Siccome il 17 dicembre è una data che mi porta fortuna, lanciamo una piccola gara di riscaldamento in attesa della terza edizione del Premio Letterario Dentro L'amore che, quest'anno, sarà a cura della Edizioni Convalle :-D con un sacco di novità.
Vediamo un po', l'ultima gara di cui ho parlato è stata quella intitolata "I racconti del treno".
Cambiamo mezzo di trasporto, ma restiamo sulle rotaie che hanno un loro fascino e romanticismo.
Amo i tram.
Li ho sempre amati.
Rappresentano la mia infanzia e giovinezza.
E mi ricordano la mia Milano.
Ricordo ancora i tram con le sedute in legno: va beh, si tratta ancora del '900 neh, non fate conti strambi sulla mia età.
Quindi:
si può partecipare scrivendo un breve racconto di max 500 parole (sento già le proteste, ma vi assicuro che 500 parole bastano e avanzano per scrivere delle chicche!) che abbia protagonista il tram e i suoi passeggeri.
Inviate i vostri testi in allegato a:
steficonvalle@gmail.com
Come si vota?
Come sempre, le gare sul blog sono votate dal pubblico che esprimerà una o più preferenze sui testi pubblicati.
Scadenza per l'invio dei testi: 25 gennaio 2017.
Premiazione durante la serata del Poetry Slam, il 28 Gennaio.
Premiazione durante la serata del Poetry Slam, il 28 Gennaio.
Cosa si vince?
Surprise!
(In realtà ho lanciato questa garetta per distogliervi dalle abbuffatone natalizie;-), sono buona o no??? :-D )
La vostra
Stefania Convalle
IL
TRAM DEI RICORDI
di
Stefania Convalle
Colonna sonora
https://youtu.be/AZNwIxHiA1M
I tram di Milano sono cresciuti con me.
Periferia, fermata del 15 sotto casa.
In mezzo, una vita.
I
tram dei primi anni settanta, di quando ero bambina e la nonna veniva a prendermi per
portarmi da lei, una nonna dei cinquant'anni di una volta, quando si tingevano
i capelli di grigio azzurro e sembravano tutte delle fatine ai nostri occhi
sognanti.
Piazza
Abbiategrasso, piazza Piemonte. E poi a piedi fino a Piazzale Giulio Cesare,
dove c’era la vecchia fiera campionaria di Milano, dove la regina era la grande fontana che
c’è ancora, mentre al posto della fiera ci sono grattacieli che non riconosco
più.
E
poi ragazzina, il tram lo prendevo da sola, la nonna mi aspettava a casa. Ormai
ero grande e potevo fare quel tragitto senza paura di perdermi; senza paura,
questa è la parola chiave, altri tempi, altre realtà, il mondo non era ancora
così cattivo nella mia Milano e una ragazzina poteva affrontare quel viaggio
tranquilla, c’era il bigliettaio sul tram a verificare che tutto andasse bene. E altri nonni e nonne
a vegliare sui nipoti degli altri.
Ma gli anni passavano, il
15 era diventato un Jumbo, e io lo prendevo per andare all’appuntamento col
mio ragazzo, coi libri di scuola nello zaino di cuoio per studiare durante il tragitto. Niente
telefonino, era ancora il tempo della cornetta dal filo arrotolato e delle
telefonate ricevute a casa, quelle delle chiacchierate con le amiche, sedute per terra; e dei silenzi carichi d’amore e sospiri quando a telefonare era
lui.
E
il 15 mi portava fino al Duomo e da lì prendevo il 19 per andare non ricordo
dove, ma ricordo bene che era un tram nonno pure lui, ancora con le panche di
legno e l’anima dei nonni che nel frattempo non c’erano più.
Erano
i tram che mi portavano fino al Bar Magenta, mitico bar milanese, meta di
studenti che condividevano sogni, panini dal nome pieno di aspettative – per me
uno Speciale! – e quanto era buono con una piccola birra che profumava di
trasgressione.
Erano
i tram dei sentimenti arrivati e perduti, quelli presi al volo correndo quando
c’era ancora il fiato, quelli dei saluti prolungati dal vetro del finestrino,
quelli dei baci dati con la mano, ma anche quelli di quando si guardavano le spalle di un
amore finito allontanarsi, quelli di una lacrima asciugata con la manica del cappotto.
I
tram della mia giovinezza.
Ora
vado in macchina, sono grande e preferisco la comodità. In quella via dove
abitavo tutto è cambiato, il tram è quasi un’astronave ed è arrivata la metropolitana.
E non si è più così sicuri andando in giro.
Però,
quando ho voglia di farmi un giro tra i ricordi, lascio la macchina in qualche
posteggio e prendo il tram più vecchio di Milano, dove ritrovo i sorrisi dei
miei nonni, le mani dei miei genitori, le tenerezze dei miei vecchi amori, delle amiche di scuola, i tempi dell’avventura,
del domani dai mille sogni.
E sogno ancora.
...
IL TRAM DI BABBO NATALE
di
Daniela Perego
La neve candida copre il grigiore
della città imbiancando tetti, marciapiedi, e ovunque si posi.
Pochi giorni a
Natale, le strade illuminate, le vetrine addobbate mostrano al meglio
abiti, scarpe, prodotti di ogni genere e
soprattutto golose specialità e leccornie tipiche del periodo.
La neve cadrà
copiosa per tutta la notte e domani, come da previsione, la magica
atmosfera della festa più bella dell’anno sarà completa.
Mi dirigo alla fermata camminando a
piccoli passi per la paura di scivolare; qualche minuto dopo uno scampanellìo mi avvisa dell’arrivo del tram. Ogni giorno lo stesso percorso fino a casa, quasi sempre con le stesse persone; man mano
che il tram si allontana dal centro i passeggeri scendono fino a lasciarmi
sola per l’ultimo tratto. Capolinea,
casa e, di fronte, il deposito dei tram.
Mi piace viaggiare sulle vecchie
carrozze, da sempre ne sono affascinata: i sedili in legno, le lampadine sul
soffitto racchiuse in plafoniere di vetro, le porte che
si aprono e chiudono a scatto; la sensazione di sbandamento da seduti, dovuta
al legno, lucidissimo, sul quale a ogni frenata si scivola verso il passeggero
vicino, pur cercando stabilità puntando i piedi sul pavimento.
La neve cade fitta e si è alzato il
vento. Bloccati nel traffico siamo come isolati dal mondo esterno, non si
riesce a vedere niente dai finestrini. Qualcuno bussa forte per salire. Anche
se il regolamento lo vieta, il conducente apre la porta per far salire un signore
travestito da Babbo Natale.
Porta un piccolo sacco sulle
spalle, stivali neri, cappello con pon pon e la classica barba bianca. Penso
che, essendo fuori servizio, avrebbe potuto cambiarsi, togliersi la barba e anche quei ridicoli occhialini vecchio stile. Tutti lo guardiamo con curiosità
mista a sospetto. Mi avvicino per osservarlo meglio.
Se fosse veramente Babbo Natale? La
barba non è finta e il vestito è di stoffa buona, non è uno di quei costumi
noleggiati; viso sereno e gioviale, si guarda attorno con occhi curiosi. Il sacco
sulle spalle è pieno, chissà cosa contiene? Si parla del più e del meno ingannando
l’attesa; prendo coraggio e sparo la fatidica domanda: "Lei è Babbo Natale?"
Silenzio. Tutto gli occhi puntati
prima su di me e poi, verso il simpatico personaggio spuntato dal nulla.
Immediatamente le luci tornano a
brillare e il tram si muove quasi spontaneamente, la bufera di neve cessa e
tutti si girano per guardare all’esterno sollevati, ansiosi di raggiungere ognuno
la propria destinazione.
Come un sogno svanito anche Babbo
Natale non è più sul tram.
Gli altri sembrano non averlo mai
visto, sono tornati chi a leggere, chi a chiacchierare, mentre qualcuno già si è
preparato per scendere. Come se nulla fosse accaduto. Chiedo alla signora
accanto: "Scusi, lei ha visto scendere quel
signore travestito da Babbo Natale?"
"Chi? Cosa dice, un signore travestito
da Babbo Natale? No, cara ragazza, Babbo Natale non esiste!"
Adesso lo so. Era proprio lui.
...
VIETATO SPUTARE
di
Riccardo Simoncini
«Sputare»
«Marco, ma che dici?!»
«Sputare»
«Eh, ho sentito, ma non dire queste
cose!»
«Ma l’ho letto lì!»
«Ma che dici?!»
«Sputare»
PAF!
Il suono dello schiaffo risuona per
la cabina semivuota del tram, facendo voltare i pochi presenti. La mamma, rossa
in viso, ammonisce con fare definitivo il figlio: «A casa facciamo i conti!».
Lui ha circa sei anni, e lo sguardo
interdetto di chi subisce una punizione ingiustificata. L’espressione cambia
subito. Il labbro inferiore sporge, gli occhioni blu si riempiono di lacrime
trattenute a stento da un orgoglio giovane ma ben definito.
Sento scorrere il tram sul metallo
che disegna l’asfalto della città. Come il tratto della matita di un
disegnatore sul foglio dello schizzo preparatorio, i binari si accavallano, si
intrecciano o scorrono paralleli in cerca della loro destinazione.
Per quanto alto sia il volume della
musica in cuffia, lo sferragliare ti arriva comunque, perché lo senti dentro,
inviato dalle rotaie sghembe alle ruote d’acciaio, che lo trasmettono alle dure
panche di legno che lo portano fino a te.
A me piace.
Riconosco la mia città nelle curve
e negli avvallamenti sempre uguali di questi solchi.
Incrocio lo sguardo della donna. Le
sorrido. Cerco di farle capire che è tutto a posto, che il figlio non le ha
fatto fare una brutta figura, che il suo ruolo di educatrice non è messo in discussione.
Cercando il mio consenso e sempre
più intenzionata a mettere in chiaro la rigidità che il suo ruolo impone, si
rivolge di nuovo al piccolo e aggiunge: «Ti mando a scuola per imparare a
leggere, non per ripetere le stupidaggini che dicono i tuoi compagni».
Qualche risolino riempie
l’atmosfera della vettura. La donna sta aggravando la sua posizione e decido di
darle una mano. Non appena incrocia di nuovo il mio sguardo, con un cenno del
capo e un rapido movimento degli occhi le indico l’ultima eccellente prova di
lettura del figlio. Lei si volta, osserva e la vede.
La targhetta di metallo è proprio
sopra il finestrino, piccola ma ben lucida. Un contorno blu racchiude la
scritta ‘Vietato sputare’ e le due piccole viti arrugginite, che la fissano al legno.
Si guarda attorno e focalizza
l’attenzione sui particolari che la circondano. La vedo fissare lo sguardo
sulle panche di legno, sui listelli del pavimento, sui sostegni consunti, sui
finestrini con le guide in metallo e sulle porte a soffietto.
Il 23 è uno dei tram prodotti alla
fine degli anni venti, che ancora girano per Milano e contribuiscono a
raccontarne la storia.
Se ne rende conto. Il viso è in
fiamme.
Afferra la mano del bambino ancora
imbronciato e si fionda verso l’uscita che, come è ben chiaro a tutti, non è la
sua, parlando a voce sostenuta: «A casa, dicevo, ti devo raccontare dei tempi
in cui i nonni masticavano tabacco…»
...
FERRAGOSTO
...
Verso la città
di
Michele Fierro
Attraversare la strada, si sa, è
già difficile sotto il peso degli anni.
Per Giacomino, tuttavia, il peso sommava nove decenni di vita e di salute sempre più debole e incerta.
Guardò il traffico scorrere, davanti al suo bastone, valutandone velocità e rischio in attesa di sfidare, per una volta ancora, la sorte sulle strisce nel breve tempo che il via gli avrebbe concesso.
Il tempo di una corsa, non di rapidità ma di tragitto, un tratto certo, da un capo all'altro, in cui il suo convoglio di ossa e raucedine, avrebbe raggiunto il capolinea.
Il verde apparve e Giacomino si fece coraggio, serrò saldo il bastone e iniziò la traversata ampia e impervia per le sue poche forze.
Scorse, in un lucido barlume di intelletto, il capo opposto della strada, la lanterna del semaforo che illuminava l'uomo in movimento che l'attendeva.
Quel timido mattino d'inverno, graziato dal sole e, tuttavia, rigido di freddo, gli regalò il riflesso di un raggio abbagliante sul vecchio semaforo del tram, sopravvissuto al tempo.
"Sopravvissuto come me." - pensò Giacomino che, quel semaforo, lo aveva atteso migliaia di volte, negli anni trascorsi a condurre il tram utile a raggiungere la città.
Milano - Monza, Monza - Milano, una teoria di sogni accompagnati verso le gioie di un lavoro, di un amore e di libertà.
Vecchi sapori andati, come lui quasi, e finiti nel vaso senza fondo della memoria persa.
Quel profumo di legno e sudore che sapeva di vita e che ebbe la gioia di portare cucito addosso, fino al suo ultimo giorno di vita.
La sua corsa, adesso, era molto più modesta e pure così, per lui, rappresentava un evento di cui essere orgoglioso, proprio come allora.
Raggiunse il lato opposto della strada, vinto dalla fatica ma felice, senza aver mai staccato lo sguardo da quel semaforo.
Una linea dritta e orizzontale che, per lasciare il passo a lui, impediva la marcia a un tram che non c'era più, ormai.
Vide, trasecolando, la luce lampeggiare come esausta e senza energie e, di colpo poi, spegnersi del tutto.
Definitivamente.
La lampada aveva esaurito le sue forze e, compiuta la sua missione, aveva smesso di illuminarsi.
Giacomino ne aveva visto l'ultimo bagliore, felice per la concessione ricevuta, e fece perciò un sorriso.
E su quel sorriso restarono impietriti i passanti, accorsi a lui, mentre non potevano fare altro che guardarlo sognare.
Per sempre.
Per Giacomino, tuttavia, il peso sommava nove decenni di vita e di salute sempre più debole e incerta.
Guardò il traffico scorrere, davanti al suo bastone, valutandone velocità e rischio in attesa di sfidare, per una volta ancora, la sorte sulle strisce nel breve tempo che il via gli avrebbe concesso.
Il tempo di una corsa, non di rapidità ma di tragitto, un tratto certo, da un capo all'altro, in cui il suo convoglio di ossa e raucedine, avrebbe raggiunto il capolinea.
Il verde apparve e Giacomino si fece coraggio, serrò saldo il bastone e iniziò la traversata ampia e impervia per le sue poche forze.
Scorse, in un lucido barlume di intelletto, il capo opposto della strada, la lanterna del semaforo che illuminava l'uomo in movimento che l'attendeva.
Quel timido mattino d'inverno, graziato dal sole e, tuttavia, rigido di freddo, gli regalò il riflesso di un raggio abbagliante sul vecchio semaforo del tram, sopravvissuto al tempo.
"Sopravvissuto come me." - pensò Giacomino che, quel semaforo, lo aveva atteso migliaia di volte, negli anni trascorsi a condurre il tram utile a raggiungere la città.
Milano - Monza, Monza - Milano, una teoria di sogni accompagnati verso le gioie di un lavoro, di un amore e di libertà.
Vecchi sapori andati, come lui quasi, e finiti nel vaso senza fondo della memoria persa.
Quel profumo di legno e sudore che sapeva di vita e che ebbe la gioia di portare cucito addosso, fino al suo ultimo giorno di vita.
La sua corsa, adesso, era molto più modesta e pure così, per lui, rappresentava un evento di cui essere orgoglioso, proprio come allora.
Raggiunse il lato opposto della strada, vinto dalla fatica ma felice, senza aver mai staccato lo sguardo da quel semaforo.
Una linea dritta e orizzontale che, per lasciare il passo a lui, impediva la marcia a un tram che non c'era più, ormai.
Vide, trasecolando, la luce lampeggiare come esausta e senza energie e, di colpo poi, spegnersi del tutto.
Definitivamente.
La lampada aveva esaurito le sue forze e, compiuta la sua missione, aveva smesso di illuminarsi.
Giacomino ne aveva visto l'ultimo bagliore, felice per la concessione ricevuta, e fece perciò un sorriso.
E su quel sorriso restarono impietriti i passanti, accorsi a lui, mentre non potevano fare altro che guardarlo sognare.
Per sempre.
UNA MATTINA DISASTROSA
di
Agnese Stagnoli
Il tram numero 27 sarebbe passato
dalla sua fermata dieci minuti dopo: lui era in ritardo, non ce l'avrebbe mai
fatta a prenderlo.
"Speriamo sia in ritardo
anche il tram, stamattina." Pensò, mentre si allacciava la camicia e la
metteva alla meglio dentro i pantaloni.Uno sbaffo di schiuma da barba ancora
sull'angolo della bocca e il ciuffo ribelle che non voleva stare al suo posto.
"Domani mi raperò a zero, così avrò un
fastidio di meno!" Si ripromise. Infilò le sneakers, le allacciò in
fretta, senza curarsi di come lo faceva. Prese dall'attaccapanni il giubbotto in pelle
scamosciata, aprì la porta richiudendola alle spalle. Si precipitò lungo le
scale - ascensore fuori uso - Oggi è
proprio un giorno no, accidentaccio! Imprecò tra sé.
Per accorciare la strada attraversò di corsa il piccolo parco adiacente al condominio. Non era davvero la sua
giornata... Il bel regalo del mattino di
un cane era lì, fresco e profumato ad aspettare la sua scarpa. Gli scappò una mezza bestemmia,
mentre cercava di ripulire la scarpa tra l'erba.
Arrivò trafelato al tram che stava quasi chiudendo le porte, nel salire
inciampò nei lacci della scarpa, altra piccola imprecazione trai
denti, ma era arrivato in tempo: un vero miracolo.
Le panchine erano già tutte occupate: "Era già scritto in cielo che un posto a sedere per me oggi non era dato!"
Si appoggiò alla sbarra di ferro, ansimando
leggermente, si guardò intorno, la solita gente di ogni giorno. No, seduta di fronte a lui, con un
sorriso divertito, una ragazza lo guardava.
"Chi è questa? Mi ricorda
qualcuna ma non riesco a focalizzare chi!"
La ragazza gli sorrise, si alzò, era veramente carina con quel caschetto castano, nasino all'insù, non molto alta, ma con tutte le
curve al posto giusto. Indossava jeans attillati, una camicia con
pizzo in fondo e un corto giubbino in eco-pelle.
La ragazza gli si avvicinò, si chinò ai suoi piedi e gli
allacciò la scarpa: "Ma Mirko, ancora non hai imparato
ad allacciare le scarpe da solo? Non sei più all'asilo!"
Una risata argentina attirò
l'attenzione di tutti i passeggeri del tram. Mirko divenne paonazzo, ma poi si mise a ridere a più non posso anche
lui.
"Rosanna! La mia piccola
Rosanna, la mia compagna di avventura dell'asilo!"
No, dopotutto il brutto inizio di
giornata si era riscattato...
E, forse avrebbe avuto anche un futuro.
...
L’ULTIMA CORSA
di
Barbara Gallo
E così oggi sarebbe stata la sua ultima corsa;
la giornata sarebbe volata, già lo sapeva, tra il lento viaggiare da una
fermata all’altra, il via vai dei passeggeri e l’autista con la sua divisa blu.
Già sapeva dove sarebbe andato alla fine di
questa ultima giornata sulle rotaie, in tanti gli avevano parlato di quel
posto; una volta, anni prima, durante la convalescenza da una brutta ferita, gli
avevano anche prospettato di andare a finire là. Ma ai tempi era giovane,
spavaldo, in forze, nulla lo spaventava. Adesso, invece... No, non era paura, forse un pochino di rassegnazione, o era maliconia? In fondo, del Deposito
aveva solo sentito parlare dalla vecchia Jenny 21 e dall’amico Ralph 90; ma lui, davvero, con i suoi occhi, con i suoi fanali gialli, non lo aveva ancora visto.
Comunque sarebbe stato un cambiamento e lui non
era tipo che amasse particolarmente queste cose: come la volta in cui gli
avevano cambiato il suo outfit, sostituendo le panchette in legno con diverse
sedute più moderne (beh, lo ammetteva, quella volta era stato quasi come andare
alla spa, o almeno così immaginava che ci si sentisse
quando dei professionisti ti mettono le mani addosso e ti danno un look
totalmente diverso). Però, mamma! Quando si era specchiato la prima volta nelle
vetrine del centro, quasi non si riconosceva; e comunque aveva avuto un po’ di
fastidi inizialmente, ecco, il cambiamento era sempre un piccolo trauma! O come
l’altra volta, ora sì, gli venne in mente, in cui gli avevano addirittura
cambiato percorso di viaggio! Così, dall’oggi al domani, aveva cambiato i suoi
soci (Johnny 53 e Marcus 71, non li aveva più neanche incrociati) e anche i
passeggeri (il che, davvero, era spesso uno shock!). Per non parlare
dell’autista, quelli, ahi ahi, erano i più delicati. Con Roberto ad esempio, aveva
avuto un rapporto speciale; era davvero unico, fin quando anche lui era stato mandato in pensione.
Paul 73 tirò un bel sospiro, stiracchiò i
freni, sgranò i fanali e via, si mise al lavoro in quella splendida giornata di
settembre, con un cielo che a Milano raramente si era visto e un
profumo di fiori nell’aria che, sarà stata la sua immaginazione, sembravano
di buon auspicio per il suo domani.
...
IN TRAM A PORTA PALAZZO
di
Marilena Mascarello
Quel giorno il tram era
particolarmente affollato. Mamma mi portava in braccio come sempre, io guardavo
con occhi spalancati tutto ciò che accadeva intorno.
Avevo occhi scuri e capelli biondi, indossavo una gonnellina a fiori rosa
e una camicetta ricamata a punto smog, come usava all'epoca. Ero proprio
bellina. La mamma era un po' affaticata; un signore distinto di mezza età si
alzò e gentilmente ci offrì il posto a sedere. Io ero incuriosita, ma anche
infastidita dalla folla intorno a me, però osservavo tutto con molta serietà.
Il signore che ci aveva ceduto il posto mi sorrise e con tono di complimento
disse: "Ma che bella bionda con gli occhi neri!" Io per tutta risposta, con
aria imbronciata, mi rivolsi con un no secco e distolsi lo sguardo. Tutti risero divertiti. La mamma per anni
continuò a ricordare e a raccontare quell'episodio. Già allora stavo dimostrando il caratterino che mi avrebbe caratterizzato negli anni a venire.
Nel nostro consueto tragitto sul “16” ci accompagnava la zia; io, la mamma e lei
andavamo, una volta la settimana, al mercato di Porta Palazzo. Per comprare
cosa? Ora sorriderete: un etto di pesce, sgombro sott'olio per l'esattezza,
perché era il meno costoso; i soldi erano pochi. Era anche un
pretesto per fare un giretto in città,
in quella Torino in crescita, ma con poche auto e tante linee tramviarie. Per
molti anni mamma andò avanti a raccontare un altro episodio del quale anch'io
conservo un vago ricordo. Avevo circa quattro anni. Salimmo sul tram e io,
senza curarmi delle persone intorno a me, mi interessavo di tutto ciò che
accadeva oltre il finestrno. Non mi perdevo un particolare, ma a un tratto la
mia attenzione fu attratta da una persona che appena salita venne a mettersi
accanto a noi. La guardai, era lei, Virginia dei cani, così veniva
soprannominata. L'avevo vista alcune volte passare sotto casa mia con quattro o
cinque cani al seguito, tenuti al guinzaglio. Viveva sotto un ponte del Po,
poco lomtano da casa nostra. Una specie di barbona. Quel giorno, senza i suoi
cagnolini, era sul tram. Indossava abiti sgualciti, un vecchio cappotto
consunto e incolore l'avvolgeva. I capelli brizzolati, folti e arruffati le
incornicivano il volto scarno. La guardai negli occhi azzurri, mi osservava con
un mezzo sorriso, le sorrisi anch'io. Molte persone stavano lontano da lei
disturbate da quella presenza. Io che ero seduta, dissi sottovoce: “Mamma, facciamola sedere”. Ci alzammo e con un cenno le indicai il posto. Sentii un
flebile “Grazie, sei carina e brava”.
Il mio cuore di bambina batteva. Il tram arrivò al capolinea, anche
Virginia scese, la seguii continuando a salutarla col cenno della mano. Si
appostò in un angolo della via, sedette a terra e posò davanti a sé una
scatolina. I passanti lanciavano un'occhiata e posavano una monetina. Io e la
mamma la guardammo ancora una volta prima di inoltrarci tra le bancarelle. Il mio cuore di bambina
non sorrideva.
FRAULEIN HILDE
di
Tania Mignani
Il giovane autista del tram salutò
gentilmente la signorina Hilde e la seguì con la coda dell'occhio mentre
percorreva lentamente il corridoio per prendere posto nel solito seggiolino
vicino al finestrino. Lei si sedette compostamente lisciandosi il soprabito di
taglio elegante ma ormai consunto dagli anni. Mentre il tram ripartiva osservò
la città che si stava abbandonando alle luci della sera, sentiva ancora di più
la stanchezza e il peso degli anni, chiuse gli occhi appoggiando la testa al
freddo vetro cullata dal lento procedere del mezzo su rotaie. Passarono solo
pochi secondi e, sentendosi osservata, riaprì gli occhi. Di fronte a lei sedeva
una ragazza, strano, il tram non aveva fatto altre fermate e lei era sicura di
essere salita da sola. La ragazza la guardava sorridendo e lei rispose al suo
sorriso, aveva bellissimi occhi verdi e indossava un capellino fuori moda, si
ricordò di averne avuto uno simile da giovane. In un attimo ricordi
lontanissimi affiorarono alla mente. La città era molto diversa quando lei,
giovanissima, frequentava il conservatorio percorrendo la distanza che la
separava da casa su un tram simile a quello su cui sedeva in quel freddo
pomeriggio invernale. Jakob sedeva sul seggiolino di fronte, lo stesso su cui
era seduta la ragazza. Rimanevano in silenzio per tutto il tragitto, mentre lei
rivolgeva lo sguardo alla strada percepiva i bellissimi occhi neri di Jakob che
la fissavano per poi ritrarsi non appena lei si volgeva verso di lui
sorridendo. Scendevano insieme alla fermata più vicina alla casa di Hilde, lui
la lasciava a pochi metri dal cancello della grande villa, poi tornava quasi
correndo verso la sua abitazione in un quartiere distante dal suo. Una sera
Jakob insistette per scendere alla fermata precedente. Avevano già percorso in
silenzio un tratto di strada quando lui trattenendola per un braccio la guidò
dolcemente verso un vicolo che attraversava il
viale principale, in silenzio si fermò e guardandola negli occhi appoggiò la
bocca alla sua. Hilde, dapprima sorpresa, si abbandonò a quel bacio come fosse
la cosa che più aveva desiderato al mondo. Jakob riaprì gli occhi, la fissò per
un lungo momento e correndo si allontanò da lei. Nei giorni successivi Hilde lo
aspettò invano all'uscita del conservatorio, ma di Jakob non vi era traccia,
quindi si fece coraggio e si recò nell'ufficio del Direttore il quale, sapendo
che il padre di Hilde era un importante ufficiale della Wehrmacht, consegnò
alla ragazza l'indirizzo di Jakob. Hilde non aveva mai visto quel quartiere
dove i bambini sporchi giocavano nella strada, i cani randagi scorazzavano
liberi. Uomini e donne la osservavano sospettosi mentre lei camminava
lentamente guardandosi attorno. Alcune case che si affacciavano sulla via
avevano porte e finestre sbarrate, con la vernice bianca ben visibile qualcuno
vi aveva impresso la scritta: JUDEN.
Una di queste era all'indirizzo che
il Direttore le aveva scritto sul foglio. Rimase immobile davanti a quella
porta chiusa non sapendo che fare, si accorse di una donna affacciata alla porta
vicina. Si fece coraggio e le chiese della famiglia Weissmann. “Li hanno
portati via tutti” rispose bruscamente e ritraendosi chiuse velocemente la
porta.
Anni più tardi, quando ormai viveva
sola avendo rinnegato il padre e gli orrori di cui era stato complice, con i
risparmi delle lezioni di piano che le consentivano di mantenersi pagò una
persona specializzata in quel tipo di ricerche, ma tutto ciò che scoprì fu che
della famiglia di Jakob non c'erano stati sopravvissuti. Hilde rimase fedele
per tutti gli anni della sua vita al ricordo di quel bacio e degli occhi neri
di Jakob che la osservavano sul tram, come gli occhi di quella sconosciuta
seduta di fronte.
Quando il giovane conducente del
tram entrò nel deposito quella sera notò con la coda dell'occhio qualcosa di
scuro su un seggiolino. Avvicinandosi riconobbe il soprabito della Signorina
Hilde, vide il suo capo leggermente reclinato e con la fronte appoggiata al
finestino, gli occhi chiusi e la bocca distesa in un lieve sorriso.
...
L’ULTIMO TRAM
di
Daniela Quadri
Polvere e sudore: questa è la mia
vita. La polvere che si alza dalla strada sterrata, e il sudore che fa
luccicare i muscoli tesi, mentre scalpito con gli zoccoli ferrati nell’aria
frizzante del mattino.
Il trombettiere sta chiamando a
raccolta i cocchieri che si spintonano sul piazzale per scegliere la pariglia
migliore. Eccolo, lo vedo avvicinarsi; mi prende per le redini come se stesse
cogliendo un fiore per la sua bella, e mi attacca al tiro con un giovane
cavallo storno.
Coraggio, Margherita! Sussurra
fissandomi dritto negli occhi. Strano! Non lo fa mai; sa che mi innervosisco,
ma oggi è un giorno speciale. Mi lascio imbrigliare docilmente e rispondo
obbediente a ogni suo comando. Anch’io so cosa gli fa piacere, e mi diverto un
mondo a vedere i suoi bei baffi a manubrio fremere d’orgoglio.
È davvero elegante con la divisa
stirata di fresco e l’orologio a cipolla appeso alla catena del panciotto; lo
controlla di continuo, non vuole che ci siano ritardi, specialmente oggi.
Mi lascio guidare dalle sue mani
esperte e il mio trotto si fa fluido come i
miei pensieri; neanche io voglio che proprio oggi qualche signora in
crinolina si lamenti per gli scossoni o - peggio ancora! – che il tramway esca
dai binari, costringendo conducente e passeggeri a spingerlo per rimetterlo in
carreggiata.
Mi mancherai, Margherita! Bisbiglia
chinandosi verso il mio orecchio, mentre accosta per far salire un giovanotto
col monocolo e la fidanzata che civetta nascosta dal parasole. Anche tu mi mancherai!
Vorrei tanto rispondergli e, invece, lancio un sonoro nitrito, ma non importa,
lui mi ha capita e mi regala una manciata di carrube.
Mamma, guarda che bel cavallo! E la
bambina è già in mezzo alla strada con la manina alzata che si agita verso di
me. Una donna urla disperata strappandosi via il cappello e un’altra sviene dallo
spavento, ma a me basta sentire il suo tocco deciso sulle redini perché il morso mi blocchi all’istante.
Vieni piccola, avvicinati non aver
paura! Dice, mentre scende da cassetta e la solleva a mezz’aria: la sua voce è così
dolce che mi fa pensare a un commiato tra innamorati. Quanto vorrei non
arrivasse mai domani e che questa corsa non avesse fine! La bambina mi
accarezza e ride felice; scuoto la criniera e scaccio via mosche e pensieri.
Il capolinea è arrivato troppo in
fretta; mi riposo un po’ e lo osservo girare svelto i sedili, mentre aspetto di
essere riattaccata all’altro capo del tramway per il ritorno.
Forza bella, ancora un ultimo
sforzo! Mi incoraggia, ma ormai ho imparato a riconoscere tutte le sfumature
della sua voce, anche quel suono cupo che gli stringe la gola. Alzo il capo
verso il cielo così azzurro, così lontano. Ancora pochi chilometri, gli ultimi,
sotto un sole che ha già asciugato il mio manto lucido.
Non ci saranno più né polvere né
sudore: domani.
...
IL TRAM NELLA NEBBIA
di
Teresa Pancallo
Giulia prendeva quel tram tutte le mattine: partenza capolinea nord ore
sei, arrivo capolinea sud ore sette. Un’ora, durante la quale era solita
osservare i compagni di viaggio, soffermandosi sui tic e le piccole manie di
ciascuno.
Era un mezzo ultramoderno,
controllava automaticamente il regolare possesso del titolo di viaggio non
appena un passeggero poneva il piede dentro. E, per chi non era in regola,
erano guai seri: alla fermata successiva veniva prelevato dagli addetti,
portato al posto di vigilanza, sottoposto a minuziose verifiche sull’identità.
Nel migliore dei casi, l’operazione si concludeva con una sanzione salatissima.
Quella mattina di dicembre, oltre
al buio, una fitta nebbia impediva di vedere a un passo, e faceva un freddo
cane. Giulia si sistemò al solito posto, felice di non essere più in strada.
Alcuni passeggeri erano già su,
altri arrivavano trafelati. Per ultimo arrivò il giovane uomo elegante, con lo
smartphone sempre in mano e gli auricolari nelle orecchie. Apparteneva alla
categoria di lavoratori sempre connessi, quelli che non possono staccare mai, i
nuovi schiavi.
Il tram iniziò il suo viaggio,
procedendo silenzioso, regolare. Tagliava la nebbia con i suoi potenti fanali,
sembrava muoversi tra le nuvole. O attraverso la palude del nulla, quella de
“La storia infinita”, che tutto inghiotte. Ma, a parte Giulia, nessuno guardava
fuori per cogliere sensazioni dei questo genere.
Improvvisamente, le luci interne, i display indicanti il tragitto e le
fermate, i cellulari e gli altri dispositivi elettronici si spensero. I
passeggeri, sorpresi, cominciarono a guardarsi intorno e ad agitarsi sui loro
sedili. Cosa stava succedendo? Adesso come facevano a sapere quando era il
momento di scendere? Non si poteva neppure prenotare la fermata. Oltretutto, si
trovavano su un mezzo manovrato dalla centrale operativa, non c’era un
macchinista “umano” a cui chiedere informazioni. E intanto il tram seguitava ad
andare, come prima.
Pian piano le persone iniziarono a parlare tra loro, dapprima per commentare
quanto stava loro capitando, poi allargando la conversazione con argomenti più
personali.
Il vecchio professore,
bibliotecario volontario nel liceo dove aveva insegnato per mezzo secolo, parlò
di libri con la signora di mezza età, unica lettrice su quel convoglio; il giovane uomo sempre connesso, si
ritrovò a lamentarsi di quanto era pesante il suo lavoro, con la giovane top
model seduta al suo fianco…
Con il passare del tempo, il tram si trasformò in un simpatico salotto,
vennero scambiati sorrisi e complimenti, si scoprì come, in fondo, bastava poco
per rendere il viaggio più piacevole e per iniziare la giornata con un po’ di
buonumore.
Sul più bello, le luci si riaccesero, i cellulari ripresero a funzionare
e sui display apparve scritto: “Abbiamo condotto un esperimento sulla
comunicazione. Ringraziamo tutti per aver partecipato - anche se
inconsapevolmente – contribuendo all’ottima riuscita della prova. Ci scusiamo
per l’eventuale disagio e vi auguriamo una buona giornata”.
...
FERRAGOSTO
di
Maria Rita Sanna
Le due vecchiette parlottavano serenamente sul tram vuoto nella mattina
di ferragosto, producendo un leggero fischio per ogni “esse” pronunciata,
aggiungendosi allo sferragliare delle ruote sui binari: “Eh sì, siamo state
fortunate a sistemarci da nostra sorella per ferragosto, con questo eccessivo
caldo...ss...ss...s...s..”.
Sul tram salirono alcune persone,
ma l'aspetto e la postura lasciarono a bocca aperta le nonnine: due maschi e
due femmine, giovani fotomodelli, e con loro i fotografi. Uno di questi,
avvicinandosi alle signore, sussurrò: “Non preoccupatevi, stiamo facendo un
servizio fotografico per il famoso stilista Gregorio Alani, godetevi lo
spettacolo”, sorrise cordiale, facendo l'occhiolino.
Il tram ripartì lento, uno dei fotografi sollecitò i ragazzi: “Dai
Marco, stai vicino al finestrino con lo sguardo malinconico; tu, Sara, mettiti al
fianco del conducente e guardalo intensamente”.
Il povero conducente, confuso da tale bellezza marmorea, faticava a
guardare la strada, madido di sudore; la ragazza, durante gli scatti, cambiava
continuamente posizione, senza mai staccare gli occhi dal conducente.
La sua maglietta era troppo piccola e corta lasciando scoperto l'ombelico.
Uno dei ragazzi si bagnò i capelli,
spettinandoli e lasciandoli cadere negli occhi, con l'espressione da ribelle,
prese alcuni cubetti di ghiaccio e cominciò a strofinarseli in viso.
Scatti e flash si susseguivano senza sosta per tutto il corridoio del tram,
tra i tubi di sostegno e i seggiolini. I palazzi e i viali alberati della città
deserta scorrevano lenti attraverso i finestrini.
Il modello tutto bagnato si sedette vicino alle due vecchiette e,
togliendosi la canottiera, sorridendo disse: “Abbiamo finito”.
La donna al suo fianco prese un
fazzoletto dalla borsa e con mano tremante ma determinata, rispondendo “Scusi,
posso?”, iniziò ad asciugargli il volto, partendo dalla fronte alta, scendendo
sugli occhi grandi e nocciola, spostandosi agli zigomi pronunciati, verso le
guance scavate e il mento con la fossetta. “Eh sì, sei tutto bagnato”, la donna
parlava sottovoce con la “esse” che comunque sibilava, meravigliata da tale
bellezza; continuò la sua segreta perlustrazione, sulle fasce muscolari dalla spalla
fino ai pettorali, fermandosi all'ombelico.
Il ragazzo, tuttavia, approfittò di
queste premure, ricordando sua madre lontana che non vedeva da tanto tempo. “Mi
dica signora, le ricordo suo figlio?”, le disse il giovane.
“Oh no, io sono
single!” rispose lei.
...
HO SMESSO DI ASPETTARE IL TRAM
di
Carmen Gulino
Ho smesso di aspettare il tram, non
lo aspetto più. E perché mai dovrei aspettarlo, se “il tram” sono io?
Sono un tram vecchio stile e le mie
carrozze sono un po’ obsolete. Anni di onorato
servizio, sempre esposto a qualsiasi
tipo di agente atmosferico: sole, pioggia, caldo, freddo, ghiaccio, neve; è normale che la mia carrozzeria sia rovinata e in qualche punto anche arrugginita; è
normale che dopo tutto questo frenetico movimento, correndo sempre avanti e
indietro, il mio motore si sia consumato, soprattutto nelle giunture, là
dove il movimento si fa più insistente e ripetitivo.
La mia vita l’ho trascorsa sempre
su questi binari. Binari disegnati da qualcun altro su un percorso predefinito.
Binari che si intersecano con altri, che si affiancano, si superano, ma senza
mai uscire dal tracciato. Ecco, lo ammetto, sono un tram molto noioso… Non so
cosa voglia dire “uscire dagli schemi”. Mai una volta che abbia preso una
sbandata, che sia passato col rosso, o che sia uscito fuori dai binari. Sempre
ligio al compito che mi era stato affidato.
Fin da quando uscii fuori dal
deposito per la prima volta, ho sempre rispettato le regole che mi avevano
detto essere quelle giuste. Le regole le fanno sempre gli altri per te, e poi
te le raccontano in modo che tu ti convinca che quella sia la verità assoluta.
Sono stato un tram molto diligente
e le regole le ho sempre applicate senza ribellarmi, non perché sia un debole,
ma perché ho sempre pensato che fosse
giusto farlo. Ho sempre messo passione nelle cose che facevo, scarrozzando ogni
giorno decine e decine di passeggeri distratti.
Li ho sempre accolti con un sorriso quando salivano alle fermate disseminate
lungo il percorso. Ho sempre sorriso, anche quando c’era un passeggero che non pagava
il biglietto: non mi sono mai rifiutato di trasportarlo, anzi gli ho lasciato
credere di essere più furbo degli altri e di me, ma di lui non ho mai avuto
molta fiducia.
Mi hanno sempre detto che se avessi
avuto pazienza, un giorno avrei incontrato il tram della mia vita. Per anni ho
atteso che quel tram arrivasse, e una volta ho persino avuto la sensazione che il
tram che avevo di fianco fosse quello giusto, salvo poi accorgermi che non
eravamo fatti per viaggiare sugli stessi binari, correvamo a velocità
diverse e avevamo mete troppo lontane
tra loro.
E così, dopo aver preso qualche “tranvata”,
oggi sono qui a riflettere su come cambiare il mio percorso; ho deciso che non voglio più viaggiare sui binari disegnati da altri,
voglio essere io il protagonista dei miei viaggi e decidere quali strade
solcare. Non voglio più aspettare che “un tram” passi, bensì essere io “il tram” che gli altri stanno aspettando.
E se incontrerò alla fermata qualche
passeggero che vuol raggiungere la stessa mia meta, sarò felice di condividere
il mio viaggio con lui. Potrà salire sulle mie carrozze e io lo accoglierò... “a
porte aperte”.
Non mi fai paura, non ti ho mai
temuto, non so neppure perché piaci tanto ai miei concittadini.
IL TRAM E LA SCIGHERA ( nebbia)
una storia di qualche anno fa ma anche di oggi
di
Sergio Bertinelli
Celi tutto, senza distinguere ciò
che va mostrato da ciò che va nascosto, senza operare scelte.
Come si può vivere senza decidere, quando la vita stessa è una continua inevitabile scelta. Scendi e copri tutto e
tutti, indistintamente.
So bene che non mi temi, perché
dovresti? Hai la tua strada, sempre uguale, segnata ormai da tanti anni, sempre
identica; non invidi i bus che possono cambiare rotta, evitare scontri,
iniziare nuovi percorsi?
Sempre la stessa strada!
C’è una bellezza anche in questo,
sai? Ripercorrere la stessa strada ogni giorno, diventando sempre una cosa
diversa, pur con le stesse persone, stesse abitudini, stesse certezze.
Oggi è salito un ragazzo nuovo, non
l’avevo mai visto, pareva anche non avere fretta, non come i soliti pendolari
che ospito.
Non l’avevo visto neppure io, ma sai, non si vede sempre tutto con me.
Da quale pulpito mi dici di non
scegliere!
Scegli forse la tue strada? Non lo
fai mai! Qualcuno l’ha già fissata, con due rotaie che non possono cambiare e
ti portano verso sempre identici percorsi.
Il ragazzo ha lasciato la borsa, te
ne sei accorto?
Non è proprio una borsa, è uno
zainetto, si vede che non hai a che fare con i ragazzi, sempre sbattuti ovunque
questi zaini, a volte me li lasciano, sperando di trovarli il giorno seguente; ma
non so se domani troverà qualcosa, con tutta questa gente, qualcuno se ne
approfitterà di certo.
È bello vederli ridere, scherzare,
con tutto quel tempo a loro disposizione, neppure se ne rendono conto! Tutta
quell’energia che si intravede dai loro occhi, dai loro discorsi, sempre a
chiedere conferme per sconfiggere la paura di non essere accettati, di non
essere sicuri di cosa vuol dire vivere.
Ne ho incontrati tanti anch’io di
ragazzi, non credere, ragazzi che vagano, immersi nella mia coltre, sopiti come
solo io so sopire, quando creo quel paesaggio magico nel quale si possono percepire le cose che, senza di me, non si possono vedere, dando modo di sentire, di sognare, cercare senza vedere ma immaginando tutto quello che c’è
da immaginare.
È questa la mia virtù, non quella
di coprire, sciocco tram, ma di far immaginare, di far percepire spazi e luoghi
mai visti anche se conosciuti da sempre, tu non riusciresti mai!
Sei sicuro che abbia dimenticato lo
zaino? continua a guardare l’orologio, senza preoccuparsi di recuperarlo,
strano ragazzo.
Certo, immaginare è l’unica cosa
che rimane a uno che non vede neppure cosa abbia sotto il proprio naso, grazie
alla tua coltre, ma è la stessa cosa di quando, stanchi, i pendolari guardano
fuori dal mio finestrino il mondo che scorre loro intorno.
Da spettatori, solo ora passivi,
possono guardare quello che succede e immaginare la cosa che più gli piace: che quella ragazza che hanno intravisto stia proprio guardando nei
loro occhi pregandoli di scendere per portarsela via, o che la donna gravida
abbia il loro bimbo nel grembo, o che quell’uomo stia cercando proprio un ballerino
come il manager che lo sta guardando, seduto al caldo della mia carrozza.
Noooo! E' salito il solito tossico,
ora darà fastidio a tutti!
Sta prendendo proprio lo zaino del
ragazzo, non ci voleva, proprio sul mio tram.
Doveva stare più attento, guarda
che scaltro il tuo tossico, è sceso subito così da poter controllare, al
sicuro, il contenuto del bottino appena trovato, peccato per il ragazzo, pensa
che sta sempre guardando l’orologio!
Io sono arrivato al capolinea, piazza Fontana, proprio oggi, 12 dicembre, sono quarantasette anni da quella bomba nella
banca dell’agricoltura.
Pensa quanti sogni, quanta
sofferenza, come sono strani gli uomini:
sempre intenti a farsi del male, ignorando che l’amore potrebbe renderli tutti
più felici e più nobili.
Scusa sto guardando cosa
sta facendo il tossico, si è infrattato in un sottoscala lasciato aperto, con lo zaino in
spalla, che malandrino.
Ricordo bene quell’episodio, è
stato tutto, molto molto, triste.
Ma cos’è stato quel botto? L’ho
sentito persino nelle rotaie!
Sto vedendo un ragazzo che sorride,
convinto di aver mietuto delle vittime con la sua bomba, ignaro, invece di aver
divelto un sottoscala e ucciso un tossico che, suo malgrado, ha protetto i
cittadini di questa Milano, che non se ne sono neppure accorti.
Come sempre...ci sarò.
RispondiEliminaLo so di poter contare su di te :-)))
EliminaSiccome su un tram non ci solo mai salita, posso fare che uno ci rimane sotto? :)))). Scherzo, qualcosa troverò
RispondiEliminaTi ci porto io, quando vieni :-)
EliminaCi proverò ! :-)
RispondiEliminaBrava!! :-)
Eliminainteressante....
RispondiElimina;-)
EliminaSogna Stefania, continua a sognare su un tram vecchio stile. Anch'io amo i tram di una volta, con le sedute in legno che ad ogni frenata facevano scivolare un pochino addosso al vicino; legno lucidissimo e spalle al finestrino. Come adesso dovremmo dare le spalle a questo mondo per non vedere....e poter continuare a sognare.
RispondiEliminaSognare, sempre!!!!
EliminaChe bei ricordi Stefania sembrava di essere lì tra quelle strade e piazze. 💜♡♡
RispondiEliminaBei ricordi, sì, anche se velati di malinconia (e questa frase va ad aggiungersi a quelle OUT come "il profumo del pane appena sfornato" :-D )
EliminaComunque mi fa piacere di aver trasmesso la sensazione che vi ha permesso di "vedere" vie e piazze :-))
Baci!
Babbo Natale esiste e ci salva dalla bufera e da chi non crede in lui.
RispondiEliminaBel racconto Daniela Perego 😊
Grazie Maria Rita....una piccola speranza di salvezza in questo mondo che va a rotoli. ..
EliminaCara Stefania quanti ricordi! Eh si perché abitando vicine , come tu ben sai, i tuoi ricordi, sono i miei ricordi! Dolci e cari ricordi! Grazie Stefi per avermeli riportati alla memoria!
RispondiEliminaCara Daniela Perego, bellissimo il tuo tram dei desideri con Babbo Natale e la suggestione della neve!
RispondiEliminaGrazie Tiziana in realtà si è scritto da solo...sarà la magia del Natale ormai alle porte?
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaMolto originale il racconto di Riccardo Simoncini, un altro pezzo di storia del mitico Gamba de Legn!
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaBel racconto Riccardo Simoncini. ..ne ho presi tanti di tram con quella scritta. ..belli i tram "vecchi"...
RispondiEliminaBuon Natale a te e famiglia 🎅
Voto Riccardo Simoncini.
RispondiEliminaHo fatto in tempo, anch'io, a leggere quel cartello. Ahimè.
Michele Fierro
Voto Riccardo Simoncini. Un tratto di vita vera, quotidiana...
RispondiEliminaVoto
RispondiEliminaVerso la città
Di Michele Fierro
A Bologna una volta c'erano i "filobus": una via "di mezzo" tra autobus e tram. Mi ricordano il Natale, i pomeriggi in cui proprio sul filobus raggiungevo, insieme a mia mamma, il centro per le spese natalizie. Voto quindi il racconto di Daniela Perego sul tram di Babbo Natale.
RispondiEliminaGrazie Tania.
EliminaGrazie Tania.
EliminaBella lettura, la ferraglia che prende vita.
RispondiEliminaMi piace "L'Ultima Corsa" di Barbara Rooster Gallo
Michele Fierro
Voto l'Ultima Corsa di Barbara Gallo, piacevolmente malinconico.
RispondiEliminaSilvia
Barbara Gallo top!
RispondiEliminaMa che belli questi racconti. Tutti.
RispondiEliminaLa tristezza di Michele Fierro, un nuovo "inizio" per Barbara Gallo ed un dolce ricordo di Marilena.
Anche il tram di Agnese Stagnoli dopo un brusco avvio lascia sperare in una corsa tranquilla sui binari del destino.
Proprio una bella raccolta.
Bravi.
Auguri a tutti di Buon Anno.
Voto il tram del futuro di Teresa Pancallo.
RispondiEliminaUn voto anche al tram di Babbo Natale di Daniela Perego per aver saputo trasmettere la magia dell'attesa ed il sogno di aver visto il mitico personaggio.
RispondiEliminaVoto "FRAULEIN HILDE" di Tania Mignani!
RispondiEliminaVoto L'ultimo tram di Daniela Quadri
RispondiEliminaVoto il racconto di Daniela Quadri perché la cavalla è così vera che sembra proprio che parli
RispondiEliminaVoto Fraulhein Holden di Tania Mignari. Il ricordo malinconico di un amore tradito dalla guerra scritto con dolcezza e poesia nelle descrizioni dei particolari.
RispondiEliminaFraulein Hilde. ...
RispondiEliminaVoto Fraulhein Holden di Tania Mignari. Il ricordo malinconico di un amore tradito dalla guerra scritto con dolcezza e poesia nelle descrizioni dei particolari.
RispondiEliminaVoto L'ultima corsa di Barbara Gallo.
RispondiEliminaVoto il racconto di Quadri
RispondiEliminaMa come si fa a scegliere? Sono tutti così pieni di tenerezza, di nostalgia, di amore... Io li voto tutti! Teresa
RispondiEliminaVoto il racconto di Barbara Gallo. Immedesimarsi nel tram e nei suoi pensieri da ultima corsa è un punto di vista intenso e magico.
RispondiEliminaValentina
Voto L'ultimo tram di Daniela Quadri. Tenero il feeling tra animale e uomo.
RispondiEliminaMaurizio Boniardi
Voto Tania Mignani.
RispondiEliminaMolto bello anche il tuo breve racconto, Stefi.
Voto tutti i racconti perché, anche se per aspetti diversi, sono tutti meritevoli. Buona Befana a tutti!
RispondiEliminaGrazie Dani 😘
EliminaSono stata letteralmente rapita dalla lettura di tutti questi racconti. Ognuno bello a modo suo, e tutti originali. Mi sono immedesimata in ognuno di quei viaggi.
RispondiEliminaVoto il racconto Fraulein Hilde di Tania Mignani perchè mi ha particolarmente emozionato...ma se potessi li voterei tutti!
Carmen
Io voto l'ultimo tram di Daniela quadri
RispondiEliminaVoto i seguenti racconti :
RispondiEliminaMichele Fierro
Daniela Quadri
Marilena Mascarello
Tania Mignani
Non sarebbe corretto votarli tutti ma in ognuno c'è una speciale atmosfera
L'ultimo tram di Daniela Quadri mi ha dato l'impressione di un cortometraggio da film muto. Mi è piaciuta l'atmosfera e lo voto.
RispondiEliminaUna bella sorpresa il tram di Ferragosto di Maria Rita Sanna.
RispondiEliminaUn voto per lei.
Voto per Mascarello Marilena per l'emozione del ricordo
RispondiEliminaMa come si fa a scegliere?! Sono tutti unici nel loro genere.
RispondiEliminaVoto per tutti!!!
Marilena, scegline qualcuno, perché votare per tutti non serve a nessuno!! ;-)
EliminaVoto per Marilena Mascarello!emozionante
RispondiEliminaOk... Allora voto per il tram di Daniela Perego, perchè Babbo Natale è sempre una bella magia a cui abbandonarsi. Voto per Maria Rita Sanna,un bel racconto simpatico, un'idea orignale, brava. Infine voto per l'ultima corsa di Barbara Gallo, mi piace il tram che prende vita, bello!
RispondiEliminaGrazie Marilena
EliminaHo aspettato fino ad oggi per votare perché volevo prima poterli leggere tutti. Sono tutti davvero molto belli, e non tanto per dire, ciascuno a modo suo, con uno stile diverso fa evocare paesaggi, sogni, emozioni e allora come si fa a votare? Siccome non si può e non sarebbe giusto votarli tutti, voto il racconto di Stefania Convalle perché mi ha fatto rivivete momenti della mia infanzia e adolescenza ... complimenti a tutti comunque e devo dire che c'è tanto materiale per la neonascente Edizioni Convalle !
RispondiEliminaHo aspettato fino ad oggi per votare perché volevo prima poterli leggere tutti. Sono tutti davvero molto belli, e non tanto per dire, ciascuno a modo suo, con uno stile diverso fa evocare paesaggi, sogni, emozioni e allora come si fa a votare? Siccome non si può e non sarebbe giusto votarli tutti, voto il racconto di Stefania Convalle perché mi ha fatto rivivete momenti della mia infanzia e adolescenza ... complimenti a tutti comunque e devo dire che c'è tanto materiale per la neonascente Edizioni Convalle !
RispondiEliminaUn voto al tram di Carmen Gulino
RispondiEliminaStefi mi ha detto che il suo racconto è fuori concorso allora voto: Il Tram di Babbo Natale di Daniela Perego, Vietato sputare di Carlo Simoncini e il Tram nella nebbia di Teresa Pancallo.
RispondiEliminaGrazie mille Tiziana. Un saluto da Monza
EliminaVoto il racconto di Daniela Perego e Daniela Quadri
RispondiEliminaGrazie, Giovanna! 😊
RispondiEliminaGrazie mille Giovanna
RispondiElimina