianificano tutto? Quelli che dicono: “Mi voglio sposare e avere due figli, un maschio e una femmina”. Un maschio e una femmina? Mica siamo al supermercato, forse non sanno che ogni volta che inizia una vita è un vero miracolo della Natura, e nemmeno così scontato. Figuratevi se si possono fare ordinazioni sul sesso del nascituro… Sorrido!

E poi, quanto mi fanno arrabbiare i vecchi come me che esordiscono dicendo “ai miei tempi”. Di quali tempi parlano?!? Cosa significa? Qualcuno un giorno me lo dovrà spiegare questo mistero. Non sono forse anche quelli che stiamo vivendo i “nostri tempi”? Loro parlano come se la vita non ci appartenesse più e invece io la sento, eccome se la sento! Ora che dormo di meno, mi alzo e vedo l’alba che non ho visto da giovane. Ora che non ho più fretta mi accorgo anche delle piccole cose, come la magnolia davanti alla mia finestra; guardo la sua fioritura, la sua meraviglia, la vedo, la vivo. E mi entra negli occhi. Questi occhi che sono quelli di quando ero bambina; sì, forse un po’ appannati, forse con le palpebre cadenti, le rughe, ma dentro, dentro ci sono ancora i miei sogni, i miei desideri. Non più le paure, quelle no, le ho lasciate andare già qualche anno fa. Che strano, alle volte mi
sorprendo a pensare che non posso più fare programmi a lungo termine, non riesco più a dire “l’anno prossimo farò, andrò…”
Ma sapete che c’è? Ora esco, mi vesto, mi agghindo, voglio essere una bella vecchietta.
Vado qui di fronte, c’è un’agenzia di viaggio, tra due mesi sarà il mio compleanno e io, io voglio prenotare un viaggio bellissimo, magari quello che non ho mai fatto. 
Ecco, sono pronta, ho messo anche un velo di cipria, un po’ di rossetto. Vicino a quell’agenzia c’è un Caffè e vedo sempre un signore più o meno della mia età. è sempre ben vestito, la barba curata, legge il giornale e quando mi ha vista altre volte passare di lì, mi ha sorriso. E sapete una cosa? Ho visto nei suoi occhi la mia stessa voglia di vivere, lo stesso entusiasmo.

È proprio vero, gli occhi non invecchiano mai.

https://youtu.be/lodKSiWlgrg (colonna sonora)


sabato 22 ottobre 2016

Numero 244 - Torniamo bambini per un po'... - 22 Ottobre 2016


CARO BABBO NATALE

Eh sì, alzi la mano chi non ha mai scritto da bambino la letterina a Babbo Natale o a Gesù Bambino.
Qui sopra c'è una mia letterina di quando avevo presumibilmente 6 anni,  prima elementare, a giudicare dagli errori :-D
Di sicuro le richieste erano ben diverse 50 anni fa, ahimé - già mezzo secolo fa, aiuto, sono davvero vecchietta!!! - rispetto alle letterine che scrivono adesso i bambini che assomigliano di più a una lista nozze ;-)

Comunque, a parte tutta questa premessa, visto che tra due mesi sarà di nuovo Natale, vogliamo dare un po' di lavoro a Babbo Natale? Vogliamo provare a "tornare bambini" e a scrivere la nostra letterina? 
Siamo grandi, è vero, ma se ci mettiamo lì, foglio e penna, apriamo il cuore e scriviamo cosa vorremmo davvero che Babbo Natale ci portasse, beh, chissà... Tutto può accadere ;-)
Io credo ai miracoli.

Mi è venuta un'altra idea: magari avete voglia di scrivere anche una fiaba su Babbo Natale.  Non poniamoci limiti.

E poi niente vieta di votare i testi che più vi colpiscono, siano lettere o fiabe, magari abbinando un breve commento per spiegare cosa vi abbia coinvolto. 

Chissà, magari i testi più coinvolgenti vinceranno una visita di Babbo Natale la notte del 25 Dicembre :-D






Aspetto le vostre letterine e le vostre fiabe che posterò qui, nel blog. 
Come sempre, inviatele a: 
steficonvalle@gmail.com

Tentar non nuoce e quindi...
forza e coraggio:

Caro Babbo Natale...


...continua tu!





 I DUE BABBO NATALE
 di
Riccardo Simoncini
(FIABA)
p.s. Riccardo ha scritto una fiaba disegnando personalmente le immagini, ma non sono riuscita a trasportarle sul Blog :-(



A Federico, da papà


La neve cominciava a scendere giù in soffici chicchi grandi. Ricopriva ogni cosa di bianco: le strade, le auto, le panchine del parco. Un uomo la osservava da dietro il vetro della finestra, pensando che fosse giunto il tempo di prepararsi: aveva un compito da svolgere.
Si avviò verso il suo armadio segreto, quello chiuso da un grosso lucchetto, tirò fuori degli abiti rossi, e cominciò a spolverarli…
Dicembre era arrivato da qualche giorno e lo spirito natalizio aveva pervaso ogni luogo. Nelle case e nelle scuole, le luci, le palline colorate, gli addobbi spuntavano ovunque, come fiori in primavera o funghi nei boschi. Tutti i bambini contribuivano a trasformare ogni angolo in una festa. Sapevano che Babbo Natale sarebbe arrivato a breve, nottetempo, a lasciare un dono per ognuno di loro. Molti avevano cominciato a preparare biscotti con le loro mani da offrirgli insieme a un bicchiere di latte caldo, pregustando già, nei loro sogni, il regalo che gli avrebbe portato.
E infatti, come ogni anno, la notte del ventiquattro dicembre, Babbo Natale iniziò il suo giro per riempire il mondo intero di doni.
Soltanto che adesso, però, era immobile in casa di uno dei bimbi della sua lista. La luce intermittente delle lampadine illuminava il suo volto stupito e pensieroso.
Era successo di nuovo!
Si era avvicinato piano all’albero e aveva trovato una grossa scatola blu con un fiocco rosso su cui c’era scritto il suo nome: Babbo Natale. Qualcuno aveva già lasciato un regalo al posto suo! Chi mai poteva essere stato? E la cosa si era ripetuta molte volte negli ultimi anni…
Babbo Natale non aveva mai scoperto l’identità dell’uomo che gli rubava il lavoro nella notte della vigilia. Le prime volte si stupì non poco: lui era uno che faceva le sorprese, ma non era abituato a rimanere sorpreso a sua volta!
Nel corso degli anni, però, si abituò a quella bizzarria, sempre interrogandosi su chi ne fosse l’artefice, ma cominciando ad apprezzare l’aiuto tanto gradito quanto inaspettato di questo sconosciuto. In più, da sempre, Babbo Natale aveva il dono di vedere il contenuto dei pacchi regalo e doveva ammettere, in tutta onestà, che quell’uomo aveva anche buon gusto: automobiline telecomandate, bambole parlanti, dinosauri, piste, trenini, peluche… tutti giocattoli graditi a ogni bimbo della Terra.
Era un vero mistero, ma aveva del lavoro da terminare e poco tempo a disposizione, per cui bevve d’un sorso tutto il latte caldo, assaggiò un biscotto, grattò la sua folta barba bianca e ripartì nella notte.
Il signor Paolone, alto, grasso, con barba e capelli folti e bianchi, somigliava davvero a Babbo Natale. Forse era per questo che aveva comprato dei vestiti come i suoi, e forse era per questo che nella notte della vigilia, girava per le case a lasciare regali ai bambini, proprio come faceva lui!
In realtà nessuno sapeva che il signor Paolone si comportasse così, svolgendo di nascosto i compiti che spettano a Babbo Natale (eccetto Babbo Natale stesso, come ormai sappiamo).
Lo faceva da tanti anni ormai, e nessuno l’aveva mai scoperto, perché lui era attento e silenzioso.
Finché quella notte…
Il signor Paolone procedeva quatto quatto come al solito: si sarebbe avvicinato all’albero in casa dell’ultimo bambino della sua lista, vi avrebbe lasciato sotto un dono e sarebbe sparito verso il letto di casa sua dove avrebbe riposato tutto il giorno, dopo la grande fatica.
Ma qualcosa non andò come al solito, quella sera. Il signor Paolone sentì dei rumori leggeri, degli scricchiolii sotto suole di scarponi pesanti, e quei suoni si avvicinavano verso di lui! Cosa avrebbe detto a chiunque lo avesse scoperto vestito di rosso a spartire doni nella notte di Natale? Cominciò a sudare e si acquattò alla parete, sperando che tutto filasse liscio.
In effetti i rumori cessarono, e dopo un po’ si convinse finalmente a staccarsi dal muro e muovere dei passi verso la stanza dalla quale li aveva sentiti provenire. Ma nello stesso istante anche Babbo Natale in persona si mosse, e i due Babbo Natale sbatterono l’uno contro la pancia dell’altro, sobbalzando dalla paura!
Immediatamente dopo, il signor Paolone si illuminò in volto ed esclamò: «Allora tu esisti!»
«Certo che esisto», disse Babbo Natale, «lo sanno tutti!»
Il signor Paolone adesso era perplesso: «Ma… da quando sono diventato grande non ho più trovato il tuo regalo sotto l’albero, la mattina del venticinque dicembre. Pensavo ti fosse successo qualcosa e ho deciso di sostituirmi a te affinché i bambini non sentissero la tua mancanza.»
Babbo Natale sorrise, abbracciò il signor Paolone e gli disse: <<Finchè il mondo sarà popolato da persone buone e altruiste come te, ci sarà sempre un Babbo Natale a distrubuire felicità!>>
Il signor Paolone sorrise a sua volta, poi si oscurò in volto e 
chiese: «Ma perché non sei più venuto a casa mia?»
«Devi sapere» spiegò Babbo Natale, «che la lista dei nomi dei bimbi ai quali porto il regalo ogni anno si compila automaticamente con la magia dei sogni.»
«La magia dei sogni?» domandò sempre più stupito il signor Paolone.
«Sì. I sogni, i desideri, i sorrisi dei bimbi sono i regali più belli del mondo, e sono questi che tengono in vita lo spirito del Natale e me. Probabilmente il tuo nome è sparito dalla mia lista perché tu hai smesso di sognare ed avere desideri.»
«Ma sono diventato grande!» esclamò triste il signor Paolone.
«Non importa.» rispose Babbo Natale, «Si può crescere continuando a sognare. Sognare e desiderare. Non bisogna mai smettere. Solo così vivrai il natale per sempre, dentro di te ed in comunione con il mondo.»
Si salutarono: l’orologio correva e Babbo Natale aveva ancora molti pacchi da consegnare.
Il signor Paolone, da quel giorno, si addormentò ogni sera con un sorriso, e sognò tutte le notti dei sogni bellissimi.



Caro Gesù Bambino
Giovanna Di Giorgio

Caro Gesù Bambino, io sono Gianna, Giovanna o come vuoi tu, non so se quest’anno sono stata molto buona, ma tu sai meglio di me come è andata... giusto vero??? Bene tra poco  è Natale e come di consueto si scrive la letterina per chiedere qualcosa che riteniamo importante, almeno la mia mamma cosí mi ha sempre insegnato; ed eccomi qui per chiedere, se possibile, tanta gioia per i miei nipotini Carlotta e Jacopo, la buona salute per i miei familiari e per i miei amici tutti, e poi se ti resta un po' di tempo... mi piacerebbe avere una piccola casetta fronte mare... lo so, non  sono richieste semplici, ma se si deve sognare si sogna alla grande, quindi ti ringrazio del tempo che mi dedicherai e aspetto speranzosa.

La tua Gianna.


Caro Babbo Natale
Emma Barberis

“Caro Babbo Natale”
Così iniziava la letterina che scriveva il mio Lorenzo quando era piccolo.
Poi si cercava insieme una busta sulla quale affrancare il francobollo e lui mi pregava di andare subito a spedirla perché Babbo Natale avesse tutto il tempo necessario per cercare i suoi regali sempre fuori dal comune, ma non per questo meno preziosi.
E poi c’era l’interminabile attesa fatta di tante piccole cose, un rito, quasi, che alla fine ci teneva uniti fino alla vigilia di Natale: la cena dai nonni e la Messa a mezzanotte, sfidando la neve che spesso ci regalava un paesaggio suggestivo, incantato.
Oggi mi chiedo dove sia finita quella magia per lui. Dove si siano smarriti i sogni e lo stupore per un mattino che tardava ad arrivare ?
Cosa abbia attraversato la sua vita per giungere al vuoto di certi giorni in cui nemmeno più Babbo Natale sembra avere un senso …
Ebbene, quest’anno gli scriverò io.
E gli chiederò veramente un lavoro di straordinaria bellezza: gli dirò di questo giovane cuore che si è come perso nel mondo e che tanto ha bisogno di gioia. 
Babbo Natale sceglierà lui il regalo più adatto e insieme sfideremo la stagione più grigia, quella in cui nulla sembra in grado di far ritrovare il sorriso.
Caro Babbo Natale, sono la mamma di Lorenzo.
E ti aspettiamo.



Caro Babbo Natale  
Tiziana Mazza

Caro Babbo Natale
quest’anno per Natale vorrei… mmmh vediamo, la lista è lunga, beh, io comincio a scrivere, poi tu scegli, se proprio non puoi accontentarmi in tutto!
Allora incominciamo: mi piacerebbe ricevere un biglietto All Inclusive per un viaggio a San Pietroburgo, magari per la crociera sul fiume Mosca – San Pietroburgo… oppure un viaggio per Copenaghen o Stoccolma. Però ripensandoci, forse preferirei un biglietto open e sempre All Inclusive per New York, o meglio ancora per il Messico, o per il Machu Picchu in Perù, o ancora per l’Australia… Oh, accidenti, quanti posti ci sono che non ho ancora visto e  mi piacerebbe visitare!  
Facciamo così, caro Babbo Natale, regalami un viaggio intorno al mondo e non ci pensiamo più!
Allora, io la notte di Natale mi piazzerò con il mio nasino (si fa per dire!) appiccicato al vetro della finestra, osservando i soffici fiocchi di neve cadere dal cielo (perché sicuramente nevicherà, no? Sennò che Natale è?) e ti aspetterò speranzosa, sognando lo splendido viaggio che farò visitando posti mai visti prima, conoscendo nuove persone e assaporando splendide specialità culinarie. 
Cosa c’è di più bello? Ah, dimenticavo, il biglietto naturalmente deve essere per due! Troppo esosa? Beh, in fondo sognare è gratis, quindi tanto vale farlo in grande! E poi a Natale mancano ancora due mesi, quindi, caro Babbo Natale, hai tutto il tempo per organizzarti!!!
Ecco fatto: imbucata! 
Adesso incomincia il count down:
- 60!




Lettera a Babbo Natale
Maria Rita Sanna


     Caro Babbo Natale, oggi mi sono svegliata molto presto, fuori era ancora buio e, come al solito, sono andata fuori a respirare l'alba; la meraviglia delle stelle mi sorprende ogni volta e senza luna sono ancora più belle. Il Grande Carro mi appare come un enorme punto di domanda: tra poche settimane sarà Natale, e io cosa mai vorrò?
Niente, non voglio più niente, non chiedo più niente; tanto lo so che le cose arrivano quando meno te lo aspetti. Come quel desiderio che chiesi - quando? quindici anni fa? ricordi? - , ecco, è arrivato quest'anno, ma in forma diversa, adesso lo sto vivendo meravigliosamente. Tu solo sai i tempi e i modi, io devo solo pazientare, accettare, ringraziare.
Detto questo, mi piacerebbe conoscerti e poter parlare con te, perciò, se tu sei d'accordo, passa da me quando avrai finito i tuoi giri - alle quattro o cinque del mattino?- va benissimo. Io lascerò per te un dolcetto e ci beviamo insieme un bicchiere di vino, io coca cola perché sono astemia, e mi racconterai un po' di te. Ecco cosa ti chiedo: raccontami di te.
Un'ultima cosina cosuccia: dato che qui non succede mai, puoi far venire giù una “montagna” di neve? Quella che ti lascia a bocca aperta e di cui non si finisce più di parlare. Dopo due giorni, però, sole spaccapietre!
Ti abbraccio con affetto
Maria Rita 



Caro Babbo Natale
Stefania Convalle
  
Caro Babbo Natale,
non ho smesso di credere alla tua esistenza, nonostante i miei cinquantaquattro anni suonati.
Dentro di me, sono ancora quella bambina che ti aveva chiesto, quasi mezzo secolo fa, un paio di pantofole, delle “mutante” ;-), una borsa e una bambola.
Mi piace pensare, in questo mondo che sta perdendo se stesso, che tu ancora ti occupi di tutti i bambini e che viaggi nella magica notte di Natale per accontentarli tutti.
E se fosse vero? E se davvero io potessi chiederti qualcosa e tu potessi arrivare qui a casa mia con la tua slitta e le renne? Non escludo che il mio Rocky potrebbe abbaiare;-) ma forse no, ormai è vecchio e l’udito è andato a farsi benedire. Puoi portarmi, come regalo, ancora un po’ di anni insieme a lui?
In fondo ho tutto quello che mi serve, il necessario e anche di più, tanto che devo liberarmi periodicamente di oggetti e vestiti che riempiono mensole e armadi.
E allora, cosa potrei chiederti? Di esaudire i miei sogni? Diventare una scrittrice famosa, per esempio! Mi  sa che stai ridendo sotto il barbone bianco, nella tua saggezza millenaria saprai che sono tutte cose effimere.
Va beh, facciamo così, caro Babbo Natale: il 24 dicembre, prima di andare a letto, metterò sul tavolo un bicchiere di latte e dei biscotti, andrò a dormire e ti sognerò, e al mattino quando troverò ancora la casa in piedi (che non è poco), l’amore a fianco e l’entusiasmo di sempre, potrò dire di essere soddisfatta.
Però, se proprio ti avanza un biglietto per New York, lo accetterò volentieri!



Caro Babbo Natale
Marisa Zenny

Caro Babbo Natale,
sono tanti anni che non ti scrivo più, ma quest’anno ho pensato a te, ed eccomi qua come
una bimba a sperare e a chiederti  delle cose.
Non voglio regali, la vita mi ha già dato tanto.
Ti  chiedo di distribuire la magia del Natale durante il corso dell’anno e non solo in quella notte
magica.
 La magia del Natale è  con noi quando siamo gentili con noi stessi e con gli altri.
La magia del Natale è nell’aria,  quando un papà alla sera,  dopo la lunga giornata di lavoro ,
 gioca con i suoi bambini, quando tuo marito torna a casa  e nonostante la stanchezza ti
abbraccia, quando una tua amica ti ascolta e ti sostiene nonostante sia piena di problemi,
 quando un estraneo ti sorride migliorandoti la giornata anche solo per un attimo.
Ecco  la mia richiesta: che il mondo sia pieno di questi  piccoli atti di gentilezza  e che siano
 presenti per trecentosessantacinque giorni!!!!
Chiedo troppo???
E infine, la sera di Natale,  visto che tu voli alto e sfiori le stelle, per favore salutami il mio
papà e i papà e le mamme di tutti noi, chiedi  loro se sono orgogliosi di  quello che
stiamo facendo quaggiù, e se sì,  quella notte libera un po’ di polvere di stelle!
Quella  scia luminosa che vedremo in cielo sarà la risposta che ci renderà felici e che ci regalerà
un Natale  magico.
Con affetto
Marisa
   



Il ciuchino di Babbo Natale
Una fiaba di Daniela Quadri

Babbo Natale si rigirò tra le mani la lettera che Elwod, il più anziano degli Elfi, gli aveva consegnato quella mattina. L’aveva già letta decine di volte e ancora non riusciva a crederci. Il direttore dell’Ufficio del Lavoro del Polo Nord gli comunicava che dal giorno seguente, raggiunto il limite massimo di anzianità lavorativa, avrebbe dovuto considerarsi in pensione.
Lui, Babbo Natale! Lui che aveva diligentemente consegnato milioni di regali a tutti i bambini del mondo da quando… da quando non se lo ricordava più nemmeno lui, ma doveva essere di certo un sacco di tempo visto che se lo era perfino dimenticato.
«Per mille fiocchi di neve!» Esclamò tirandosi la lunga barba bianca e dandosi una grattatina sotto al berretto rosso che gli pendeva da un lato. Continuò a leggere: il funzionario, dopo averlo frettolosamente ringraziato per tutti i lunghi anni di onorato servizio, lo informava che il suo sostituto, il nuovo Babbo Natale in carica, sarebbe arrivato l’indomani a mezzanotte.
«Per mille renne dell’artico!» Borbottò e – credetemi! – quando Babbo Natale diceva così era davvero arrabbiato. L’indomani sarebbe stata la Vigilia di Natale; il suo ultimo giorno di servizio e la sua ultima consegna di doni ai bambini. Lanciò un’occhiata agli Elfi che, nel grande laboratorio a forma di abete, correvano instancabili da un banco all’altro a confezionare i doni per i bambini che erano stati buoni durante l’anno, e che li avrebbero trovati sotto ai loro alberi la mattina di Natale.
C’erano migliaia di pacchetti, rossi, verdi, gialli e blu, sparsi per tutto il laboratorio e, una volta infiocchettati, gli Elfi li mettevano dentro un’enorme cesta. Una cesta così enorme che non si riempiva mai: la cesta di Babbo Natale. Pensò che, tra qualche ora, tutto quel trambusto sarebbe cessato, e lui avrebbe riposto il vestito rosso fiammante ancora nuovo – lo aveva solo fatto allargare un pochino in vita dove gli tirava sulla pancia – in naftalina. Già si immaginava le sue future giornate da pensionato: sarebbe andato a pescare salmoni con gli orsi bianchi e avrebbe giocato a palle di neve coi trichechi. Fece appena in tempo ad asciugare una lacrima che gli tremava tra le ciglia, quando Elwod entrò trafelato nel suo ufficio.
«Babbo Natale, ho una brutta notizia! Vischio non ce l’ha fatta e si è addormentato sotto i rami del grande Pino Bianco!» Gli comunicò con voce tremante. Dovete sapere che quando le renne diventano molto vecchie vanno a sdraiarsi sotto un grande pino bianco che cresce solo al Polo Nord, e lì si addormentano felici per sempre.
«Ci mancava solo questa!» Pensò Babbo Natale. Vischio era la sua renna più anziana e la più esperta; quella che stava davanti a tutte le altre e le guidava per far volare la sua slitta carica di doni. Con Vischio non aveva mai fatto un incidente – era proprio una brava renna! – e solo lei sapeva come far scivolare dolcemente la slitta nel cielo come se stesse correndo sulla neve fresca. E adesso cosa avrebbe fatto senza di lei? Un’altra tirata di barba e una grattatina sotto al berretto e, finalmente, l’idea arrivò.
«Sbrigati, Elwod! Mettiti subito in viaggio verso il villaggio più vicino e trova una renna giovane e forte per questa notte. Va’, corri più in fretta che puoi, perché mancano poche ore alla consegna dei doni!» Elwod si infilò il berretto magico coi sonagli e si mise a correre tra boschi e montagne piene di neve. Il villaggio più vicino distava molti chilometri, ma con il berretto magico in testa Elwod li percorse in un battibaleno e, dopo dieci minuti, era già nella piazza del villaggio, dove quel giorno c’era il mercato del bestiame.
Elwod gironzolò un po’ alla ricerca della renna che gli aveva chiesto Babbo Natale, ma sembrava che tutte le renne giovani e forti fossero già state vendute. Alla fine si avvicinò a un ragazzino vestito di cenci che teneva alla corda un ciuchino bigio; il ragazzino tremava dal freddo e dalla fame, e il ciuchino se ne stava tranquillo con le orecchie abbassate. 

Fu così che Elwod – degli Elfi si può dire tutto, ma non che non abbiano un gran cuore – diede tre monete d’oro al ragazzino, e tornò da Babbo Natale col ciuchino bigio che lo seguiva ragliando allegro.
«Per mille pupazzi di neve!» Esclamò Babbo Natale al vederli arrivare, e, questa volta, era davvero sorpreso. Ma che strana renna era mai quella? Si domandò tirandosi la barba e grattandosi la testa contemporaneamente. Se la vista non lo tradiva, anche se ultimamente le lenti dei suoi occhiali erano diventate sempre più spesse, quello era un asino. Ma sì, un quadrupede dal pelo bigio e con le orecchie lunghe come… come un asino, appunto! Babbo Natale guardò Elwod e poi l’asino, l’asino e poi di nuovo Elwod ed ebbe un’idea. Quella notte la sua slitta avrebbe volato sopra ai tetti delle case come ogni anno.
Don, don, don. Gli orologi stavano battendo la mezzanotte e la consegna dei doni non era ancora terminata. La slitta aveva sfrecciato a gran velocità nel cielo grazie a un bel ciuchino bigio che, orgoglioso delle grandi corna posticce legate alle orecchie, aveva guidato e incitato le compagne senza un attimo di riposo. Mancava solo un ultimo villaggio da visitare, un ultimo dono da consegnare e poi tutto sarebbe finito. Babbo Natale abbassò le redini e la slitta atterrò dolcemente vicino a una capanna di legno e paglia. 
Babbo Natale scese dalla slitta e si mise sotto braccio l’ultimo pacchetto. Era davvero una povera capanna quella; non c’era nemmeno il camino, ma dalla porta spalancata veniva un gran luce che illuminava la notte tutt’intorno. Quando entrò rimase a bocca aperta.
Un bambino appena nato giaceva in una mangiatoia; i mantelli di lana ruvida della madre e del padre gli facevano da coperta, mentre il fiato di un bue lo scaldava dal gelo della notte. Babbo Natale si avvicinò e, quando vide il sorriso del bambino, il pacchettino che teneva tra le mani gli sembrò piccolo e inutile. Stava per nasconderlo dietro la schiena quando il bambino indicò con la mano il ciuchino, e sorrise di nuovo a Babbo Natale. Il ciuchino si scrollò via le corna da renna con un raglio allegro, e si stese accanto al bue a scaldare col suo fiato il bambino nato la notte di Natale.

Quando Babbo Natale ripartì la sua slitta aveva una renna in meno, ma era così leggera e veloce che superò perfino una stella cometa. Da quel giorno non sarebbe più stato Babbo Natale, ma la gioia che aveva nel cuore l’avrebbe conservata per sempre. Tese l’orecchio e gli sembrò di sentire il raglio di un ciuchino. Si tirò la barba, diede una grattatina sotto al berretto e sorrise; quello era stato il più bel regalo di Natale.

 La letterina 
di
Daniela Perego


Caro Babbo Natale

quanti anni sono passati dall’ultima lettera? Qualche decennio.
Voglio ancora credere che tu esista, nonostante abbia superato il mezzo secolo di vita. 
Cosa chiedere? Sicuramente non beni materiali, perché sarebbe troppo costoso: un'auto nuova, una casa più grande e moderna, un viaggio o altro.
Non la solita pace nel mondo perché troppo utopistica. Il genere umano predica la pace ma non sa convivere e rispettare il prossimo. E in questo mi ci metto anch’io in quanto umana e soggetta a sbagliare.
Qualcuno ha scritto che sarebbe bello spargere la magia del Natale tutto l’anno. Credo che nel periodo natalizio non ci sia una vera magia, solamente le convezioni spingono tutti a essere diversi; indossiamo la maschera della bontà vendendo buonismo a poco prezzo.
Non fraintendermi, caro Babbo Natale, non ho perso il senno e non sono una cattiva persona (credo e lo dice chi mi conosce), solamente non vedo niente di positivo in questo tempo fatto di apparenza, egoismo, perdita di valori; tutto ciò fa presagire un futuro triste senza riscatto.
Vorrei che tu avessi il potere di piantare, in ogni essere umano, il seme della ragione, della bontà d’animo, dell’altruismo, del buonsenso; soprattutto in quelli cui il destino riserva il privilegio di essere incaricati di “muovere” i fili del comando, la saggezza, l’umiltà e l’onestà di compiere il dovere per il bene comune. Che poi dovrebbe essere anche il loro.
A me basta la salute insieme alle persone care, il lavoro che mi accompagni fino all’età della pensione, un pizzico di fortuna per quello che verrà.
Un caro saluto e se passi da queste parti troverai come sempre dei biscotti e un bicchiere di latte sul tavolo per te.
Buon viaggio.

Daniela