Seduti allo stesso tavolo

Seduti allo stesso tavolo
Il nuovo romanzo di Stefania Convalle, sul mondo dell'editoria.

lunedì 26 maggio 2025

Numero 474 - Racconto terzo classificato Masterbook seconda edizione 2025 - 26 maggio 2025



E siamo arrivati al terzo racconto classificato, della seconda edizione del Masterbook 2025. 
Nei numeri precedenti, potrete leggere anche il racconto vincitore e il secondo classificato.

Andiamo a svelare il volto dell'autrice del terzo racconto sul podio?


Giovanna Agata Lucenti, già autrice di Edizioni Convalle con la silloge poetica "Quando piccole storie si vestono di poesia".


Poetessa da sempre, con la sua penna raffinata e piena di emozioni, scrive anche racconti da anni, che l'hanno portata alla vittoria anche in altri premi letterari.

E anche questa volta si è piazzata nella rosa dei primi tre.

Ma andiamo a leggere! Eccolo qui.


LE FERITE DEL CUORE

Capitolo uno
La consapevolezza

 

Quante storie può contenere uno sguardo?
Quante vite di continuo sfiorano i giorni della nostra esistenza?
Queste e altre domande si accavallavano nella mente di Teresa, mentre tornava a casa dopo la consueta ed estenuante giornata  al supermercato dove lavorava come cassiera.
Non era tanta la strada da percorrere per arrivare alla sua abitazione, ma quella sera la donna non aveva nessuna fretta di rincasare e chissà perché si sentiva più sola del solito.
Si era trasferita da qualche anno in città, lasciando il paesino dove era nata e aveva vissuto fino ad allora.
Certe direzioni vengono dettate più dal cuore che dalla mente e Teresa sapeva bene ciò che lasciava, ma aveva avuto più che mai bisogno di cambiare aria, di sfuggire a una mentalità opprimente; o forse voleva solo nascondersi in mezzo a volti sconosciuti.
Lasciare la casa dei genitori era stato l’unico modo di provare a sé stessa di potercela fare da sola e non dovere rendere conto a nessuno delle sue scelte, del suo modo di vivere; si era sentita più forte e realizzata. 
Fatto sta che tutto questo cominciava a non bastarle più e le giornate sembravano scorrere tutte uguali portandosi via, poco alla volta, tutta la gioia e l’entusiasmo che avevano contraddistinto il primo periodo vissuto da sola.
Appena rientrata, aveva appoggiato sul tavolo la spesa fatta durante una pausa al supermercato dove lavorava, avrebbe dovuto iniziare a cucinare ma infine era sprofondata sul divano con il solito panino preparato alla svelta e una birra.
Per un po’ le avrebbe fatto compagnia una nuova puntata di qualche serie che stava seguendo e poi, chiuse le persiane, sarebbe andata a dormire, dopo avere letto qualche pagina del libro poggiato da tempo immemorabile sul comodino.
Insomma, la monotonia di una vita degna di un’anziana signora, non certo di una donna appena trentenne.
Ma era questo che aveva con forza desiderato per sfuggire allo squallore di una falsa esistenza, di un amore che si era rivelato per quello che era: un’enorme bugia!
Gli si era data con tutta sé stessa, credendo a tutto ciò che le diceva, bevendosi in maniera letterale tutte le stronzate che le sussurrava all’orecchio, salvo, dopo un momento, fare il cascamorto con la prima venuta.
Si chiamava Angelo e mai nome era stato meno appropriato.
Era un tasto che, se solo sfiorato, faceva ancora male, ma aveva avuto la forza di chiudere tutte le porte e andare avanti, anche se lui le aveva spergiurato che, per lei, sarebbe stato capace di cambiare.
Teresa non aveva più voluto saperne, e quel periodo di preparativi per un matrimonio, che poi non si era celebrato, restava ancora il suo peggiore incubo.
Genitori, parenti, amici si erano prodigati per starle vicino, qualcuno le aveva anche consigliato di chiudere un occhio, perché in fondo non è successo niente d’irreparabile, che vuoi che sia una scappatella prematrimoniale… Così dicevano, e a Teresa veniva la nausea: non l’avevano trovato loro a baciarsi dietro il portone con la vicina di casa, mentre la credeva al negozio per la prova dell’abito da sposa!
Se quel giorno la sarta non avesse deciso di farsi beccare da una brutta intossicazione, Teresa sarebbe andata avanti ignara di tutto e magari l’epilogo, dopo un po' di tempo, sarebbe stato lo stesso. Ma molto meglio non avere calcato il suolo di quella chiesa che fin da piccola l’aveva vista ricevere i primi sacramenti. Senza dubbio le era andata di lusso.
Teresa si era meravigliata di sé per la freddezza e la lucidità con le quali era riuscita a gestire la situazione, era fiera di essere riuscita a lasciarsi tutto alle spalle: i quasi dieci anni di fidanzamento, la casa dei genitori, il suo paese.
Si era trasferita nella grande città e lì aveva iniziato un nuovo capitolo della sua vita. Aveva trovato lavoro ed era riuscita anche a riprendere gli studi universitari interrotti da tempo.
In breve, si era fatta benvolere da tutti; quella ragazza dai capelli di un rosso dorato e dagli occhi verdi non passava certo inosservata, ma era il suo buon carattere e la grande disponibilità verso gli altri che la rendevano speciale.
Al lavoro non si risparmiava e aveva una parola gentile per tutti, anche i clienti la trattavano come una persona di famiglia. Lei, dal canto suo, era sempre sorridente e svolgeva il suo lavoro con grande puntualità e precisione.
Le piaceva quel lavoro che la metteva ogni giorno in contatto con le persone più svariate, ormai riconosceva i volti e i nomi dei clienti abituali del quartiere e avrebbe potuto anche elencare i loro gusti; non era raro raccogliere anche le loro confidenze fra una spesa e l’altra.
Era come un viatico per lei non pensare alle proprie vicissitudini e immergersi nei problemi degli altri; certo, non poteva risolverli, ma aveva capito che le persone vogliono soprattutto essere ascoltate e questo bastava per guadagnarsi la simpatia di giovani e anziani.
Ecco il perché delle riflessioni scaturite quel giorno dalla sua mente, mentre tornava a casa.
Era come se qualcuno le suggerisse di dare il giusto peso a quello che le era successo e che in fondo nella vita sono altri i veri problemi.
Si era riscoperta un’anima osservatrice e, conoscendo ormai troppo bene gli abituali avventori del negozio, riusciva a cogliere i loro cambiamenti d’umore, le giornate difficili e anche le loro sofferenze.
Aveva ancora negli occhi il viso di Adele.
Quella mattina la ragazza era entrata al supermercato con dei vistosi occhiali neri e, dopo avere sistemato il bambino nel seggiolino del carrello, aveva fatto la spesa in maniera frettolosa, posizionandosi, poi, alla cassa di Teresa; l’aveva salutata in maniera sfuggente, senza attardarsi come le altre volte a scambiare qualche parola. Non si era nemmeno accorta che Teresa porgeva la solita caramella al bambino, che non avendola potuta afferrare perché trascinato dalla madre, piangeva disperato.
Sapevano tutti, nel quartiere, che Adele aveva un compagno non certo facile da gestire, ma quello era un tasto che la ragazza non toccava mai volentieri e Teresa l’aveva capito.
Seduta sul divano, la donna non poteva fare a meno di pensare a quale genere di esistenza conducesse quella ragazza, con un uomo violento e un bambino da crescere.
Come avrebbe potuto aiutarla? Mentre ci pensava, la stanchezza l’aveva vinta e, come al solito, si sarebbe addormentata davanti allo schermo; presto si sarebbe trascinata nella camera da letto, anche se non l’attirava molto l’idea di infilarsi sotto le coperte ghiacciate.
Erano questi i momenti in cui le mancava di più la madre, lei non si sarebbe certo dimenticata di farle trovare lo scaldino dentro il letto. Sapeva bene che non era tanto lo scaldino in sé stesso che le mancava, ma proprio quel piccolo gesto che la faceva sentire accudita e importante per qualcuno.
Avrebbe dovuto chiamarla già da qualche tempo, e si era addormentata con il proponimento di farlo quanto prima il giorno dopo.
                                                    
 Capitolo due
L’importanza di esserci
 
Il suono delle casse, quella mattina, era più convulso del solito e, come in tutti i supermercati nel giorno di sabato, non si aveva un attimo per fiatare. Tutti di fretta, impazienti e con le facce tutt’altro che rilassate, facevano la fila per pagare con i carrelli stracolmi di acquisti.
«Signorina, questo prodotto è ancora in offerta o è scaduto il tempo?»
«Signorina, la tessera punti è finalmente disponibile o c’è ancora d’aspettare?»
In giornate come quelle, Teresa faticava a mantenere la solita gentilezza, ma bastava intravedere qualche volto conosciuto che le accennava un sorriso comprensivo e ritrovava la carica per andare avanti.
Per la signora Maria, che la conosceva ormai da tempo, il volto di Teresa era un libro aperto e, mentre infilava la sua spesa nelle buste, la guardava sorridendo.
«Giornatina niente male, eh? Se quando smonti vuoi passare da me, una tazza di camomilla non te la leva nessuno.»
«Grazie Maria, ma mi sa tanto che sceglierò qualcosa di più forte!»
L’anziana donna le mandò un bacio, sfiorandosi la bocca con la mano, e si allontanò seguita dallo sguardo riconoscente della ragazza.
Teresa, quel giorno, rientrò  più stanca del solito, ma pensando già alla domenica di riposo che l’aspettava.
Avrebbe voluto fare tante cose, ad esempio andare a trovare i suoi, che non vedeva da tempo; magari, appena arrivata a casa, li avrebbe avvisati del suo arrivo l’indomani.
Si sarebbe dovuta mettere in auto alle prime ore del mattino, ma  l’aspettava solo un tranquillo sabato sera in casa e quindi sarebbe andata a letto presto.
Ma non aveva fatto i conti con una visita inaspettata.
Seduti sugli scalini davanti alla porta di casa c’erano Adele e il bambino che dormiva fra le sue braccia.
La giovane donna aveva il viso disfatto dalle lacrime e un labbro gonfio.
«Adele!» riuscì a dire Teresa e, senza farle domande, le poggiò una mano sulla spalla. «Entra, presto! Fa freddo qui fuori.»
«Scusa, Teresa, non sapevo dove andare. Lui è uscito, ma quando tornerà sarà più ubriaco di prima, e io ho paura soprattutto per il bambino. Ho provato a resistere, a credere ai suoi giuramenti, ad aspettare un cambiamento, ma non posso più rischiare. Diventa una bestia, ho paura per mio figlio…»
La ragazza continuava a parlare come un fiume in piena, tremando e in evidente stato confusionale; non aveva portato niente con sé, era scappata nel senso letterale del termine.
«Va bene, Adele, ma ora calmati, entra e siediti un attimo. Qui sei al sicuro, okay?»
Teresa le parlava cercando il suo sguardo. Gli occhi della ragazza erano ancora atterriti e si guardava intorno come se si aspettasse che qualcuno sbucasse all’improvviso da un momento all’altro.
Indossava un vestito da casa e il piccolo giubbotto copriva a malapena solo il bambino.
Ci volle un po' di tempo perché ritrovasse il controllo e un pianto silenzioso fu il segnale della fine di una grande paura. Teresa aveva preso Mattia, il bambino, dalle braccia della madre e l’aveva coricato piano piano sul divano, fra i cuscini.
«Calmati adesso, Adele, ti ha vista qualcuno mentre venivi qui?»
«No, non mi sembra e lui non sa che siamo amiche.»
«Bene. Ora io devo uscire a prendere il necessario per il bambino, non mi sembra tu abbia portato qualcosa con te… La farmacia è a due passi, non mancherò per tanto, tranquilla.»
Per un attimo Teresa vide di nuovo la paura negli occhi della donna, ma con un sorriso e una carezza cercò di rassicurarla e, chiudendo la porta dietro di sé, attraversò la strada di fretta ed entrò in farmacia, appena in tempo prima della chiusura.
Mentre tornava a casa, l’insegna luminosa della caserma dei Carabinieri colpì il suo sguardo e capì che quanto prima la vicenda doveva essere portata a conoscenza di chi di dovere; avrebbe parlato con Adele per convincerla a sporgere denuncia, ora non era più sola ad affrontare il suo dramma.
Rientrata a casa, trovò Adele che dormiva vicino al suo bambino, era crollata e aveva il viso di chi avesse ritrovato infine un po' di pace.
Teresa pensava che il compagno di Adele si sarebbe presto messo alla ricerca della ragazza e del figlio, e per questo era consapevole che la cosa più urgente da fare fosse portare al più presto i due in un posto sicuro.
Quale occasione migliore della visita ai suoi genitori?
Il paese si trovava abbastanza lontano dalla città e avrebbe potuto essere un rifugio ideale per Adele.
Partirono così la mattina presto e arrivarono dopo un viaggio tranquillo di quasi due ore.
Mattia era stato buonissimo e spesso si rivolgeva a Teresa chiamandola Tetè, tirandole la maglietta da dietro il sedile e  facendo sorridere le due donne.
Teresa, pur in apprensione per la situazione, pensava che non si era sentita così viva da tempo e, avvicinandosi al suo paese, aveva sempre più la consapevolezza di quanto le fosse mancato.
Riconosceva gli alberi e le stradine che l’avevano vista bambina con la sua immancabile bicicletta e capiva di averne sentito la mancanza, di avere lasciato un pezzo di sé in quei luoghi cancellati quasi a forza dalla sua mente.
Dallo specchietto retrovisore osservava il viso di Adele e mai come in quel momento si era accorta di quanto fosse giovane, di come avesse tutta la vita davanti. I lividi sul viso le davano un’aria tragica ma sarebbero prima sbiaditi e poi svaniti del tutto con il tempo. Per le ferite del cuore ci sarebbe voluto di più, ma la serenità e il sorriso del suo bambino avrebbero di certo operato il miracolo.
Appena imboccata l’ultima curva, si sentì stringere il cuore rivedendo la sua vecchia casa dai tetti di un rosso stinto dal tempo e le finestre verdi che ogni anno il papà ridipingeva; di colpo si ricordò che non aveva nemmeno avvisato i genitori del suo arrivo.
Si annunciò con un timido suono di clacson. A quell’ora del mattino i suoi dovevano già essere svegli da un pezzo e un leggero profumo di caffè aleggiava nell’aria, man mano che le donne si avvicinavano. Mattia era voluto scendere dalle braccia della madre e ora camminava incerto sulla ghiaia del vialetto che conduceva alla piccola porta di casa.
Adele camminava attaccata a Teresa, guardandosi attorno e aspettando con ansia il momento in cui l’uscio si sarebbe aperto, non sapendo che tipo d’accoglienza avrebbero avuto.
Ma la signora Tina aveva riconosciuto il clacson della macchina della figlia e già le correva incontro, asciugandosi le mani nel grembiule, mentre a voce alta diceva: «Antonio, ma è la nostra Teresa, non ci senti?» 
L’uomo, arrancando dietro di lei, si grattava la testa spostandosi di lato il cappello che usava per proteggersi dal sole della campagna.
«Ma tu guarda se questo è il modo d’arrivare, senza nemmeno avvertire prima, è così che si ragiona?» ma intanto abbracciava la figlia e stringeva la mano ad Adele, mentre Mattia si nascondeva dietro la gonna della madre. Teresa era riconoscente ai genitori per non avere fatto tante domande e per la cordialità nei confronti di Adele, senza parlare del piccolo che li aveva già conquistati.
«Che bel bambino! Entrate, il caffè è ancora caldo.»
Teresa aveva dimenticato quanto fosse accogliente la sua cucina, pur così semplice…
Quante volte aveva scostato quelle tendine a quadretti rossi dalla finestra, per vedere se era arrivato Angelo... Ma cosa andava a pensare? Non era questo il motivo che l’aveva portata di nuovo a casa.
Bisognava mettere al corrente della situazione i suoi genitori. Lei sarebbe potuta rimanere poco, ma Adele aveva bisogno di più tempo.
Sedute attorno al tavolo con Mattia che sbriciolava dei biscotti in una tazza di latte, le due donne cercarono di spiegare cos’era successo. In verità, era Teresa a parlare, mentre Adele si limitava ad annuire tenendo gli occhi bassi, tanto che a un certo punto il papà era sbottato dicendo: «Mica ti devi vergognare tu, è quel farabutto che dovrebbe scomparire dalla faccia della terra!»
«Ma non è stato sempre così…» aveva sussurrato Adele, e tutti si erano girati a guardarla. «Volevo dire che magari ha bisogno d’aiuto, è cresciuto senza i genitori, affidato agli zii che lo hanno solamente sfruttato. Quando ci siamo conosciuti, era pieno di buone intenzioni, aveva un lavoro stabile da carpentiere, ci volevamo bene e siamo andati a vivere insieme. Anch’io ho perso i miei genitori da piccola e lo capivo se qualche volta si dimostrava brusco con me. Poi l’hanno licenziato e io ero già incinta di Mattia. Siamo andati avanti per un po’ con la piccola liquidazione che gli avevano dato, ma ha iniziato a bere e tutto è precipitato. Nessuno, vedendolo così, gli ha più offerto un lavoro serio. Stavamo andando avanti con quel poco che guadagnavo facendo le pulizie presso lo studio di un avvocato, che mi permetteva anche di portare il bambino con me. Ma ogni suo ritorno a casa ormai si era trasformato in un incubo e sono scappata. Dovevo farlo, soprattutto per Mattia.» 
Aveva parlato di getto, con la voce rotta e con la disperazione di chi cerca in tutti i modi di dare e darsi una spiegazione del perché una persona sulla quale aveva riposto tutta la propria fiducia, si fosse trasformata in un essere violento e irrazionale.
I genitori di Teresa l’avevano rassicurata sul fatto che poteva stare con loro tutto il tempo che voleva; la stanza della figlia era spaziosa e oltre a un grande letto matrimoniale aveva anche un comodo divano.
Insomma, neanche nelle più rosee aspettative, Adele si era augurata tanto.
Teresa, con la sua dolce disponibilità, fin dal primo giorno in cui l’aveva vista al supermercato, le aveva suscitato un senso di confidenza, di familiarità, sapeva che su di lei poteva contare. 
I suoi genitori, poi, l’avevano subito accolta senza porsi troppi problemi e lei pensava già a come poterli ringraziare.
Di una cosa era certa: non sarebbe stata più sola.
 
Terzo capitolo
Un nuovo inizio
 
Era stato un pranzo speciale.
La mamma, come sempre, aveva dato il meglio di sé, e anche Mattia aveva mostrato di gradire i piatti semplici ma gustosi della donna. Antonio, il papà di Teresa, si era seduto vicino al bambino e, all’occorrenza lo imboccava, anche se si divertiva a guardare come s’impiastricciava mentre mangiava da solo. Teresa osservava i genitori e rifletteva su quanto fosse stata fortunata ad averli, era proprio vero che molte volte diamo per scontate le cose che abbiamo e non ci accorgiamo del grande valore che hanno, se non quando qualcosa o qualcuno ce ne fa prendere coscienza.
Sarebbe partita il giorno successivo per ritornare al lavoro, ma sapeva già che non avrebbe potuto restare troppo a lungo senza vedere i genitori come una volta.
Grazie ad Adele, aveva riflettuto a lungo sulla sua scelta di allontanarsi e sui motivi che l’avevano portata a questa decisione. Adesso le sembravano cose talmente futili e lontane che quasi si vergognava di sé stessa. Quella donna aveva vissuto l’inferno, eppure era ancora pronta ad assolvere e giustificare chi le aveva fatto del male, mostrando una maturità e una misericordia che lei non aveva dimostrato certo di avere. Aveva voltato le spalle a tutto e a tutti, aveva chiuso il suo cuore a ogni possibilità di rinascita.
La sera, sedute vicine nel portico di casa, mentre i genitori e Mattia già dormivano, le due donne parlarono a lungo della loro vita, e Adele rimproverava Teresa per ciò che pensava di sé stessa.
«Non è vero che hai chiuso il tuo cuore, hai tanto amore da dare e io ne sono la prova. Hai saputo accogliermi senza se e senza ma e di questo te ne sarò grata in eterno.»
E si erano strette le mani restando ad ascoltare il silenzio della sera.
Il giorno dopo, Teresa fece ritorno in città, in tempo per iniziare il turno di lavoro. 
La mattina era volata e al ritorno a casa l’aspettavano tante cose da sistemare, voleva anche preparare una materia d’esame e aveva già programmato di portarsi i libri quel fine settimana a casa dei genitori; magari, pensava, sarebbe riuscita a combinare qualcosa.
Mentre tornava a casa, aveva avuto l’impressione di essere seguita e quando un uomo aveva girato l’angolo insieme a lei, ne ebbe la certezza. Le si era parato davanti, non poteva essere che lui.
«Non voglio spaventarti» e si era seduto sul marciapiede, tenendosi la testa tra le mani. Il viso di chi non aveva dormito molto e gli abiti spiegazzati.
«Io sono Nico, tu devi essere Teresa.»
La ragazza aveva annuito con la testa, senza parlare.
«Adele mi ha parlato tanto di te e della tua gentilezza, sei quella che dà sempre le caramelle a Mattia…» 
Era rimasto in silenzio per un po’, come per avere il tempo di trovare le parole giuste.
«Adele se n’è andata e penso tu lo sappia. Stai tranquilla, non voglio prendermela con te, non voglio sapere nemmeno dov’è, mi devi dire solo se ora lei e il bambino stanno bene. Solo questo.»
«Sì, Nico, stanno bene e tu devi lasciarli in pace.»
L’uomo teneva la testa bassa, l’atteggiamento di chi sa di non potere chiedere niente.
«So di essermi comportato come una bestia e che non potrà mai perdonarmi, non mi perdono nemmeno io e ho paura di non riuscire a cambiare, per questo è meglio che stia lontano da me. Sto iniziando ad andare in un centro recupero per alcolisti, mi hanno trovato anche un piccolo lavoro. È comunque un inizio. Adele è stata fortunata a incontrarti. Grazie...»
E se n’era andato così, le mani nelle tasche e senza nemmeno aspettare che Teresa gli rispondesse.
La ragazza lo aveva guardato allontanarsi, ripensando alle parole di Adele, non è stato sempre così…
Quel fine settimana, Teresa tornò al paese, aveva preso anche qualche giorno di ferie e ne avrebbe approfittato per studiare e godersi la vicinanza dei genitori, di Adele e Mattia.
Si sentivano spesso al telefono e capiva quanto i suoi si stessero sempre più attaccando alla ragazza e al bambino. Adele, dal canto suo, era un valido aiuto per la signora Tina che, ormai avanti con gli anni, non disdegnava di essere aiutata. Mattia trascorreva buona parte della giornata anche con Antonio, il suo gioco preferito era andare nel pollaio a rincorrere le galline, sotto lo sguardo divertito dell’uomo e mai come ora, alla figlia, il padre era apparso più arzillo e rinvigorito.
Teresa, poi, aveva raccontato ad Adele dell’incontro con Nico e delle sue parole; aveva visto il viso della ragazza addolorarsi. I lividi erano scomparsi quasi del tutto, ma ci sono altri segni che rimangono in maniera indelebile negli sguardi delle persone e appannano gli occhi con una profonda tristezza.
Nonostante questo, Adele sperava nel profondo del cuore che un giorno il suo Nico facesse ritorno.
 
Il pomeriggio dell’ultimo giorno di ferie, Teresa era scesa in paese per sbrigare delle commissioni per la mamma, non erano tante le cose che doveva acquistare e aveva preferito andare in bicicletta.
Il cielo era diventato grigio e minacciava di piovere, la ragazza si stava affrettando a sistemare le buste quanto meglio possibile nel cestino della bici, quando una voce maschile conosciuta l’aveva fatta trasalire per un attimo.
«Teresa, forse è meglio che ti dia un passaggio se non vuoi arrivare a casa zuppa di pioggia, rischi di prenderti un malanno.»
«Angelo! Mi hai fatto spaventare… Che ci fai qui?»
«Io ci vivo e tu?»
La guardava divertito come solo lui sapeva fare.
«Ho trascorso qualche giorno con i miei, domani torno in città.»
Silenzio.
«Vieni, mettiamo la bici nel cofano, ti accompagno io; sempre se non ti dispiace...»
«Va bene, grazie.»
Come sembrava strano, a Teresa, ritrovarsi accanto ad Angelo dopo tanto tempo, era sempre bello e qualche rughetta in più agli angoli degli occhi gli conferiva ancora più fascino. Aveva distolto lo sguardo dal suo viso quando aveva iniziato a parlarle.
«Come stai? Ti trovi bene in città? Non sei cambiata per niente.»
«Anche tu… Sto bene, faccio un lavoro che mi piace e ho ripreso l’università,   e tu?»
«Sono riuscito a laurearmi in ingegneria e trascorro molto tempo all’estero, ho comprato una piccola casetta vicino ai miei e appena posso ritorno qui; ogni volta passo a trovare anche i tuoi. Ho tanti ricordi belli…»
Altro silenzio.
Il finestrino socchiuso aveva fatto rabbrividire la ragazza che si era stretta di più sulle spalle la piccola giacchetta di lana.
Tante domande restavano sospese nell'aria e nessuno dei due le proferiva.
Fu Angelo a rompere ogni indugio.
«Vivo solo e non sono sposato, questa fesseria l’avrei potuta fare solo con te.»
«Anch’io» aveva detto in maniera impercettibile Teresa.
Nel frattempo erano arrivati e l’uomo aveva fermato la macchina dove lo faceva di solito, molti anni prima.
Mentre Teresa stava scendendo, le aveva preso la mano e guardandola negli occhi le aveva sussurrato: «Le persone cambiano, Teresa, ricordalo!»
Sì, lei lo sperava anche per chi ormai faceva parte della sua famiglia; doveva decidersi a riparare le vecchie ferite, riaprire quel cuore che le era sembrato chiuso per sempre a certe emozioni.
Aveva ripreso la bicicletta e si era avvicinata a casa, poi si era fermata voltandosi a guardare ancora una volta Angelo che aspettava di vederla entrare.
Gli fece un cenno con la mano. 
Lui non aspettava altro.

§§§

Complimenti a Giovanna Agata Lucenti per questo bel racconto e complimenti di nuovo alla seconda classificata, Valentina Ciocca e alla vincitrice, Linda Silvia Scarpenti.

Complimenti anche alle altre quattro finaliste e a tutti i partecipanti di questa edizione del Masterbook.

Abbiamo giocato, ci siamo divertiti, emozionati, in una girandola di esperimenti di scrittura che ho pensato per voi.

Il Masterbook chiude, e tornerà quando meno ve lo aspettate, alla ricerca di concorrenti coraggiosi e abili con la penna.



Alla prossima

dalla vostra

Stefania Convalle


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 






 

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