Seduti allo stesso tavolo

Seduti allo stesso tavolo
Il nuovo romanzo di Stefania Convalle, sul mondo dell'editoria.

venerdì 28 novembre 2025

Numero 482 - Gara 800 Metri di Parole - Terza tappa - 27 Novembre 2025


Siamo arrivati alla terza tappa della gara di scrittura 800 METRI DI PAROLE.
Otto concorrenti in gara.
La prova di questa tappa consisteva nello scrivere un racconto di massimo 500 parole.
Nell'immagine un Jukebox (che bei ricordi) e i concorrenti dovevano scavare nella memoria individuando un ricordo legato a una qualche canzone.
Bisognava, quindi, romanzare quel ricordo, facendolo diventare un racconto dove la canzone fosse tra i protagonisti, senza citare - però - le parole (nemmeno una frase) del testo della canzone stessa, doveva comparire solo il titolo.

Qui di seguito gli otto racconti che dovevano rispondere ai requisiti sopra elencati.

Ora tocca a voi, cari lettori, leggere e votare i TRE racconti che vi avranno colpito di più per originalità e per capacità di emozionare. Ovviamente dovrete valutare anche la scrittura.

REGOLE PER VOTARE:

1: il voto va espresso in un commento in questo blog, scrivendo i titoli e i nomi relativi ai testi prescelti.

2: il commento deve contenere anche nome e cognome di colui che vota. NON VERRANNO CONSIDERATI COMMENTI ANONIMI o DOVE CI SIA SOLO UN NOME (senza cognome).

3: si potrà votare fino a mercoledì 3 Dicembre 2025, ore 20:00.

IMPORTANTE: tutti coloro che voteranno nel modo corretto ED ESPRIMENDO ANCHE LA MOTIVAZIONE DEL VOTO PER OGNI SINGOLO RACCONTO (è bello sapere da voi lettori il motivo delle vostre scelte, come cosa graditissima dagli autori che hanno scritto), parteciperanno a una estrazione durante la diretta del giovedì 4 Dicembre sulla Pagina Facebook di Edizioni Convalle. 
Il fortunato estratto vincerà un libro di Edizione Convalle.

Cominciamo a leggere i racconti?

ALL THAT SHE WANTS
Tatiana Vanini

Manca un mese a Natale e Tatiana si muove nel centro commerciale alla ricerca del regalo perfetto.
Concentrata, canticchia una canzone natalizia poi, dalle casse del supermercato, parte un brano del 1992, All that She wants. All’improvviso non è più adulta, ha quattordici anni e si trova nella stanza 6, quinto piano, Collegio Orsoline di San Carlo a Como.
«Ho finito l’acqua» dice Tania capovolgendo la bottiglia che tiene in mano.
«Prendi la mia, è piena» risponde Tatiana chiudendo lo zaino.
«Ma è gassata.»
«Embè?»
«Io la bevo naturale, per fare tanta plin plin
«È sempre acqua.»
«Non mi piace.»
Tania e Tatiana, sembra un barzelletta, eppure a settembre si sono trovate appaiate così. Non si può dire che sia stato subito amore, ma sono bastate poche settimane per diventare amiche.
Taty lancia uno sguardo alla sveglia sul comodino che segna le 22:00.
«Domani andiamo alla Standa e la compriamo.»
«E nel frattempo io muoio di sete.»
«Cosa vorresti fare, scusa?»
Tania la guarda, fa un sorrisino e sottovoce dice la frase che trasformerà la notte in un’avventura. 
«Andiamo giù in cantina e prendiamo una delle bottiglie delle suore.»
Vanno a scuola dai preti, sono in convitto dalla suore e stanno per indossare i panni di Lupin e Jigen. Ecco i risultati dell’educazione cattolica.
Aspettano mezzanotte, per essere certe che Suor Carmine stia dormendo ed escono dalla stanza. Scarpe da ginnastica ai piedi, silenziose scivolano per il corridoio dalla luce fioca, verso le scale. Di prendere l’ascensore non se ne parla, troppo rumore. La strategia è banale: scendere dal quinto piano a terra, raggiungere la cantina, prendere la bottiglia in vetro d’acqua naturale e tornare in camera. Semplice, veloce, pulito.
Arrivano al quarto piano, Tatiana davanti, Tania dietro aggrappata alla maglia del pigiama dell’amica.
«Vanini!» sibila Tania.
«Che vuoi, Buono?»
«Sento un rumore.»
«Ma figurati.»
Tania però ha ragione. Samantha esce dalla stanza per andare verso i bagni comuni. Hanno appena il tempo di tornare indietro di un paio di gradini per farsi nascondere dalla curva delle scale. Sam sta in bagno una vita, o almeno sembra a loro, finché possono tornare a respirare e a scendere.
Terzo piano, salone comune. Tutto tranquillo. Secondo piano, la cabina telefonica, tutto tace. Primo piano, piano terra e le luci di cortesia che le hanno accompagnate fin qui finiscono: sono al buio.
«Vanini…»
«Buono…»
«Non vedo niente.»
«Idem.»
«E se ci sono i ladri?»
«In cantina?»
«Allora i topi.»
«Dalle suore?»
«Torniamo in camera.»
«E l’acqua?»
«Andiamo avanti.»
A tentoni, a memoria, raggiungono la cassetta dell’acqua e afferrano una bottiglia prima di tornare indietro come due fulmini.
Al sicuro in camera ridacchiano di sollievo: missione compiuta.
«Vanini…»
«Oh mamma, Tania, cosa?»
«È gassata…»
Al buio hanno preso la bottiglia sbagliata.
Scoppiano a ridere nel ricordo e Tatiana, nel presente, ride di rimando.
Tutto quello che voleva Tania era una bottiglia d’acqua naturale. All that She wants.


§§§


SENZA LUCE

Graziella Braghiroli


Non guardo quasi mai la televisione, ma stasera, mentre giro senza entusiasmo tra i vari canali, mi fermo su un programma che trasmette spezzoni di vecchi varietà. Cantanti, attori, complessi come si chiamavano una volta le band di oggi, si susseguono con rapidità. Canticchio vecchi motivi ormai dimenticati e poi… la sento e riconosco le prime e inconfondibili note di Senza luce dei Dik Dik.
È incredibile come una canzone possa essere la chiave che apre porte che credi chiuse per sempre.
Non vedo più il salotto, non sento più il frigorifero che ronza.
Sono nella mia cameretta da ragazza, ho quindici anni e indosso jeans taglia 40 così stretti che ho dovuto sdraiarmi sul letto per chiudere la cerniera.
Ricordo quel pomeriggio come se fosse ieri.
Io e Elisa, la mia amica di allora, eravamo uscite di casa in punta di piedi perché i nostri padri non dovevano sapere che stavamo andando alla festina a casa di Angelo.
Ricordo la frangia  che avevo sistemato in modo che coprisse il maledetto brufolo che mi era spuntato sulla fronte proprio quella mattina.
Ricordo quel misto di timidezza, spavalderia e speranza che solo a quell’età senti davvero.
E ricordo Guido. La mia prima vera cotta e in quel momento l'amore della vita.
Eravamo arrivate a festa già iniziata. La stanza era affollata, il tappeto arrotolato in un angolo lasciava lo spazio alle coppie che ballavano sulla musica che usciva dal mangiadischi.
Mi ero versata un bicchiere di aranciata già calda, cercavo Guido con gli occhi, mi importava solo di lui. E lui non c'era.
Poi, la porta si era aperta.
Guido era entrato, mano nella mano con una ragazza più grande, più bella e molto sicura di sé. Minigonna rossa e maglioncino d’angora bianco che avrei dato l'anima per avere.
Tutte le mie speranze erano crollate di colpo e avevo sentito il gelo della delusione per tutto il corpo.
Mi ero diretta a testa bassa verso il divano, dovevo sedermi, le gambe non mi reggevano.
Era stato in quel momento che erano partite le prime note di Senza luce.
Un ragazzo che conoscevo solo di vista e che non avrei mai guardato due volte, si era avvicinato e mi aveva chiesto: «Vuoi ballare con me?»
E io, con il cuore in tumulto, avevo detto sì.
Non ricordo il suo nome. Forse Marco? O Domenico?
Ricordo solo le sue mani calde, il modo in cui cercava di non stringere più del necessario, i suoi occhi  che cercavano i miei, il suo sorriso.
Avevo quindici anni e quello era il mio primo lento.

Sono passati quasi cinquant’anni da allora e dentro di me sento qualcosa che non è solo nostalgia ma anche tenerezza per quella ragazzina impacciata, nei suoi jeans troppo stretti, preoccupata per il brufolo sulla fronte e convinta che quella festina le avrebbe cambiato la vita.

§§§

 

LA RAGAZZA DEL JUKEBOX
Luigi Besana


C'era sempre una ragazza nel Bar in fondo al viale, era sempre la stessa che teneva in funzione il jukebox.
Quella ragazza, dalla notte accesa. Ci andavo quando calava il crepuscolo.
«Se potessi essere una moneta, m'infilerei nel jukebox e farei suonare una canzone per te» le dissi una sera, mentre gli amici ballavano beat dance nello spazio utile in fondo alla sala.
«Con gran piacere. Ti aspettavo, ora metti la tua canzone» rispose.
La mia canzone, quella che dava fuoco al cuore, era in quei giorni “Sognando la California” dei Dik Dik, versione italiana di California Dreamin'.
Quel tema dolce e ricorrente, l'aspirazione d'una partenza verso il futuro, cercando una felicità desiderata, ma sempre rinviata perché nella vita c'era lei che stava ad aspettare. Tutto ciò dava slancio ai miei sogni.
Sapevo bene che non ci sono luoghi splendenti, è soltanto uno stratagemma, o vizio, o sete di esistere, ma vale la pena di cercarle.
Ora che ci penso, con quella canzone tornano suoni, oggetti, persone che hanno avuto un significato. A quel tempo amavo la Beat Generation e la sua musica derivata dal Jazz e dal Rock and Roll. Essere Beat significava essere calati nell'abisso della personalità, vedere le cose dal profondo. Leggevo "Il pasto nudo" di Burroghs, intreccio di visioni, nebbie alla cocaina, e "Urlo" di Ginsberg, quindi Corso, Ferlinghetti, Kerouak. La poesia non era più solamente l'espressione personale di una élite ma diventava un linguaggio di tutti. Quel fermento anarcoide mi toccava profondamente. Si diceva che hashish, marijuana, Lsd aumentavano le potenzialità della mente: io, confinato lontano dalla grande città e dalle sue infinite possibilità, mi appagavo con lo studio e la comprensione della realtà coi suoi aspetti. Le mie agitazioni oscillavano fra "La vita nei boschi" di Thoreau e la rivoluzione di Che Guevara. Portavo comunque i capelli lunghi, volevo, in qualche modo, sentirmi parte degli Hippy o dei Figli dei fiori, in quanto mi davano l'emozione di appartenere alla rivolta che avrebbe cambiato il mondo.
Le note di una nuova canzone si alzarono e presero vita intorno a noi.
Mary, la ragazza del jukebox mi fissava e nel cielo la luna bianca, appena visibile tra le nubi, saliva verso la notte.
«Ti amo, Mary, perché sei un simbolo di questa epoca, perché il tuo corpo è un canto che mi sbaraglia e sei arrivata a essere la più bella della storia. Ci siamo cercati come due gatti on the road in questa città trascurabile e ci amiamo in mezzo a questo pulviscolo e a questa musica. E so che quando ci baciamo il vento scende sul jukebox e fa volare una lirica d'amore per il mondo. Alla fine del viale comincia il giorno le luci sulla strada sono sogni che si spengono. Fa che duri questo dolce fluido con questa tua delicatezza inventata per me. Ti amo, perché posso affondare i tuoi occhi nella mia poca gioia e consegnarti i miei in cambio della tua poca tristezza.»
Mary al jukebox, fece partire di nuovo la mia canzone. 
Forse era anche la sua nell’anno 1966.

§§§


DUE ETÀ NELLA STESSA CANZONE 

   Chiara De Mas


Anna spinse la porta del bar, trattenendo il respiro per il solito colpo d'aria fredda. Era il locale in cui si incontrava da anni con la sua migliore amica per l'aperitivo del mercoledì, un appuntamento che nessuna delle due saltava mai. Stava già cercando con lo sguardo il tavolino d'angolo quando qualcosa, improvviso e inaspettato, le fece rallentare il passo.
Dalle casse, soffocata dal brusio dei clienti, partiva Sere Nere.
Una fitta le attraversò il petto. Bastarono le prime note a capovolgere tutto, come se una mano invisibile avesse premuto un interruttore. Il bar si sfocò, le voci si allontanarono, e Anna si ritrovò di nuovo lì, in un tempo che credeva archiviato.
 
Era seduta sul suo letto, le ginocchia al petto, lo sguardo fisso sul vecchio televisore che trasmetteva Radio DJ. Non guardava davvero lo schermo: era accesa solo perché non sapeva dove appoggiarsi per non crollare. La stanza stretta e disordinata, troppo angusta per contenere tutto il suo dolore.
Aveva appena lasciato il suo primo amore. Una storia ingenua, adolescenziale, ma che l'aveva fatta sentire viva come nient’altro fino ad allora. E ora le sembrava che tutto le fosse scivolato via dalle mani. Si sentiva fuori posto, sbagliata, come se l'intero mondo sapesse andare avanti senza di lei.
Fu allora che partì quella canzone.
Non ne aveva mai sentito nemmeno una parola, eppure, dalle prime battute, fu come se qualcuno le avesse aperto una finestra nel petto. La musica non la consolò; non prometteva soluzioni, non le tendeva la mano, ma era lì, ferma accanto a lei come un ospite discreto. Le faceva compagnia mentre cercava di mettere ordine al caos che le ribolliva dentro. Ogni accordo sembrava darle il permesso di respirare, fosse anche solo per pochi secondi.
Anna rimase immobile, come incantata. Il dolore non diminuiva, ma almeno non era più un deserto silenzioso: aveva una forma, un ritmo, una voce ed era forse la prima volta che si sentiva meno sola nel suo vuoto.
Quando la canzone finì, il silenzio le cadde addosso come una coperta troppo pesante. Ma qualcosa, impercettibile, era cambiato. Non capiva cosa, non ancora. Avrebbe avuto bisogno di anni per comprenderlo.
 
Il ritornello svanì nelle casse del bar, e Anna tornò a sé con un leggero sobbalzo. La sua amica varcò l'ingresso e lei si affrettò a raggiungerla, ma dentro sentiva ancora vibrare un'eco assordante.
Solo ora, da adulta, capiva davvero. Quella canzone aveva preservato un dolore acerbo, l'aveva tenuto vivo ma lo aveva anche trasformato in memoria invece che in cicatrice.
Sere Nere non era più il rifugio solitario di una preadolescente ferita, era diventata un ponte: un passaggio tra ciò che era stata e ciò che era diventata, tra il buio di allora e la chiarezza di adesso.
Anna sorrise appena, senza che nessuno se ne accorgesse.
Certe canzoni non passano: aspettano. E quando tornano, ti trovano diversa.

§§§

 
LA RELIQUIA
Tania Mignani
 
(Canzone del jukebox: "Amico" di Renato Zero)
 

La strategia consisteva nell'arrivare all'interno del “barettino” per prime. Potevano così scegliere la postazione migliore, vicino al jukebox, dalla quale tenevano d'occhio la porta. Per Sara, Jenny e Milly era il rituale necessario che riempiva i pomeriggi d'inverno prima di rientrare a casa alle sei in punto. I ragazzi arrivavano più tardi, il loro coprifuoco non era così tassativo, e quello era il momento in cui la giornata acquisiva, finalmente, un senso.
Le tre amiche poggiarono sul tavolino di latta gli spiccioli in condivisione, dovevano bastare per una spuma e per almeno tre canzoni. Quel giorno un pacchetto di sigarette ancora sigillato faceva bella mostra di sé sul tavolino, conseguenza di una nuova strategia.
Francesco e un amico fecero il loro ingresso nel bar. Le tre ragazze si erano limitate a fingere la più totale indifferenza, ostentando persino un'espressione annoiata. I loro cuori, al contrario, erano in subbuglio per Francesco, da settimane ormai parlavano solo di lui, della sua celestiale bellezza, di quel suo carattere scontroso, ma che, ne erano certe, nascondeva un animo timido.
Sara si alzò e un istante più tardi si udì il suono metallico della moneta introdotta all’interno del jukebox. Decisa, premette i tasti delle sue scelte abituali e le note della prima canzone riempirono la saletta del bar. Jenny alzò gli occhi al cielo fingendosi ancora più annoiata.
In realtà adorava quel brano  e, sola nella sua cameretta, spesso piangeva seguendone le parole.
Francesco si era avvicinato al loro tavolo attirato dalle sigarette.
«Me ne offrite una?»
Annuirono senza proferire parola, estasiate dal sorriso del ragazzo, il quale con sicurezza aprì il pacchetto, ne estrasse una sigaretta e si allontanò ringraziandole con un sorriso ancora più celestiale.
Era stata la svolta della giornata, ma il crudele orologio all'entrata segnava le sei meno cinque, ora di andare.
«Cioè… ragazze ditemi che non abbiamo sognato…»
«Vi rendete conto? Lui ha toccato questo pacchetto, lui ha fumato una sigaretta… Questo astuccio è stato nelle sue mani, non potremo più toccarlo…»
Jenny sorridendo sfoderò il suo colpo da maestra.
«E di questo cosa ne dite?»
Nella sua mano, avvolto da un tovagliolo di carta, un mozzicone di sigaretta schiacciato.
«L'ho raccolto dal posacenere prima di uscire.»
«Ma tu sei un mito… Ora, però, dovremo conservarlo al meglio, come una reliquia.»
Jenny prese il pacchetto, lo svuotò dalle sigarette rimaste e vi posò all'interno il mozzicone.
«Lo terremo una settimana a rotazione. Inizierò io e, fra una settimana, lo affiderò a Milly…»
Le tre ragazze si separarono per raggiungere le loro abitazioni, ognuna persa nei propri pensieri ma unite nel loro comune amore per Francesco.
Jenny raggiunse la sua cameretta, stringeva nelle tasche della giacca il pacchetto con all'interno il prezioso contenuto. Accese la radio e nascose il pacchetto nell'ultimo cassetto, sotto i fazzoletti, non prima di aver posato un lieve bacio sulla scritta Marlboro. In quell’istante la radio passò la canzone del jukebox e una prima lacrima le rigò il viso.

 

§§§


IL BACIO DESIDERATO
Silvana Da Roit
(Fiori rosa, fiori di pesco. L. Battisti)


Daniela fu la prima tra i suoi compagni a salire sul bus nel viaggio di ritorno. Prese posto accanto al finestrino, calò la visiera del cappello sugli occhi e cercò le caramelle alla liquirizia nella sacca di jeans, che usava come borsa. Le dita incontrarono il metallo con la tipica scanalatura mezzana di un gettone telefonico.
«Ma vai a quel paese» disse a mezza bocca.
«Con chi ce l'hai?» le chiese divertita la sua compagna di banco.
Conosceva Marina dal primo giorno del ginnasio e, per quanto si frequentassero poco, era l'unica che potesse definire amica.
«Con nessuno» le rispose alzando le spalle.
«Guarda che ti conosco. È tutto il giorno che ti osservo: non spiccichi una parola, sei assente, non hai voluto nemmeno assaggiare la fetta di torta che ho portato per festeggiare il tuo compleanno.»
«Non parlarmi del compleanno, ieri è stato uno schifo.»
«Non dirmi che Lorenzo si è comportato male…»
«Peggio, non si è presentato» rispose Daniela con la voce incrinata.
«Hai chiesto notizie a tuo fratello? Dopotutto, giocano nella stessa squadra.»
«Lui non deve saperlo, altrimenti, sai la presa per i fondelli da qui fino alla fine del mondo?»
Nel frattempo, altri compagni avevano preso i loro posti tra schiamazzi e battute demenziali e smisero di parlare. Marina le prese la mano, stringendola di tanto in tanto per darle conforto. Quando iniziarono i cori, ritornelli stonati delle canzoni che i ragazzi ascoltavano dal mangiadischi nell'intimità delle loro camere o dai jukebox dei locali più alla moda, Daniela le fece vedere il gettone.
«Avrei potuto chiamarlo, sono entrata e uscita dalla cabina non so quante volte, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Se avesse risposto sua madre, che cosa avrei potuto dire? Signora, mi scusi, suo figlio è uno stronzo. Mi è stato dietro per mesi facendosi credere innamorato e poi, una volta ottenuto l’appuntamento e vedendomi cotta a puntino, si è dileguato. Ti pare che potessi dire così?»
«Decisamente no.»
«E sai cosa mi fa stare male? Il fatto di avere un anno in più per niente. Cosa m'interessa avere quindici anni, se poi non ho ancora un bacio da ricordare? Marina, la vita è proprio uno schifo.»
Una volta a casa, dopo avere risposto a com'è andata, ti sei divertita, disse alla madre che non voleva cenare.
«Ma cosa avete, tu e tuo fratello, da essere così musoni?»
«Io ce l'ho con il destino. Ieri pomeriggio, Lorenzo si è rotto un braccio e il portiere di riserva ne buscherà cinque, domenica» si giustificò il fratello.
A Daniela tornò l’appetito. Si sentì cattiva per avere pensato male di Lorenzo, anche addolorata per il suo incidente. Ma, soprattutto, pensò che il bacio tanto desiderato sarebbe arrivato presto.

§§§

 

I TUOI OCCHI VERDI
Adelia Rossi


Come avrebbe potuto  dimenticarla, Alessio. Giada  portava  nello  sguardo l'incanto e lo splendore di una foresta tropicale, dove la magia di una bellezza naturale si confondeva con la fantasia creando un'atmosfera surreale. 
I suoi occhi raccontavano storie infinite che andavano oltre la realtà. A un tratto tutto gli parve irraggiungibile anche il sogno che ogni sera, con l'avvicinarsi della notte, gliela riportava accanto. Quel suo attendere e cercarla oltre il buio gli recava un grande tormento.   
Lacrime di solitudine incominciarono a scendere riempiendo rivoli che i segni del tempo avevano scavato sul suo volto non più giovane. Nella sua mente i ricordi riaffiorarono prepotenti. Prima fra tutti, l'immagine di loro seduti a gambe incrociate sul morbido tappeto dello studio dove erano soliti ritrovarsi,    mentre si divertivano con quello strano gioco che avevano  chiamato "bisticcio di parole". Si trattava appunto di trovare delle assonanze con le parole come "luce" e "amore", una  dissonanza, più che un'assonanza. 
Insomma, una rima imperfetta. Per un attimo il pianto si mischiò al riso e, guardando oltre la grande vetrata della camera le luci affievolite di una città quasi dormiente, provò ancora più malinconia. Si sdraiò su quel tappeto dove tante volte aveva dormito  abbracciato a  Giada e la immaginò con il volto rigato  di  lacrime, come il suo. Sentì nel petto il  cuore accelerare i battiti e, una dopo l'altra, le parole che insieme mormoravano quasi canticchiando fuoriuscirono dalla sua bocca a imitare la dolcezza di quel suono che su quella di Giada acquistavano il gusto di una melodia inconfondibile. 
Ed è lì, "nel buio" che Alessio la ritrova. Persa in un altro tempo.

§§§

 

UNA CANZONE PER CRESCERE
Maria Rita Sanna


Oggi con un'amica abbiamo ricordato di quando eravamo ragazzine, appena quindicenni, e andavamo al bar tabacchi per comprare le sigarette ai nostri padri. Il negoziante conosceva noi e i nostri genitori, perciò ce le dava senza fare storie. Capitava, a volte, di avere alcune monetine residue e i nostri sguardi correvano dalle monete in mano al jukebox.
Era uno strumento potente, non solo per il volume assordante, ma perché a noi femmine non era consentito avvicinarci. Gli sguardi degli avventori, maschi per la maggior parte, ci avrebbero subito etichettato come ragazze poco serie. Se avessimo scelto una canzone d'amore sarebbe stato un segnale chiaro di disponibilità all'abbordaggio da parte dei maschi.
Le sigarette, però, non destavano alcun sospetto, ai padri non si poteva disobbedire. 
Rinunciavamo, quindi, a quel magico momento di scegliere una canzone tutta nostra, gustarcela a tutto volume e sognare in santa pace. Godevamo, comunque, dei momenti in cui potevamo ascoltare alla radio la nostra canzone del cuore.
Un giorno, dopo il solito acquisto, con le monete rimaste avevamo comprato un pacchetto di chewing-gum.
«Nina, restano due monete. Le mettiamo nel jukebox? Che c'importa di quei due, nemmeno ci guardano.»
In effetti il locale era vuoto, se non per due signori seduti a un tavolo. Li reputavamo adulti perché ci avevano insegnato a portare rispetto, e timore, a chi non era nostro coetaneo. Comunque quei due stavano per i fatti loro, bevevano e fumavano.
Lo strumento sotto i nostri occhi brillava. Sulla parete rialzata, la fila di cartellini indicava le canzoni; sotto, un'altra fila di bottoni con lettere e numeri per selezionarle.
«Dai, Rita, metti la moneta.»
«Scegliamo Ti amo» dicevo io.
«Eh sì, poi ci guardano. Mettiamo Tu» rispondeva Nina.
Batti e ribatti, non decidevamo.
«Prima, Ti amo. Dopo, Tu. L'occasione è irripetibile.»
Le canzoni che ci piacevano erano tante, tutte belle e desiderate.
«Muoviti, Rita, prima che entrino altre persone!»
Prima la moneta, poi i bottoni. Alcuni ticchettii e deboli clangori annunciavano l’arrivo della prima nota. Un botto alle orecchie che ci aveva fatto vibrare; un’emozione forte che rivelava tutta la nostra innocente vittoria verso qualcosa di proibito.
Avevamo ascoltato ogni singola parola. Una volta a casa l'avremmo di nuovo snocciolata come le poesie, se non meglio, che studiavamo per la scuola. 
«Buonasera signorine, quindi vi piacciono le canzoni d'amore.»
Io e Nina eravamo sbiancate. Che brutto risveglio dall’incanto!
Uno dei due uomini seduti al tavolino si era avvicinato a noi e voleva abbordarci, proprio come ci avevano ammonito tante volte le nostre madri.
Senza dire una parola, mentre quelle della canzone occupavano ogni silenzio libero, con la testa china, avevamo imboccato l'uscita. Nella strada avevamo iniziato a ridere come matte, senza però fermare la nostra fuga.
«Questa cosa che noi femmine non possiamo usare il jukebox deve finire» aveva detto Nina ridendo. Sapeva bene, come me, che non potevamo farci niente. Avremmo dovuto aspettare gli eventi del futuro.
Era già lì, d'altronde, a portata di mano. Bastava ancora una canzone. 

§§§


Ora tocca a voi!
Una raccomandazione: votate con serietà, perché ci sono 8 concorrenti che si sono impegnati per scrivere qualcosa di bello per voi e credo sia giusto e corretto leggere tutti i racconti e scegliere a seconda di quanto i racconti ci hanno coinvolto, giudicando i testi e dimenticandosi i nomi di chi li ha scritti. Mi sembra la cosa più giusta e rispettosa per gli 8 autori stessi.



Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle


mercoledì 26 novembre 2025

Numero 481 - Conosciamo meglio Tania Mignani, concorrente di 800 metri di parole - 27 Novembre 2025


Oggi conosciamo meglio Tania Mignani, concorrente della gara più coinvolgente del pianeta-scrittura: 800 Metri di Parole.

Le ho rivolto alcune domande e lei ci ha raccontato, attraverso le sue risposte, tante cose interessanti. Andiamo a leggere ;-)

Raccontaci il tuo incontro con la scrittura, com’è nata questa passione?

Fin da bambina ho sempre nutrito una grande passione per la lettura e la scrittura. Leggevo storie e le inventavo trascrivendole in quaderni che, tuttora, conservo. All’inizio era il diario “personale”, quello che ti regalavano per la Prima Comunione,  con il lucchetto per tenere al sicuro i “segreti”. 
Più tardi, i semplici racconti di come trascorrevo le giornate diventarono pensieri più articolati, l’incessante chiedersi “perché” tipico dell’adolescenza, accompagnato da poesie struggenti e racconti o tentativi di romanzi frutto della mia fantasia. 
Gli impegni della vita adulta hanno poi diminuito questa attività. Tuttavia, circa dieci anni fa ho ricominciato a scrivere racconti che, per la prima volta, ho reso pubblici, facendoli leggere dapprima agli amici più fidati, per poi allargare il giro ai concorsi letterari. È stato proprio uno di questi concorsi, il Premio Letterario “Dentro l’amore”, che ha trasformato, grazie all’incontro con Stefania Convalle, quello che consideravo solo un passatempo, in una passione necessaria.





Quando hai capito che scrivere era diventato una parte di te?

In seguito all’incontro con Stefania Convalle, ho iniziato a seguire il suo laboratorio di scrittura e, di conseguenza, a scrivere regolarmente. Ho assistito alla nascita di Edizioni Convalle, la mia raccolta di racconti “L’Altra” è stata una delle prime pubblicazioni. A quel punto, scrivere era diventato davvero una parte di me e della mia vita. Scrivere mi fa bene e, a volte, anche male, perché mi consente di guardare dentro quella parte di me che la vita di tutti i giorni tende a nascondere.


Se pensi al PRIMA e al DOPO rispetto al momento in cui hai cominciato a scrivere in modo professionale, com’è cambiata la tua vita?

Non credo sia cambiata, almeno non a livello organizzativo. Si tratta solo di “incastrare” nella routine della giornata, uno spazio dedicato alla scrittura. Il cambiamento più importante è avvenuto per me, perché ora ho un obiettivo, può essere un racconto, un romanzo o, come è successo di recente, occuparmi di una raccolta di racconti di vari autori. Quello che più mi gratifica, oltre alla mia scrittura, è anche poter collaborare con Edizioni Convalle, attività che trovo molto stimolante. Posso affermare che la scrittura, ora, fa parte della mia vita e non posso che esserne felice.


Tu hai una grande passione anche per la musica. Quanto ha influito sulla scrittura?

La musica è un’altra mia grande passione. In questo campo sono molto selettiva, ascolto solo un tipo di musica, principalmente quella prodotta negli anni della mia gioventù, perché la musica mi ha formato, è sempre stato un punto di riferimento ben preciso. A parte pochi, rarissimi casi, non è musica italiana e da qui nasce un’altra grande passione, l’amore per la cultura anglo-sassone e americana e, di conseguenza, lo studio sempre attivo della lingua inglese. Non solo la musica ha influito sulla scrittura, ma soprattutto sulla mia formazione personale. È di sicuro di grande ispirazione, non scriverei senza musica e, non di rado, in ciò che scrivo inserisco riferimenti musicali.



Nelle tue opere, la tua città natale, Bologna, è spesso il teatro dove si svolgono i tuoi racconti e i tuoi romanzi: raccontaci dell’anima della tua terra.

Di Bologna ho scritto in un racconto che si trova all’interno della raccolta dall’A alla Z, penso di aver sintetizzato bene ciò che provo nei confronti della mia città, anzi, della mia Bologna. Specifico “mia” perché mi riferisco “alla” Bologna che ho vissuto nei miei anni giovanili, dalla fine degli anni Settanta a metà anni Ottanta. Era una Bologna dalle mille sfaccettature, una città che non accettava di piegarsi agli anni di piombo e ai terribili episodi di terrore dei quali è stata protagonista. Una città culturalmente viva e vivace soprattutto per quanto riguardava la cultura underground, tanto da essere paragonata a Londra, New York e Berlino. Il sentimento che nutro ora nei confronti della mia città è paragonabile all’affetto verso un’amica di lunga data ed è come quando ci si ritrova, dopo molti anni, per parlare del tempo passato, ma si fatica a conciliare l’immagine attuale con quella dei ricordi.


 

Nei tuoi scritti spesso troviamo anche parti che si svolgono in altre città europee. È un caso o c’è una ragione specifica?

Nei miei propositi di gioventù c’era la volontà di viaggiare e conoscere quanti più luoghi possibili del mondo. Ahimè, è rimasto solo un proposito. Tra i pochi luoghi che sono riuscita a visitare, al di là dei nostri confini nazionali, vi sono anche Londra e Berlino. Londra meriterebbe un capitolo a parte perché è la mia città del cuore, il luogo che ha visto nascere gran parte della cultura che amo. È una città che conosco abbastanza bene e che ho visitato più volte, tornando sempre a casa con un “bagaglio” culturale ogni volta più importante. In queste città ho immaginato di “far muovere” i personaggi dei miei due romanzi, sono città che conosco e che mi piace immaginare come teatro delle mie storie.

 


Nel mondo editoriale di oggi, come vivi la tua vita di scrittrice?

La vivo il più possibile al di fuori del cosiddetto mondo editoriale. Per essere più precisi, l’unica realtà editoriale che conosco è Edizioni Convalle. Una realtà che ho visto nascere e crescere e insieme alla quale sono cresciuta come autrice. Non ho interesse a esplorare altri “mondi editoriali”. 
Scrivo principalmente per me stessa ma sono felice quando un mio romanzo o racconto piace ai lettori. Mi sento apprezzata e, soprattutto, capita. La sensazione più gratificante è quando un lettore coglie appieno il senso di quanto ho voluto trasmettere. Questo è l’obiettivo che mi prefiggo, ogni volta, davanti al foglio bianco. La gioia di stringere tra le mani un libro che riporta in copertina il mio nome è impagabile, come l’emozione di leggere recensioni, apprezzamenti e, perché no, anche critiche. Non importa che questi siano migliaia o uno solo, la soddisfazione vera è aver scritto.




Grazie a Tania Mignani per averci raccontato di sé e della sua passione per la scrittura :-) Ma prima inserisco un'altra foto perché dovete sapere che Tania è anche...


...un'ottima cuoca! ;-) Gnam!


Ricordiamo le sue pubblicazioni personali: 



https://edizioniconvalle.com/product/25219748/l-altra-978885434141



https://edizioniconvalle.com/product/25219814/nessuno-e-innocente-nemmeno-tu-978-88-85434-65-3


https://edizioniconvalle.com/product/26953272/in-perfetto-disordine


https://edizioniconvalle.com/product/35667334/ieri-oggi-per-sempre

Breve biografia di Tania Mignani:

Tania Mignani, autrice bolognese, ha già al suo attivo premi e numerose pubblicazioni: vincitrice della sezione racconti nel Premio Letterario “Dentro l’amore” nel 2016 e seconda classificata, nella stessa sezione, nel 2017.
L’opera prima, la raccolta di racconti “L’Altra” (Edizioni Convalle) pubblicata nel 2018, ha ottenuto il secondo posto nel Premio Letterario Città di Arcore, nella sezione opere edite.
Nel 2020 pubblica la seconda opera, “Nessuno è innocente. Nemmeno tu”, una raccolta di racconti dalle tinte noir. Nel 2023 esce con il suo primo romanzo "In perfetto disordine" che ottiene il Marchio della Microeditoria di Qualità nel 2024. Nel 2025 pubblica il secondo romanzo "Ieri, oggi, per sempre".
Ha al suo attivo diverse altre pubblicazioni condivise con altri autori, sia a sfondo benefico (“I Racconti di Natale” e “Le storie che non ti aspetti”), sia sperimentali e artistiche (“Dalla A alla Zeta” e “La vita in uno scatto”), tutte opere firmate Edizioni Convalle. Tania Mignani frequenta da diversi anni i laboratori di scrittura di Stefania Convalle ed è una delle strette collaboratrici della casa editrice. 


Non mi resta che darvi appuntamento alla prossima intervista a un altro concorrente di 800 Metri di Parole.



Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle


venerdì 21 novembre 2025

Numero 480 - Seconda tappa della gara 800 Metri di Parole - 21 Novembre 2025


 

Prosegue con successo la gara 800 Metri di Parole.

Questa fotografia è quella a cui dovevano ispirarsi i concorrenti per scrivere un racconto, o una poesia, o anche un monologo.
Qui di seguito i testi che vi suggerisco di leggere con partecipazione e attenzione perché poi potrete votarli.

COME SI VOTA?

SEGUITE BENE LE ISTRUZIONI SE VOLETE CHE IL VOTO SIA VALIDO.


1) DOVRETE SCRIVERE IN UN COMMENTO NEL BLOG I TRE TITOLI DEI TESTI CHE AVRETE PREFERITO, INSIEME AI NOMI DEGLI AUTORI, così non sbagliamo.

2) DOVRETE METTERE IL VOSTRO NOME E COGNOME, in questo caso il voto non è segreto, ma è pubblico, e quindi è bello firmarsi. 
NON SARANNO PRESI IN CONSIDERAZIONE VOTI ANONIMI O INCOMPLETI.

3) POTRETE VOTARE FINO A MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE, ORE 20.

E adesso, ecco i testi nell'ordine con cui mi sono arrivati.

ATTRAVERSO IL VETRO

Tatiana Vanini

 

Fuori fa freddo e il buio è già sceso. È la disperazione che mi spinge a uscire, perché se resto ancora in casa so che non combinerò nulla e il tempo stringe, indifferente all’ansia che sale e morde lo stomaco.
Sono tornato a casa dal lavoro e non le ho trovate, mia moglie e nostra figlia. Qualcuno le ha rapite e non chiede soldi, vuole qualcosa che non posso dargli. Sono stato poeta, ma da anni non scrivo, non pubblico, perché la vena della creatività si è inaridita e nulla riesce più a riaccenderla. Eppure, il folle che ha preso la mia famiglia, da me pretende ciò che non possiedo più, una poesia, entro mezzanotte, o le ucciderà.
Nel mio vagare per strade vuote e vicoli oscuri, una finestra illuminata mi chiama. Attraverso la strada e come un ladro mi avvicino, accosto il viso al vetro, scruto l'interno e mi nutro di ciò che vedo. Una scena banale, semplice, che per qualche istante spazza via ogni preoccupazione e la sento, l'idea che nasce. La contemplo, poi l'abbraccio, mi siedo per terra e da una tasca recupero uno scontrino. Scrivo di getto, sul retro di questo indegno foglio, la preghiera che mi sgorga dal cuore.

Da fuori, il mondo trattiene il fiato,
mentre dentro una stanza tiepida
due bambine ridono piano,
come se la sera potesse rompersi
al primo sussurro troppo forte.
 
Una lampada pende come una luna domestica,
sospesa sopra i loro segreti:
illumina mani che volano sul viso,
occhi che brillano
di un'allegria leggera e invincibile.
 
Sul tavolo, tazze e ciotole
restano lì, dimenticate,
testimoni silenziosi
di un momento che vale più del tempo.
 
E chi guarda attraverso il vetro
vede soltanto un frammento,
un istante salvato dal buio,
ma abbastanza per ricordare
che l'infanzia è una stanza calda
in cui la felicità siede e senza motivo
ride.
 
Rido e piango. Mi alzo e ancora guardo attraverso il vetro, lo sfioro con le dita in un ringraziamento che per sempre rimarrà muto e sconosciuto a quelle bimbe che, ignare, hanno salvato la mia. Magari un giorno si incontreranno, giocheranno insieme, senza sapere che le loro esistenze si sono legate in modo tanto stretto.
Corro a casa a leggere le istruzioni, per consegnare così com'è la poesia che è pegno e riscatto.
Volo leggero, scomparse ansia o paura sono euforico, perché in questo momento il mondo mi sembra di nuovo semplice, pieno di possibilità.
Spero solo che la promessa fatta dallo sconosciuto rapitore venga mantenuta, perché ho creato di nuovo, scriverò ancora e mai dimenticherò che l'arte può davvero salvare la vita. 

§§§


AL TAVOLO, IERI
Tania Mignani 
 

C'erano due risate,
minuscole e leggere,
rimbalzavano sul tavolo
come biglie di sole.
Riflesse nel vetro
piegavano il tempo,
con le mani fragranti di merenda
e gli occhi pieni di futuro.
 
La luce della lampada
cadeva morbida,
testimone silenziosa
di un istante.
 
Ora siedono ancora lì,
forse allo stesso tavolo,
il legno ha impresse le loro impronte,
i bordi sono più scuri,
il silenzio pesa un po’ di più.
 
Ridono ancora,
inseguendo un’eco:
la corsa di ciò che è stato,
la vertigine di ciò che resta.
 
E in quell'attimo sospeso
si riconoscono bambine,
per un istante soltanto,
prima che la vita
richiami ognuna al proprio passo.

§§§
 
IL PANETTONE
Luigi Besana
 
«A San Biass sa benediss la gola e anca el nass» disse la nonna entrando in cucina in quel giorno di Febbraio di tanti anni fa.
Io e mia cugina Lucia eravamo sedute al tavolo dopo la colazione, come al solito ci scambiavamo impressioni vissute durante i giorni di scuola e al proverbio espresso in dialetto dalla nonna cominciammo subito a ridere. 
A quel tempo, parlo dei primi anni sessanta, in casa nostra fra le colline della Brianza, il vernacolo ricco di saggezza e di poesia era ancora la prima lingua parlata. 
La nonna arrivò di mattino molto presto per portarci in chiesa, dove il Prevosto incrociava le candele, appoggiandole delicatamente sulla gola dei fedeli. Come consolazione c'era il panettone, quello conservato dal giorno di Natale. Allora non esisteva il “compri uno, ne prendi due”.
«Ma il panettone cosa c'entra con il mal di gola?» chiedemmo noi con dubbio e curiosità.
La nonna rispose con un sorriso accorto.
«Ora ve lo racconto. Una pia donna, non chiedetemi dove e quando, aveva sfornato un dolce natalizio e si recò in convento per pregare frate Desiderio di imporre le mani e benedire il profumato dolce. Essendo il frate occupato in novene e celebrazioni, invitò la donna a lasciare l'involucro in custodia e di tornare più avanti. Passa un giorno, ne passano due, la buona comare non ricompare, ma appare la tentazione: frate Desiderio consuma boccone dopo boccone l'intero lievitato. Fino a quando il giorno di San Biagio la donna si ripresenta a ritirare il suo pandolce benedetto. Ma, benedetto sì, benedetto no, el panetun se trova no.»
All'espressione colorita della nonna, ripresero le nostre risate. Intanto la nonna continuò la narrazione.
«Il povero frate, sapendo di aver lasciato l'ultimo rimasuglio del pane benedetto in fondo alla dispensa e già pronto a chiedere umilmente perdono, all'aprire della madia, ecco comparire due panettoni interi al posto dell'unico boccone originale. Miracolo, fatalità, provvidenza? Non è dato sapere. Il fatto vero, è che da quel giorno San Biagio sarà il Santo protettore della gola, e forse, visto il finale prodigioso della storia anche dei golosi.»
Ricordo sempre quel giorno, il 3 Febbraio di ogni anno, o quando incontro mia cugina e fra di noi rivivono le emozioni della nostra fanciullezza, rievocando la piccola cucina, in quel mondo spensierato che mai tornerà.
 
§§§


DALLA FINESTRA
Graziella Braghiroli

Avvolta nella vestaglia pesante che usa le sere d'inverno, Anna guarda fuori dalla finestra. Nel palazzo di fronte, le luci sono accese e in un appartamento al secondo piano due bambine sono sedute a un tavolo con davanti due scodelle vuote, testimoni di una merenda consumata da poco. Stanno ridendo, la bionda e la mora, chissà cosa si sono raccontate di tanto divertente.

Anche lei  e  Giulia erano così. Bastava un niente a farle ridere come pazze.
Giulia.
Avevano condiviso tutto, loro due: gli scarabocchi dell’asilo, i compiti e le interrogazioni, la prima sigaretta tossita fino a soffocare, le festine nei garages sotto casa. E poi, quel giuramento pronunciato con tutta la solennità dei loro tredici anni: Saremo amiche per sempre, sempre, sempre! Avevano anche sputato per terra per sancire quel loro patto e si erano abbracciate forte. In quel momento erano convinte che davvero nessuno le avrebbe mai separate.
Il tempo aveva mantenuto la promessa, fino a quell'estate, in Grecia. Un viaggio economico, tenda e infradito, e quella sensazione di libertà che si attaccava alla pelle come il sale di quel mare cristallino.
Era stato lì che avevano incontrato Franco, il bello dal  sorriso di chi sa già  troppo e la strafottenza dei ventenni che si credono adulti.
Giulia ne era rimasta affascinata e nella loro amicizia si era formata una crepa sottile. Non era solo gelosia da parte di Anna, era anche paura. Aveva scoperto che Franco si drogava e non voleva che Giulia seguisse le sue orme.
Ma non c'era stato niente da fare. Uno spinello, poi un altro, poi qualcosa di più. Anna aveva visto l'amica scivolare sempre più veloce verso quell'abisso senza fondo che l'avrebbe inghiottita.
L'ultima volta che si erano incontrate, Giulia le aveva promesso che sarebbe entrata presto in una comunità. Anna le aveva afferrato le mani, così bianche e sottili, e l'aveva stretta forte a sé.
Ce la farai, lo so che ce la farai! Aveva mormorato.
Giulia aveva sorriso appena, ricambiando l'abbraccio.
Il telefono aveva squillato tre giorni dopo, all'alba. Poche parole per un dolore infinito.

Anna inspira lentamente e torna a guardare le bambine. Stanno confabulando, le teste vicine, a raccontarsi chissà quali segreti.
La donna sente qualcosa sciogliersi nel petto, una tenerezza improvvisa, un dolore quieto, come se, da quella finestra illuminata, il passato fosse tornato a salutarla.

§§§

UN SILENZIO IMBARAZZANTE
Maria Rita Sanna

Mi indispettisce vederle tanto vicine, a parlarsi con quei gesti delle mani come a lanciare in aria le loro acute sorprese. Cosa avranno da dirsi se sono solo bambine!
Mario, invece, le adora. Quando sono insieme prepara spesso dei popcorn, come oggi, per farle ridere nel vedere quei fiocchi bianchi volare.
Sono uscita dalla cucina, non sopporto nemmeno il disordine che lasciano.
In giardino mi avvolge il silenzio del pomeriggio invernale. Dalla finestra percepisco i movimenti delle piccole dentro la cucina, mi avvicino e le guardo di nascosto, come se fossi una ladra.
Una di loro è mia figlia e vederla felice insieme alla sua amica dovrebbe restituirmi serenità. Purtroppo non avverto alcun sentimento buono.
Sbuffo. Il nervoso mi ingarbuglia la mente, mi scaglia davanti agli occhi l'immagine di me e mia sorella Giulia, adolescenti. Sedute sul letto a gambe incrociate, consumavamo lo spuntino di mezzanotte, sgranocchiando fette biscottate con cioccolata. Smorzavamo parole e risate per non svegliare i nostri genitori. Ridevamo per sciocchezze, perfino per la buffa descrizione del suo nuovo ragazzo.
Lo voglio conoscere, le avevo detto.
Quando, dopo alcune settimane, l'avevo incontrato ne ero rimasta folgorata. Mi ero innamorata a prima vista e niente riusciva a togliermelo dalla testa.
Quel ragazzo è diventato mio marito, Mario.
«Lena, vieni. Le bambine ti cercano.»
Mario mi ha raggiunto fuori.
«No, Mario. Non mi va. Anche loro un giorno saranno rivali. Non voglio che si vedano più, non voglio che tra loro nasca un'illusione simile alla mia.»
Mi guarda corrucciato, non capisce, non gli ho mai detto questo mio pensiero. Tempo fa, quando avevo rivelato a mia sorella il mio amore per Mario, lei non mi aveva più parlato. Mario, dal canto suo, le aveva detto che per lei non provava un forte sentimento; tutto si era risolto. Questo è quanto mi aveva riferito lui. 
Ma da quel giorno tra me e Giulia si era alzato un muro.
Spiego a Mario i miei tormenti, ma continua a non capire. Per lui tutto è passato, dimenticato. Per me, no. Non ho mai dimenticato lo sguardo ferito e amaro di Giulia.
«Lena, non puoi reprimere la loro gioia. Guardale, sono innocenti e felici, scommetto che parlano di magie e principesse.»
Mario è calmo, cerca di convincermi. Forse anche lui è avvolto da quella felicità infantile che io non sento più. Continua a ripetere che da parte mia è stato solo un malinteso. Mi parla di Giulia, di essere certo che nessun muro si sia innalzato tra noi, che lei non nutre alcun rancore.
«Come fai a dirlo? Non ti ho mai rivelato i miei tormenti. Eppure… Sai cosa passa per la testa di Giulia?»
Mario non risponde, non mi guarda. Rimane in silenzio.
Guardo le mani delle bambine volare come farfalle impazzite. Scendono dalle sedie e si rincorrono, giocano.
Le loro risate arrivano fino a noi, a spezzare un silenzio imbarazzante. 
Un silenzio che non ho mai avuto il coraggio di affrontare, ma ora mi si rovescia addosso come un macigno.

 §§§


ECO DI RIME E DI VITA
Adelia Rossi

Ho deciso! Per Natale voglio regalarti una poesia. Non un'ode qualunque, bensì qualcosa che ogni giorno ti ricordi come eravamo. Tu e io: bambine d'altri tempi, con indosso come unici indumenti i nostri sogni da realizzare. Riflessi di un mondo interiore che ancora non conoscevamo. L'unica cosa che ci faceva sentire protette. 

Ed ecco la nostra storia... Anche se con poca memoria te la vengo a raccontare,  volevo tu sapessi che della nostra amicizia nulla potrò scordare.
Ho conservato  nell'archivio della mia fantasia il gusto inedito di scrivere una poesia. Solo in rari momenti trovo la giusta combinazione per far sì che ogni parola s'incastri alla perfezione. Oddio, pure la rima ne esce avvantaggiata. Oggi pare essere il giorno prediletto.
Stasera si svolgerà una notte bianca, ma non fatta di intrattenimenti, musica e cibo da mettere sotto i denti, ma sarà una notte dove il sole  mai si stanca di pavoneggiarsi e, come narra il grande Fëdor Dostoevskij,  resta  l'illusione  dell'amore tra un mondo fatto di sogni  e la realtà.
Però noi non siamo lui e questa è un'altra storia. Un ricordo da tenere stretto  stretto, nel cassetto della memoria.
Avvicinati, te la sussurro in un orecchio. Su, dai, non ridere come allora quando sedute una accanto all'altra attendevi con impazienza il momento per ascoltare ciò che la mia fantasia aveva generato, per poi sghignazzare come una matta, fino a perdere il fiato.
Ecco, lo sapevo, volevo ostentare indifferenza, concentrarmi sulle emozioni per dare forma a un ricordo che mantenesse la nostra storia di vita, ma sento che non ce la potrò mai fare senza prima chiederti perdono per averti lasciata andare via, senza peraltro poterti salutare. Aspettami  nell'altrove.
L’amica di sempre, l’altra metà del tuo cuore.  

 §§§


UN RICORDO APPENA SFORNATO
Chiara De Mas


Era un pomeriggio come un altro e mi godevo quei cinque minuti di tranquillità tra una faccenda e l'altra, quando la mia attenzione venne attratta da dei rumori, ovattati dalle porte chiuse e dalle pareti sottili: strani tonfi e risatine sospette.
Varcai la soglia della cucina, attirata da strane scie bianche sull'uscio, e venni sorpresa da una scena caotica ma tenera: mia figlia e la sua amichetta del cuore piene d'entusiasmo e senso di colpa, intente a preparare una torta con un gusto nuovo. Sospirai teneramente, poi mi sciolsi in un sorriso: come potevo smorzare tutto quel fervore?
«Vediamo un po’ a che punto siete… Cos’avete messo dentro fino a ora?»
«Miele, yogurt alla fragola e un po’ di palline al cioccolato, quelle della colazione!»
«E anche lo zucchero!» intervenne tutta orgogliosa l'amichetta.
«Beh, direi che è già quasi perfetta! Che ne dite se mi unisco a voi?»
Fu così che il mio tranquillo pomeriggio si trasformò in una degna puntata di un improbabile reality show culinario. Le bambine seguirono ogni indicazione e ogni suggerimento con dedizione, con la luce negli occhi di chi crede che il risultato sarà qualcosa di unico.
Dopo un'oretta di attesa, immersa in una deliziosa fragranza che si espandeva in tutta la casa, era giunto il tanto atteso momento.
«Ragazze! Venite ad assaggiare la vostra torta!»
Sentii dal piano superiore dei passi trotterellare rapidamente, prima sopra la mia testa, infine giù per le scale.
«Eccoci!»
Quando conficcai il coltello nella torta, la lama si appannò per il calore che ancora emanava e sprigionò, se possibile, un profumo ancora più invitante.
Ma qualcosa non le convinceva, i loro sorrisi si tramutarono presto in smorfie interrogative.
«Sa di torta normale!»
«È uguale a tutte le altre!»
Una risata mi uscì spontanea.
«Secondo me, invece, è una torta super speciale: mentre stavate inventando la ricetta, avete anche creato un nuovo, bellissimo ricordo.»
Le ragazzine annuirono ridendo, ma senza capire fino in fondo. Le lasciai così ai loro giochi e ritornai alle mie faccende domestiche. Uscii per portare fuori la spazzatura e, passando davanti alla finestra vidi la mia bambina e la sua amica intente a confidarsi segreti che non dovevo sentire, piegate in un mondo tutto loro. Quel bellissimo quadretto mi riportò alla mente un nome, un volto, una risata lontana. Un leggero nodo mi si strinse attorno alla gola.
In quell’attimo capii che il tempo non restituisce ciò che porta via, ma che alcuni momenti, quelli semplici, quelli che sembrano niente e invece sono tutto, possono continuare a vivere in noi, se abbiamo la sensibilità di riconoscerli mentre accadono e la saggezza di custodirli con cura.

§§§


PER SEMPRE
Silvana Da Roit


Un attimo prima che il giorno perda i suoi contorni, in quello che era il mio rione si accendono come fari le finestre che danno sul cortile. Vengo sempre qui, non so dire neppure il perché, forse sono i miei piedi ad avere memoria e non mi conducono mai troppo lontano. Al piano terra si è appena illuminata una cucina e risate infantili attraversano le pareti per farmi festa. Ci sono due bimbe al tavolo per un piccolo spuntino, intente a farsi le smorfie. Una bionda, l’altra mora.
Due bambine come eravamo noi, io bionda e tu mora. Ricordi? Le mani paffute a soffocare il riso, perché si rideva di tutto e guizzi di gioia ci riempivano gli occhi. Hai perso, hai riso per prima, ti dicevo. È solo perché sembri una scimmietta, e subito mi abbracciavi e profumavi di biscotti. Dopo la merenda ritornavo a casa, dovevo solo attraversare il cortile, pochi metri per entrare nel mio portone; tu mi guardavi dalla finestra e io mi sentivo al sicuro, dicevi che, se avessi incontrato il babau, saresti venuta a salvarmi.
Non l’hai fatto.
Sono passati anni e anni, ma ho ancora voglia del bacio della mamma, di un gioco nuovo, delle scarpette con la punta da ballerina che non ho più usato. Sai, ho fatto in modo di non incontrarti, perché chi non mantiene le promesse non merita niente, ma questa sera è diverso, questa sera la nostalgia della vita è grande e ho bisogno di sentire il tuo odore anche se di donna matura.
Mi siedo accanto a te, mentre stringi il bavero sotto al mento. Dai un’occhiata in giro, lanci lontano la cicca di una sigaretta, tiri fuori le chiavi dalla borsa e per un attimo sorridi al portachiavi con la faccia da scimmietta.
Non mi hai mai dimenticata, sono rimasta piccola ma lo capisco. Lo capisco che sei la mia amica per sempre.

§§§

Anche questa volta siamo arrivati alla fine. Ora tocca a voi, leggere e votare secondo le indicazioni che vi ho detto all'inizio di questo numero del Blog.
Nei prossimi giorni aggiungerò anche l'immagine che rappresenta com'è la situazione "visiva" di questi 800 metri. A che punto sono i corridori? Seguite il Blog e lo scoprirete.

AGGIORNAMENTO GARA DOPO LA PRIMA PROVA





Alla prossima
dalla vostra 
Stefania Convalle