Prima di proporvi le otto recensioni dei film scelti dagli 8 concorrenti, vi aggiorno sulla gara, sia come risultato al momento della gara stessa, sia relativamente ad alcune evoluzioni che ho deciso per alzare l'asticella della suspense.
VI CHIEDO DI LEGGERE CON ATTENZIONE PER EVITARE DI RENDERE NULLO IL PROPRIO VOTO
COME SI VOTA DA OGGI
Da questa fase, si passerà a una votazione segreta per mantenere la suspense, come detto prima.
Ci sarà tempo per votare fino a mercoledì 11 dicembre 2025, ore 20:00.
IMPORTANTE: a partire da questa votazione, potranno votare anche i concorrenti (tranne che per sé stessi), questo a significare una volta di più lo spirito che deve albergare in questa gara, che si chiama così per comodità di linguaggio, ma che è una condivisione tra amici di una stessa passione.
Nella mail si dovranno esprimere tre preferenze, titolo e nome dell'autore, con le TRE motivazioni che hanno portato chi vota a scegliere proprio quei tre testi.
(Le motivazioni più articolate e significative verranno postate da me in un commento a votazione conclusa).
Amo precisare che questa gara è una non-gara, nel senso che ci sono 8 autori di Edizioni Convalle che partecipano per giocare con i propri colleghi della stessa casa editrice, senza sentire la gara in quanto tale, ma per condividere qualcosa di piacevole secondo il famoso spirito di squadra che ci contraddistingue.
Quindi non sono i numeri che inseguiamo, ma il confrontarci con i lettori in uno scambio intellettuale che sia arricchente per ognuno di noi.
Ecco spiegato il motivo di chiedere un voto espresso come spiegato, per dare valore a questa esperienza, al di là del numero dei votanti che non è l'obiettivo che inseguiamo.
COM'È ANDATA LA TERZA TAPPA, QUELLA DELLE CANZONI?
Un testa a testa che ha visto diverse penne coinvolte, con distacchi di pochi voti, a volte solo uno, tra gli 8 concorrenti.
Complimenti a tutti, per l'impegno e i bei testi scritti per questo appassionante confronto letterario.
E ADESSO ECCO A VOI LE 8 RECENSIONI DELLA QUARTA PROVA
(nell'ordine in cui mi sono arrivate)
TATIANA VANINI
RECENSIONE AL FILM
La trama segue la vita di Forrest, un uomo con un basso quoziente intellettivo ma dotato di una sensibilità limpida, di una bontà disarmante e di una tenacia che lo porta, quasi per caso, al centro di momenti cruciali della storia americana del Novecento. Seguendo il suo sguardo ingenuo e sincero, entriamo in contatto con eventi iconici: dalla guerra del Vietnam alla nascita della cultura hippie, dallo scandalo Watergate alla corsa di lunga distanza che diventa un fenomeno mediatico.
Il cuore emotivo del film è però la relazione tra Forrest e Jenny, amica d’infanzia e amore impossibile. La vita di Jenny procede in direzione opposta a quella di Forrest: mentre lui attraversa il mondo con una purezza quasi infantile, lei cerca disperatamente un posto a cui appartenere, oscillando tra ribellione e autodistruzione. Questa tensione crea una delle storie d’amore più struggenti del cinema, fatta di momenti mancati, incontri fugaci e un legame che resiste nonostante tutto.
Tom Hanks offre una delle interpretazioni più memorabili della sua carriera: riesce a esprimere innocenza senza risultare infantile, semplicità senza ingenuità forzata, e una profondità emotiva che lascia il segno. Grazie a lui, Forrest diventa un personaggio universale, capace di rappresentare la forza dell’essere autentici anche in un mondo complesso e caotico.
La regia di Zemeckis fa un uso innovativo degli effetti speciali per inserire Forrest in filmati d'epoca accanto a presidenti e figure storiche. Una scelta che poteva sembrare artificiosa si rivela invece integrata alla perfezione nel tono del film, donandogli un tocco di leggerezza e ironia.
La colonna sonora merita un elogio a parte: una raccolta di brani che attraversano gli anni Sessanta e Settanta, capace di accompagnare la narrazione con precisione emotiva e storica.
Forrest Gump è un film che parla della vita in tutte le sue sfumature: l’amore, la perdita, la casualità, la resilienza. È un invito a guardare oltre le apparenze, a trovare valore anche nei percorsi più semplici, e a ricordare che la vita è come una scatola di cioccolatini. Un classico senza tempo, emozionante e profondamente umano.
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GRAZIELLA BRAGHIROLI
RECENSIONE DEL FILM
Il film si apre con il calore del vivere quotidiano: cene, battute, piccoli rituali che tengono unito un gruppo eterogeneo di amici.
Si sorride, ma l'apparente serenità si spezza quando Lorenzo, interpretato da un sorprendente Luca Argentero, viene colpito da un malore che lo farà entrare in un coma che non gli lascerà scampo.
Il primo a crollare è Davide, che Pierfrancesco Favino interpreta in modo magistrale. L'attore rende quasi palpabile la disperazione, il dolore e il vuoto che lo assale quando la persona che ama se ne va per sempre.
Lo affianca Roberta, a cui dà vita un'intensa Ambra Angiolini. Roberta è la più fragile del gruppo, la più irrequieta e instabile. La sua sofferenza non è composta, è una richiesta di aiuto, un bisogno di essere vista e accolta per quello che è.
E poi Margherita Buy, con quella vulnerabilità che la contraddistingue; Stefano Accorsi, incapace di dare una direzione alla propria vita; Ennio Fantastichini, con la sua ironia e saggezza mista a rabbia; Isabella Ferrari, elegante e magnetica nel suo modo silenzioso di essere presente. Indimenticabile Serra Yilmaz, attrice di spicco nei film di Özpetek, che colpisce per la sua umanità, naturalezza e profonda empatia.
Il regista tratta con delicatezza il tema dell'amore oltre la coppia tradizionale. Mostra persone che non sono eroi, né martiri ma esseri fragili che cercano di vivere anche quando l'equilibrio si spezza. Tutti, nel film, devono affrontare qualcosa che non sanno come gestire: l'amore che si consuma, il tradimento, la paura di perdere qualcuno.
In definitiva, "Saturno contro" è uno di quei film che non cerca di scandalizzare o di stupire a ogni costo, ma ti emoziona e ti costringe a fermarti un attimo dopo la fine, seduto in silenzio, come se avessi appena parlato con qualcuno che ti capisce davvero.
Il film che sento di rivedere è "La strada" di Federico Fellini, con la coinvolgente colonna sonora di Nino Rota.
Gelsomina, nonostante la mente ottenebrata intuisce la sua sofferenza di essere inutile nell'ingenuo vibrare di un amore casto, reso più intenso dal delitto di Zampanò, si lascia morire di dolore e di annientamento.
L'attore Anthony Quinn ha costruito il suo personaggio con intensa bravura, sia nelle scene di animalesca impulsività, sia nel torvo maturare del rimorso nelle scene finali, in cui scoppia in un pianto nella solitudine di una spiaggia sperduta, sotto un cielo di remote stelle.
La morte di Gelsomina ha redento la bestia e ha rivelato anche a lui la realtà di una consapevolezza umana.
Il film è proposto in forma nuova e originale, per quel tempo. Si potrebbe definire un realismo visionario per i contenuti onirici e simbolici. Induce a riflettere sul fine di ogni essere vivente esistente nel mondo. Un film denso, i cui personaggi sono le metafore della lieve luce della coscienza, che diviene consapevole della propria umanità.
Walt Kowalski, un veterano della guerra di Corea, vive isolato nel suo quartiere multietnico. Ostile ai nuovi vicini di origine orientale, entra in conflitto con una gang che minaccia un ragazzo timido, Thao. Difendendolo, Walt viene coinvolto nella vita della famiglia e sviluppa un legame inatteso. Mentre la violenza della gang aumenta, Walt comprende il proprio passato irrisolto e decide di proteggere Thao e sua sorella. Il suo gesto finale, estremo e consapevole, diventa l'atto conclusivo di redenzione e passaggio di eredità morale.
La regia di Eastwood evita l'enfasi spettacolare e preferisce la concretezza. Qui, silenzi, sguardi, gesti quotidiani e momenti in apparenza banali rivelano tanto quanto una grande scena drammatica. Ed è proprio la sobrietà narrativa a rendere la trasformazione del protagonista verosimile. Lo spettatore assiste non a un gesto eroico costruito, ma a una metamorfosi interiore, lenta e dolorosa.
La colonna sonora, mai invadente, accompagna i momenti chiave con delicatezza; non enfatizza con forzature, si mette al servizio dell'anima del film, amplifica l'intimità, modula l'emozione, accompagna la transizione interiore del protagonista.
La fotografia e l'ambientazione accentuano la veridicità della trama. Il quartiere, le case modeste, le strade ordinarie, l'insegna consumata della casa, l'auto riflettono l'anima del protagonista, quella di un uomo ferito e amareggiato. L'ambientazione grigia, quasi quotidiana, diventa specchio di memoria, declino, rigidezza, ma anche di umiltà, concretezza, trasformazione. L'auto del protagonista, una Gran Torino Ford, simbolo del suo passato e della sua identità, perde a poco a poco la sua staticità di mero oggetto materiale per diventare metafora del cambiamento.
La scena della morte di Walt rappresenta il culmine di questo arco trasformativo. L'inquadratura pulita e misurata, il ritmo rallentato, la quasi assenza di musica anticipano un gesto che parla da sé, potentemente umano. Walt si presenta davanti alla casa della gang in una notte silenziosa, illuminata soltanto dalle luci fredde della strada, tiene le mani in tasca. La gang esce minacciosa. Walt, con un gesto teatrale e disarmante, porta la mano all'interno del giubbotto come se stesse per estrarre un'arma. Poi, forma con indice e pollice una pistola simbolica, una parodia dell'atto violento che tutti si aspettano da lui.
Infine, estrae l'accendino con un gesto che la gang interpreta come una minaccia, e cade a terra colpito a morte. L'unica arma che aveva era la scelta di esporsi.
È qui che la regia, la fotografia e la musica si fondono in un'immagine indimenticabile, dove si consuma la rinuncia alla violenza e al pregiudizio, a favore di un atto di amore e protezione verso chi rappresenta il futuro. Difatti, prima che scorrano i titoli di coda, vediamo Thao guidare la Gran Torino, lasciatagli in eredità da Walt.
La forza del film risiede nella capacità di raccontare la sensazione di essere fuori posto come se si osservasse il mondo da dietro un vetro. La regia, delicata e mai invadente, osserva i personaggi con affetto senza indulgere nel sentimentalismo, lasciando che siano la luce di Tokyo, gli spazi anonimi degli hotel e le notti insonni a raccontare ciò che loro stessi non riescono a esprimere.
C’è un equilibrio raro tra malinconia, ironia e dolcezza.
La città, filtrata dallo sguardo spaesato dei protagonisti, diventa una presenza viva e pulsante, un riflesso del loro stato d'animo. L'estetica — luci al neon, scorci notturni, interni eleganti e impersonali — contribuisce a costruire un ambiente che è insieme reale e illusorio.
Ed è in quello sfondo che Bob e Charlotte si trovano. Non c'è quasi nulla di esplicito tra loro, eppure c'è tutto: la tenerezza, il bisogno disperato di sentirsi visti da qualcuno. È una storia di vicinanza emotiva, più che di fatti.
Bill Murray offre una delle sue interpretazioni più toccanti, dietro la sua comicità trattenuta emergono fragilità, saggezza e un senso di disincanto profondamente umano.
Scarlett Johansson, con un personaggio ben più introverso, riesce a trasmettere inquietudine, curiosità e vulnerabilità con una naturalezza impressionante. La chimica fra i due non è mai forzata: è una connessione sottile, credibile, che cresce scena dopo scena. Entrambi non solo recitano, sembrano abitare davvero quel momento della loro vita.
La colonna sonora, minimalista e sognante, contribuisce a creare quell'atmosfera contemplativa e ovattata che è diventata uno dei marchi distintivi del film.
Ma è il finale che dà il vero senso a tutto il film.
Quando Bob rincorre Charlotte tra la folla di Tokyo, c'è qualcosa di profondamente umano in quel gesto, il bisogno improvviso di non lasciare andare una persona che, anche per poco, ha visto una parte di lui che nessun altro vede. Nel loro abbraccio c'è una tenerezza che non ha bisogno di promesse. È il contatto tra due solitudini che hanno trovato una forma di pace l'una nell'altra. E le parole che lui le sussurra sono un dono privato che non appartiene allo spettatore. È come se il film ci dicesse: non tutto ciò che è importante deve essere rivelato.
Quando si separano, non c'è tragedia né dolore. Solo un sollievo silenzioso, la consapevolezza che qualcosa di prezioso è accaduto, e che continuerà a esistere proprio perché non ha avuto bisogno di definirsi. Lascia un nodo alla gola, una malinconia quieta, una di quelle che non spaventano, perché custodiscono un ricordo che fa bene anche mentre fa male.
È innegabile che il mondo avventuriero e mitologico abbia su di me una suggestione potente.
Nel film di cui vi parlo, "C'era una volta il West", il regista Sergio Leone ha trasformato la ricostruzione storica del leggendario Far West americano in un mondo come sospeso nel tempo dove gli uomini osservano un'unica legge: quella della pistola. Il mito di quel contesto storico, poi, è stato trasformato in esperienza sensoriale grazie alle musiche, e ai suoni che accompagnano le scene, dal grande Maestro Ennio Morricone.
La storia inizia con l'uccisione di un proprietario terriero e i suoi tre figli, allo scopo di impadronirsi di un fazzoletto di arida terra, ma strategico grazie all'unica falda acquifera, e punto focale di attraversamento della futura linea ferroviaria.
La ferocia dell'assassinio eseguito da Frank, interpretato da un sorprendente e glaciale Henry Fonda, appare come cosa semplice e normale. Ci si ritrova, invece, nell'immediato, a capire le tante dinamiche di un mondo complesso, dove i personaggi sono spogliati della moralità e con sentimenti contrastanti. A questo male si oppone il bene: la vedova Jill McBain, interpretata dalla bellissima Claudia Cardinale, a cui non sfugge il destino che l'attende. Il suo sguardo magnetico non turba il cattivo di turno, ma con determinata lucidità e dignità la sua figura avrà un ruolo caratteristico nel film.
Tra le due forze entrano in gioco altri elementi scatenanti storie dal sapore enigmatico e inquietante. Armonica è un misterioso e affascinante pistolero, interpretato da Charles Bronson, veloce a sparare quanto bravo a suonare l'armonica; Cheyenne è un fuorilegge romantico, interpretato da Jason Robards.
I dialoghi tra i pistoleri sono intrisi di sottintesi, soprattutto quelli tra Frank e Armonica, fanno intuire un antico legame, a cui si aggiunge la profondità di un segreto rivelato solo nel finale. I personaggi non sono più buoni o cattivi, ma ossessionati dalla vendetta e perseguitati dai propri fantasmi.
La colonna sonora del film è potente come solo il memorabile Ennio Morricone poteva crearla.
Le sue musiche diventano voci interiori dei protagonisti, come il lamento dell'armonica che introduce Armonica, il pistolero; oppure la melodia profonda e malinconica che accompagna ogni scena di Jill, voce senza parole, molto suggestiva per l'unica donna protagonista; oppure, ancora, la musica che evoca un senso di paura o avventura spensierata. I suoni della natura, cigolii, cicale, vento, passi, scandiscono la tensione fino allo sparo, segno di un destino inevitabile.
L'atmosfera è resa epica da azioni ad alto impatto emotivo e tempi dilatati, da volti carismatici dai profili in ombra ma, anche, da primi piani intensi; certe inquadrature danno la sensazione di vivere tra quegli aridi contorni, mentre i suoni schioccanti e decisi tengono il fiato sospeso.
Sergio Leone ha regalato al pubblico un film capolavoro, capace di affascinare ancora oggi grazie alla perfetta fusione tra immagini e musica, con protagonisti della grande Hollywood.
"C'era una volta il West" rimane nella storia come un grande racconto tra mito e leggenda.
L'incontro tra Pierre e un gruppo di studenti che vandalizza un'auto segna l'inizio di un percorso difficile, ma sorprendentemente umano. Pierre decide di voler in qualche modo aiutare i ragazzi dei quartieri più disagiati, così, quasi contro ogni logica e aspettativa, propone alla preside di una scuola lezioni di danza per i suoi studenti più indisciplinati. La risposta iniziale è prevedibile: ostilità, sarcasmo, diffidenza. Eppure, lui non demorde. Con una calma che sfiora l'ostinazione, continua a credere che la disciplina, il rispetto e l'armonia del ballo possano diventare strumenti di riscatto e, piano piano, anche questi studenti problematici iniziano ad apprezzare gli sforzi e la passione di Pierre.
L'incipit del film è quasi poetico: montaggi alternati mostrano due mondi che sembrano non poter mai dialogare tra loro. Da un lato l'eleganza, la compostezza e il rigore del ballo classico da sala; dall'altro l'energia ruvida delle strade, dei conflitti tra gang, della sopravvivenza quotidiana. Questa contrapposizione iniziale non è mai caricaturale, ma serve a preparare lo spettatore al tema centrale del film: la possibilità di incontro tra universi apparentemente incompatibili.
Uno dei punti più riusciti della pellicola è la scelta di soffermarsi sulle vite degli studenti al di fuori della scuola. Non si tratta di un semplice espediente narrativo, ma di un modo efficace per far affiorare le ferite, le responsabilità precoci, le disillusioni che alimentano la loro rabbia.
"Ti va di ballare?" è, in definitiva, una storia di incontro, crescita e possibilità. Non pretende di risolvere i problemi sociali che racconta, ma offre uno sguardo sincero sul potere dell'arte come spazio di guarigione e di rinascita. È un film semplice nella struttura, ma sorprendentemente efficace nella sua capacità di emozionare e lasciare un messaggio di speranza senza mai risultare retorico. Infine, sapere che si tratta di una storia vera, riscalda l'anima. Assolutamente consigliato.
Sarà poi la balia di Giulietta insieme e padre Lorenzo, che spera con questo gesto di riunire le due famiglie, a organizzare in gran segreto il matrimonio.
Vi lascio qui cari lettori. A voi valutare e considerare la bellezza con la quale il regista ha saputo concludere le ultime scene. Un'opera che vi stupirà per la sua grandezza, per l'interpretazione degli attori, l'accompagnamento della musica e per il fascino dell'ambientazione. Un film che vi farà comprendere perché "Romeo e Giulietta" resta ancora oggi la più bella storia d'amore d'altri tempi.
Buona visione a voi.


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