Prosegue con successo la gara 800 Metri di Parole.
Questa fotografia è quella a cui dovevano ispirarsi i concorrenti per scrivere un racconto, o una poesia, o anche un monologo.
Qui di seguito i testi che vi suggerisco di leggere con partecipazione e attenzione perché poi potrete votarli.
Qui di seguito i testi che vi suggerisco di leggere con partecipazione e attenzione perché poi potrete votarli.
COME SI VOTA?
1) DOVRETE SCRIVERE IN UN COMMENTO NEL BLOG I TITOLI DEI RACCONTI CHE AVRETE PREFERITO, INSIEME AI NOMI DEGLI AUTORI, così non sbagliamo.
2) DOVRETE METTERE IL VOSTRO NOME E COGNOME, in questo caso il voto non è segreto, ma è pubblico, e quindi è bello firmarsi.
NON SARANNO PRESI IN CONSIDERAZIONE VOTI ANONIMI O INCOMPLETI.
3) POTRETE VOTARE FINO A MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE, ORE 20.
E adesso, ecco i testi nell'ordine con cui mi sono arrivati.
ATTRAVERSO IL VETRO
Tatiana Vanini
Fuori fa freddo e il buio è già sceso. È la disperazione che mi spinge a
uscire, perché se resto ancora in casa so che non combinerò nulla e il tempo
stringe, indifferente all’ansia che sale e morde lo stomaco.
Sono tornato a casa dal lavoro e non le ho trovate, mia moglie e nostra figlia. Qualcuno le ha rapite e non chiede soldi, vuole qualcosa che non posso dargli. Sono stato poeta, ma da anni non scrivo, non pubblico, perché la vena della creatività si è inaridita e nulla riesce più a riaccenderla. Eppure, il folle che ha preso la mia famiglia, da me pretende ciò che non possiedo più, una poesia, entro mezzanotte, o le ucciderà.
Nel mio vagare per strade vuote e vicoli oscuri, una finestra illuminata mi chiama. Attraverso la strada e come un ladro mi avvicino, accosto il viso al vetro, scruto l'interno e mi nutro di ciò che vedo. Una scena banale, semplice, che per qualche istante spazza via ogni preoccupazione e la sento, l'idea che nasce. La contemplo, poi l'abbraccio, mi siedo per terra e da una tasca recupero uno scontrino. Scrivo di getto, sul retro di questo indegno foglio, la preghiera che mi sgorga dal cuore.
Sono tornato a casa dal lavoro e non le ho trovate, mia moglie e nostra figlia. Qualcuno le ha rapite e non chiede soldi, vuole qualcosa che non posso dargli. Sono stato poeta, ma da anni non scrivo, non pubblico, perché la vena della creatività si è inaridita e nulla riesce più a riaccenderla. Eppure, il folle che ha preso la mia famiglia, da me pretende ciò che non possiedo più, una poesia, entro mezzanotte, o le ucciderà.
Nel mio vagare per strade vuote e vicoli oscuri, una finestra illuminata mi chiama. Attraverso la strada e come un ladro mi avvicino, accosto il viso al vetro, scruto l'interno e mi nutro di ciò che vedo. Una scena banale, semplice, che per qualche istante spazza via ogni preoccupazione e la sento, l'idea che nasce. La contemplo, poi l'abbraccio, mi siedo per terra e da una tasca recupero uno scontrino. Scrivo di getto, sul retro di questo indegno foglio, la preghiera che mi sgorga dal cuore.
Da fuori, il mondo trattiene il fiato,
mentre dentro una stanza tiepida
due bambine ridono piano,
come se la sera potesse rompersi
al primo sussurro troppo forte.
Una lampada pende come una luna domestica,
sospesa sopra i loro segreti:
illumina mani che volano sul viso,
occhi che brillano
di un'allegria leggera e invincibile.
Sul tavolo, tazze e ciotole
restano lì, dimenticate,
testimoni silenziosi
di un momento che vale più del tempo.
E chi guarda attraverso il vetro
vede soltanto un frammento,
un istante salvato dal buio,
ma abbastanza per ricordare
che l'infanzia è una stanza calda
in cui la felicità siede e senza motivo
ride.
Rido e piango. Mi alzo e ancora guardo attraverso il vetro, lo sfioro con
le dita in un ringraziamento che per sempre rimarrà muto e sconosciuto a quelle
bimbe che, ignare, hanno salvato la mia. Magari un giorno si incontreranno,
giocheranno insieme, senza sapere che le loro esistenze si sono legate in modo
tanto stretto.
Corro a casa a leggere le istruzioni, per consegnare così com'è la poesia che è pegno e riscatto.
Volo leggero, scomparse ansia o paura sono euforico, perché in questo momento il mondo mi sembra di nuovo semplice, pieno di possibilità.
Spero solo che la promessa fatta dallo sconosciuto rapitore venga mantenuta, perché ho creato di nuovo, scriverò ancora e mai dimenticherò che l'arte può davvero salvare la vita.
mentre dentro una stanza tiepida
due bambine ridono piano,
come se la sera potesse rompersi
al primo sussurro troppo forte.
sospesa sopra i loro segreti:
illumina mani che volano sul viso,
occhi che brillano
di un'allegria leggera e invincibile.
restano lì, dimenticate,
testimoni silenziosi
di un momento che vale più del tempo.
vede soltanto un frammento,
un istante salvato dal buio,
ma abbastanza per ricordare
che l'infanzia è una stanza calda
in cui la felicità siede e senza motivo
ride.
Corro a casa a leggere le istruzioni, per consegnare così com'è la poesia che è pegno e riscatto.
Volo leggero, scomparse ansia o paura sono euforico, perché in questo momento il mondo mi sembra di nuovo semplice, pieno di possibilità.
Spero solo che la promessa fatta dallo sconosciuto rapitore venga mantenuta, perché ho creato di nuovo, scriverò ancora e mai dimenticherò che l'arte può davvero salvare la vita.
§§§
AL TAVOLO, IERI
Tania Mignani
C'erano due risate,
minuscole e leggere,
rimbalzavano sul tavolo
come biglie di sole.
Riflesse nel vetro
piegavano il tempo,
con le mani fragranti di merenda
e gli occhi pieni di futuro.
La luce della lampada
cadeva morbida,
testimone silenziosa
di un istante.
Ora siedono ancora lì,
forse allo stesso tavolo,
il legno ha impresse le loro impronte,
i bordi sono più scuri,
il silenzio pesa un po’ di più.
Ridono ancora,
inseguendo un’eco:
la corsa di ciò che è stato,
la vertigine di ciò che resta.
E in quell'attimo sospeso
si riconoscono bambine,
per un istante soltanto,
prima che la vita
richiami ognuna al proprio passo.
§§§
IL PANETTONE
Luigi Besana
«A San Biass sa benediss la gola e
anca el nass» disse la nonna entrando in cucina
in quel giorno di Febbraio di tanti anni fa.
Io e mia cugina Lucia eravamo
sedute al tavolo dopo la colazione, come al solito ci scambiavamo impressioni vissute
durante i giorni di scuola e al proverbio espresso in dialetto dalla nonna
cominciammo subito a ridere.
A quel tempo, parlo dei primi anni sessanta, in
casa nostra fra le colline della Brianza, il vernacolo ricco di saggezza e di
poesia era ancora la prima lingua parlata.
La nonna arrivò di mattino molto
presto per portarci in chiesa, dove il Prevosto incrociava le candele,
appoggiandole delicatamente sulla gola dei fedeli. Come consolazione c'era il
panettone, quello conservato dal giorno di Natale. Allora non esisteva il
“compri uno, ne prendi due”.
«Ma il panettone cosa c'entra con
il mal di gola?» chiedemmo noi con dubbio e
curiosità.
La nonna rispose con un sorriso
accorto.
«Ora ve lo racconto. Una pia donna, non chiedetemi dove
e quando, aveva sfornato un dolce natalizio e si recò in convento per pregare
frate Desiderio di imporre le mani e benedire il profumato dolce. Essendo il
frate occupato in novene e celebrazioni, invitò la donna a lasciare l'involucro
in custodia e di tornare più avanti. Passa un giorno, ne passano due, la buona
comare non ricompare, ma appare la tentazione: frate Desiderio consuma boccone
dopo boccone l'intero lievitato. Fino a quando il giorno di San Biagio la donna
si ripresenta a ritirare il suo pandolce benedetto. Ma, benedetto sì, benedetto no, el
panetun se trova no.»
All'espressione colorita della
nonna, ripresero le nostre risate. Intanto la nonna continuò la narrazione.
«Il povero frate, sapendo di aver
lasciato l'ultimo rimasuglio del pane benedetto in fondo alla dispensa e già
pronto a chiedere umilmente perdono, all'aprire della madia, ecco comparire due
panettoni interi al posto dell'unico boccone originale. Miracolo, fatalità, provvidenza?
Non è dato sapere. Il fatto vero, è che da quel giorno San Biagio sarà il Santo protettore
della gola, e forse, visto il finale prodigioso della storia anche dei golosi.»
Ricordo sempre quel giorno, il 3
Febbraio di ogni anno, o quando incontro mia cugina e fra di noi rivivono le emozioni della nostra fanciullezza, rievocando la
piccola cucina, in quel mondo spensierato che mai tornerà.
§§§
DALLA FINESTRA
Graziella Braghiroli
Avvolta nella vestaglia
pesante che usa le sere d'inverno, Anna guarda fuori dalla finestra. Nel
palazzo di fronte, le luci sono accese e
in un appartamento al secondo piano due bambine sono sedute a un tavolo con
davanti due scodelle vuote, testimoni di una merenda consumata da poco. Stanno
ridendo, la bionda e la mora, chissà cosa si sono raccontate di tanto
divertente.
Anche lei e Giulia
erano così. Bastava un niente a farle ridere come pazze.
Giulia.
Avevano condiviso tutto, loro due: gli scarabocchi dell’asilo, i compiti e le interrogazioni, la prima sigaretta tossita fino a soffocare, le festine nei garages sotto casa. E poi, quel giuramento pronunciato con tutta la solennità dei loro tredici anni: Saremo amiche per sempre, sempre, sempre! Avevano anche sputato per terra per sancire quel loro patto e si erano abbracciate forte. In quel momento erano convinte che davvero nessuno le avrebbe mai separate.
Il tempo aveva mantenuto la promessa, fino a quell'estate, in Grecia. Un viaggio economico, tenda e infradito, e quella sensazione di libertà che si attaccava alla pelle come il sale di quel mare cristallino.
Era stato lì che avevano incontrato Franco, il bello dal sorriso di chi sa già troppo e la strafottenza dei ventenni che si credono adulti.
Giulia ne era rimasta affascinata e nella loro amicizia si era formata una crepa sottile. Non era solo gelosia da parte di Anna, era anche paura. Aveva scoperto che Franco si drogava e non voleva che Giulia seguisse le sue orme.
Ma non c'era stato niente da fare. Uno spinello, poi un altro, poi qualcosa di più. Anna aveva visto l'amica scivolare sempre più veloce verso quell'abisso senza fondo che l'avrebbe inghiottita.
L'ultima volta che si erano incontrate, Giulia le aveva promesso che sarebbe entrata presto in una comunità. Anna le aveva afferrato le mani, così bianche e sottili, e l'aveva stretta forte a sé.
Ce la farai, lo so che ce la farai! Aveva mormorato.
Giulia aveva sorriso appena, ricambiando l'abbraccio.
Il telefono aveva squillato tre giorni dopo, all'alba. Poche parole per un dolore infinito.
Giulia.
Avevano condiviso tutto, loro due: gli scarabocchi dell’asilo, i compiti e le interrogazioni, la prima sigaretta tossita fino a soffocare, le festine nei garages sotto casa. E poi, quel giuramento pronunciato con tutta la solennità dei loro tredici anni: Saremo amiche per sempre, sempre, sempre! Avevano anche sputato per terra per sancire quel loro patto e si erano abbracciate forte. In quel momento erano convinte che davvero nessuno le avrebbe mai separate.
Il tempo aveva mantenuto la promessa, fino a quell'estate, in Grecia. Un viaggio economico, tenda e infradito, e quella sensazione di libertà che si attaccava alla pelle come il sale di quel mare cristallino.
Era stato lì che avevano incontrato Franco, il bello dal sorriso di chi sa già troppo e la strafottenza dei ventenni che si credono adulti.
Giulia ne era rimasta affascinata e nella loro amicizia si era formata una crepa sottile. Non era solo gelosia da parte di Anna, era anche paura. Aveva scoperto che Franco si drogava e non voleva che Giulia seguisse le sue orme.
Ma non c'era stato niente da fare. Uno spinello, poi un altro, poi qualcosa di più. Anna aveva visto l'amica scivolare sempre più veloce verso quell'abisso senza fondo che l'avrebbe inghiottita.
L'ultima volta che si erano incontrate, Giulia le aveva promesso che sarebbe entrata presto in una comunità. Anna le aveva afferrato le mani, così bianche e sottili, e l'aveva stretta forte a sé.
Ce la farai, lo so che ce la farai! Aveva mormorato.
Giulia aveva sorriso appena, ricambiando l'abbraccio.
Il telefono aveva squillato tre giorni dopo, all'alba. Poche parole per un dolore infinito.
Anna inspira lentamente
e torna a guardare le bambine. Stanno confabulando, le teste vicine, a
raccontarsi chissà quali segreti.
La donna sente qualcosa sciogliersi nel petto, una tenerezza improvvisa, un dolore quieto, come se, da quella finestra illuminata, il passato fosse tornato a salutarla.
La donna sente qualcosa sciogliersi nel petto, una tenerezza improvvisa, un dolore quieto, come se, da quella finestra illuminata, il passato fosse tornato a salutarla.
§§§
UN SILENZIO IMBARAZZANTE
Maria Rita Sanna
Maria Rita Sanna
Mi indispettisce vederle tanto vicine, a parlarsi con quei gesti delle
mani come a lanciare in aria le loro acute sorprese. Cosa avranno da dirsi se
sono solo bambine!
Mario, invece, le adora. Quando sono insieme prepara spesso dei popcorn, come oggi, per farle ridere nel vedere quei fiocchi bianchi volare.
Sono uscita dalla cucina, non sopporto nemmeno il disordine che lasciano.
In giardino mi avvolge il silenzio del pomeriggio invernale. Dalla finestra percepisco i movimenti delle piccole dentro la cucina, mi avvicino e le guardo di nascosto, come se fossi una ladra.
Una di loro è mia figlia e vederla felice insieme alla sua amica dovrebbe restituirmi serenità. Purtroppo non avverto alcun sentimento buono.
Sbuffo. Il nervoso mi ingarbuglia la mente, mi scaglia davanti agli occhi l'immagine di me e mia sorella Giulia, adolescenti. Sedute sul letto a gambe incrociate, consumavamo lo spuntino di mezzanotte, sgranocchiando fette biscottate con cioccolata. Smorzavamo parole e risate per non svegliare i nostri genitori. Ridevamo per sciocchezze, perfino per la buffa descrizione del suo nuovo ragazzo.
Lo voglio conoscere, le avevo detto.
Quando, dopo alcune settimane, l'avevo incontrato ne ero rimasta folgorata. Mi ero innamorata a prima vista e niente riusciva a togliermelo dalla testa.
Quel ragazzo è diventato mio marito, Mario.
«Lena, vieni. Le bambine ti cercano.»
Mario mi ha raggiunto fuori.
«No, Mario. Non mi va. Anche loro un giorno saranno rivali. Non voglio che si vedano più, non voglio che tra loro nasca un'illusione simile alla mia.»
Mi guarda corrucciato, non capisce, non gli ho mai detto questo mio pensiero. Tempo fa, quando avevo rivelato a mia sorella il mio amore per Mario, lei non mi aveva più parlato. Mario, dal canto suo, le aveva detto che per lei non provava un forte sentimento; tutto si era risolto. Questo è quanto mi aveva riferito lui.
Mario, invece, le adora. Quando sono insieme prepara spesso dei popcorn, come oggi, per farle ridere nel vedere quei fiocchi bianchi volare.
Sono uscita dalla cucina, non sopporto nemmeno il disordine che lasciano.
In giardino mi avvolge il silenzio del pomeriggio invernale. Dalla finestra percepisco i movimenti delle piccole dentro la cucina, mi avvicino e le guardo di nascosto, come se fossi una ladra.
Una di loro è mia figlia e vederla felice insieme alla sua amica dovrebbe restituirmi serenità. Purtroppo non avverto alcun sentimento buono.
Sbuffo. Il nervoso mi ingarbuglia la mente, mi scaglia davanti agli occhi l'immagine di me e mia sorella Giulia, adolescenti. Sedute sul letto a gambe incrociate, consumavamo lo spuntino di mezzanotte, sgranocchiando fette biscottate con cioccolata. Smorzavamo parole e risate per non svegliare i nostri genitori. Ridevamo per sciocchezze, perfino per la buffa descrizione del suo nuovo ragazzo.
Lo voglio conoscere, le avevo detto.
Quando, dopo alcune settimane, l'avevo incontrato ne ero rimasta folgorata. Mi ero innamorata a prima vista e niente riusciva a togliermelo dalla testa.
Quel ragazzo è diventato mio marito, Mario.
«Lena, vieni. Le bambine ti cercano.»
Mario mi ha raggiunto fuori.
«No, Mario. Non mi va. Anche loro un giorno saranno rivali. Non voglio che si vedano più, non voglio che tra loro nasca un'illusione simile alla mia.»
Mi guarda corrucciato, non capisce, non gli ho mai detto questo mio pensiero. Tempo fa, quando avevo rivelato a mia sorella il mio amore per Mario, lei non mi aveva più parlato. Mario, dal canto suo, le aveva detto che per lei non provava un forte sentimento; tutto si era risolto. Questo è quanto mi aveva riferito lui.
Ma da quel giorno tra me e Giulia si era alzato un muro.
Spiego a Mario i miei tormenti, ma continua a non capire. Per lui tutto è passato, dimenticato. Per me, no. Non ho mai dimenticato lo sguardo ferito e amaro di Giulia.
«Lena, non puoi reprimere la loro gioia. Guardale, sono innocenti e felici, scommetto che parlano di magie e principesse.»
Mario è calmo, cerca di convincermi. Forse anche lui è avvolto da quella felicità infantile che io non sento più. Continua a ripetere che da parte mia è stato solo un malinteso. Mi parla di Giulia, di essere certo che nessun muro si sia innalzato tra noi, che lei non nutre alcun rancore.
«Come fai a dirlo? Non ti ho mai rivelato i miei tormenti. Eppure… Sai cosa passa per la testa di Giulia?»
Mario non risponde, non mi guarda. Rimane in silenzio.
Guardo le mani delle bambine volare come farfalle impazzite. Scendono dalle sedie e si rincorrono, giocano.
Le loro risate arrivano fino a noi, a spezzare un silenzio imbarazzante.
Spiego a Mario i miei tormenti, ma continua a non capire. Per lui tutto è passato, dimenticato. Per me, no. Non ho mai dimenticato lo sguardo ferito e amaro di Giulia.
«Lena, non puoi reprimere la loro gioia. Guardale, sono innocenti e felici, scommetto che parlano di magie e principesse.»
Mario è calmo, cerca di convincermi. Forse anche lui è avvolto da quella felicità infantile che io non sento più. Continua a ripetere che da parte mia è stato solo un malinteso. Mi parla di Giulia, di essere certo che nessun muro si sia innalzato tra noi, che lei non nutre alcun rancore.
«Come fai a dirlo? Non ti ho mai rivelato i miei tormenti. Eppure… Sai cosa passa per la testa di Giulia?»
Mario non risponde, non mi guarda. Rimane in silenzio.
Guardo le mani delle bambine volare come farfalle impazzite. Scendono dalle sedie e si rincorrono, giocano.
Le loro risate arrivano fino a noi, a spezzare un silenzio imbarazzante.
Un silenzio che non ho mai avuto il coraggio di affrontare, ma ora mi si
rovescia addosso come un macigno.
Ho deciso! Per Natale voglio regalarti una poesia. Non un'ode qualunque, bensì qualcosa che ogni giorno ti ricordi come eravamo. Tu e io: bambine d'altri tempi, con indosso come unici indumenti i nostri sogni da realizzare. Riflessi di un mondo interiore che ancora non conoscevamo. L'unica cosa che ci faceva sentire protette.
Ed ecco la nostra storia... Anche se con poca memoria te la vengo a
raccontare, volevo tu sapessi che della
nostra amicizia nulla potrò scordare.
Ho conservato nell'archivio della mia fantasia il gusto inedito di scrivere una poesia. Solo in rari momenti trovo la giusta combinazione per far sì che ogni parola s'incastri alla perfezione. Oddio, pure la rima ne esce avvantaggiata. Oggi pare essere il giorno prediletto.
Stasera si svolgerà una notte bianca, ma non fatta di intrattenimenti, musica e cibo da mettere sotto i denti, ma sarà una notte dove il sole mai si stanca di pavoneggiarsi e, come narra il grande Fëdor Dostoevskij, resta l'illusione dell'amore tra un mondo fatto di sogni e la realtà.
Però noi non siamo lui e questa è un'altra storia. Un ricordo da tenere stretto stretto, nel cassetto della memoria.
Avvicinati, te la sussurro in un orecchio. Su, dai, non ridere come allora quando sedute una accanto all'altra attendevi con impazienza il momento per ascoltare ciò che la mia fantasia aveva generato, per poi sghignazzare come una matta, fino a perdere il fiato.
Ecco, lo sapevo, volevo ostentare indifferenza, concentrarmi sulle emozioni per dare forma a un ricordo che mantenesse la nostra storia di vita, ma sento che non ce la potrò mai fare senza prima chiederti perdono per averti lasciata andare via, senza peraltro poterti salutare. Aspettami nell'altrove.
L’amica di sempre, l’altra metà del tuo cuore.
Ho conservato nell'archivio della mia fantasia il gusto inedito di scrivere una poesia. Solo in rari momenti trovo la giusta combinazione per far sì che ogni parola s'incastri alla perfezione. Oddio, pure la rima ne esce avvantaggiata. Oggi pare essere il giorno prediletto.
Stasera si svolgerà una notte bianca, ma non fatta di intrattenimenti, musica e cibo da mettere sotto i denti, ma sarà una notte dove il sole mai si stanca di pavoneggiarsi e, come narra il grande Fëdor Dostoevskij, resta l'illusione dell'amore tra un mondo fatto di sogni e la realtà.
Però noi non siamo lui e questa è un'altra storia. Un ricordo da tenere stretto stretto, nel cassetto della memoria.
Avvicinati, te la sussurro in un orecchio. Su, dai, non ridere come allora quando sedute una accanto all'altra attendevi con impazienza il momento per ascoltare ciò che la mia fantasia aveva generato, per poi sghignazzare come una matta, fino a perdere il fiato.
Ecco, lo sapevo, volevo ostentare indifferenza, concentrarmi sulle emozioni per dare forma a un ricordo che mantenesse la nostra storia di vita, ma sento che non ce la potrò mai fare senza prima chiederti perdono per averti lasciata andare via, senza peraltro poterti salutare. Aspettami nell'altrove.
L’amica di sempre, l’altra metà del tuo cuore.
Era
un pomeriggio come un altro e mi godevo quei cinque minuti di tranquillità tra
una faccenda e l'altra, quando la mia attenzione venne attratta
da dei rumori, ovattati dalle porte chiuse e dalle pareti sottili: strani tonfi
e risatine sospette.
Varcai
la soglia della cucina, attirata da strane scie bianche sull'uscio, e venni
sorpresa da una scena caotica ma tenera: mia figlia e la sua amichetta del
cuore piene d'entusiasmo e senso di colpa, intente a preparare una torta con
un gusto nuovo. Sospirai teneramente, poi mi sciolsi in un sorriso: come
potevo smorzare tutto quel fervore?
«Vediamo
un po’ a che punto siete… Cos’avete messo dentro fino a ora?»
«Miele,
yogurt alla fragola e un po’ di palline al cioccolato, quelle della colazione!»
«E anche lo zucchero!» intervenne tutta orgogliosa l'amichetta.
«Beh,
direi che è già quasi perfetta! Che ne dite se mi unisco a voi?»
Fu
così che il mio tranquillo pomeriggio si trasformò in una degna puntata di un
improbabile reality show culinario. Le bambine seguirono ogni indicazione e
ogni suggerimento con dedizione, con la luce negli occhi di chi crede che il
risultato sarà qualcosa di unico.
Dopo
un'oretta di attesa, immersa in una deliziosa fragranza che si espandeva in tutta
la casa, era giunto il tanto atteso momento.
«Ragazze!
Venite ad assaggiare la vostra torta!»
Sentii
dal piano superiore dei passi trotterellare rapidamente, prima sopra la mia
testa, infine giù per le scale.
«Eccoci!»
Quando
conficcai il coltello nella torta, la lama si appannò per il calore che ancora
emanava e sprigionò, se possibile, un profumo ancora più invitante.
Ma
qualcosa non le convinceva, i loro sorrisi si tramutarono presto in smorfie
interrogative.
«Sa
di torta normale!»
«È
uguale a tutte le altre!»
Una
risata mi uscì spontanea.
«Secondo
me, invece, è una torta super speciale: mentre stavate inventando la ricetta, avete
anche creato un nuovo, bellissimo ricordo.»
Le
ragazzine annuirono ridendo, ma senza capire fino in fondo. Le lasciai così ai
loro giochi e ritornai alle mie faccende domestiche. Uscii per portare fuori la
spazzatura e, passando davanti alla finestra vidi la mia bambina e la sua amica
intente a confidarsi segreti che non dovevo sentire, piegate in un mondo tutto
loro. Quel bellissimo quadretto mi riportò alla mente un nome, un volto, una
risata lontana. Un leggero nodo mi si strinse attorno alla gola.
In
quell’attimo capii che il tempo non restituisce ciò che porta via, ma che alcuni
momenti, quelli semplici, quelli che sembrano niente e invece sono tutto, possono
continuare a vivere in noi, se abbiamo la sensibilità di riconoscerli mentre
accadono e la saggezza di custodirli con cura.
§§§
PER SEMPRE
Silvana Da Roit
Un attimo prima che il giorno perda i suoi contorni, in quello che era il
mio rione si accendono come fari le finestre che danno sul cortile. Vengo
sempre qui, non so dire neppure il perché, forse sono i miei piedi ad avere
memoria e non mi conducono mai troppo lontano. Al piano terra si è appena illuminata
una cucina e risate infantili attraversano le pareti per farmi festa. Ci sono
due bimbe al tavolo per un piccolo spuntino, intente a farsi le smorfie. Una
bionda, l’altra mora.
Due bambine come eravamo noi, io bionda e tu mora. Ricordi? Le mani paffute a soffocare il riso, perché si rideva di tutto e guizzi di gioia ci riempivano gli occhi. Hai perso, hai riso per prima, ti dicevo. È solo perché sembri una scimmietta, e subito mi abbracciavi e profumavi di biscotti. Dopo la merenda ritornavo a casa, dovevo solo attraversare il cortile, pochi metri per entrare nel mio portone; tu mi guardavi dalla finestra e io mi sentivo al sicuro, dicevi che, se avessi incontrato il babau, saresti venuta a salvarmi.
Non l’hai fatto.
Sono passati anni e anni, ma ho ancora voglia del bacio della mamma, di un gioco nuovo, delle scarpette con la punta da ballerina che non ho più usato. Sai, ho fatto in modo di non incontrarti, perché chi non mantiene le promesse non merita niente, ma questa sera è diverso, questa sera la nostalgia della vita è grande e ho bisogno di sentire il tuo odore anche se di donna matura.
Mi siedo accanto a te, mentre stringi il bavero sotto al mento. Dai un’occhiata in giro, lanci lontano la cicca di una sigaretta, tiri fuori le chiavi dalla borsa e per un attimo sorridi al portachiavi con la faccia da scimmietta.
Non mi hai mai dimenticata, sono rimasta piccola ma lo capisco. Lo capisco che sei la mia amica per sempre.
Due bambine come eravamo noi, io bionda e tu mora. Ricordi? Le mani paffute a soffocare il riso, perché si rideva di tutto e guizzi di gioia ci riempivano gli occhi. Hai perso, hai riso per prima, ti dicevo. È solo perché sembri una scimmietta, e subito mi abbracciavi e profumavi di biscotti. Dopo la merenda ritornavo a casa, dovevo solo attraversare il cortile, pochi metri per entrare nel mio portone; tu mi guardavi dalla finestra e io mi sentivo al sicuro, dicevi che, se avessi incontrato il babau, saresti venuta a salvarmi.
Non l’hai fatto.
Sono passati anni e anni, ma ho ancora voglia del bacio della mamma, di un gioco nuovo, delle scarpette con la punta da ballerina che non ho più usato. Sai, ho fatto in modo di non incontrarti, perché chi non mantiene le promesse non merita niente, ma questa sera è diverso, questa sera la nostalgia della vita è grande e ho bisogno di sentire il tuo odore anche se di donna matura.
Mi siedo accanto a te, mentre stringi il bavero sotto al mento. Dai un’occhiata in giro, lanci lontano la cicca di una sigaretta, tiri fuori le chiavi dalla borsa e per un attimo sorridi al portachiavi con la faccia da scimmietta.
Non mi hai mai dimenticata, sono rimasta piccola ma lo capisco. Lo capisco che sei la mia amica per sempre.
§§§
Anche questa volta siamo arrivati alla fine. Ora tocca a voi, leggere e votare secondo le indicazioni che vi ho detto all'inizio di questo numero del Blog.
Nei prossimi giorni aggiungerò anche l'immagine che rappresenta com'è la situazione "visiva" di questi 800 metri. A che punto sono i corridori? Seguite il Blog e lo scoprirete.
dalla vostra
Stefania Convalle


Tania Mignani, Al tavolo, ieri Immagini potenti e molto originali
RispondiEliminaSivana Da Roit, Per sempre Bella storia di amicizia e nostalgia
Luigi Besana, Il panettone Simpatico richiamo alle tradizioni
Maura Hary
1 Eco di rime e di vita.
RispondiElimina2 Attraverso il vetro
3 Al tavolo ieri
E’ una puntata poetica e quindi scelgo le emozioni che possono dare un testo poetico o anche solo una poesia. Bella la loro unione.
Cesare Sordi
1) Al tavolo, ieri di Tania Mignani. Anche in poesia l' autrice e' essenziale ma senza tralasciare la magia della suggestione.
RispondiElimina2) Per sempre di Silvana da Roit. Una atmosfera calda e intima.
3) Un silenzio imbarazzante di Maria Rita Sanna.
Un' altra prova di scrittura potente della autrice che e' in grado di rispondere alle emozioni, anche quelle più nascoste.
Bravi tutti comunque!
Tatiana Vanini Attraverso il vetro
RispondiEliminaTania Mignani Al tavolo ieri
MariaRita Sanna Un silenzio imbarazzante
Nicoletta Mandaradoni
1. AL TAVOLO, IERI" di Tania Mignani per la dolcezza dei versi della poesia
RispondiElimina2. ATTRAVERSO IL VETRO, Tatiana Vanini per la bellezza della prosa e della poesia e perché credo che l'arte possa salvare la vita
3. DALLA FINESTRA, Graziella Braghiroli, perche ha risvegliato un tenero ricordo della mia migliore amica del liceo
Scusate sono Cristina Bellavita
EliminaIl panettone
EliminaLuigi Besana
Eco di rime di vita
Adelia Rossi
Un ricordo appena sfornato
Chiara De Mas
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Clara Pogliani
1 - Tania Mignani
RispondiElimina2 - Graziella Braghiroli
3 - Silvana Da Roit
Un silenzio imbarazzante -Maria Rita Sanna
RispondiEliminaEco di rime di vita - Adelia Rossi
Per sempre - Silvana Da Roit
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Fabrizio Moresca