mercoledì 7 aprile 2021

Numero 371 - Che sia anche la notte - 7 Aprile 2021


 

Il romanzo di Lisa Luzzi, "Che sia anche la notte", è un'esperienza di lettura Macro e Micro.

Macro, perché la vicenda narrata se vista nel suo insieme restituisce al lettore - per me è stato così - una sensazione forte di solitudine umana, perché alla fine ognuno è sempre davanti a sé stesso.

Vì, l'uomo che dialoga con Alis, senza che si siano mai visti, con un atteggiamento che assomiglia a una manipolazione mentale, deve fare i conti con la sua solitudine a causa della personale pena da scontare. Prende a pugni la vita, alla deriva dentro un mare di arroganza.

Alis, donna dagli equilibri delicati, deve invece fronteggiare il personale vuoto esistenziale e diventa facile preda di un uomo che ci sa fare con le parole.

Aleggia il malessere dei due che diventa per lui uno sbattere continuamente contro le quattro pareti che lo costringono, come una falena chiusa in un barattolo di vetro. Per lei, una ricerca di un posto dove stare, un errare spostandosi tra città e città, alla ricerca della pace interiore.

Che però non arriva.

Nonostante la presenza al femminile di amiche che ascoltano sostengono, consigliano, dicono la loro, a volte con il solo risultato di confondere. Perché la verità è qualcosa che si trova da soli. A costo di rivoltare il proprio essere come un calzino, ma è l'unica strada. Scomoda? Sì. E Alison lo sa, perché percorre quella strada cosparsa di frammenti di vetro a piedi nudi.

Ma c'è anche coraggio in questa donna. Il coraggio di andare a vedere, come in una partita a poker. E come nel poker, a volte si vince, a volte si perde tutto. Ma si può sempre decidere di alzarsi dal tavolo e allontanarsi.

Un percorso interiore, quello di Alis, che si perde anche tra le vie di Trieste, città a me cara. Ho amato quelle parti del libro, perché mi sembrava di essere lì, su quel molo Audace, che per uno strano scherzo del destino è lo stesso molo dove si svolgono scene significative del mio romanzo appena terminato. Ma questo è un altro discorso.

Non voglio dire di più sulla storia, lasciando a voi lettori il piacere di scoprire se Alis riuscirà a trovare l'uscita nel labirinto dove si è perduta.

E allora passiamo al Micro.

Perché Micro? Perché questo romanzo se lo leggiamo dimenticandoci il filo da seguire, i nomi di memorizzare, la storia da fare propria nel suo evolversi, e guardiamo solo ed esclusivamente la scrittura, nascono diverse considerazioni.

Una su tutte è l'influenza della Poesia nella narrazione, specialmente nella prima parte. Si ha quasi l'impressione di leggere un Poemetto, forse per quell'andare a capo a ogni frase, quasi fosse un verso; forse per l'intensità di ogni frase/verso che diventa qualcosa da dover ricordare. Se aprissi a caso una pagina qualsiasi troverei un esempio di quanto sto dicendo.

"Non sono sola, ma a volte sento un profondo senso di solitudine e di estraneità da tutto.

Di lontananza profonda e incolmabile.

Una distanza impotente dalle cose.

Come se niente mi appartenesse.

Come se io non potessi appartenere a niente e nessuno.

Perché sono distante, da tutto e da tutti.

Un'isola sperduta in un pianeta sconosciuto.

Come se fossi stata abbandonata in un modo tanto violento e freddo da non riuscire a sentirmi mai protetta abbastanza.

Mai sicura di ciò che mi sta intorno.

Non amata.

Non voluta.

Come se il mondo intero mi fosse ostile, come se mi rifiutasse.

Soffro di quell'abbandono, primordiale, antico, irreparabile.

Di quel rifiuto, inguaribile perché ingiustificato, almeno ai miei occhi di bambina.

Perché ero troppo piccola per darmi una spiegazione.

E oggi è troppo tardi.

Quel vuoto non si potrà più riempire.

Come una malattia invisibile e incurabile."


Una poesia. Una poesia nel romanzo.

Un romanzo che è una Poesia, una Poesia che è un romanzo.

Macro e Micro.

Sicuramente un bel viaggio da fare insieme all'autrice Lisa Luzzi.


Alla prossima

dalla vostra

Stefania Convalle






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