Volevo solo avere più tempo

Volevo solo avere più tempo
Il nuovo romanzo di Stefania Convalle

venerdì 4 giugno 2021

Numero 381 - Mandami il tuo racconto. Quarta tappa - 4 Giugno 2021


 

Anche la quarta tappa si è conclusa. 

Ecco i nomi degli autori che  si sono qualificati, fino a questo momento, per partecipare alla supersfida finale dove ne resterà solo uno!

Alessandra D'Angella

Giulia Landini

Tiziana Mazza

Tania Mignani

Alessandra Nobile

Pamela Pirola

Adelia Rossi

Maria Rita Sanna

Pinuccia Sassone

Linda Silvia Scarpenti

Sonia Signorino

Riccardo Simoncini

Di seguito potrete leggere i racconti della quarta e ultima tappa e votare le vostre CINQUE preferenze in un commento.

Vi ricordo che:

i commenti devono essere firmati. I commenti anonimi non verranno tenuti in considerazione

- è necessario esprimere CINQUE preferenze (non meno) e motivare la scelta

Entrate nei panni della figura del giurato, siate obiettivi e cercate di votare SOLO i cinque che DAVVERO vi saranno piaciuti di più. Per un attimo, dimenticate chi li ha scritti e giudicate solo il testo, la bella scrittura, l'originalità della storia, la forma, le emozioni che vi avranno trasmesso.

Le votazioni per questa tappa si chiuderanno 

giovedì 10 giugno - ore 19:oo 

Durante la diretta della stessa sera, dedicata alla presentazione del nuovo romanzo di Silvana Da Roit, comunicherò i nomi degli ultimi autori che si giocheranno la finale.

E ora, via con le letture! ;-)

P.S. Ho deciso di pubblicare senza apportare nessuna correzione ai testi, né virgole, né altro, insomma, nessun piccolo editing da parte mia. Ho deciso di fare così visto che la sfida si fa calda ;-) Unica modifica: ho messo le caporali per una questione estetica di tutto l'insieme.


 -1 -

Autrice: ALESSANDRA NOBILE

Il puntino rosso


All’inizio eri soltanto un puntino rosso in fondo alla strada. Ma il rosso fiammante del tuo vestito, quella sera d’estate, aveva già iniziato a inglobare il mio mondo, man mano che ti avvicinavi a me. E tu, la ragazza più bella della festa, la più elegante, il rubino più prezioso, per tutto il tempo ballasti insieme a me senza parlare.

Tu eri il rosso.

E io, prima di te, ero il bianco.

Un bianco splendente. Bianco sopra strati di bianco. Neve sopra il bosco dopo una tormenta. E non c’era spazio per nessuno in mezzo a quel chiarore che abbagliava, che feriva gli occhi, allontanando tutti quanti.

Tutti, sì. Tutti tranne te che con un solo sguardo avevi capito. Quel bianco era un guscio vuoto. Un guscio privo di reale spessore. Un guscio che si sarebbe sciolto davanti al calore del rosso. Di quel rosso che eri tu.

E così, a macchia d’olio, il tuo rosso fiammante ha invaso tutto, di me. Tutto. Senza pietà. Tutto. Senza lasciarmi un respiro di quello che io, un tempo, ero. Era bello, all’inizio, quel tuo rosso che mi circondava e mi parlava sempre di te. Un rosso più rosso del sangue che mi scorreva nelle vene. E dentro al mio sangue, da quella sera d’estate, ci galleggiavi tu.

Ma poi.

Poi ho cominciato a non vedere più nessun orizzonte, al di là di quel rosso. E il mio bianco era sempre più eroso. Sempre più eroso da quel rosso che eri tu.

Ti parlai tante volte, sì. Ti parlai, nel tentativo di non sparire. Ti parlai per cercare di dipingere un po’ di bianco, un bianco ormai pallido, nella mia e nella tua vita. Ma tu no, non eri disposta a rinunciare nemmeno a un pezzettino del tuo rosso. Il tuo rosso bruciava tutto. Il tuo rosso bruciava, un po’ per volta, il mio bianco. Quel poco di bianco che ancora mi rimaneva.

Allora un giorno, tu eri in viaggio per lavoro, svuotai il salotto dai nostri mobili. Poi ridipinsi tutta la stanza di rosso: un rosso fiammante, il tuo rosso. Solo un angolo del pavimento, accanto alla parete, lo dipinsi di bianco: un bianco splendente, il mio bianco. Quell’angolo era tutto quello che restava di me. Lasciai asciugare. Mi misi il completo del matrimonio: i pantaloni chiari e le scarpe nere e lucide che indossavo quando ci dicemmo sì. E ti aspettai. Aspettai il tuo ritorno in piedi nell’unico angolo dipinto di bianco. Speravo che aprendo la porta e vedendomi lì avresti capito.

Tu apristi la porta, al tuo ritorno. Mi guardasti negli occhi. Nei tuoi occhi c’era il rosso fiammante. Poi prendesti un pennello che era ancora là, dentro al secchio, e con la vernice bianca splendente scrivesti sul muro: «Voglio il divorzio».

 

  

- 2 -

Autrice: SONIA SIGNORINO

L'artefice

 

Lo stato d’animo di George diventava sempre più irrequieto.

«Hai qualcosa che possa tirarmi su?» disse a uno dei suoi “compagni di buco” con gli occhi socchiusi che spezzavano il mondo a metà.

«Si, ma poi ridammela.» Rispose Andrea senza mezzi termini né giri di parole.

Inizialmente era convinto di poter gestire la cosa. Non sarebbe mai finito come i suoi compagni tossici, costretti a rubare, prostituirsi e addirittura uccidere per quella polvere magica che rendeva tutto tranquillo, bello e sopportabile. Grazie alla sostanza poteva superare anche quella merda di vita. La sua.

E invece, George c’era caduto con tutte le scarpe, anzi, con tutte le braccia rese ormai un colapasta dai tanti buchi che era costretto a farsi per rendere la sua esistenza degna di essere vissuta ed evitare le indicibili sofferenze dell’astinenza.

Subito dopo l’iniezione veniva pervaso da un’ondata di sensazioni gradevoli.  La parola che forse più si avvicinava a quella impressione era “PACE” e probabilmente solo un intenso orgasmo avrebbe potuto eguagliare quel senso di goduria.

Preparò con meticolosità l’arnese per la sua “pera” pregustando l’ennesimo senso di beatitudine.

Spinse piano lo stantuffo ma la sensazione di euforia lo investì all’istante, fino all’ultimo nervo del corpo. CALORE, BENESSERE, APPAGAMENTO.

Subito dopo si ritrovò in una camera senza porta né finestre. Prevalse immediatamente il senso di oppressione, gli mancava l’aria.  Era in trappola.

La stanza aveva le pareti rosse e lentamente anche il pavimento stava cominciando a tingersi della stessa tonalità. La linea rossa della vernice sul ripiano avanzava inesorabile verso di lui, propagandosi per tutta la superficie.

L’istinto di George gli suggeriva di dover fare qualcosa prima che la macchia rossa lo inghiottisse. Se fosse rimasto impassibile, sarebbe morto.

Indietreggiava sempre di più, finché non si ritrovò nell’angolo della stanza, l’angoscia lo faceva respirare a fatica e si sorprese a tremare di paura.

Presto la superficie si colorò quasi completamente, l’unico punto bianco era il piccolo spicchio dove poggiava i piedi, si guardò la mano e al posto "dell'amica" siringa trovò un pennello con le setole sporche di vernice rossa, lo stesso colore della trappola.

Si sedette, portò le gambe al petto rannicchiandosi. Cercò di farsi piccolo.

Quella stanza altro non era che lo specchio del suo destino. Capì che era proprio lui l'artefice della sua ventura, nel corso della vita aveva colorato di rosso le quattro pareti, le pennellate forti e decise rappresentavano, una a una, tutti gli errori commessi.

Continuò a guardare il pennello e il pavimento. Cosa avrebbe dovuto fare a quel punto? Non aveva scelta: chiuse gli occhi, prese coraggio e dipinse l’ultimo spicchio bianco, si abbandonò al suo destino. BUIO.

George venne ritrovato disteso su una panchina alle 6.40 del mattino, morto per overdose con la siringa ancora appesa al braccio.

 

- 3 -

Autore: RICCARDO SIMONCINI

Rosso sangue

 

Mi raccomando, neppure un puntino occorre tralasciare.

Tutto rosso, rosso sangue mi hai chiesto e tutto rosso, rosso sangue, avrai.

Pareti, tetto, pavimento.

“Rosso sangue” mi hai chiesto, e sangue rosso avrai.

Intingo il pennello e osservo le gocce colare. Spiccano sul bianco che verrà cancellato dal rosso che più sangue non si può, amore mio. Ad ogni passaggio le setole lasciano delle strisce parallele in leggero rilievo. Mi piace fermarmi e osservare da vicino come, piano piano, lo strato si assesta e diventa uniforme. Che pittura straordinaria. Sembra viva.

Avevi ragione tu, cara. A me piace il verde, ho provato a dirtelo, ma mentre ti parlavo hai cambiato stanza, sei andata a sistemare le tue cose come se la mia fosse solo la voce della pubblicità alla radio. E quando sei tornata hai ricominciato a parlare del rosso. Io te l’ho detto che risulta pesante il rosso ma tu hai alzato la voce, hai ribadito “rosso sangue” e sei tornata di là, nell’altra stanza lasciandomi parlare da solo, come una radio.

Ho dipinto prima il soffitto.

Sentivo i “plick plick” delle piccole gocce di sangue che dal rullo cadevano a terra e qualcuna pure sul mio viso, ma non me ne sono curato, perché ero affascinato dal silenzio, finalmente. E poi, comunque, a breve avrei dipinto anche lì. Sei stata chiara. Pareti, tetto, pavimento. Hai avuto cura di dirmelo più volte, sempre urlando, come quando mi sgridi se sbaglio e non ti sta mai bene niente. Niente.

Mi manca solo quest’ultimo angolo, ma il barattolo è vuoto. Sono sicuro che alzeresti ancora la voce per rimproverarmi del fatto che non so fare le cose, urlandomi che sono maldestro e incapace.

Ma non è colpa mia, amore.

Sei tu che sei riuscita a scappare.

Io sono tornato di là, nell’altra stanza, dov’eri tu. Sono venuto a strizzarti ancora, a rifornire il barattolo per completare il lavoro.

Perché venisse perfetto come hai chiesto tu.

Rosso sangue.

Sangue rosso.

Ma sei scappata.

Così, dispettosa, potrai rinfacciarmi che ho lasciato un intero angolo bianco.

.

 - 4 -

Autore: CHRISTIAN POLLI

La fobia del divenire

 

Mi sono mosso troppo velocemente, ho inquadrato bene le pareti e ho usato la vernice più fresca che si potesse trovare sul mercato. Ma…vale la pena verniciare qualcosa che non si vuole verniciare? O meglio, provo a spiegare questo teorema: questo rosso non mi piace, è così sanguigno, sembra la scena di un delitto. Vorrei provare a rimuovere queste tracce di sangue delle mie lacrime con un po’ di frescura nella mia vita, con un bel po’ di bianco su cui poter ricostruire qualcosa di cui valga la pena parlarne. Diciamo che finora non ha così ben funzionato, quest’operazione: per quale diavoleria mi sono messo i pantaloni d’ufficio per riverniciare il mio passato! Sono solo uno sciocco: se desidero riconquistare il mio passato, non è certo vestendomi da uomo della city che otterrò questo risultato. Ci dev’essere un cambiamento d’anima, una nuova visione di vedute…ed ecco che faccio la fine dell’inetto di Svevo: mi ritrovo ad aver tinteggiato la mia vita proprio in un angolo, con un pennello che non conosco e con un secchiello simile a quelli che si trovano sulle spiagge in estate. Mi trovo in un angolo…il bianco del mio passato che voglio far divenire il mio avvenire non ha portato assolutamente a nulla di buono, a niente di cui valga la pena combattere…valere, valere. Io non valgo nulla: sono solo un ometto insignificante che si ritrova in un angolo della sua vita, in un angolo di una camera qualsiasi, a dover camminare ancora su quel rosso sanguigno che tanto mi fece soffrire…e feci soffrire. Sì, perché quel rosso sangue non è un semplice colore, è proprio il sangue di una persona con cui affrescai le pareti della mia anima quell’estate notturna, in macchina…non l’avevo visto, e sono corso via, lasciandolo là, nel suo stesso sangue che poi l’avrebbe soffocato. Una morte terribile, da come l’appresi sui giornali. Ma io non mi feci vivo alla stazione dei carabinieri per denunciare il mio orribile delitto: nessuno vide la macchina con cui quel poveretto fu investito; non vi era nessuna telecamera posta lungo la strada perché potesse inchiodare la targa dell’assassino. Sono stato troppo vile, e questo tormento mi spinge a sbiancare sia la mia anima che questa stanza…ed io sussisto in un angolo, come un pupazzo, privo d’anima e di avvenire. Sì, perché nessuna operazione potrà cancellare ciò che ho fatto, e il mio divenire è già segnato qualunque cosa faccia.

 

- 5 - 

Autrice: TATIANA VANINI

Opera in rosso

 

Dopo aver perso il lavoro mi sono arrangiato a fare un po' di tutto. Avevo fatto dei  biglietti, scrivendo: “Hai un lavoretto? Chiamami! Non vuoi farlo tu, ci penso io!”.

All'inizio ho stentato ad ingranare, ma poi la mia fama si è estesa dalla via dove vivevo, alle strade limitrofe, poi ai quartieri più prossimi, fino all'intera città e adesso una chiamata dalla campagna, anzi dal bosco.

Che dimenticanza, non mi sono presentato e vi sto già raccontando la mia storia. Rimedio subito: mi chiamo, Angeletto, sono un tutto fare di professione e sto andando nel bosco di Moltofittoeoscuro, al castello del conte Acul per una arrossatura.

Non ho sbagliato, il conte vuole un'arrossatura, ovvero che dipinga una stanza di color rosso. Non di bianco, rosso, capito? Imbiancatura col bianco, col rosso... arrossatura! Un conte col senso dell'umorismo, mi piace già.

Il castello è mezzo diroccato. Ha evidente bisogno di tanti lavoretti, magari se porterò a termine il compito di oggi al meglio, avrò altro da fare.

Non faccio in tempo a bussare alla porta che questa crolla all'interno con gran fragore. Che pessimo inizio! Eppure il conte mi accoglie con una battuta; dice di non farci caso, la porta si emoziona alla vista di sconosciuti e sviene. É davvero simpatico!

Mi accompagna in una grande stanza bianca, spiegandomi che ama il rosso, perché è il colore del sangue e della vita. Devo dipingerla tutta così. Mi porterà un po' di pittura alla volta e si allontana, chiudendomi dentro per la mia sicurezza, non  vuole che mi perda per il maniero, con la promessa di tornare a breve con la prima latta di vernice. È di parola, torna con vernice, pennello e scala e mi dice di cominciare prima dal soffitto, poi dalle pareti e tenere per ultimo il pavimento.

Comincio a lavorare e perdo la nozione del tempo. Ogni volta che finisco un barattolo,  dopo poco il conte me ne porta uno nuovo e io dipingo, dipingo, senza fermarmi. Gli ho chiesto perché non mi lascia tutte le latte in una volta, mi ha risposto che la mole di vernice ferirebbe il mio morale; gli ho domandato perché la vernice ha un odore strano, ferroso, mi ha risposto che è una composizione speciale; gli ho fatto notare che nella stanza fa sempre più freddo, mi ha invitato a lavorare più in fretta per scaldarmi; gli ho detto che sono stanco e vorrei fermarmi, mi ha esortato a continuare, che ho quasi finito e poi potrò riposare per molto tempo.

Mi sono chiuso in un angolo. Un mare di rosso intorno, un triangolo bianco ai miei piedi. Che fare? Sto malissimo, barcollo, ho freddo e sonno. Vedo il conte, pare lontanissimo. Dice che sono stato bravo, quasi perfetto, che sono un capolavoro che lo sazierà per un bel po' di tempo. Che significa? Il pennello mi cade di mano e anche io cado...cado... buio.

Angeletto, andò nel bosco. Partì per un'arrossatura tornò per una sepoltura, la sua.

 

- 6 - 

Autrice: ANNA INCANDELA

Angusto

 

Sto realizzando che sono bloccata in uno spazio angusto, stretta nell’unico angolo senza vernice.

La sensazione dura solo pochi secondi. D’altronde è così da quasi due anni, ci sto facendo l’abitudine.

Questo virus mi ha inchiodato.

Non ho di meglio da fare, così comincio a sfogliare il libro della mia vita.

È un tomo, la mia esistenza è lunga e di tempo ne ho vissuto tanto. Passo tutto in rassegna. Diventa un momento catartico. Quanti esami ho superato.

La finestra è aperta, adesso un raggio di sole mi sta scaldando l’anima. È ciò di cui ho bisogno. Sorrido e penso che forse una mano dall’alto mi lancerà un’imbracatura, ma non importa se devo aspettare: la vita andrà avanti lo stesso.

 

 - 7 -

Autore: MARCO CASTOLDI

Sogni di latta


«Inutile vestire elegante se poi tutta la cerimonia si racchiude nell’angolo di una maledetta stanza pittata!!!» urlò Caterina aprendo la porta di casa al suo rientro dopo una settimana di lavoro all’estero. Giulio le aveva aperto il cancello d’ingresso dal citofono, ma non era andato ad aprirle la porta per abbracciarla come faceva da sempre, sollevandola appassionatamente senza mai prima di averle tolto le valige di mano, tirandole nell’appartamento... L’ingresso aveva cambiato colore e le pareti erano diventate quattro lastre color rosso vivo intervallate solo da due specchi a giorno orizzontali, di quelli senza cornice… lui se ne stava elegantissimo nel suo abito migliore rintanato là nell’angolo, dove quella sottospecie di chiazza bianca sotto le scarpe sembrava essere la macchia che imprigiona l’artista, perso nelle proprie fantasie dopo che ha pittato la stanza, errando nei propri meandri sino a chiudersi in gabbia nell’unico angolo sano ancora da pittare… Eppure c’era tutto, ma proprio tutto per mandare letteralmente in bestia la nostra fanciulla; appena tornata dalle camere di lussuosi alberghi a quattro stelle e sale riunione dall’eleganza e sobrietà sopraffine… Un marito alle corde, un ingresso fiammante e un idiota finito all’angolo come un pugile suonato… un pennello con le setole imbrattate e la latta lì per terra… il suo uomo elegantemente vestito di un sorriso ebete e con due occhi che la guardavano radiosi…  Povera Caterina! Le pareti le ricordavano la carta di quei cioccolatini a forma di cuore che tanto adorava ricevere in dono e quelle palle di cioccolato fondente che Giulio amava farsi sciogliere lentamente in bocca, facendo giochi di bolle in movimento con le sue guanciotte da Cicciobello troppo cresciuto. La giovane guardava quella assurda sequenza di pareti rosso pittate… e quell’uomo fermo a guardarla con un arnese da imbianchino in una mano. Il suo giovane grande artista era forse ammattito? Adesso l’ingresso della loro casa sembrava il box di quelle famose macchine da corsa che portavano il nome dell’Italia nel mondo “Svegliati, tesoro. Dobbiamo andare;” cantilenava in un sussurro la voce di Giulio… A strapparla dalle coltri fu il bacio di un principe che, sollevatala tra le braccia, la stava conducendo in cucina per la colazione. Fingendosi addormentata, Caterina, attraversando l’ingresso, sbirciò di sottecchi le pareti rosso corsa. Ma l’ingresso non era più quello che l’aveva scioccata al suo arrivo… I girasoli di Vincent, Il Guernica Pablo, Il concetto spaziale di Lucio; tutte le sue amate riproduzioni erano magicamente tornate al loro chiodo…  Eppure lei aveva ben impressa la mano, il pennello, la latta di vernice e tutto quel rosso… l’unico rosso che le diede uno schiaffo cromatico furono tre fantastiche rose; due tazzine con lo stemma del cavallino rampante, colme di inebriante caffè e un astuccio dalle dimensioni contenute… Solo allora si accorse che Giulio la stava osservando impaziente… Guardava Caterina e guardava l’astuccio e tratteneva il fiato… Caterina rigirò l’astuccio. Facendolo scattare, le apparvero un test di gravidanza e la scritta rossa: «Sorridi, amore mio! sarai presto mamma.»

 

- 8 -

Autrice: GIULIA LANDINI

 La seduta


«Dottore, mi sento come se avessi dipinto un’intera stanza di rosso e fossi rimasto bloccato nell’angolo.»

«Come dice, August?»  

«Mi sento come se fossi nell’angolo di una stanza; mi osservo come dall’esterno, ho dipinto di rosso tutto quanto: il pavimento, le pareti, il soffitto, sono rimasto bloccato e adesso non riesco più a muovermi.»

«Come in un vicolo cieco, dice?»

«Esatto, è tutto monocolore e sento le pareti stringere.»

«Forse è un momento complesso per lei; ha detto che il colore predominante è il rosso, cosa le ricorda?»

«Il mosto, l’odore del vino, mia madre che teneva stretta la gonna tra le mani e saltava, arrivava in alto e li schizzi le coprivano le gambe.»

«Quindi le ricorda qualcosa che ha a che fare con la figura materna, August?»

«Può darsi, era molto bella mia madre, l’ho amata tanto, dottore.»

«Forse è un bisogno di sicurezza, di sentirsi accolto, cerchiamo spesso la figura materna quando ci sentiamo fragili.»

«Dottore, come posso uscire dal punto dove sono rimasto bloccato?»

«Forse, l’unico modo è calpestare la pittura. Lei che ne pensa?»

«Ma resteranno le pedate.»

«Sì, ma lei potrà uscire dall’impasse solo affrontando i suoi blocchi, August, e a volte l’unico modo è tornare sui nostri passi, a costo di sconvolgere tutto e riprendere le cose che abbiamo lasciato indietro.»

 

- 9 -

Autrice: ELISABETTA MOTTA  

 Profondo rosso

 

Nell’ufficio deserto si sente solo il fruscio dei fogli che la stampante laser sputa uno dietro l’altro con la stessa velocità con cui il mio cuore batte all’impazzata. Ho fatto due ore di straordinario, questa sera. Quel rumore si dilata nel silenzio della stanza. Dello stabile intero, un alto edificio a vetri. Alle nove è deserto.

Sono sola.

Sola.

Il pensiero mi mette ansia. Mi incute timore. Ho un buon motivo per lasciarmi prendere dal panico. La città è terrorizzata da un serial killer; le sue vittime sono giovani impiegate uccise sui loro luoghi di lavoro.

All’improvviso, colgo con la coda dell’occhio un’ombra proiettarsi sulla parete del corridoio. Possibile che ci sia qualcuno? No, è solo la mia suggestione.

Deglutisco.

Resto in ascolto per captare qualche rumore sospetto.

Si sente solo quello della mia stampante che continua a produrre un esercito di fogli, ma io non ne sto raccogliendo più nemmeno uno, inghiottita dalla paura. Mi avvicino alla porta. Non c’è nessuno. Poi, allungo lo sguardo nel corridoio. L’ultima stanza è illuminata.  Deve esserci qualche collega.

Eppure sono sicura di non avere visto nessuno, prima quando sono andata alla toilette.

L’idea di non essere sola mi produce un moto di sollievo e scaccia per un attimo la mia paura. Decido di andare a vedere chi c’è lì dentro.

Le gambe tremanti e il cuore che produce una serie di colpi in petto, mi muovo con circospezione nel corridoio.

Davanti alla porta, una grossa chiazza rossa che si spande sul pavimento, mi blocca. Diventa sempre più grande. Oh, Dio… sangue! Ho la fobia del sangue. Non ne sopporto la vista. Anche il suo odore mi dà la nausea. Scopro invece che è pittura.

Rossa.

In un angolo, c’è un uomo, ai suoi piedi un barattolo di vernice.

Rossa.

E regge un pennello in mano.

Che sciocca, mi sono lasciata suggestionare. Quell’uomo sta dipingendo la stanza. Le pareti, il pavimento. Ma ha iniziato decisamente dalla parte sbagliata! Quella da cui non vi è via d’uscita. E adesso si ritrova confinato in un angolo, quasi prigioniero della vernice. Davvero bizzarro!

Lo squillo del mio cellulare mi riporta bruscamente alla realtà.

«Ehi, Silvia, ma dove sei finita? Ti sto aspettando da un’ora. Sono alla porta d’ingresso del museo. Ho una fame da lupi. In pizzeria cederanno il nostro tavolo a qualcun altro, se non ci sbrighiamo.» La voce della mia amica Damiana mi giunge impaziente.

Entrambe appassionate di arte siamo venute a vedere quella mostra di quadri, con l’intenzione di concludere la serata con una pizza.

Evidentemente devo essermi soffermata a lungo davanti a quel dipinto. Si chiama Profondo Rosso. Ha dimensioni gigantesche e tutto quel rosso ha scatenato la mia fantasia. Per un attimo, mi sono calata nelle vesti di un’impiegata ufficio alle prese con la sua fobia di essere nel mirino di un serial killer.

«Eccomi, Damiana. Arrivo» le rispondo, allontanandomi a passo svelto, pronta a tuffarmi in un altro rosso. Quello della mia pizza preferita!

 

- 10 - 

Autrice: COSTANZA TROTTI

Rosso Rubino

 

Mi presento alla storia: sono Nancy, ho dieci anni e non porto gli orecchini. Ho sempre avuto paura del sangue, alla sola vista la mia faccia cambia colore. Il rosso non è proprio il mio colore preferito. Una volta ho avuto in regalo un paio di scarpe rosse, col laccettino alla caviglia, la punta arrotondata come quelle delle bambole, bellissime per molti. Le ho conservate subito in soffitta, ben nascoste; per la cronaca, chissà che fine avranno fatto, forse buttate per errore tra carta e cartone. La mia mamma lavora fuori casa, è sarta presso un atelier, una roba chic, sempre attenta nel modo di presentarsi, impeccabile anche tra le mura domestiche. Quando è davanti allo specchio, cura ogni particolare del viso, dei capelli e indossa orecchini con preziosi rubini, un regalo di papà. È uno spasso quando siamo insieme, mi bacia con quei baci a schiocco e mi stampa le sue labbra sulle guance. Il mio papà fa l’architetto, lui lavora spesso a casa su un grande tavolo da disegno con attrezzature che non conosco. Quando siamo tutt’e due in casa, ognuno se ne sta per conto suo, a volte credo di vederlo e un attimo dopo non c’è più. È un tipo taciturno, molto pratico, sembra non abbia sogni nel cassetto, almeno non ne parla. Al rientro della mamma, però, compare all’improvviso e sono occhi languidi di qua e sorrisi smorza fiato di là. Una bella coppia, non c’è che dire e io nel mezzo a blaterare, un po' di attenzione anche per me, che diamine! I giorni scorrono tranquilli, senza imprevisti, fino ad oggi, una brutta influenza mi vede a letto con la febbre, il canovaccio bagnato sulla fronte e i lunghi silenzi nella stanza. Eppure mi è sembrato di aver visto mio padre, ho puntato lo sguardo e non c’è più. Ah, nella presentazione ho dimenticato di dire che sono curiosa, ma molto curiosa! Mi sono alzata piano, ho infilato le pantofole e ho cominciato a perlustrare, stanza per stanza, tutta la casa. Qui non c’è, qui neppure, non può avermi lasciata sola così. Manca la soffitta, con fatica comincio a salire le scale, più salgo e più entra nel naso un odore di pittura. Apro la porta bassa, mi affaccio e lo vedo. Oh no, con un pennello in mano, fermo in un angolo, ha colorato di rosso, pareti e pavimento. Il mio grido lo spaventa, la sua bocca a forma di uovo e gli occhi spalancati è il fermo immagine durato non so quanto. Ma chi è, Barbablu che nasconde le tracce di sangue con la vernice dello stesso colore! Ecco la mia fantasia prendere il volo. Quando riesce finalmente a parlare racconta di aver trovato le mie scarpe e di aver sperimentato il colore per un nuovo ambiente: rubino perfetto, completo fino al sottotetto.

 

- 11 -

Autore: CARMINE SCAVELLO 

Giacomone, un ragazzo imbranato


Giacomone era conosciuto da tutti come un ragazzo simpatico e bonaccione. A volte, uno si chiedeva se c’era o ci facesse. Erano talmente assurde le sue azioni che rasentavano la fantasia umana. Viveva felice in quanto non doveva rispettare alcun protocollo morale, né si poneva il problema che gli altri lo capissero; affermava che erano gli altri diversi da lui e non viceversa. È così che gira il mondo: i matti sono quelli fuori e non quelli dentro.

Giacomone si prestava con tutti a svolgere lavoretti o fare commissioni. Tutte le volte che terminava i compiti voleva essere gratificato; solo così si sentiva importante. Poveraccio, non aveva capito che c’era qualcuno che si divertiva alle sue spalle per le sue cavolate.

Un giorno fu chiamato a sostituire un operaio nel frantoio perché non stava molto bene. Il suo lavoro consisteva nell’attaccare l’asino alla macina; riempire la fonte di olive per essere schiacciate dalle pesantissime ruote di pietra; sorvegliare che l’asino girasse tranquillo e che la fonte fosse sempre piena di olive per essere molite. Il passo successivo era quello di riempire i fiscoli con la pasta ottenuta con la molitura e inserirli nella pressa, che li avrebbe schiacciati per ottenere il liquido composto di olio e di acqua di vegetazione.

Ci fu un problema proprio durante il suo primo giorno di lavoro. Qualcuno aveva dimenticato un canestro di vimini col manico nella fonte e per Giacomone quell’ostacolo non consentiva di lavorare. Chiamò il padrone del frantoio e gli disse: compare Domenico, questa notte non possiamo lavorare perché un incosciente ha lasciato un canestro nella fonte. Domenico, che stava al gioco, gli rispose: Giacomone, mi dispiace quanto te! E’ vero, con quest’ostacolo non si può proprio lavorare. Quindi stacca l’asino dalla macina e andiamo a dormire sui pagliericci davanti il camino; domani ci penseremo come risolvere il problema.

Durante la notte, Giacomone non chiuse un occhio e stava sempre a pensare; Domenico lo controllava, mentre bisbigliava qualcosa sottovoce tra sé e sé. Di un tratto Giacomone svegliò Domenico e gli disse: compare, ho fatto una pensata. Lo togliamo il canestro dalla fonte? Domenico, felice come una Pasqua, per tenerlo contento lo gratificò e gli disse: meno male che ci sei tu, così non perdiamo una nottata di lavoro.

Ho raccontato questa storiella per inquadrare il personaggio. Dopo quella parentesi nel trappeto, Domenico commissionò a Giacomone l’imbiancatura di un locale, di nuova costruzione, annesso al frantoio. Gli disse: qui hai tre barattoloni di vernice di tre colori diversi, rulli, pennelli e scala, fammi una bella imbiancatura come piace a te e nessuno interverrà fino alla fine del lavoro.

Giacomone con grande lena dipinse tutto il locale da cima a fondo. Poi, si fermò in un angolo perché non sapeva come uscirne senza fare danni, giacché la vernice era ancora fresca. Rimase in quella posizione in attesa che Domenico fosse andato a controllare il lavoro. Domenico lo vide in quella posizione e gli disse: sei come Cimabue!

 

- 12 - 

Autrice: BARBARA GALIMBERTI

Una foto rosso sangue


«Buongiorno commissario, vedo che sulla sua bellissima lavagna bianca è rimasta solo la mia foto. Ci sta bene, non trova? Voleva sbalordirmi, lasciando quell’immagine? Pensavo fosse diverso da tutti i commissari del vostro amato corpo di polizia.»

«Carrera non faccia lo spiritoso. È rimasta solo quella foto, perché ora lei è qui con me e finalmente i giochi sono finiti.»

«Finiti? Deve essermi sfuggito qualcosa. È proprio sicuro che io non abbia vinto anche questa manche? Caro commissario, mi spiace frantumare la sua certezza. Devo dire che comunque mi ha colpito la sua capacità di essere riuscito a identificarmi così in fretta.»

«Io sono il commissario Pezzalonghi e non sono caro a nessuno, men che meno a lei. Si rivolga a me con rispetto. Ma crede di essere infallibile? La sua foto è perfetta, mi è piaciuta e l’ho trovata molto interessante. Peccato che su quella latta di vernice ci sia un’etichetta e non è una qualunque. Si ricorda dove è andato a comprare la vernice?  È tipico di una persona come lei, il voler avere le cose migliori. Avrebbe potuto acquistarla in qualsiasi negozio, ma lei ha preferito quel piccolo laboratorio di vernici. Grave errore. Ci è bastato un attimo per arrivare a lei, caro Carrera.»

«Bravi. Complimenti. Avevo già immaginato che prima o poi mi avrebbe messo in un angolo, senza vie di fuga. Ed è per questo che ho seguito il suggerimento di un’amica nell’inviarvi questa mia foto. Dalle mie parti si dice: quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Ho sempre pensato che fosse in gamba e mi piace sfidare uno come lei. Gli altri commissari non sanno osservare. Lei ha dimostrato che basta fare attenzione ai particolari, per avvicinarsi alla vittoria. Ma, come avrà notato nella foto, il rosso sangue ha preso il sopravvento. Io sono lì, sono abbastanza fotogenico, non le pare? E tutti gli altri? Non crede che manchi qualcuno nella foto? Sicuramente avrà capito che ho tanti amici con i quali condivido tutti i miei giochi.»

«Senta, non ho più voglia di scherzare. Abbiamo anche scoperto che Carrera è un finto nome. Ma con chi crede di avere a che fare.»

«Commissario, quella foto ha molto da raccontare. Io sono qui, perché deve essere così. Il suo problema sarà capire chi non appare in quell’immagine. Gli elementi ci sono tutti. Continueremo a giocare ancora per molto tempo, prima di decretare il vincitore, anche se io e lei sappiamo già chi sarà.»

«Portatelo via, subito!» Urlò il commissario, ormai stremato dalla malvagità di quell’uomo.

Una possente risata echeggiò, lasciando il commissario solo davanti a quella foto rosso sangue.

 

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Autrice: MARIA BARILARO

Il dolore

 

Incomincio a pitturare questa stanza, volendomi fare più male ho scelto il rosso, è un colore che non mi piace, troppo intenso, forte, scuro, mi ricorda il dolore.

Il nostro colore era l’azzurro, il blu, i colori tenui del verde del rosa, caldi come un abbraccio.

Avevo promesso che non ti avrei mai lasciata sola, sempre al tuo fianco, ti avrei protetta, coccolata, ma, non ho potuto mantenere la promessa, non per colpa mia, ma degli eventi, e questo mi procura un immenso dolore.

Dipingo le pareti e cerco di pensare ad altro, ma tu sei l’unica immagine che ho da quando non ci sei più.

I tuoi grandi occhi che mi guardavano durante l’ultima video chiamata, sono rimasti impressi nei miei, sonnecchiavi ed io ho alzato la voce, per farmi sentire, hai spalancato gli occhi e non riuscendo a parlare mi guardavi fisso, come eri bella, le parole che non riuscivi a dire le hai prestate agli occhi, erano espressivi ed io riuscivo a capirle.

Eri malata da tanti anni, io sempre al tuo fianco, in tutte le visite mediche, i ricoveri in ospedale, quella promessa che mi hai strappato contro la mia volontà: “se dovessi avere la tracheotomia non la voglio”, continuo a pitturare con questo colore intenso, su e giù con il pennello, vorrei lavare il dolore che c’è in me, ma tu sei dentro di me.

La sera prima verso le 22,30 ho sentito un lungo brivido, e un’aria fredda che mi circondava, girava intorno al mio corpo, mi accarezzava la testa le mani, soffiava sul mio viso, ho controllato il balcone e mi guardavo intorno, tutto chiuso, fuori non c’era vento, il mio cuore batteva fortissimo, guardavo il telefono, mi avrebbero chiamato se c’erano novità, ho avuto paura, ero terrorizzato, ma mi sono fatto coraggio.

In mattino seguente quella telefonata, la sera prima alle 22.30 ti avevano portato in ospedale, respiravi male, i battiti erano lenti.

Di corsa in ospedale, chiedo notizie, mi fanno aspettare, dopo un’ora chiedo ancora, devo aspettare, regna il caos, autoambulanze che corrono su e giù, poi la telefonata di tua figlia.

In quel momento eri volata via, ed io ero lì, fuori dal pronto soccorso a due passi da te, nessuno mi ascoltava, volevo esserci, stringerti fra le mie braccia ancora una volta, volevo urlare, prendere a pugni il mondo, non potevano farmi questo, era troppo doloroso.

Mi sono buttato contro la porta che ci separava e mi hanno fatto entrare, eri sola, in un angolo della stanza, un paravento ti isolava dagli altri, rannicchiata su te stessa come una bambina, ti ho baciato ed ancora quel vento freddo che mi ha risucchiato in questo grande dolore, non doveva andare così non lo meritavi.

Ho finito di pitturare ma perso nei miei ricordi dolorosi ho steso la pittura anche sul pavimento, sono rimasto nell’angolo ancora intonso, con le spalle al muro, è così che mi sento, messo in un angolo, senza più la mia sorellina.

 

 - 14 -

Autrice. MARIA RITA SANNA

Chiuso all'angolo

 

Stupido. Avevo finito il mio bel lavoro quando mi accorsi di aver fatto una cavolata. Ma le impronte erano da cancellare, le macchie dovevo coprirle per bene. E cosa c’era di meglio che una vernice rosso vermiglio per mascherare il mio delitto?

La fretta, maledetta, giudice esecutrice della mia condanna. È proprio vero che gli attimi che seguono un gesto estremo carico di adrenalina destabilizzano la mente. E io, stupido, mi ero lasciato andare a quel lussuoso pensiero di aver messo fine alle mie paranoie.

La gelosia, come la fretta, anche lei giudice del mio pensiero mi portò all’azione appena sentii il nome dell’altro. Certo, lei lo pronunciò per errore, fu un lapsus perché magari, come disse, lo aveva incontrato durante la mattina, per lavoro.

Ma l’ossessione, oh quella dannata, peggio della mia amante, aveva preteso tutte le attenzioni, distraendomi dall’amore. Questo era caduto sotto i colpi ripetitivi di quella che con parole cadenzate lo aveva espulso dalle stanze del cervello.

La presunzione appartiene agli stolti. Io ero sicuro di me, convinto di essere l’unico uomo sulla faccia della terra ad avere ogni diritto sulla mia donna. Ne feci il mio punto di forza. La sua vita mi apparteneva. Perciò dopo averla strangolata ricoprii tutta la stanza di vernice rossa, pure il suo corpo feci rosso, come l’amore in cui lei credeva.

E se quel colore e l’odore nutrivano il mio ego mentre completavo l’opera, dentro le viscere lottavano contro la bile costringendola a un rigetto inaspettato.

Stupido. Arrivai a fine lavoro senza più fiato, senza altra vernice per ricoprire la mia fuga.

Chiuso all’angolo dalla mia stessa follia.

 

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Autrice: TIZIANA MAZZA

Paura

 

L’urlo agghiacciante proviene da oltre quella porta e fra poco tocca a me.

Mi si offusca la vista, sento le forze abbandonarmi, il mio corpo è divenuto all’improvviso molle come quello di un animale invertebrato, sto per accasciarmi al suolo.

Sento delle voci, ma non riesco a distinguerle.

Sono prigioniero di un involucro rigido e insensibile, non so più dove sono.

Di sicuro in un luogo nemico.

Che ci faccio qui?

Chi ha gridato?

Non riesco ad alzarmi per andarmene, il fisico non risponde più ai comandi, è come se la mia mente fosse imprigionata nel corpo di un’altra persona.

Il cuore, però, quello sì, lo sento battere, così forte che sembra voglia fuoriuscire dalla cassa toracica. Sento le pulsazioni nelle orecchie, sembrano i rintocchi di un tamburo che accompagna le esequie del caro estinto…

Oddio!

Dove sono finito?

Perché sono qui?

Chi c’è di là?

Che cosa vogliono farmi quegli esseri immondi?

Dopo l’urlo, uno strano silenzio.

Poi, un bisbiglio… «Non può strillare così, spaventa la gente, poi le persone scappano…»

Eh sì che scappo, se solo potessi muovermi…

Non capisco più se ho gli occhi aperti o chiusi: vedo solo rosso. Un’ enorme macchia rossa si allarga sul pavimento e si ricongiunge con un’altra che cola lungo i muri dal soffitto, sembra… Sangue!

Devo scappare, sono accerchiato, fra poco mi raggiungerà…

Ma dove? Non c’è via di fuga…

Aspetta, com’era quel gioco che si faceva da bambini, come si chiamava? Ah sì, rialzo…

Se solo trovassi un gradino e riuscissi a salirci, sarei in salvo! Basterebbe anche solo un piccolo rialzo…

«Ecco fatto! Gli esiti saranno pronti domani pomeriggio, può passare a ritirarli a partire dalle 14:00.»

Apro la mano stretta a pugno: mi fa male, le dita intorpidite riprendono a muoversi, il tamburo nelle orecchie si acquieta, i muscoli degli arti si sciolgono come iceberg a primavera.

Stiro le palpebre strizzate a plissé, la vista non è più offuscata: le pareti rosse non ci sono più, al loro posto solo muri bianchi.

Davanti a me una piccola scrivania, anch’essa bianca, e sopra un raccoglitore dove pendono tante fialette di colore rosso… Sono tutte etichettate con un nome e una sigla… Ce l’ho fatta, c’è anche la mia!   

  

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Autrice: GIULIANA DEGL’INNOCENTI

In odore di svincolo

 

Lucia aveva deciso di dipingere la loro camera di rosso e adibirla a soggiorno. Dopotutto una stanza così grande non le serviva più. Paolo l’aveva lasciata e per lei sarebbe stato sufficiente un ambiente decisamente più piccolo. E poi la psicologia spicciola delle riviste femminili che era solita leggere suggeriva sempre come terapia di rielaborazione delle rotture affettive, il cambiamento radicale anche di tutto quello che era stato scenario della storia d’amore interrotta.  Pertanto lei, con pecorile ossequio alle autorevolissime rubriche dei sopracitati rotocalchi nonché ai meme dei social network che motteggiavano: “cambiare per ricominciare” oppure “riparti modificando il tuo vivere” e altre amenità, pensò  di colorare di scarlatto il locale che per dieci anni aveva assistito ai tumultuosi amplessi tra lei e il suo uomo, alle loro furibonde litigate e alle altrettanto formidabili dormite dopo notti d’amore infuocate. Ebbene, si recò alla ferramenta Ossini, proprio sotto casa sua, acquistò pennelli e diversi barattoli di vernice, si infilò una tuta da lavoro bianca e poi si mise all’opera.

Dipinse tutto il giorno, con il capo chino, ripassando con cura ogni superficie con estrema attenzione, si fermò solo all’ora di pranzo per una breve pausa nella quale ingurgitò uno sneak scolandosi una quanto mai analcolica  e altrettanto indigesta bevanda ghiacciata, poi riprese a pitturare fino a sera. A un certo punto il suo cellulare squillò. Era Paolo, riconobbe subito la suoneria personalizzata della chiamata in entrata, però si accorse anche di aver dimenticato il telefono sulla soglia di uno dei due ingressi della stanza, appoggiato per terra, mentre lei si trovava all’angolo opposto, ormai racchiusa in un piccolo quadrato ancora da dipingere. D’un tratto un crampo alla pancia la piegò in modo brusco preannunciandole una imminente scarica di diarrea.

Dannato the verde!

Che fare? Correre in bagno a liberarsi passando sul pavimento già tinto e ormai asciutto, oppure dirigersi verso l’altra porta, rovinando la tinta sempre fresca per rispondere al proprio amore forse pentito e pronto a ritornare a casa?

Ci pensò un microsecondo e poi:

Ma chi se ne frega, ormai ho dipinto, vado a cagare!

 

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Autrice: LINDA SILVIA SCARPENTI

 Illusione Ottica

 

«Ridete, ridete!» era solito dire accorato e con voce roca Antonio tutte le volte in cui era schernito. Era come se usasse un’arma - l’unica a sua disposizione, per difendersi da quei soliti ragazzotti idioti del paese, che non perdevano l’occasione di deriderlo quando lo incontravano.

Tant’è, che quasi a volerli intimidire, con forza aggiungeva: «Arriverà il momento in cui vedrete chi è lo stolto!»

Da qualche tempo, poi, lo seguivano di nascosto per fotografarlo ovunque, anche quando lavorava, innervosendolo di continuo. Era ormai preso di mira a… suon di click!

Vestito modestamente, anche se sempre pulito, e d’indole buona, si racconta che Antonio, in seguito a una delusione amorosa, da ragazzo avesse cominciato a rinchiudersi sempre più in se stesso, fino a prediligere una vita ritirata e solitaria. Perse il lavoro da imbianchino e, da lì a poco, quando la depressione bussò alla sua porta, fu anche internato in una casa di cura per un breve periodo.

Viveva da solo e, aiutato da una piccola pensione che percepiva e dallo svolgimento di alcuni lavoretti per conto della parrocchia, si barcamenava.

Nessuno degli abitanti di quel paesino, arroccato sulla cima di quei monti, sapeva quanti anni avesse quell’uomo, anche se tutti, vecchi e bambini, lo conoscevano da sempre.

Un pomeriggio d’autunno, tornati da scuola, i ragazzi raggiunsero Antonio per dare inizio al solito monotono e offensivo ritornello.

Lo trovarono fermo in piedi, in uno degli angoli di una stanza in sacrestia tutta colorata di rosso: entrambe le mani occupate reggevano una latta di vernice, da una parte, e un pennello, dall’altra.

Anche il pavimento era stato dipinto con vernice rossa, come le pareti, tranne un’ultima parte bianca, un intero angolo, quella in cui Antonio stava ritto in piedi senza muoversi.

I ragazzi cominciarono a ridere e, fotografandolo con i loro cellulari, a canzonarlo per non aver saputo calcolare da che parte iniziare il lavoro per poter, poi, uscire dalla stanza senza camminare sulla vernice fresca.

Non si accorsero, però, dell’arrivo di don Alberto, il sacerdote del paese.

Tutto trafelato, voleva soccorrere Antonio per aiutarlo a schivare con i piedi la vernice bianca rovesciata inavvertitamente, con cui avrebbe dovuto dipingere il pavimento rosso!


«E no, cari miei! Che cosa state dicendo? Non avete capito nulla!» li zittì il prelato, aggiungendo: «Siete in errore: quello che appare in quelle foto, non è verità! È solo un’illusione ottica!»

I ragazzi, quindi, mortificati e ben redarguiti, posero fine – almeno per un po’ di tempo – al loro comportamento ingiusto e saccente.

Don Alberto tese un braccio ad Antonio che, con un balzo felino, si liberò dalla sua posa forzata e cominciò a correre lungo la stradina che dalla chiesa portava al centro del paese, urlando dalla gioia.

«Corri, Antonio, corri!» pensò il sacerdote, guardandolo diventare sempre più piccolo all’orizzonte.

«Fa’ che la tua innocente felicità ti difenda da chi vero stolto è!»

 

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Autrice: EMANUELA TOMIATO

 Cose da fare

 

Basta rimandare.

No, non poteva tirarsi indietro, non aveva margine di scelta.

Era arrivato il momento di prendere una decisione importante.

E una cosa così, ti lascia il segno. Per sempre.

Pieno di confusione dentro, non capiva ancora bene come fare, ma non vedeva altra possibilità.

Da giorni continuava a cercare soluzioni, a immaginare modi possibili.

Niente. Si sentiva all’angolo. Anzi, era finito in un angolo, senza via d’uscita.

Solo il tempo gli avrebbe dato una risposta e fatto capire, forse, se avesse deciso in modo giusto.

I problemi erano tanti, tra cui la questione dell’eredità, diventata insostenibile.

Dalla tragica morte dei genitori, suo fratello Simone, fragile e poco maturo, aveva ricominciato a drogarsi: i segnali erano chiari, gli chiedeva del denaro ogni giorno e poi spariva dalla circolazione. Giovanni se ne era accorto che aveva gli occhi con le pupille dilatate e il suo comportamento passava da un’apatia silenziosa a un’aggressività tipica.

Le loro telefonate, all’inizio con toni abbastanza pacati, andavano poi a parare sempre sul denaro, sull’eredità o sul conto in banca. E questi argomenti riempivano le parole che, acide, portavano a litigate forti. Le chiamate si chiudevano con uno scontro, sempre.

Simone, oramai soggiogato dalle sue dipendenze tossiche, era incapace di decidere di sé stesso e di vedere il suo ruolo futuro con serietà. Gli serviva un percorso di riabilitazione: l’unica soluzione possibile sarebbe stata una comunità di recupero, al più presto.

E al fratello grande, Giovanni, era toccata la triste scelta di denunciarlo, di avere la sua tutela e ora di accompagnarlo alla casa di accoglienza, come stabilito dal giudice.

Di risposta, Simone lo accusava di essere avido e di volersi accaparrare tutta la successione; addirittura, gli urlava che non si comportava da fratello.

Ogni frase trasudava odio, quante pugnalate...

Dalle frasi di Simone non trapelava mai una frase verso l’incidente triste capitato ai genitori, né l’idea di cercarsi un lavoro per cominciare a mettere ordine in una vita così conciata, o trovare una ragazza per crearsi una famiglia. Disgraziato.

Giovanni sentiva il peso di tutto: la perdita dei genitori, le incombenze del tribunale, i casini del fratello tossico, la cura della famiglia e il proprio lavoro.

Tutto da mandare avanti. Tutto sulle sue spalle.

Aveva l’acqua alla gola, si sentiva sommergere, circondato.

Il carico andava aumentando, una cosa dopo l’altra, goccia a goccia.

Si sentiva davvero saturo. Era capitato così. Lui ora si vedeva in un angolo, solo.

Ce l’avrebbe fatta?

Non aveva intenzione di rinunciare.

Basta rimandare: doveva provarci. Per il bene di tutti, anche di sé stesso.

Era tenace, voleva uscire dal tunnel. Il destino aveva in serbo la soluzione, bastava fidarsi e lasciarsi guidare: avrebbe attraversato il pavimento rosso delle prove per arrivare alla via d’uscita, anche a costo di sporcarsi.

Guardò in alto. C’era una luce: il riscatto, la salvezza.

Poi prese un foglio e cominciò a segnare le cose da fare…

                                                                                                                                 

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Autrice: CAMILLA TERSO

Io avrò cura di te

 

Quando ne arrivavano due nuovi se ne accorgeva immediatamente dalla loro faccia impaurita, ma lui li accoglieva sempre con un bel sorriso.

Sulla porta dell’associazione aveva messo un’immagine dove tutti, soprattutto i nuovi soci, almeno una volta si riconoscevano: quella di un uomo che dipinge un pavimento di rosso e lascia un quadrato bianco. E Angelo in quel quadrato ci era stato, sapeva come ci si poteva sentire.

Il signor Angelo aveva settantacinque anni e da quando era in pensione si dedicava a quei genitori che, come lui, avevano avuto un figlio disabile.

Aveva solo ventotto anni e sua moglie ventisette quando nacque Sergio, si ritrovarono entrambi in un mondo sconosciuto; avevano voluto e aspettato quel bambino per anni, sembrava normale almeno per i primi mesi, poi diventò tutto stano… Sergio era strano.

Angelo e Maria erano al primo figlio e perciò non conoscevano bene le tappe di un bambino. Infatti, anche se il figlio aveva più di due anni, non parlava ancora, ma loro lo attribuirono a semplice pigrizia e al fatto che era figlio unico e non era stimolato abbastanza. Ma Sergio era anche molto irrequieto, forse perché era viziato da tutti, soprattutto dai nonni di entrambe le famiglie.

A due anni e mezzo lo portarono dal pediatra per la solita visita di controllo e il dottor Marini informò la coppia che c’era qualcosa che non andava e la indirizzò da uno specialista sulle forme di autismo.

I sospetti del pediatra, purtroppo, erano fondati, la diagnosi era autismo.

Il dottore consigliò ad Angelo e sua moglie di iniziare un percorso per il piccolo, ma soprattutto per loro per conoscere quel mondo. Fu lì che Angelo vide per la prima volta quell’immagine e vi si riconobbe, per via del senso di solitudine in cui si trovava.

Con il passare del tempo Sergio diventò sempre più inquieto e bisognoso di cure e non riusciva a socializzare con gli altri bambini, li spaventava e veniva allontanato, lui viveva in un mondo tutto suo dove nessuno poteva entrare  e di conseguenza anche Angelo e Maria vennero esclusi dagli altri genitori.

I primi anni della sua vita furono davvero duri e di grande solitudine per la coppia, a lungo andare la loro unione ne soffrì.

Una mattina Angelo si svegliò e non trovò più Maria, era andata via, lasciando solo un biglietto con su scritto: non ce la faccio, tu sei più bravo di me. Lui rimase a fissare quel biglietto per ore, poi guardò Sergio e lo abbracciò forte, promettendogli che si sarebbe preso cura di lui finché la vita glielo avrebbe concesso.

Da allora si dedicò ai ragazzi come suo figlio e ai loro genitori, fondando un’associazione, così da non farli mai sentire come in quell’immagine.

 

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Autrice: ADELIA ROSSI 

Follia

 

Cercasi giovane disinvolto e paziente per arte contemporanea.

Riccardo, dopo aver letto per la seconda volta l’annuncio, strappo il trafiletto dal fondo pagina e lo mise nella tasca della giacca senza farsi vedere dal cameriere giunto a prendere l’ordinazione.

Era una proposta bizzarra, ma in un momento, dove trovare lavoro era sempre più difficile, tutto andava bene.

Trascorse mezz’ora gradevole all’esterno di quel piccolo bar, sotto un invitante sole primaverile e dopo aver gustato il delizioso espresso, si avviò verso la propria abitazione.

Appena in casa prese il cellulare e compose il numero riportato sul ritaglio che aveva strappato dal quotidiano.              

«Pronto!»

Caspita! Incominciamo bene, pensò Riccardo, sbalordito dal vigore di quella voce. Subito si presentò e senza perdere tempo passò a parlare dell’inserzione. Dall’altra parte del telefono, l’uomo, presentatosi come Golia, lo convocò per l’indomani mattina nel proprio ufficio in Viale del Tramonto, quarantotto.  «Mi raccomando: vestito in modo elegante.» aggiunse.  

Troppe stranezze, pensò Riccardo, deciso comunque ad andare fino in fondo.

All’orario stabilito era già davanti alla grande cancellata del civico 48. Si avvicinò al citofono e premette il campanello che riportava il nome indicatogli. Gli rispose la stessa voce che aveva udito al telefono, invitandolo a salire all’ultimo piano. Si avviò verso l’ascensore e una volta dentro premette il tasto finale. Appena la porta si aprì, un omino poco più alto del metro e cinquanta lo accolse con un sorriso beffardo. Era una stonatura unica a confronto del temibile gigante che il suo nome rievocava.

«Direi che è perfetto: pantalone grigio di ottimo taglio e scarpe nere. Proprio quello che mi serve. Si accomodi! Diamo inizio all’opera d’arte.»

Riccardo, sempre meno tranquillo, lo seguì fino ad arrivare davanti a una porticina che nemmeno si vedeva, camuffata com’era con la stessa tappezzeria che ricopriva il corridoio.

«Ora tocca a lei» e così dicendo, Golia, spalancò la porta e lo sospinse all’interno di un piccolo locale triangolare.

Questo è pazzo, pensò Riccardo, abbagliato da quel rosso scarlatto che ricopriva tutta la stanza, soffitto e pavimento compreso. Aprì la bocca per chiedere spiegazioni, ma l’uomo lo zittì.

«Lo vede quel pezzo di polistirolo nell’angolo con i margini seghettati? Dovrebbe salirvi sopra e restare immobile per pochi secondi. Il tempo di un click.»

Riccardo rimase allibito. La poca lucidità rimastagli stava per abbandonarlo.

«Aspetti, manca qualcosa!» Gridò Golia, prendendo da dietro la porta una lattina di vernice e un pennello. Appoggiò il barattolo di fianco all’uomo, gli porse l’arnese per la pittura e dopo avergli raccomandato di tenerlo con le setole rivolte verso il basso, tirò fuori dalla tasca un piccolo telecomando e lo attivò. Dal soffitto scese un pannello tutto nero che coprì Riccardo dal volto fin sopra le ginocchia. Al fermo, una luce illuminò la stanza irradiando con i propri raggi quel fulgido cromatismo.

«Stop! Non si muova.» Il click di uno scatto fotografico mise fine a quella scena.  Quel momento segnò l’inizio del romanzo «Senza testa né coda» della scrittrice Adelia Rossi.

 

 - 21 -

Autrice: TANIA MIGNANI

 Vada come vada


«Ti amo» dice lui.

Ti amo?

Che significa, ti amo?

Eh no, caro, tu stai giocando sporco. Non erano questi i patti, ricordi?

Nessun coinvolgimento emotivo, si era detto.

Ci vediamo, stiamo insieme, io ti piaccio, tu mi piaci. STOP.

E adesso tu che fai? Mi prendi tra le braccia, mi guardi negli occhi e mi dici Ti amo?

Dimmi, cosa dovrei rispondere io, ora?

C’è una foto, l’ho vista qualche giorno fa, non ricordo più dove, forse su una rivista o su internet. Raffigura un tizio che ha appena dipinto un pavimento e si ritrova all’angolo, letteralmente, senza sapere che fare.

Ecco, ora io mi sento proprio così, all’angolo e no, non è del tutto colpa tua, mi ci sono messa da sola in questo angolo.

Quando ti ho conosciuto mi sono detta: questa volta non ci casco. Ho messo subito le cose in chiaro, sesso, amicizia e nient’altro. Sembrava ti andasse bene e tutto stava procedendo nel migliore dei modi. Niente ansie, nessuna attesa con il cuore in gola ad aspettare una chiamata o un messaggio come ho fatto in passato, illudendomi che potesse essere “per sempre”.

Non è certo la prima volta che mi sento dire ti amo. Una delle frasi più inflazionate, lo si dice con leggerezza, magari ci si crede pure, in quel momento. Ma poi passa, dopo un giorno o un mese, la frase non ha più valore e chi l’ha pronunciata sparisce o, nel migliore dei casi, ammette di essersi sbagliato.

Con te mi sono detta che sarebbe stato diverso. Ho imparato, giorno dopo giorno, a non aspettarmi niente di più di quello che eri in grado di darmi. Se ci ripenso tu non mi hai mai promesso nulla, neppure una telefonata, la facevi e basta. Non avevo bisogno di guardare ripetutamente il display del telefono per sperare in un piccolo messaggio “buongiorno” “buonanotte “come stai?”, lo leggevo, semplicemente. Non aspettavo alla finestra guardando a destra e a sinistra per capire se e quando saresti arrivato, scendevo le scale e tu eri lì ad aspettarmi.

E ora?

Ora te ne esci con questa frase.

E io?

Io cerco nei tuoi occhi un sentore di menzogna, almeno un barlume che mi faccia dire ecco, vedi? È come tutti gli altri.

Ma non lo trovo.

Allora che faccio, qui all’angolo?

Fingo di non aver sentito e me ne rimango qui, ad aspettare che la vernice asciughi per finire la mia opera?

Sai che ti dico, io me ne frego delle impronte che lascerò sul pavimento.

Me ne frego se sarà da ritinteggiare.

Io ci cammino sopra alla vernice fresca e me ne esco così da questo angolo.

Ti guardo negli occhi e rispondo «anch’io».

E poi?

Poi, vada come vada.

 

- 22 - 

Autrice: SILVANA DA ROIT

Zitto e buono

 

«E se invece di una sola parete, tingessi di rosso anche quella opposta?»

«Ma dicevi che volevi solo dare un tocco di colore alla stanza.»

«A me dà l’idea che venga meglio. Cosa ti costa, in due ore fai tutto se ti metti di buona lena, sempre che tu non abbia perso la voglia di lavorare andando a vivere da sola.»

«Mamma, non sono andata a vivere da sola, ho solo deciso di ritornare nella mia camera. Poi, ora stai meglio, non hai bisogno di assistenza. Dipingerò anche l’altra parete di rosso, come vuoi. Contenta? Mi sembri “Zitto e buono”.»

«Chi?»

«Un uomo del mio reparto.»

«Passi più tempo con i tuoi pazienti che con me.»

«Scherzi, vero? Ti ho seguito fino a qui anche se non ho mai capito come mai tu sia voluta ritornare al paesello; stavamo tanto bene in città ed ero più vicina al lavoro.»

«Questa è ancora casa nostra, era inutile pagare l’affitto, ne abbiamo discusso ampiamente. Cosa dicevi di quell’uomo?

«È ricoverato in istituto da anni perché non c’è nessuno che si occupi lui. Non parla mai, l’unica cosa che dice è zitto e buono, quando lo redarguisci. Inoltre, colora tutto di rosso. Dovresti conoscerlo, dicono fosse un Orlandi originario di qui.»

«Siamo stati via molto tempo, non posso ricordare. Ma è pericoloso?»

«No, figurati, non ha mai dato problemi. Però la settimana scorsa è entrato un postino a portare dei pacchi in aula da disegno e ha reagito in modo strano. Si è messo in piedi contro l’angolo dell’aula e ha continuato a ripetere zitto e buono, zitto e buono. Era terrorizzato. E dire che l’uomo non aveva nulla di strano, poi sai che a me la divisa da postino ricorda il papà, quindi mi faceva pure simpatia.»

«Basta chiacchiere, mi sta mancando l’aria. Vai a prendere il pane.»

«Stai bene mamma? Sei impallidita. È il cuore?»

«No, cara. Deve essere questo odore di vernice, mi dà proprio fastidio. Guarda, ho deciso che mi tengo solo una parete colorata. Adesso vai, io inizio a preparare il pranzo.»

 

Mentre affettava la verdura, teneva a bada l’affanno.

Le avevano detto che la bicicletta di suo marito era spesso appoggiata alla casa degli Orlandi. Nulla di male, era o no un postino? Ma un giorno l’aveva seguito e nascosta dalla siepe aveva assistito a quell’impudico bacio sulla porta. La donna aveva detto: «Sbrigati, lui se ne starà zitto e buono in camera sua, come sempre.»

La serratura non era stata chiusa ma non se la sentì di entrare; spiò solo dalla finestra dove un bambino stava ritto in un angolo della stanza, immobile. Non lo si vedeva mai in giro, la gente diceva non fosse normale.

Il giorno dopo si seppe che la signora Orlandi era stata trovata in una pozza di sangue proprio in quella camera e il bimbo era ancora lì, in quell’angolo maledetto.

Disse al marito che voleva trasferirsi in città e lui, per l’unica volta nella vita, esaudì i suoi desideri. Fece di più. Preparò le valigie.

 

 - 23 -

Autrice: PINUCCIA SASSONE

 Paura  di cambiare


Sara era depressa da troppi anni e l’atteggiamento passivo rispetto alla vita, certamente non l’aiutava. Era convinta di non meritare niente di buono.

Sulle spalle, un passato disastroso a causa del patrigno. Ricordi orribili, diventati cicatrici incancellabili. Per una vita intera quell’uomo aveva bistrattato lei e la madre.

Povera donna, quante ne aveva passate. Lui trascorreva pomeriggi interi al circolo cacciatori, sperperando danaro in gioco e alcool. Tornava sempre arrabbiato e ubriaco, sfogandosi  con la prima persona che trovava davanti.

La sera, Sara, prima che lui rincasasse, si chiudeva in camera, fingendo di dormire. La madre era obbligata ad aspettarlo, sperando che non tornasse ubriaco, cosa molto rara.

Seguivano urla, botte e non solo.

Qui si fa quello che dico io, dei miei soldi ne faccio ciò che voglio. Tu e tua figlia, senza di me, potete fare solo le puttane.

La strattonava spingendola verso la camera da letto.

Sara si riparava sotto le coperte, le mani alle orecchie per non sentire quel mostro mentre abusava della madre. Si sentiva violentata anche lei.

Non avevano né casa, né lavoro. Se si fossero ribellate le avrebbe sbattute in mezzo alla strada.

Un giorno, la madre dovette assentarsi per diverse ore, Sara era a letto con la febbre. Nel pomeriggio, in orario inaspettato, tornò il patrigno, nervoso e ubriaco, come al solito.

Entrò nella sua stanza, urlando…alzati puttana!

La ragazza, impaurita, soffocava un pianto sordo coprendosi il volto con le braccia, senza possibilità di uscire da quella stanza diventata una prigione. Vivevano in campagna, se avesse chiesto aiuto, nessuno l’avrebbe sentita.

Lui, barcollante, alzò le coperte, buttandole  per aria. Imbestialito, cominciò a picchiarla.  Sara cercò di difendersi, ma non servì a fermarlo; tentò invano di alzarsi per scappare. Lui la spinse sul letto riempendola di botte e urlando parolacce di ogni genere. La rabbia dell’uomo peggiorava sempre di più, era diventato un mostro.

Sara… un pianto disperato…un doloroso disgusto.

Aveva solo quindici anni.

Il buio… perse i sensi.

Al ritorno, la madre  la trovò  impaurita, lacerata nel corpo e nell’anima, soffocata da silenziosi singhiozzi. Non servivano parole, si abbracciarono piangendo ma le lacrime non potevano lavare quel dolore. 

Passarono anni per decidere di andare in analisi. Aveva paura di affrontare i mostri del passato. Era forte però il desiderio di cambiare la sua vita.

La psicologa la seguiva con delicatezza e pazienza.

Dipingi ciò che vuoi, le disse porgendole una tela bianca e una tavolozza di colori.

Sara usava solo il colore rosso, null’altro, rosso su rosso. Rappresentava il dolore, la violenza subita, il sangue che aveva sporcato la sua innocenza. Trascorsero mesi, a quella tela non si aggiungeva nulla di nuovo.

Il giorno prima del suo compleanno, nell’angolo del dipinto ritrasse un corpo a metà, con un pennello in mano, sembrava timoroso di continuare. Era posizionato però su uno scorcio di colore bianco, simbolo di purezza.

Qualcosa stava cambiando: l’io interiore iniziava a muoversi, pulendo lo sporco di cui lei era stata solo vittima.

Sara stava rinascendo.

 

- 24 -

  Autrice: PAMELA PIROLA       

Il mistero del forte medioevale

 

Era una afosa mattina estiva. Bianca decise che era la giornata giusta per andare a visitare il forte medioevale. Era una bellissima ragazza, con fisico da modella, con capelli scuri raccolti in una treccia portata  sul davanti per nascondere il lato destro del viso, deturpato da una cicatrice. Un segno indelebile lasciatole con un rasoio da suo padre, uomo vile e violento.

Arrivata al forte, dopo aver ammirato l’esterno, si aggregò a una comitiva per la visita  degli ambienti interni. Saliti al piano nobile poterono ammirare il salone di rappresentanza, la sala della musica,  salotti e studi, tutti arredati con eleganza e ricercatezza dei dettagli.

Giunti nella zona notte, si trovarono al cospetto della Stanza Rossa, chiamata così perché le sue pareti erano rivestite da una carta da parati rossa, il pavimento era tinteggiato di rosso, il letto a baldacchino era ricoperto da lenzuola di seta rossa.

Entrando in quella stanza, Bianca ebbe la sensazione di averla già vista, solo se la ricordava diversa da come era. Nel  suo ricordo il letto era il doppio rispetto a quello  esistente e il colore era più chiaro:  bianco avorio.

Incuriosita da quella strana sensazione iniziò osservare gli oggetti presenti nella stanza, alcuni dei quali le sembrarono familiari.

Era talmente presa dalla ricerca che non si accorse che la comitiva aveva proseguito la visita, lasciandola sola in quella stanza.

Ogni minuto che passava lì dentro si sentiva sempre più a suo agio. Si sentì attratta dal letto a baldacchino al punto di distendersi. Improvvisamente ebbe un giramento di testa  che cercò di calmare sedendosi. Solo allora si accorse che il vestitino azzurro, indossato la mattina,  era una camicia di seta rossa. Ebbe la sensazione di non essere sola ma, guardandosi attorno, non notò nessuna presenza. Un   dolore trafittivo  al lato sinistro del petto la assali,  le si offuscò la vista e venne  rapita da una stanchezza indomabile. Perse i sensi.

Poi tutto fu avvolto dal silenzio.

La mattina seguente il guardiano del forte, entrando nella stanza rossa,  notò che nella  carta da parati rossa si era creata una breccia. Incuriosito, si avvicinò per  osservare meglio. Nonostante la poca luce che filtrava dall’apertura gli sembrò di vedere una stanza simile a quella rossa con lo stesso letto, solo le pareti erano bianche. In quella stanza era tutto immacolato. Sul letto era disteso il corpo di una ragazza. Prese una torcia per illuminare meglio  e vide che la donna indossava una camicia da notte di seta rossa. La  corporatura era esile e aveva i capelli scuri  raccolti in una treccia. Il viso era deturpato da uno sfregio sul lato sinistro. Nel corpo era  infilato uno stiletto tra le ossa delle costole all’altezza del cuore. Le lenzuola bianche erano cosparse di macchie di sangue rosso vivo.

Domandandosi chi potesse essere quella ragazza,  alle sue spalle udì un fruscio. Vide uscire dalla stanza una ragazza con un vestitino  azzurro, capelli scuri legati in una treccia e con uno sfregio sul volto.  

 

- 25 - 

Autrice: MARIA GRAZIA CONTI

Genius

 

Giacomo era un ragazzino di dodici anni, introverso e solitario. Amava leggere, immergendosi nelle storie fantasy con una tale partecipazione da estraniarsi dalla realtà per ore e ore.

Non si sa come né quando iniziò, ma durante uno dei suoi viaggi fantastici fece conoscenza con il folletto Genius che divenne suo amico e complice di avventure.

Genius era dispettoso e birichino e gli faceva degli scherzi burloni, come quando passava tra i muri, mentre Giacomo era costretto a sbatterci contro o a fare lunghi giri per raggiungerlo.

Con lui poteva arrampicarsi sugli alberi, visitare le tane degli gnomi e le casette degli elfi. Insieme facevano piroette nell’aria, violando la forza di gravità. Con Genius la vita era ogni giorno nuova, originale e sicura..

Fu durante queste avventure che Giacomo venne a sapere da Genius dell’esistenza del malefico Asclepius, personaggio da evitare a tutti i costi, per non rischiare  una brutta fine. Era costui un’oscura figura del male, invidiosa di tutto ciò che fosse leggerezza e solarità. Imprevedibili erano i malefici che usava per creare ostacoli o addirittura eliminare gli avversari, ma fino ad allora Giacomo  non ne aveva mai sperimentato i pericolosi influssi.

Un giorno, usando l’ascensore per salire a casa sua, trovò all’interno una latta di vernice. Stava domandandosi che cosa ci facesse lì, quando la latta, come prendesse vita da sola, fece uscire un liquido bianco che si allargò sul pavimento, insinuandosi sotto le scarpe e intorno alla postazione di Giacomo e diffuse una macchia appiccicosa che incollava la suola delle scarpe. Terrorizzato, Giacomo cominciò a urlare, chiamando invano Genius, anche perché, contemporaneamente, l’ascensore si era bloccato tra un piano e l’altro. Non c’erano vie d’uscita: davanti a lui solo il cemento della tromba dell’ascensore che gli dava la sensazione di essere prigioniero in una tomba.

Il ragazzo non si arrese: sfilò i piedi dalle scarpe e, allungando il passo, arrivò in un punto del pavimento dove il liquido non era  arrivato. Si ricordò che Genius lo aveva messo in guardia dalle diavolerie di Asclepius – e questa era forse opera sua- suggerendogli una formula in caso d’ incantesimi per trarsi d’impaccio. Già, ma qui veniva il brutto: lui non se la ricordava più.

Farfugliando, quasi fuori di sé dalla paura, finalmente riuscì a ricostruirla: Ámelon

L’ascensore riprese il suo cammino, la vernice rientrò nella latta e Giacomo si ritrovò

sul pianerottolo di casa sua, di fronte alla porta d’ingresso. Ad aspettarlo trovò Genius.

«Finalmente! Ti ho chiamato tanto!» Lo apostrofò Giacomo, arrabbiato.

«Non sempre mi è possibile intervenire! Comunque te la sei cavata bene, non ti pare?»

rispose il folletto.

Perplesso e ancora scosso,  Giacomo spalancò gli occhi e si accorse di essere… nel suo letto: era stato solo un sogno o meglio un incubo. Felice come non mai, pensò che forse era diventato troppo grande per continuare a giocare con Genius: d’altra parte aveva sperimentato di saper reagire con le proprie forze.

A malincuore, perciò, capì che era venuto il momento di crescere e di fare affidamento su se stesso.


Letti tutti? Ora votate!


AVVISI:

Vi ricordo che siete ancora in tempo per partecipare al Premio Letterario "Dentro l'amore" (sesta edizione) organizzato da Edizioni Convalle. Potete scaricare il bando nel sito www.edizioniconvalle.com

Troverete tante interessanti sezioni alle quali partecipare. Termine ultimo per gli invii degli elaborati: 30 giugno.


Si ricorda inoltre che si stanno raccogliendo le prenotazioni per la nuova classe dei Laboratori di Scrittura Creativa (on line) tenuti da me medesima. Per le informazioni scrivere a: steficonvalle@gmail.com


Vi ricordo, infine, il manuale di scrittura che potrete acquistare scrivendo a edizioniconvalle@gmail.com


Passo e chiudo!

Alla prossima

dalla vostra

 Stefania Convalle





 

 


91 commenti:

  1. Molti racconti mozzano il fiato, scelgo i miei 5

    3 Simoncini, confermo il mio pensiero è un vero bomber... L'ho letto e ho pensato che Norman Bates non gli attacca nemmeno le scarpe al suo protagonista

    25 Conti, una metafora interessante sul senso del crescere, passaggio obbligato della vita di ognuno

    24 Pirola, già in diretta quando ho ascoltato il pezzo ho pensato a Lovecraft, uno dei miei "geni del cuore". Bellissimo stile!

    23 Sassone, dipinge con le parole, come la sua Sara sulla tela, la lacerazione del corpo e dell'anima... Straziante e intenso

    19 Terso, senza cadere nel pietismo riesce a rendere come pochi saprebbero fare lo smarrimento di chi si trova ad affrontare qualcosa alla quale non si è affatto preparati

    Complimenti a tutti!
    Alessandra D'Angella

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    1. Alessandra... grazie!
      Al di là del "bomber" (sorrido un sacco, ogni volta ��) i tuoi complimenti lasciano il segno.

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  2. Splendida serata ieri sera. Ero curiosissimo di leggere cosa avesse ispirato questa foto e in effetti le sorprese sono state tante.
    Ancora una volta avrei voluto votare ben più di 5 racconti, ma non si può e ho dovuto operare ben tre scremature, con molto dispiacere.
    Ecco i miei voti, dunque, come al solito in ordine numerico:
    2 - Sonia Sognorino - L'artefice: a dir poco geniale il modo in cui ha inserito la foto in un racconto toccante e ben scritto. Praticamente non mamca nulla.
    6 - Anna Incandela - Angusto: scusate, ma al di là della forte emozione che mi ha dato leggere questa esternazione di mia mamma, il suo racconto mi ha insegnato qualcosa, ovvero che devo sbrigarmi a portarla fuori a cena una sera di queste ❤
    9 - Elisabetta Motta - Profondo rosso: durante la lettura in diretta mi sono scoperto incollato alle parole. Quando sono venuto qui a rileggere era esattamente come lo ricordavo. Mi è piaciuto un sacco e mi si è incollato addosso.
    21 - Tania Mignani - Vada come vada: Tania, ti leggo e mi ricordi come si sogna. E io, di sognare, non voglio smettere.

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    1. Ti ringrazio infinitamente per le splendide parole. Grazie grazie grazie!

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    2. Grazie, Riccardo! Il tuo commento mi si incolla addosso 😄

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  3. (si è perso un pezzo!)
    16 - Giuliana Degl'Innocenti - In odore di svincolo: dissacrante e irriverente tanto da costringere Stefania ad omettere il finale. Geniale!

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  4. I complimenti sono per tutti il mio voto va a:
    CARMINE SCAVELLO Giacomone, un ragazzo imbranato -11-
    MARIA RITA SANNA Chiuso all'angolo 14
    GIULIANA DEGL’INNOCENTI In odore di svincolo -16-
    Ma cullo le emozioni in punta di piedi.

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  5. bisogna esprimere 5 preferenze, altrimenti il commento è nullo.

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  6. voto i racconti di:
    Tatiana Venini
    Maria Grazia Conti
    Alessandra Nobile
    Elisabetta Motta
    Giulia Landini

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  7. Belli tutti!
    voto:-1 –ALESSANDRA NOBILE Il puntino rosso: quando l’ho letto il primo commento è stato: “Sbam! Che finale!” Mi piace veramente la prospettiva da cui viene raccontata la storia e gli infiniti modi di “perdere sé stessi in una relazione”. Veramente bello!
    - 3 – RICCARDO SIMONCINI: rosso sangue: dato che si è beccato il mio voto in tutte “le gare” ho deciso che al prossimo giro Simoncini non lo voto per principio �� scherzi a parte riesce sempre a creare queste coppie di personaggi sui generis, apparentemente al di sopra delle righe, ma in realtà perfettamente e profondamente centrati e realistici. Bravo davvero.
    - 11 – CARMINE SCAVELLO: Giacomone, un ragazzo imbranato: Il testo mi ha ricordato la struttura di una fiaba, e il personaggio “Giacomone” mi piace come viene tratteggiato, creando una certa vicinanza emotiva
    -21 –TANIA MIGNANI: vada come vada: l’idea della spinta a riprovare a rimettersi in gioco mi piace molto e, anche se in modo diverso, l’ho percepita anch’io. Bella questa lettura positiva con uno sguardo rivolto in avanti. Tra l’altro...❤️e chi se ne frega se quel pavimento sarà di nuovo da tinteggiare! ��
    -14 MARIA RITA SANNA: Chiuso all’angolo: molto forte, mi è piaciuto tanto, soprattutto la frase finale!

    Giulia Landini

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    1. Grazie, La Landa! Spero si veda che questa maratona mi diverte tanto!
      ...
      Però dai, fai uno strappo e votami ancora UNA volta. UNA sola. Poi basta, ok?
      :D

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  8. Indico le mie scelte, in ordine di preferenza:

    9 – “Profondo rosso” di Elisabetta Motta. Trovo il pathos della scrittura perfettamente riuscito, anche grazie al periodare breve e incalzante. Interessante l’uso del tema della suggestione mentale. Vivace il finale in cui la tensione si scioglie in un sorriso.
    22 – “Zitto e buono” di Silvana Da Roit. Bell’intreccio, compiutamente e credibilmente sviluppato in poche righe.
    1 – “Il puntino rosso” di Alessandra Nobile. Racconto avvolto da un’atmosfera simbolica suggestiva. Scrittura evocativa e impressionistica. Stilisticamente funzionali (e funzionanti) le ripetizioni lessicali
    24 – “Il mistero del forte medievale” di Pamela Pirola. Nel solco del genere fantastico, atmosfere ben rese grazie a una scrittura solida e tradizionale. Come sempre efficace, in questi contesti, il tema del doppio.
    3 – "Rosso sangue" di Riccardo Simoncini. Il racconto strizza l’occhio al genere “splatter” e lo fa in modo efficace.

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    1. Grazie per l'apprezzamento, Giorgio Leonardi!
      E volevo dirti che sulle parole "strizza l'occhio" e "splatter", mi hai acceso la lampadina per un nuovo racconto! ��

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    2. Grazie per avere votato e per la preferenza che hai dato al mio racconto, Giorgio! Il tuo commento mi riempie di piacere perché so da chi arriva!

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  9. Questa volta è stato davvero difficile scegliere. Dopo avere riflettuto a lungo ecco le mie preferenze.
    2 Sonia Signorino. Racconto ben scritto e pertinente alla foto.
    3 Riccardo Simoncini. Coinvolgente sin dalle prime battute, questo racconto mi è sembrato l’incipit di un interessante thriller.
    8 Giulia Landini. Confermo le mie precedenti impressioni. Bella penna. E poi ho apprezzato il finale che invita alla riflessione.
    14 Maria Rita Sanna. Mi sono piaciuti l’idea e il finale, in questo caso incisivo ed efficace. Ben scritto anche il suo.
    21 Tania Mignani. Una ventata di positività e ottimismo. Mi è piaciuto il modo in cui ha inserito la foto nel racconto.

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    1. Grazie, Elisabetta!
      In effetti avrei avito altre due o tre cosette da metter giù... Ma le 500 parole arrivano in fretta!

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    2. Riccardo, mi sono espressa male. Rettifico: il tuo racconto potrebbe essere l’incipit di un thriller 😉. Come racconto di questa lunghezza è perfetto!

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  10. È sempre più difficile scegliere.Tutti i racconti sono particolari ed esprimono le forti emozioni provate nell'osservare la foto.
    1) emozioni in poesia;
    2) vero e struggente;
    5) pura suspense;
    17) profondo;
    23) un colpo al cuore.

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  11. Grazie infinite Barbara, sono molto contenta per l'apprezzamento!

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  12. Ecco le mie cinque preferenze in ordine cronologico:
    3 - Rosso Sangue di Riccardo Simoncini:
    Un'esposizione originale di quel che succede "Quando la coppia scoppia".
    14 - Chiuso all'angolo di Maria Rita Sanna:
    Una descrizione molto vivida della furia omicida scaturita dalla follia di un amore malato.
    16 - In odore di svincolo di Giuliana Degl'Innocenti:
    Una sola parola: dissacrante! Con un finale strepitoso.
    21 - Vada come vada di Tania Mignani:
    In mezzo a tante storie strappalacrime, finalmente una storia a lieto alla "Pretty Woman".
    22 - Zitto e buono di Silvana Da Roit:
    Una storia originale e ricca di suspense in stile hitchcockiano.

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    Risposte
    1. Grazie, Tiziana!
      Anche se più che esplosa, lei risultava... "svuotata"! ��

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  13. Nicoletta Mamdaradoni
    Voto i n. 1,9,14,15,25
    Il n 1 di Alessandra Nobile è un racconto ben strutturato con un finale sorprendente;
    Il n 9 di Elisabetta Motta è interessante per il rapporto tra immaginazione e realtà;
    il n 14 di Maria Rita Sanna è ricco di spunti di riflessione e affronta una tematica attuale;
    il n 15 di Tiziana Mazza descrive con molta efficacia una situazione che si chiarisce solo alla fine;
    il n 25 di Maria Grazia Conti, molto fantasioso, è apprezzabile per la morale che contiene.

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  14. Complimenti davvero a tutti, ma devo operare una scelta:
    3. Riccardo Simoncini, Rosso sangue. Ironia pungente e finale inaspettato in un amore spremuto fino all’ultima goccia.
    5. Tatiana Vanini, Opera in rosso. Atmosfera fiabesca e un po’ horror. Ma in fondo, le fiabe, non sono puro horror?
    10. Costanza Trotti, Rosso Rubino. Efficaci le immagini per descrivere la solitudine di una bimba con dei genitori troppo presi da sé stessi.
    14. Maria Rita Sanna, Chiuso all’angolo. Descrizione forte ed efficace di una mente paranoica.
    23. Pinuccia Sassone, Paura di cambiare. Questo racconto è una bomba emotiva, ed è bellissimo.

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    1. Grazie "Esterina"!
      (Ormai, per me... ��)

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  15. Inutile ripetere che sono tutti bellissimi. Ho trovato grande difficoltà laddove, a pari merito, ho dovuto fare una scelta. Ho votato per ordine numerico.
    1° "Il puntino rosso" autrice Alessandra Nobile. Attraverso il colore ha descritto l'emotività di un rapporto di coppia. Oltre che bello e ben scritto, l'ho trovato originale.
    9° "profondo rosso" autrice Elisabetta Motta. Grande suspence con un finale sorprendente.
    14° "Il dolore chiuso all'angolo" autrice Maria Rita Sanna. Infallibile la penna di Maria Rita . Non sbaglia un colpo e sorprende sempre. Finale che ti lascia senza fiato.
    16° "Il dolore chiuso all'angolo" autrice Giuliana Degl'Innocenti.
    E qui non posso fare a meno di ripetere quello che ho detto la volta scorsa. Da lei vado a nozze con la scrittura e la lingua italiana. Oltre che amare la sua narrativa, ne esco arricchita!
    23° "Paura di cambiare" autrice Pinuccia Sassone. Capace di scavare a fondo nell'anima con delicatezza. Riesce attraverso le parole a donarti l'immagine. Leggerla, è come guardare un bel film.
    Complimenti a tutti gli autori e un grande in bocca al lupo ai finalisti.
    Sono Adelia

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  16. Voti Giuliana Degl’Innocenti:
    9 E. Motta: suggestivo;
    14 M. R. Sanna: deciso;
    15 T. Mazza: particolare;
    21 T. Mignani: positivo;
    23 P. Sassone: un pugno nello stomaco.

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  17. Davvero toccante il racconto della signora Pinuccia Sassone. Il tema, purtroppo, è toccato quasi quotidianamente. Troppe donne sono violate, violentate nel corpo e nell'anima. È davvero un filo rosso, an ch'esso, che unisce innumerevoli tragedie. Un quadro introspettivo che turba e lacera nel profondo. Scrittura pulita, senza sbavature e toccante.

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    Risposte
    1. Grazie mille�� chi sei? Dovresti indicare il tuo nome e cognome e altre 4 preferenze. Diversamente il voto non viene considerato. Grazie
      Pinuccia Sassone

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  18. Intanto faccio i complimenti a tutti perché sono davvero molto belli poi, visto che devo votare, inizio subito con il racconto di Camilla Terso...intenso e toccante.
    Elisabetta Motta:particolare e suggestivo
    Maria Rita Sanna: intrigante
    Sassone Pinuccia: potente
    Pamela Pirola:inquietante
    Davvero difficile scegliere... Rinnovo comunque a tutti i miei complimenti.
    Bravissimi!!!

    RispondiElimina
  19. Scusate...mi sono dimenticata di firmare: sono Simonetta Grassi

    RispondiElimina
  20. Voti di Maria Grazia Lo Massaro
    23 P.Sassone interessante
    21 t.Mignaniintrigante
    6 a incandela conciso
    5 Tatiana Vanini entusiasmante
    25 MARIA Grazia conti fantasioso

    RispondiElimina
  21. Voto x Pinuccia Sassone n.23 e poi il 5,6,21,25. Sono Salvatore Mezzopane.

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  22. Ancora una volta votazione complessa, complimenti a tutti.

    4 C. Polli, La fobia del divenire
    Una riflessione inquietante affrontare il futuro schiacciato dalle pene di un passato drammatico.
    9 E. Motta, Profondo rosso
    Suspense fino all'ultimo ma il finale mi ha strappato un sorriso.
    16 G. Degl'Innocenti, In odore di svincolo.
    A volte l'urgenza fisiologica ci salva da una decisione altrettanto frettolosa.
    21 T. Mignani, Vada come vada
    All'angolo ci sono i sentimenti senza via d'uscita, il rosso simbolo dell'amore invade tutto.
    22 S. Da Roit Zitto e buono.
    Come dire: il mondo è piccolo e tutti i nodi vengono al pettine. Finale mozzafiato.
    Maria Rita Sanna

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  23. Non è stato semplice scegliere solo tra 5 storie , ognuno a suo modo è stato coinvolgente , complimenti a tutti .

    I miei 5 preferiti sono :



    9 Elisabetta Motta
    Profondo rosso


    Lettura scorrevole e coinvolgente , un po’ di souspance che mette timore per quello che accadrà… complimenti brava !

    18 - EMANUELA TOMIATO
     Cose da fare
    Intrigante, una storia che si può definire d’attualità per argomenti che sono all’ordine del giorno, scrittura ben curata e coinvolgente, brava!

    19 - CAMILLA TERSO
    Io avrò cura di te

    L’amore di un genitore per i propri figli oltre le difficoltà che la vita ti mette alla prova . Storia che ti prende subito per mano e ti accompagna dentro, un uomo , un padre con una grande forza!
    Molto bello brava !

    21 - TANIA MIGNANI
     Vada come vada

    Si può definire l’amore ai giorni d’oggi, i rapporti che vanno a prendersi un po’ per gioco per non legarsi e viversi. Solo divertimento … lettura coinvolgente e ben scritto , brava !


    23 - PINUCCIA SASSONE

     Paura  di cambiare

    Storie di ieri e oggi, l’animo umano maschile pronto a infierire verso le donne sempre e comunque , come se fosse uno straccio usa e getta… la vita dovrà cambiare affrontando la paura di una violenza subita…
    Storia ben scritta, coinvolgente a tal punto da lasciarti trasportare dentro e immaginarsi le crudeltà subite dalle protagoniste .
    Davvero brava complimenti !

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  24. È stato molto difficile scegliere sono tutte belle
    Adelia Rossi
    Pinuccia Sassone
    Elisabetta Motta
    Maria Rita Sanna
    Tiziana Mazza

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  25. Voto
    N. 23 Pinuccia Sassone
    N. 1 Alessandra Nobile
    N. 12 Barbara Galimberti
    N. 19 Camilla Terso
    N. 20 Adelia Rossi

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  26. Voto:
    N. 23 Pinuccia Sassone
    N. 1 Alessandra Nobile
    N. 19 Camilla Terso
    N. 20 Adelia Rossi
    N. 12 Barbara Galimberti
    Sono Titina D'Angella
    Complimenti a tutti

    RispondiElimina
  27. Voto in ordine numerico:
    - N°1 Alessandra Nobile - Il puntino rosso - Un fine inaspettato
    - N°7 Marco Castoldi - Sogni di latta - Bello
    - N°9 Elisabetta Motta - Profondo rosso - Profondo nell'animo
    - N°13 Maria Barilaro - Il dolore - Commovente
    - N°23 Pinuccia Sassone - Paura di cambiare - Toccante "...le lacrime non potevano lavare quel dolore."

    RispondiElimina
  28. Sono Carmela Mercorella e voto:
    Pinuccia Sassone n.23
    Camilla Terso n.19
    Alessandra Nobile n.1
    Costanza Trotti n.10
    Maria Barilaro n.13
    Complimenti a tutti

    RispondiElimina
  29. 12 - Barbara Galimberti:
    un bell'intrigante e coinvolgente inizio di romanzo poliziesco che sembra dar vita ad un nuovo amato Commissario.

    15 - Tiziana Mazza:
    un finale inaspettato svela il segreto di una trama che ha ingannato a dovere.

    19 - Camilla Terso:
    il dolore e la forza di genitori speciali.

    21 - Tania Mignani:
    quando l'amore per essere vissuto bene ha bisogno di un pizzico di fatalismo.

    22 - Silvana da Roit:
    il dubbio atroce, rimosso anni prima, riaffiora e diventa certezza.

    RispondiElimina
  30. Sempre più imbarazzante esprimere preferenze. Non è una frase fatta dire che i racconti sono tutti belli.
    Voto per:
    n. 16 GIULIANA DEGLI INNOCENTI

    Scrittura potente e colta come sempre. Una gran bella risata
    nel finale per una scelta di sano egoismo della prptagonista.

    n. 19 CAMILLA TERSO
    Un genitore non è mai preparato ad accettare la sofferenza di
    un figlio. La reazione può essere anche quella di scappare.
    L'AMORE però alla fine vince sempre. Racconto delicato e
    commovente.

    N. 20 ADELIA ROSSI
    Un racconto che ci fa conoscere il lato folle di una scrittrice
    e poetessa che con la scrittura e la fantasia sa e può spaziare
    senza limiti.

    N. 1 ALESSANDRA NOBILE
    Sentirsi come un guscio vuoto con bisogno smisurato di
    riempirsi dell'altro che non è più disposto a dare.

    N. 22 Amo la sua scrittura delicata e profonda, leggerla mi infonde
    sempre serenità. Mi sono affezionata a "Zitto e buono"

    Sono Pinuccia Sassone

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  31. Buongiorno, continuo a dire che risulta davvero difficile scegliere 5 racconti. Tutti gli autori sono bravissimi! Ecco i miei preferiti:

    1- finale che mi ha strappato un sorriso.
    2- descrive perfettamente ciò che abbiamo vissuto in questo anno, ho catturato una punta di rivalsa.
    11- leggero e simpatico
    21. Racconto ben strutturato e ben scritto
    25- surreale. Bello.

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  32. Voto in ordine numerico:
    - N°1 Alessandra Nobile - Il puntino rosso - Un fine inaspettato
    - N°7 Marco Castoldi - Sogni di latta - Bello
    - N°9 Elisabetta Motta - Profondo rosso - Profondo nell'animo
    - N°13 Maria Barilaro - Il dolore - Commovente
    - N°23 Pinuccia Sassone - Paura di cambiare - Toccante "...le lacrime non potevano lavare quel dolore."

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  33. Voto i miei 5 romanzi:
    N. 3 Riccardo Simoncini Bello e profondo
    N. 2 Sonia Signorino Inquietante
    N. 14 Maria Rita Sanna Scrittura intensa e profonda
    N. 20 Adelia Rossi Divertente, ironico, folle
    N. 23 Pinuccia Sassone Tema all'ordine del giorno oramai, ma che ci stimola e ci da la forza per reagire, rinascere sempre!!!!

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  34. Maria Cirone voto per
    19 Camilla Terso. Commovente e di grande insegnanento
    23 Pinuccia Sassone
    2. Sonia Signorino. Inquietante
    14 Maria Rita Sanna . Amore malato
    24 Pamela Pirola. Brava

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  35. È sempre più difficile scegliere,cmq i miei 5 sono:2)Sonia Signorini:Tema toccante,attuale,fa riflettere molto.19)Terso:l'amore per un figlio fa affrontare ogni avversità,commovente,difficile pensare l'abbandono da parte di una madre.23)Sassone:I suoi racconti sono pieni di cuore,anima,mi catturano ogni volta.storia struggente.20)Rossi Adelia:divertente,folle.21)Tania Mignani:L'amore vissuto giorno per giorno senza costrizioni vince sempre.molto bello e positivo.Cisterna Nunzia

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  36. 23- Pinuccia Sassone...traumi
    14-Sanna ...profondo
    15-Mazza... il potere della mente
    20-Rossi...Sui generis...folle
    19-Terso...resilienza, coraggio...amore

    Complimenti ancora a tutti
    Ilenia Orlando

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  37. 23 Pinuccia sassone......commento?
    XX nome e commento
    5 preferenze

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  38. Io voto per:
    Nobile
    Sassone
    Landini
    Motta
    Terso

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  39. PAMELA PIROLA
    PINUCCIA SASSONE
    MIGNANI
    ADELIAB ROSSI
    SANNA

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