Seduti allo stesso tavolo

Seduti allo stesso tavolo
Il nuovo romanzo di Stefania Convalle, sul mondo dell'editoria.

sabato 17 dicembre 2016

Numero 260 - Garetta di riscaldamento ;-) - 17 Dicembre 2016



Siccome il 17 dicembre è una data che mi porta fortuna, lanciamo una piccola gara di riscaldamento in attesa della terza edizione del Premio Letterario Dentro L'amore che, quest'anno, sarà a cura della Edizioni Convalle :-D con un sacco di novità.

Vediamo un po', l'ultima gara di cui ho parlato è stata quella intitolata "I racconti del treno".

Cambiamo mezzo di trasporto, ma restiamo sulle rotaie che hanno un loro fascino e romanticismo.



Amo i tram.
Li ho sempre amati.
Rappresentano la mia infanzia e giovinezza.
E mi ricordano la mia Milano.

Ricordo ancora i tram con le sedute in legno: va beh, si tratta ancora del '900 neh, non fate conti strambi sulla mia età.


Quindi:
si può partecipare scrivendo un breve racconto di max 500 parole (sento già le proteste, ma vi assicuro che 500 parole bastano e avanzano per scrivere delle chicche!) che abbia protagonista il tram e i suoi passeggeri.

Inviate i vostri testi in allegato a:
steficonvalle@gmail.com

Come si vota?
Come sempre, le gare sul blog sono votate dal pubblico che esprimerà una o più preferenze sui testi pubblicati.

Scadenza per l'invio dei testi: 25 gennaio 2017.

Premiazione durante la serata del Poetry Slam, il 28 Gennaio.

Cosa si vince?

Surprise!

(In realtà ho lanciato questa garetta per distogliervi dalle abbuffatone natalizie;-), sono buona o no??? :-D )

La vostra 
Stefania Convalle



Parto io?? 




IL TRAM DEI RICORDI
di
Stefania Convalle
Colonna sonora
https://youtu.be/AZNwIxHiA1M

I tram di Milano sono cresciuti con me. Periferia, fermata del 15 sotto casa. 
In mezzo, una vita.

I tram dei primi anni settanta, di quando ero bambina e la nonna veniva a prendermi per portarmi da lei, una nonna dei cinquant'anni di una volta, quando si tingevano i capelli di grigio azzurro e sembravano tutte delle fatine ai nostri occhi sognanti.
Piazza Abbiategrasso, piazza Piemonte. E poi a piedi fino a Piazzale Giulio Cesare, dove c’era la vecchia fiera campionaria di Milano,  dove la regina era la grande fontana che c’è ancora, mentre al posto della fiera ci sono grattacieli che non riconosco più.

E poi ragazzina, il tram lo prendevo da sola, la nonna mi aspettava a casa. Ormai ero grande e potevo fare quel tragitto senza paura di perdermi; senza paura, questa è la parola chiave, altri tempi, altre realtà, il mondo non era ancora così cattivo nella mia Milano e una ragazzina poteva affrontare quel viaggio tranquilla, c’era il bigliettaio sul tram a verificare  che tutto andasse bene. E altri nonni e nonne a vegliare sui nipoti degli altri.

Ma gli anni passavano, il 15 era diventato un Jumbo, e io lo prendevo per andare all’appuntamento col mio ragazzo, coi libri di scuola nello zaino di cuoio per studiare durante il tragitto. Niente telefonino, era ancora il tempo della cornetta dal filo arrotolato e delle telefonate ricevute a casa, quelle delle chiacchierate con le amiche, sedute per terra; e dei silenzi carichi d’amore e sospiri quando a telefonare era lui.

E il 15 mi portava fino al Duomo e da lì prendevo il 19 per andare non ricordo dove, ma ricordo bene che era un tram nonno pure lui,  ancora con le panche di legno e l’anima dei nonni che nel frattempo non c’erano più.
Erano i tram che mi portavano fino al Bar Magenta, mitico bar milanese, meta di studenti che condividevano sogni, panini dal nome pieno di aspettative – per me uno Speciale! – e quanto era buono con una piccola birra che profumava di trasgressione.
Erano i tram dei sentimenti arrivati e perduti, quelli presi al volo correndo quando c’era ancora il fiato, quelli dei saluti prolungati dal vetro del finestrino, quelli dei baci dati con la mano, ma anche quelli di quando si guardavano le spalle di un amore finito allontanarsi, quelli di una lacrima asciugata con la manica del cappotto.
I tram della mia giovinezza.

Ora vado in macchina, sono grande e preferisco la comodità. In quella via dove abitavo tutto è cambiato, il tram è quasi un’astronave ed è arrivata la metropolitana. E non si è più così sicuri andando in giro.
Però, quando ho voglia di farmi un giro tra i ricordi, lascio la macchina in qualche posteggio e prendo il tram più vecchio di Milano, dove ritrovo i sorrisi dei miei nonni, le mani dei miei genitori, le tenerezze dei miei vecchi amori, delle amiche di scuola, i tempi dell’avventura, del domani dai mille sogni.

E sogno ancora.
...


IL TRAM DI BABBO NATALE
di
Daniela Perego

La neve candida copre il grigiore della città imbiancando tetti, marciapiedi, e ovunque si posi. 
Pochi giorni a Natale, le strade illuminate, le vetrine addobbate mostrano al meglio abiti,  scarpe, prodotti di ogni genere e soprattutto golose specialità e leccornie tipiche del periodo. 
La neve cadrà copiosa per tutta la notte e domani, come da previsione, la magica atmosfera della festa più bella dell’anno sarà completa.

Mi dirigo alla fermata camminando a piccoli passi per la paura di scivolare; qualche minuto dopo uno scampanellìo mi avvisa dell’arrivo del tram. Ogni giorno lo stesso percorso fino a casa,  quasi sempre con le stesse persone; man mano che il tram si allontana dal centro i passeggeri scendono fino a lasciarmi sola  per l’ultimo tratto. Capolinea, casa e, di fronte, il deposito dei tram.
Mi piace viaggiare sulle vecchie carrozze, da sempre ne sono affascinata: i sedili in legno, le lampadine sul soffitto racchiuse in plafoniere di vetro, le porte che si aprono e chiudono a scatto; la sensazione di sbandamento da seduti, dovuta al legno, lucidissimo, sul quale a ogni frenata si scivola verso il passeggero vicino, pur cercando stabilità puntando i piedi sul pavimento.

La neve cade fitta e si è alzato il vento. Bloccati nel traffico siamo come isolati dal mondo esterno, non si riesce a vedere niente dai finestrini. Qualcuno bussa forte per salire. Anche se il regolamento lo vieta, il conducente apre la porta per far salire un signore  travestito da Babbo Natale.
Porta un piccolo sacco sulle spalle, stivali neri, cappello con pon pon e la classica barba bianca. Penso che, essendo fuori servizio, avrebbe potuto cambiarsi, togliersi la barba e anche quei ridicoli occhialini vecchio stile. Tutti lo guardiamo con curiosità mista a sospetto. Mi avvicino per osservarlo meglio.
Se fosse veramente Babbo Natale? La barba non è finta e il vestito è di stoffa buona, non è uno di quei costumi noleggiati; viso sereno e gioviale, si guarda attorno con occhi curiosi. Il sacco sulle spalle è pieno, chissà cosa contiene? Si parla del più e del meno ingannando l’attesa; prendo coraggio e sparo la fatidica domanda: "Lei è Babbo Natale?"
Silenzio. Tutto gli occhi puntati prima su di me e poi, verso il simpatico personaggio spuntato dal nulla.
Immediatamente le luci tornano a brillare e il tram si muove quasi spontaneamente, la bufera di neve cessa e tutti si girano per guardare all’esterno sollevati, ansiosi di raggiungere ognuno la propria destinazione.
Come un sogno svanito anche Babbo Natale non è più sul tram.
Gli altri sembrano non averlo mai visto, sono tornati chi a leggere, chi a chiacchierare, mentre qualcuno già si è preparato per scendere. Come se nulla fosse accaduto. Chiedo alla signora accanto: "Scusi, lei ha visto scendere quel signore travestito da Babbo Natale?"
"Chi? Cosa dice, un signore travestito da Babbo Natale? No, cara ragazza, Babbo Natale non esiste!"

Adesso lo so. Era proprio lui.


...


VIETATO SPUTARE
di
Riccardo Simoncini

«Sputare»
«Marco, ma che dici?!»
«Sputare»
«Eh, ho sentito, ma non dire queste cose!»
«Ma l’ho letto lì!»
«Ma che dici?!»
«Sputare»
PAF!
Il suono dello schiaffo risuona per la cabina semivuota del tram, facendo voltare i pochi presenti. La mamma, rossa in viso, ammonisce con fare definitivo il figlio: «A casa facciamo i conti!».
Lui ha circa sei anni, e lo sguardo interdetto di chi subisce una punizione ingiustificata. L’espressione cambia subito. Il labbro inferiore sporge, gli occhioni blu si riempiono di lacrime trattenute a stento da un orgoglio giovane ma ben definito.

Sento scorrere il tram sul metallo che disegna l’asfalto della città. Come il tratto della matita di un disegnatore sul foglio dello schizzo preparatorio, i binari si accavallano, si intrecciano o scorrono paralleli in cerca della loro destinazione.
Per quanto alto sia il volume della musica in cuffia, lo sferragliare ti arriva comunque, perché lo senti dentro, inviato dalle rotaie sghembe alle ruote d’acciaio, che lo trasmettono alle dure panche di legno che lo portano fino a te.
A me piace.
Riconosco la mia città nelle curve e negli avvallamenti sempre uguali di questi solchi.

Incrocio lo sguardo della donna. Le sorrido. Cerco di farle capire che è tutto a posto, che il figlio non le ha fatto fare una brutta figura, che il suo ruolo di educatrice non è messo in discussione.
Cercando il mio consenso e sempre più intenzionata a mettere in chiaro la rigidità che il suo ruolo impone, si rivolge di nuovo al piccolo e aggiunge: «Ti mando a scuola per imparare a leggere, non per ripetere le stupidaggini che dicono i tuoi compagni».
Qualche risolino riempie l’atmosfera della vettura. La donna sta aggravando la sua posizione e decido di darle una mano. Non appena incrocia di nuovo il mio sguardo, con un cenno del capo e un rapido movimento degli occhi le indico l’ultima eccellente prova di lettura del figlio. Lei si volta, osserva e la vede.
La targhetta di metallo è proprio sopra il finestrino, piccola ma ben lucida. Un contorno blu racchiude la scritta ‘Vietato sputare’ e le due piccole viti arrugginite, che la fissano al legno.
Si guarda attorno e focalizza l’attenzione sui particolari che la circondano. La vedo fissare lo sguardo sulle panche di legno, sui listelli del pavimento, sui sostegni consunti, sui finestrini con le guide in metallo e sulle porte a soffietto.
Il 23 è uno dei tram prodotti alla fine degli anni venti, che ancora girano per Milano e contribuiscono a raccontarne la storia.
Se ne rende conto. Il viso è in fiamme.
Afferra la mano del bambino ancora imbronciato e si fionda verso l’uscita che, come è ben chiaro a tutti, non è la sua, parlando a voce sostenuta: «A casa, dicevo, ti devo raccontare dei tempi in cui i nonni masticavano tabacco…»


...


Verso la città
di
Michele Fierro

Attraversare la strada, si sa, è già difficile sotto il peso degli anni.
Per Giacomino, tuttavia, il peso sommava nove decenni di vita e di salute sempre più debole e incerta.
Guardò il traffico scorrere, davanti al suo bastone, valutandone velocità e rischio in attesa di sfidare, per una volta ancora, la sorte sulle strisce nel breve tempo che il via gli avrebbe concesso.
Il tempo di una corsa, non di rapidità ma di tragitto, un tratto certo, da un capo all'altro, in cui il suo convoglio di ossa e raucedine, avrebbe raggiunto il capolinea.
Il verde apparve e Giacomino si fece coraggio, serrò saldo il bastone e iniziò la traversata ampia e impervia per le sue poche forze.
Scorse, in un lucido barlume di intelletto, il capo opposto della strada, la lanterna del semaforo che illuminava l'uomo in movimento che l'attendeva.
Quel timido mattino d'inverno, graziato dal sole e, tuttavia, rigido di freddo, gli regalò il riflesso di un raggio abbagliante sul vecchio semaforo del tram, sopravvissuto al tempo.
"Sopravvissuto come me." - pensò Giacomino che, quel semaforo, lo aveva atteso migliaia di volte, negli anni trascorsi a condurre il tram utile a raggiungere la città.
Milano - Monza, Monza - Milano, una teoria di sogni accompagnati verso le gioie di un lavoro, di un amore e di libertà.
Vecchi sapori andati, come lui quasi, e finiti nel vaso senza fondo della memoria persa.
Quel profumo di legno e sudore che sapeva di vita e che ebbe la gioia di portare cucito addosso, fino al suo ultimo giorno di vita.
La sua corsa, adesso, era molto più modesta e pure così, per lui, rappresentava un evento di cui essere orgoglioso, proprio come allora.
Raggiunse il lato opposto della strada, vinto dalla fatica ma felice, senza aver mai staccato lo sguardo da quel semaforo.
Una linea dritta e orizzontale che, per lasciare il passo a lui, impediva la marcia a un tram che non c'era più, ormai.
Vide, trasecolando, la luce lampeggiare come esausta e senza energie e, di colpo poi, spegnersi del tutto.
Definitivamente.
La lampada aveva esaurito le sue forze e, compiuta la sua missione, aveva smesso di illuminarsi.
Giacomino ne aveva visto l'ultimo bagliore, felice per la concessione ricevuta, e fece perciò un sorriso.
E su quel sorriso restarono impietriti i passanti, accorsi a lui, mentre non potevano fare altro che guardarlo sognare.
Per sempre.





UNA MATTINA DISASTROSA
di
Agnese Stagnoli

Il tram numero 27 sarebbe passato dalla sua fermata dieci minuti dopo: lui era in ritardo, non ce l'avrebbe mai fatta a prenderlo.
"Speriamo sia in ritardo anche il tram, stamattina." Pensò, mentre si allacciava la camicia e la metteva alla meglio dentro i pantaloni.Uno sbaffo di schiuma da barba ancora sull'angolo della bocca e il ciuffo ribelle che non voleva stare al suo posto.
"Domani mi raperò a zero, così avrò un fastidio di meno!" Si ripromise. Infilò le sneakers, le allacciò in fretta, senza curarsi di come lo  faceva. Prese dall'attaccapanni il giubbotto in pelle scamosciata, aprì la porta richiudendola alle spalle. Si precipitò lungo le scale -  ascensore fuori uso -  Oggi è proprio un giorno no, accidentaccio! Imprecò tra sé.
Per accorciare la strada attraversò di corsa il piccolo parco adiacente al condominio. Non era davvero la sua giornata... Il bel regalo del mattino di un cane era lì, fresco e profumato ad aspettare la sua scarpa. Gli scappò una mezza bestemmia, mentre cercava di ripulire la scarpa tra l'erba.
Arrivò trafelato al tram che  stava quasi chiudendo le porte, nel salire  inciampò nei lacci della scarpa, altra piccola imprecazione trai denti, ma era arrivato in tempo: un vero miracolo.
Le panchine erano già tutte occupate: "Era già scritto in cielo che un posto a sedere per me oggi non era dato!"
Si appoggiò alla sbarra di ferro, ansimando leggermente, si guardò intorno, la solita gente di ogni giorno. No, seduta di fronte a lui, con un sorriso divertito, una ragazza lo guardava.
"Chi è questa? Mi ricorda qualcuna ma non riesco a focalizzare chi!"
La ragazza gli sorrise, si alzò, era veramente carina con quel caschetto castano, nasino all'insù, non molto alta, ma con tutte le curve al posto giusto. Indossava jeans attillati, una camicia con pizzo in fondo e un corto giubbino in eco-pelle.
La ragazza gli  si avvicinò, si chinò ai suoi piedi e gli allacciò la scarpa: "Ma Mirko, ancora non hai imparato ad allacciare le scarpe da solo? Non sei più all'asilo!"
Una risata argentina attirò l'attenzione di tutti i passeggeri del tram. Mirko divenne paonazzo, ma poi si mise a ridere a più non posso anche lui.
"Rosanna! La mia piccola Rosanna, la mia compagna di avventura dell'asilo!"
No, dopotutto il brutto inizio di giornata si era riscattato... 
E, forse avrebbe avuto anche un futuro.


... 


L’ULTIMA CORSA
di
Barbara Gallo

E così oggi sarebbe stata la sua ultima corsa; la giornata sarebbe volata, già lo sapeva, tra il lento viaggiare da una fermata all’altra, il via vai dei passeggeri e l’autista con la sua divisa blu.
Già sapeva dove sarebbe andato alla fine di questa ultima giornata sulle rotaie, in tanti gli avevano parlato di quel posto; una volta, anni prima, durante la convalescenza da una brutta ferita, gli avevano anche prospettato di andare a finire là. Ma ai tempi era giovane, spavaldo, in forze, nulla lo spaventava. Adesso, invece... No, non era paura, forse un pochino di rassegnazione, o era maliconia? In fondo, del Deposito aveva solo sentito parlare dalla vecchia Jenny 21 e dall’amico Ralph 90; ma lui, davvero, con i suoi occhi, con i suoi fanali gialli, non lo aveva ancora visto.
Comunque sarebbe stato un cambiamento e lui non era tipo che amasse particolarmente queste cose: come la volta in cui gli avevano cambiato il suo outfit, sostituendo le panchette in legno con diverse sedute più moderne (beh, lo ammetteva, quella volta era stato quasi come andare alla spa, o almeno così immaginava che ci si sentisse quando dei professionisti ti mettono le mani addosso e ti danno un look totalmente diverso). Però, mamma! Quando si era specchiato la prima volta nelle vetrine del centro, quasi non si riconosceva; e comunque aveva avuto un po’ di fastidi inizialmente, ecco, il cambiamento era sempre un piccolo trauma! O come l’altra volta, ora sì, gli venne in mente, in cui gli avevano addirittura cambiato percorso di viaggio! Così, dall’oggi al domani, aveva cambiato i suoi soci (Johnny 53 e Marcus 71, non li aveva più neanche incrociati) e anche i passeggeri (il che, davvero, era spesso uno shock!). Per non parlare dell’autista, quelli, ahi ahi, erano i più delicati. Con Roberto ad esempio, aveva avuto un rapporto speciale; era davvero unico, fin quando anche lui era stato mandato in pensione.

Paul 73 tirò un bel sospiro, stiracchiò i freni, sgranò i fanali e via, si mise al lavoro in quella splendida giornata di settembre, con un cielo che  a Milano  raramente si era visto e un profumo di fiori nell’aria che, sarà stata la sua immaginazione, sembravano di buon auspicio per il suo domani.

...



IN TRAM A PORTA PALAZZO
di
Marilena Mascarello


Quel giorno il tram era particolarmente affollato. Mamma mi portava in braccio come sempre, io guardavo con occhi spalancati tutto ciò che accadeva intorno. 
Avevo occhi scuri e capelli  biondi, indossavo una gonnellina a fiori rosa e una camicetta ricamata a punto smog, come usava all'epoca. Ero proprio bellina. La mamma era un po' affaticata; un signore distinto di mezza età si alzò e gentilmente ci offrì il posto a sedere. Io ero incuriosita, ma anche infastidita dalla folla intorno a me, però osservavo tutto con molta serietà. Il signore che ci aveva ceduto il posto mi sorrise e con tono di complimento disse: "Ma che bella bionda con gli occhi neri!" Io per tutta risposta, con aria imbronciata, mi rivolsi con un no  secco e distolsi lo sguardo. Tutti risero divertiti. La mamma per anni continuò a ricordare e a raccontare quell'episodio. Già allora stavo dimostrando il caratterino che mi avrebbe caratterizzato negli anni a venire. 
Nel nostro consueto tragitto sul “16” ci accompagnava la zia; io, la mamma e lei andavamo, una volta la settimana, al mercato di Porta Palazzo. Per comprare cosa? Ora sorriderete: un etto di pesce, sgombro sott'olio per l'esattezza, perché era il meno costoso; i soldi erano pochi. Era anche un pretesto  per fare un giretto in città, in quella Torino in crescita, ma con poche auto e tante linee tramviarie. Per molti anni mamma andò avanti a raccontare un altro episodio del quale anch'io conservo un vago ricordo. Avevo circa quattro anni. Salimmo sul tram e io, senza curarmi delle persone intorno a me, mi interessavo di tutto ciò che accadeva oltre il finestrno. Non mi perdevo un particolare, ma a un tratto la mia attenzione fu attratta da una persona che appena salita venne a mettersi accanto a noi. La guardai, era lei, Virginia dei cani, così veniva soprannominata. L'avevo vista alcune volte passare sotto casa mia con quattro o cinque cani al seguito, tenuti al guinzaglio. Viveva sotto un ponte del Po, poco lomtano da casa nostra. Una specie di barbona. Quel giorno, senza i suoi cagnolini, era sul tram. Indossava abiti sgualciti, un vecchio cappotto consunto e incolore l'avvolgeva. I capelli brizzolati, folti e arruffati le incornicivano il volto scarno. La guardai negli occhi azzurri, mi osservava con un mezzo sorriso, le sorrisi anch'io. Molte persone stavano lontano da lei disturbate da quella presenza. Io che ero seduta, dissi sottovoce: “Mamma, facciamola sedere”. Ci alzammo e con un cenno le indicai il posto. Sentii un flebile “Grazie, sei carina e brava”.  Il mio cuore di bambina batteva. Il tram arrivò al capolinea, anche Virginia scese, la seguii continuando a salutarla col cenno della mano. Si appostò in un angolo della via, sedette a terra e posò davanti a sé una scatolina. I passanti lanciavano un'occhiata e posavano una monetina. Io e la mamma la guardammo ancora una volta prima di inoltrarci  tra le bancarelle. Il mio cuore di bambina non sorrideva.


...




FRAULEIN HILDE
di
Tania Mignani

Il giovane autista del tram salutò gentilmente la signorina Hilde e la seguì con la coda dell'occhio mentre percorreva lentamente il corridoio per prendere posto nel solito seggiolino vicino al finestrino. Lei si sedette compostamente lisciandosi il soprabito di taglio elegante ma ormai consunto dagli anni. Mentre il tram ripartiva osservò la città che si stava abbandonando alle luci della sera, sentiva ancora di più la stanchezza e il peso degli anni, chiuse gli occhi appoggiando la testa al freddo vetro cullata dal lento procedere del mezzo su rotaie. Passarono solo pochi secondi e, sentendosi osservata, riaprì gli occhi. Di fronte a lei sedeva una ragazza, strano, il tram non aveva fatto altre fermate e lei era sicura di essere salita da sola. La ragazza la guardava sorridendo e lei rispose al suo sorriso, aveva bellissimi occhi verdi e indossava un capellino fuori moda, si ricordò di averne avuto uno simile da giovane. In un attimo ricordi lontanissimi affiorarono alla mente. La città era molto diversa quando lei, giovanissima, frequentava il conservatorio percorrendo la distanza che la separava da casa su un tram simile a quello su cui sedeva in quel freddo pomeriggio invernale. Jakob sedeva sul seggiolino di fronte, lo stesso su cui era seduta la ragazza. Rimanevano in silenzio per tutto il tragitto, mentre lei rivolgeva lo sguardo alla strada percepiva i bellissimi occhi neri di Jakob che la fissavano per poi ritrarsi non appena lei si volgeva verso di lui sorridendo. Scendevano insieme alla fermata più vicina alla casa di Hilde, lui la lasciava a pochi metri dal cancello della grande villa, poi tornava quasi correndo verso la sua abitazione in un quartiere distante dal suo. Una sera Jakob insistette per scendere alla fermata precedente. Avevano già percorso in silenzio un tratto di strada quando lui trattenendola per un braccio la guidò dolcemente verso un vicolo che attraversava il viale principale, in silenzio si fermò e guardandola negli occhi appoggiò la bocca alla sua. Hilde, dapprima sorpresa, si abbandonò a quel bacio come fosse la cosa che più aveva desiderato al mondo. Jakob riaprì gli occhi, la fissò per un lungo momento e correndo si allontanò da lei. Nei giorni successivi Hilde lo aspettò invano all'uscita del conservatorio, ma di Jakob non vi era traccia, quindi si fece coraggio e si recò nell'ufficio del Direttore il quale, sapendo che il padre di Hilde era un importante ufficiale della Wehrmacht, consegnò alla ragazza l'indirizzo di Jakob. Hilde non aveva mai visto quel quartiere dove i bambini sporchi giocavano nella strada, i cani randagi scorazzavano liberi. Uomini e donne la osservavano sospettosi mentre lei camminava lentamente guardandosi attorno. Alcune case che si affacciavano sulla via avevano porte e finestre sbarrate, con la vernice bianca ben visibile qualcuno vi aveva impresso la scritta: JUDEN.
Una di queste era all'indirizzo che il Direttore le aveva scritto sul foglio. Rimase immobile davanti a quella porta chiusa non sapendo che fare, si accorse di una donna affacciata alla porta vicina. Si fece coraggio e le chiese della famiglia Weissmann. “Li hanno portati via tutti” rispose bruscamente e ritraendosi chiuse velocemente la porta.
Anni più tardi, quando ormai viveva sola avendo rinnegato il padre e gli orrori di cui era stato complice, con i risparmi delle lezioni di piano che le consentivano di mantenersi pagò una persona specializzata in quel tipo di ricerche, ma tutto ciò che scoprì fu che della famiglia di Jakob non c'erano stati sopravvissuti. Hilde rimase fedele per tutti gli anni della sua vita al ricordo di quel bacio e degli occhi neri di Jakob che la osservavano sul tram, come gli occhi di quella sconosciuta seduta di fronte.

Quando il giovane conducente del tram entrò nel deposito quella sera notò con la coda dell'occhio qualcosa di scuro su un seggiolino. Avvicinandosi riconobbe il soprabito della Signorina Hilde, vide il suo capo leggermente reclinato e con la fronte appoggiata al finestino, gli occhi chiusi e la bocca distesa in un lieve sorriso.

...





L’ULTIMO TRAM
di
Daniela Quadri

Polvere e sudore: questa è la mia vita. La polvere che si alza dalla strada sterrata, e il sudore che fa luccicare i muscoli tesi, mentre scalpito con gli zoccoli ferrati nell’aria frizzante del mattino.

Il trombettiere sta chiamando a raccolta i cocchieri che si spintonano sul piazzale per scegliere la pariglia migliore. Eccolo, lo vedo avvicinarsi; mi prende per le redini come se stesse cogliendo un fiore per la sua bella, e mi attacca al tiro con un giovane cavallo storno.

Coraggio, Margherita! Sussurra fissandomi dritto negli occhi. Strano! Non lo fa mai; sa che mi innervosisco, ma oggi è un giorno speciale. Mi lascio imbrigliare docilmente e rispondo obbediente a ogni suo comando. Anch’io so cosa gli fa piacere, e mi diverto un mondo a vedere i suoi bei baffi a manubrio fremere d’orgoglio.

È davvero elegante con la divisa stirata di fresco e l’orologio a cipolla appeso alla catena del panciotto; lo controlla di continuo, non vuole che ci siano ritardi, specialmente oggi.

Mi lascio guidare dalle sue mani esperte e il mio trotto si fa fluido come i  miei pensieri; neanche io voglio che proprio oggi qualche signora in crinolina si lamenti per gli scossoni o - peggio ancora! – che il tramway esca dai binari, costringendo conducente e passeggeri a spingerlo per rimetterlo in carreggiata.

Mi mancherai, Margherita! Bisbiglia chinandosi verso il mio orecchio, mentre accosta per far salire un giovanotto col monocolo e la fidanzata che civetta nascosta dal parasole. Anche tu mi mancherai! Vorrei tanto rispondergli e, invece, lancio un sonoro nitrito, ma non importa, lui mi ha capita e mi regala una manciata di carrube.

Mamma, guarda che bel cavallo! E la bambina è già in mezzo alla strada con la manina alzata che si agita verso di me. Una donna urla disperata strappandosi via il cappello e un’altra sviene dallo spavento, ma a me basta sentire il suo tocco deciso sulle redini perché  il morso mi blocchi all’istante.

Vieni piccola, avvicinati non aver paura! Dice, mentre scende da cassetta e la solleva a mezz’aria: la sua voce è così dolce che mi fa pensare a un commiato tra innamorati. Quanto vorrei non arrivasse mai domani e che questa corsa non avesse fine! La bambina mi accarezza e ride felice; scuoto la criniera e scaccio via mosche e pensieri.

Il capolinea è arrivato troppo in fretta; mi riposo un po’ e lo osservo girare svelto i sedili, mentre aspetto di essere riattaccata all’altro capo del tramway per il ritorno.

Forza bella, ancora un ultimo sforzo! Mi incoraggia, ma ormai ho imparato a riconoscere tutte le sfumature della sua voce, anche quel suono cupo che gli stringe la gola. Alzo il capo verso il cielo così azzurro, così lontano. Ancora pochi chilometri, gli ultimi, sotto un sole che ha già asciugato il mio manto lucido.


Non ci saranno più né polvere né sudore: domani. 

...



IL TRAM NELLA NEBBIA
di
Teresa Pancallo
   
Giulia prendeva quel tram tutte le mattine: partenza capolinea nord ore sei, arrivo capolinea sud ore sette. Un’ora, durante la quale era solita osservare i compagni di viaggio, soffermandosi sui tic e le piccole manie di ciascuno.
Era un mezzo ultramoderno, controllava automaticamente il regolare possesso del titolo di viaggio non appena un passeggero poneva il piede dentro. E, per chi non era in regola, erano guai seri: alla fermata successiva veniva prelevato dagli addetti, portato al posto di vigilanza, sottoposto a minuziose verifiche sull’identità. Nel migliore dei casi, l’operazione si concludeva con una sanzione salatissima.
Quella mattina di dicembre, oltre al buio, una fitta nebbia impediva di vedere a un passo, e faceva un freddo cane. Giulia si sistemò al solito posto, felice di non essere più in strada.
Alcuni passeggeri erano già su, altri arrivavano trafelati. Per ultimo arrivò il giovane uomo elegante, con lo smartphone sempre in mano e gli auricolari nelle orecchie. Apparteneva alla categoria di lavoratori sempre connessi, quelli che non possono staccare mai, i nuovi schiavi.
Il tram iniziò il suo viaggio, procedendo silenzioso, regolare. Tagliava la nebbia con i suoi potenti fanali, sembrava muoversi tra le nuvole. O attraverso la palude del nulla, quella de “La storia infinita”, che tutto inghiotte. Ma, a parte Giulia, nessuno guardava fuori per cogliere sensazioni dei questo genere.
Improvvisamente, le luci interne, i display indicanti il tragitto e le fermate, i cellulari e gli altri dispositivi elettronici si spensero. I passeggeri, sorpresi, cominciarono a guardarsi intorno e ad agitarsi sui loro sedili. Cosa stava succedendo? Adesso come facevano a sapere quando era il momento di scendere? Non si poteva neppure prenotare la fermata. Oltretutto, si trovavano su un mezzo manovrato dalla centrale operativa, non c’era un macchinista “umano” a cui chiedere informazioni. E intanto il tram seguitava ad andare, come prima.
Pian piano le persone iniziarono a parlare tra loro, dapprima per commentare quanto stava loro capitando, poi allargando la conversazione con argomenti più personali.
Il vecchio professore, bibliotecario volontario nel liceo dove aveva insegnato per mezzo secolo, parlò di libri con la signora di mezza età, unica lettrice su quel convoglio; il giovane uomo sempre connesso, si ritrovò a lamentarsi di quanto era pesante il suo lavoro, con la giovane top model seduta al suo fianco…
Con il passare del tempo, il tram si trasformò in un simpatico salotto, vennero scambiati sorrisi e complimenti, si scoprì come, in fondo, bastava poco per rendere il viaggio più piacevole e per iniziare la giornata con un po’ di buonumore.
Sul più bello, le luci si riaccesero, i cellulari ripresero a funzionare e sui display apparve scritto: “Abbiamo condotto un esperimento sulla comunicazione. Ringraziamo tutti per aver partecipato - anche se inconsapevolmente – contribuendo all’ottima riuscita della prova. Ci scusiamo per l’eventuale disagio e vi auguriamo una buona giornata”.
Il buio della notte si stava diradando insieme alla nebbia, i viaggiatori accennarono un sorriso scuotendo la testa, e tornarono a chiudersi in sé stessi, come prima.


...



FERRAGOSTO
di
Maria Rita Sanna

Le due vecchiette parlottavano serenamente sul tram vuoto nella mattina di ferragosto, producendo un leggero fischio per ogni “esse” pronunciata, aggiungendosi allo sferragliare delle ruote sui binari: “Eh sì, siamo state fortunate a sistemarci da nostra sorella per ferragosto, con questo eccessivo caldo...ss...ss...s...s..”.
Sul tram salirono alcune persone, ma l'aspetto e la postura lasciarono a bocca aperta le nonnine: due maschi e due femmine, giovani fotomodelli, e con loro i fotografi. Uno di questi, avvicinandosi alle signore, sussurrò: “Non preoccupatevi, stiamo facendo un servizio fotografico per il famoso stilista Gregorio Alani, godetevi lo spettacolo”, sorrise cordiale, facendo l'occhiolino.
Il tram ripartì lento, uno dei fotografi sollecitò i ragazzi: “Dai Marco, stai vicino al finestrino con lo sguardo malinconico; tu, Sara, mettiti al fianco del conducente e guardalo intensamente”.
Il povero conducente, confuso da tale bellezza marmorea, faticava a guardare la strada, madido di sudore; la ragazza, durante gli scatti, cambiava continuamente posizione, senza mai staccare gli occhi  dal conducente. La sua maglietta era troppo piccola e corta lasciando scoperto l'ombelico.
Uno dei ragazzi si bagnò i capelli, spettinandoli e lasciandoli cadere negli occhi, con l'espressione da ribelle, prese alcuni cubetti di ghiaccio e cominciò a strofinarseli in viso.
Scatti e flash si susseguivano senza sosta per tutto il corridoio del tram, tra i tubi di sostegno e i seggiolini. I palazzi e i viali alberati della città deserta scorrevano lenti attraverso i finestrini.
Il modello tutto bagnato si sedette vicino alle due vecchiette e, togliendosi la canottiera, sorridendo disse: “Abbiamo finito”.
La donna al suo fianco prese un fazzoletto dalla borsa e con mano tremante ma determinata, rispondendo “Scusi, posso?”, iniziò ad asciugargli il volto, partendo dalla fronte alta, scendendo sugli occhi grandi e nocciola, spostandosi agli zigomi pronunciati, verso le guance scavate e il mento con la fossetta. “Eh sì, sei tutto bagnato”, la donna parlava sottovoce con la “esse” che comunque sibilava, meravigliata da tale bellezza; continuò la sua segreta perlustrazione, sulle fasce muscolari dalla spalla fino ai pettorali, fermandosi all'ombelico.

Il ragazzo, tuttavia, approfittò di queste premure, ricordando sua madre lontana che non vedeva da tanto tempo. “Mi dica signora, le ricordo suo figlio?”, le disse il giovane. 
“Oh no, io sono single!” rispose lei.


...


HO SMESSO DI ASPETTARE IL TRAM
di
Carmen Gulino

Ho smesso di aspettare il tram, non lo aspetto più. E perché mai dovrei aspettarlo, se “il tram” sono io?
Sono un tram vecchio stile e le mie carrozze sono un po’ obsolete.  Anni di onorato servizio, sempre esposto  a qualsiasi tipo di agente atmosferico: sole, pioggia, caldo, freddo, ghiaccio, neve; è normale che la mia carrozzeria sia rovinata  e in qualche punto anche  arrugginita; è normale che dopo tutto questo frenetico movimento, correndo sempre avanti e indietro, il mio motore si sia consumato, soprattutto nelle giunture, là dove il movimento si fa più insistente e ripetitivo.
La mia vita l’ho trascorsa sempre su questi binari. Binari disegnati da qualcun altro su un percorso predefinito. Binari che si intersecano con altri, che si affiancano, si superano, ma senza mai uscire dal tracciato. Ecco, lo ammetto, sono un tram molto noioso… Non so cosa voglia dire “uscire dagli schemi”. Mai una volta che abbia preso una sbandata, che sia passato col rosso, o che sia uscito fuori dai binari. Sempre ligio al compito che mi era stato affidato.
Fin da quando uscii fuori dal deposito per la prima volta, ho sempre rispettato le regole che mi avevano detto essere quelle giuste. Le regole le fanno sempre gli altri per te, e poi te le raccontano in modo che tu ti convinca che quella sia la verità assoluta.
Sono stato un tram molto diligente e le regole le ho sempre applicate senza ribellarmi, non perché sia un debole, ma  perché ho sempre pensato che fosse giusto farlo. Ho sempre messo passione nelle cose che facevo, scarrozzando ogni giorno decine e decine di passeggeri distratti.  Li ho sempre accolti con un sorriso quando salivano alle fermate disseminate lungo il percorso.  Ho sempre sorriso,  anche quando c’era un passeggero che non pagava il biglietto: non mi sono mai rifiutato di trasportarlo, anzi gli ho lasciato credere di essere più furbo degli altri e di me, ma di lui non ho mai avuto molta fiducia.
Mi hanno sempre detto che se avessi avuto pazienza, un giorno avrei incontrato il tram della mia vita. Per anni ho atteso che quel tram arrivasse, e una volta ho persino avuto la sensazione che il tram che avevo di fianco fosse quello giusto, salvo poi accorgermi che non eravamo fatti per viaggiare sugli stessi binari, correvamo a velocità diverse  e avevamo mete troppo lontane tra loro.
E così, dopo aver preso qualche “tranvata”, oggi sono qui a riflettere su come cambiare il mio percorso; ho deciso che non  voglio più viaggiare sui binari disegnati da altri, voglio essere io il protagonista dei miei viaggi e decidere quali strade solcare. Non voglio più aspettare che “un tram” passi, bensì essere  io “il tram” che gli altri stanno aspettando.
E se incontrerò alla fermata qualche passeggero che vuol raggiungere la stessa mia meta, sarò felice di condividere il mio viaggio con lui. Potrà salire sulle mie carrozze e io lo accoglierò... “a porte aperte”.




IL TRAM E LA SCIGHERA ( nebbia)
una storia di qualche anno fa  ma anche di oggi
di
Sergio Bertinelli

Non mi fai paura, non ti ho mai temuto, non so neppure perché piaci tanto ai miei concittadini.
Celi tutto, senza distinguere ciò che va mostrato da ciò che va nascosto, senza operare scelte.
Come si può vivere senza decidere, quando la vita stessa è una continua inevitabile scelta. Scendi e copri tutto e tutti, indistintamente.

So bene che non mi temi, perché dovresti? Hai la tua strada, sempre uguale, segnata ormai da tanti anni, sempre identica; non invidi i bus che possono cambiare rotta, evitare scontri, iniziare nuovi percorsi?
Sempre la stessa strada!

C’è una bellezza anche in questo, sai? Ripercorrere la stessa strada ogni giorno, diventando sempre una cosa diversa, pur con le stesse persone, stesse abitudini, stesse certezze.
Oggi è salito un ragazzo nuovo, non l’avevo mai visto, pareva anche non avere fretta, non come i soliti pendolari che ospito.

Non l’avevo visto neppure io, ma sai, non si vede sempre tutto con me.
Da quale pulpito mi dici di non scegliere!
Scegli forse la tue strada? Non lo fai mai! Qualcuno l’ha già fissata, con due rotaie che non possono cambiare e ti portano verso sempre identici percorsi.
Il ragazzo ha lasciato la borsa, te ne sei accorto?

Non è proprio una borsa, è uno zainetto, si vede che non hai a che fare con i ragazzi, sempre sbattuti ovunque questi zaini, a volte me li lasciano, sperando di trovarli il giorno seguente; ma non so se domani troverà qualcosa, con tutta questa gente, qualcuno se ne approfitterà di certo.
È bello vederli ridere, scherzare, con tutto quel tempo a loro disposizione, neppure se ne rendono conto! Tutta quell’energia che si intravede dai loro occhi, dai loro discorsi, sempre a chiedere conferme per sconfiggere la paura di non essere accettati, di non essere sicuri di cosa vuol dire vivere.

Ne ho incontrati tanti anch’io di ragazzi, non credere, ragazzi che vagano, immersi nella mia coltre, sopiti come solo io so sopire, quando creo quel paesaggio magico nel quale si possono percepire le cose che, senza di me, non si possono vedere, dando modo di sentire, di sognare, cercare senza vedere ma immaginando tutto quello che c’è da immaginare.
È questa la mia virtù, non quella di coprire, sciocco tram, ma di far immaginare, di far percepire spazi e luoghi mai visti anche se conosciuti da sempre, tu non riusciresti mai!
Sei sicuro che abbia dimenticato lo zaino? continua a guardare l’orologio, senza preoccuparsi di recuperarlo, strano ragazzo.

Certo, immaginare è l’unica cosa che rimane a uno che non vede neppure cosa abbia sotto il proprio naso, grazie alla tua coltre, ma è la stessa cosa di quando, stanchi, i pendolari guardano fuori dal mio finestrino il mondo che scorre loro intorno.
Da spettatori, solo ora passivi, possono guardare quello che succede e  immaginare  la cosa che più  gli piace: che quella ragazza che hanno intravisto stia proprio guardando nei loro occhi pregandoli di scendere per portarsela via, o che la donna gravida abbia il loro bimbo nel grembo, o che quell’uomo stia cercando proprio un ballerino come il manager che lo sta guardando, seduto al caldo della mia carrozza.
Noooo! E' salito il solito tossico, ora darà fastidio a tutti!
Sta prendendo proprio lo zaino del ragazzo, non ci voleva, proprio sul mio tram.

Doveva stare più attento, guarda che scaltro il tuo tossico, è sceso subito così da poter controllare, al sicuro, il contenuto del bottino appena trovato, peccato per il ragazzo, pensa che sta sempre guardando l’orologio!

Io sono arrivato al capolinea, piazza Fontana, proprio oggi, 12 dicembre, sono quarantasette anni da quella bomba nella banca dell’agricoltura.
Pensa quanti sogni, quanta sofferenza, come sono strani gli  uomini: sempre intenti a farsi del male, ignorando che l’amore potrebbe renderli tutti più felici e più nobili.

Scusa sto guardando cosa sta facendo il tossico, si è infrattato in un sottoscala lasciato aperto, con lo zaino in spalla, che malandrino.
Ricordo bene quell’episodio, è stato tutto, molto molto, triste.

Ma cos’è stato quel botto? L’ho sentito persino nelle rotaie!
Sto vedendo un ragazzo che sorride, convinto di aver mietuto delle vittime con la sua bomba, ignaro, invece di aver divelto un sottoscala e ucciso un tossico che, suo malgrado, ha protetto i cittadini di questa Milano, che non se ne sono neppure accorti.




67 commenti:

  1. Siccome su un tram non ci solo mai salita, posso fare che uno ci rimane sotto? :)))). Scherzo, qualcosa troverò

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  2. Sogna Stefania, continua a sognare su un tram vecchio stile. Anch'io amo i tram di una volta, con le sedute in legno che ad ogni frenata facevano scivolare un pochino addosso al vicino; legno lucidissimo e spalle al finestrino. Come adesso dovremmo dare le spalle a questo mondo per non vedere....e poter continuare a sognare.

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  3. Che bei ricordi Stefania sembrava di essere lì tra quelle strade e piazze. 💜♡♡

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    1. Bei ricordi, sì, anche se velati di malinconia (e questa frase va ad aggiungersi a quelle OUT come "il profumo del pane appena sfornato" :-D )
      Comunque mi fa piacere di aver trasmesso la sensazione che vi ha permesso di "vedere" vie e piazze :-))
      Baci!

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  4. Babbo Natale esiste e ci salva dalla bufera e da chi non crede in lui.
    Bel racconto Daniela Perego 😊

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    1. Grazie Maria Rita....una piccola speranza di salvezza in questo mondo che va a rotoli. ..

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  5. Cara Stefania quanti ricordi! Eh si perché abitando vicine , come tu ben sai, i tuoi ricordi, sono i miei ricordi! Dolci e cari ricordi! Grazie Stefi per avermeli riportati alla memoria!

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  6. Cara Daniela Perego, bellissimo il tuo tram dei desideri con Babbo Natale e la suggestione della neve!

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    1. Grazie Tiziana in realtà si è scritto da solo...sarà la magia del Natale ormai alle porte?

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  8. Molto originale il racconto di Riccardo Simoncini, un altro pezzo di storia del mitico Gamba de Legn!

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  11. Bel racconto Riccardo Simoncini. ..ne ho presi tanti di tram con quella scritta. ..belli i tram "vecchi"...
    Buon Natale a te e famiglia 🎅

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  12. Voto Riccardo Simoncini.
    Ho fatto in tempo, anch'io, a leggere quel cartello. Ahimè.
    Michele Fierro

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  13. Voto Riccardo Simoncini. Un tratto di vita vera, quotidiana...

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  14. Voto
    Verso la città
    Di Michele Fierro

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  15. A Bologna una volta c'erano i "filobus": una via "di mezzo" tra autobus e tram. Mi ricordano il Natale, i pomeriggi in cui proprio sul filobus raggiungevo, insieme a mia mamma, il centro per le spese natalizie. Voto quindi il racconto di Daniela Perego sul tram di Babbo Natale.

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  16. Bella lettura, la ferraglia che prende vita.
    Mi piace "L'Ultima Corsa" di Barbara Rooster Gallo
    Michele Fierro

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  17. Voto l'Ultima Corsa di Barbara Gallo, piacevolmente malinconico.
    Silvia

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  18. Ma che belli questi racconti. Tutti.
    La tristezza di Michele Fierro, un nuovo "inizio" per Barbara Gallo ed un dolce ricordo di Marilena.
    Anche il tram di Agnese Stagnoli dopo un brusco avvio lascia sperare in una corsa tranquilla sui binari del destino.
    Proprio una bella raccolta.
    Bravi.
    Auguri a tutti di Buon Anno.

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  19. Voto il tram del futuro di Teresa Pancallo.

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  20. Un voto anche al tram di Babbo Natale di Daniela Perego per aver saputo trasmettere la magia dell'attesa ed il sogno di aver visto il mitico personaggio.

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  21. Voto "FRAULEIN HILDE" di Tania Mignani!

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  22. Voto L'ultimo tram di Daniela Quadri

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  23. Voto il racconto di Daniela Quadri perché la cavalla è così vera che sembra proprio che parli

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  24. Voto Fraulhein Holden di Tania Mignari. Il ricordo malinconico di un amore tradito dalla guerra scritto con dolcezza e poesia nelle descrizioni dei particolari.

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  25. Voto Fraulhein Holden di Tania Mignari. Il ricordo malinconico di un amore tradito dalla guerra scritto con dolcezza e poesia nelle descrizioni dei particolari.

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  26. Voto L'ultima corsa di Barbara Gallo.

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  27. Voto il racconto di Quadri

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  28. Ma come si fa a scegliere? Sono tutti così pieni di tenerezza, di nostalgia, di amore... Io li voto tutti! Teresa

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  29. Voto il racconto di Barbara Gallo. Immedesimarsi nel tram e nei suoi pensieri da ultima corsa è un punto di vista intenso e magico.
    Valentina

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  30. Voto L'ultimo tram di Daniela Quadri. Tenero il feeling tra animale e uomo.
    Maurizio Boniardi

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  31. Voto Tania Mignani.

    Molto bello anche il tuo breve racconto, Stefi.

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  32. Voto tutti i racconti perché, anche se per aspetti diversi, sono tutti meritevoli. Buona Befana a tutti!

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  33. Sono stata letteralmente rapita dalla lettura di tutti questi racconti. Ognuno bello a modo suo, e tutti originali. Mi sono immedesimata in ognuno di quei viaggi.
    Voto il racconto Fraulein Hilde di Tania Mignani perchè mi ha particolarmente emozionato...ma se potessi li voterei tutti!
    Carmen

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  34. Io voto l'ultimo tram di Daniela quadri

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  35. Voto i seguenti racconti :
    Michele Fierro
    Daniela Quadri
    Marilena Mascarello
    Tania Mignani
    Non sarebbe corretto votarli tutti ma in ognuno c'è una speciale atmosfera

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  36. L'ultimo tram di Daniela Quadri mi ha dato l'impressione di un cortometraggio da film muto. Mi è piaciuta l'atmosfera e lo voto.

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  37. Una bella sorpresa il tram di Ferragosto di Maria Rita Sanna.
    Un voto per lei.

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  38. Voto per Mascarello Marilena per l'emozione del ricordo

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  39. Ma come si fa a scegliere?! Sono tutti unici nel loro genere.
    Voto per tutti!!!

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    1. Marilena, scegline qualcuno, perché votare per tutti non serve a nessuno!! ;-)

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  40. Voto per Marilena Mascarello!emozionante

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  41. Ok... Allora voto per il tram di Daniela Perego, perchè Babbo Natale è sempre una bella magia a cui abbandonarsi. Voto per Maria Rita Sanna,un bel racconto simpatico, un'idea orignale, brava. Infine voto per l'ultima corsa di Barbara Gallo, mi piace il tram che prende vita, bello!

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  42. Ho aspettato fino ad oggi per votare perché volevo prima poterli leggere tutti. Sono tutti davvero molto belli, e non tanto per dire, ciascuno a modo suo, con uno stile diverso fa evocare paesaggi, sogni, emozioni e allora come si fa a votare? Siccome non si può e non sarebbe giusto votarli tutti, voto il racconto di Stefania Convalle perché mi ha fatto rivivete momenti della mia infanzia e adolescenza ... complimenti a tutti comunque e devo dire che c'è tanto materiale per la neonascente Edizioni Convalle !

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  43. Ho aspettato fino ad oggi per votare perché volevo prima poterli leggere tutti. Sono tutti davvero molto belli, e non tanto per dire, ciascuno a modo suo, con uno stile diverso fa evocare paesaggi, sogni, emozioni e allora come si fa a votare? Siccome non si può e non sarebbe giusto votarli tutti, voto il racconto di Stefania Convalle perché mi ha fatto rivivete momenti della mia infanzia e adolescenza ... complimenti a tutti comunque e devo dire che c'è tanto materiale per la neonascente Edizioni Convalle !

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  44. Stefi mi ha detto che il suo racconto è fuori concorso allora voto: Il Tram di Babbo Natale di Daniela Perego, Vietato sputare di Carlo Simoncini e il Tram nella nebbia di Teresa Pancallo.

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  45. Voto il racconto di Daniela Perego e Daniela Quadri

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