In una bella giornata d'estate una mia carissima amica, Tania Mignani, mi ha regalato un libro: "Chi ti credi di essere?" di Alice Munro.
Quando l'ho aperto, ho letto la sua dedica che mi ha toccato il cuore.
Per questi due motivi - chi me l'ha regalato e la dedica - ho amato e amo questa opera a prescindere.
Felice, ho iniziato a leggere l'opera di questa scrittrice famosa e premiata con il Nobel nel 2013, piena di curiosità.
Devo dire che la cosa che mi ha lasciata perplessa è che si parla di questa opera come di una raccolta di racconti dove il filo conduttore è dato dal titolo: chi ti credi di essere?
Amo i racconti e ho letto il primo, ma quando ho proseguito mi sono resa conto che la storia proseguiva nel secondo, nel terzo e così via, perché si narra della vita di Rose, la protagonista, da quando è ragazzina.
Quindi la prima cosa che mi sento di dire è che quello che ho letto è un romanzo.
Mentre leggevo, pagina dopo pagina, continuavo a domandarmi se questa scrittrice fosse o no nelle mie corde. E pensavo a cosa avrei potuto scrivere in un'eventuale recensione, perché trattasi comunque di Premio Nobel.
Poi, una sorta di illuminazione mi ha servito la soluzione a questo dilemma.
Leggere questo romanzo è stato come uscire a bere un caffè con una vecchia amica, una persona che parla bene, magari - a tratti - un po' logorroica ;-) ma che riesce in qualche modo a coinvolgerti nelle vicende della sua vita.
Mi sono proprio vista seduta in qualche caffetteria, ad ascoltare le vicissitudini, le confidenze, le paure, le insicurezze, i sogni, di questa ipotetica amica.
Mi sono anche vista, a dire il vero, perdermi nelle sue chiacchiere quando i nomi diventavano tanti da ricordare, o quando lei infarciva di dettagli a volte inutili i racconti, perdendo un po' il filo del discorso, o forse farlo perdere solo a me che sorseggiavo il caffè...
Però è un'amica alla quale ti affezioni, con la quale condividi stati d'animo e quel senso di ricerca dello scopo della vita, in un perenne peregrinare nella propria esistenza.
A volte avrei voluto dirle: Ehi, non divagare, mi sto perdendo! Oppure: Ma adesso chi è tizio o caio, mi stai confondendo!
Ecco, leggere questo romanzo è stato così. Pagine che mi hanno attratta, pagine che mi hanno annoiata. Però ho avuto anche l'impressione che l'autrice si sia parecchio divertita a scrivere questa opera, non perché ci sia qualcosa da ridere, ma perché si avverte che la penna scorreva libera, come se scrivesse per raccontare la sua storia senza crearsi il minimo problema se il lettore, poi, si sarebbe perso in qualche strada laterale delle vicende narrate.
La conquista del mio cuore di lettrice non c'è stata, devo essere sincera, ma è rimasta la curiosità di leggere qualche sua successiva opera, anche solo per capire se lo stile ha subito qualche evoluzione sposando un concetto per me sacro non una parola di più non una parola di meno di quanto serve. Credo, infatti, che se ci fosse stato un leggero alleggerimento, tutto si sarebbe arricchito di maggiore pathos ed emozione, cioè di quegli ingredienti che lasciano il segno in chi legge. Almeno così la penso io.
Insomma, il Nobel a questo giro lo darei senza se e senza ma a Tania e alla dedica che ha scritto per me.
(E non scherzo).
E già che ci siamo dico anche che Tania Mignani scrittrice non ha niente di meno.
Provare per credere.
Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle
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