Seduti allo stesso tavolo

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Il nuovo romanzo di Stefania Convalle, sul mondo dell'editoria.

martedì 2 dicembre 2025

Numero 483 - Conosciamo meglio Luigi Besana, concorrente di 800 Metri di Parole - 2 Dicembre 2025

 



Oggi conosciamo meglio un altro concorrente della gara in corso 800 Metri di Parole: Luigi Besana.
Lo conosco da svariati anni, facevo le mie prime presentazioni - ero all'inizio della mia carriera - e lui era tra il pubblico di una serata in una associazione culturale nei pressi di Como. Ricordo il suo sguardo attento e sempre estremamente gentile. Di presentazione in presentazione, di anno in anno, la conoscenza si è approfondita e ho saputo della sua poesia. E poi, con grande orgoglio mio di editrice, è diventato un autore di Edizioni Convalle. Ma leggiamo le belle cose che Luigi ha deciso di raccontarci, attraverso le mie domande.

Ti ho conosciuto, caro Luigi, tanti anni fa, al Circolo Il Dialogo, durante una mia presentazione. Ricordo che mi parlasti del tuo grande amore per la poesia.
Ci racconti com'è nato questo importante incontro con la tua poetica? 

Il mio incontro con la poetica è iniziato durante gli anni di scuola. In italiano me la cavavo più che bene; purtroppo, per motivi di famiglia non ho potuto frequentare gli studi classici, ma le letture e un diario per fissare i miei pensieri sono stati sempre il mio passatempo preferito, anche se mi sentivo incompleto. Mi sono avvicinato alla poesia perché la sentivo compatibile con la mia sensibilità.

Nella tua poesia, come anche nei brevi racconti che scrivi, c'è molto "pensiero": sei un filosofo, ai miei occhi, oltre che poeta. Com'è stato questo incontro tra poesia e pensiero filosofico, quale è nato prima? 

Sono nati, posso dire, insieme. Uno non escludeva l'altro. La poesia esprimeva il mio stato d'animo e poteva rappresentare ciò che mi circondava, nello stesso tempo approfondivo altri argomenti che m'interessavano: filosofia, religioni e tante altre teorie.

Tu vivi il tuo essere artista in modo assai riservato. È una scelta? E se così è, cosa ti spinge a restare tanto "al riparo", diciamo così…

Tutto fa parte del mio carattere. Non riesco, per così dire, a propormi agli altri, preferisco che siano loro a valutare come sono, secondo la loro considerazione e volontà. Sì, in questo modo è un vivere ai margini, ma è un tipo di solitudine che ho quasi sempre provato.

La tua cultura – che conosco bene soprattutto dalla nostra prima intervista per presentare la prima silloge poetica pubblicata con Edizioni Convalle, "L’erba sogna il cielo" – è vastissima. Che peso ha avuto nella tua scrittura?

Io penso che per scrivere qualcosa di almeno un poco valido, una certa cultura, magari anche superficiale, sia necessaria. Il mio modesto sapere mi aiuta nella scelta delle parole e dei sinonimi necessari a formare un verso compiuto o un testo. Una persona che riuscisse a tirare fuori una narrazione perfetta, senza nessuna preparazione o conoscenza di un briciolo di mondo, per me sarebbe un genio.
Però, magari nella poesia, che nasce dal profondo di noi stessi, qualcosa di simile potrebbe anche accadere.

Ultimamente hai dovuto affrontare mesi/anni difficili e delicati per un tuo problema personale. Quanto ti aiutato la scrittura, se ti ha aiutato?

Un periodo infinito. La scrittura mi ha sempre aiutato, anche se a volte non la posso fissare sulla carta la raffiguro con l'immaginazione. Nei momenti di tristezza mi dona sollievo, anche scrivendo solo per me stesso, sapendo che nulla avverrà è un modo di liberarmi dai pensieri che mi disturbano la mente.

Ci vuoi parlare della poetica che troviamo nelle tue due opere "L’erba sogna il cielo" e "Lo specchio convesso"? Sono opere molto diverse, raccontaci la loro genesi.

Le poesie contenute in "L’erba sogna il cielo” sono parte di una raccolta che prende origine dagli inizi, (anche se un vero inizio si perde nel tempo), da quando ho cominciato a frequentare il Gruppo Acarya di Como dove ho conosciuto alcuni bravi poeti. Quindi sono poesie scritte in momenti diversi, la loro genesi va cercata nelle cosiddette emozioni sentite e vissute.
Nello "Specchio convesso", pur se diverse poesie si possono leggere singolarmente, nel contesto seguono il dialogo in prosa dei due protagonisti Carlo e Ada, nel tessere la trama della loro storia.

Come vive un Poeta nel 2025? Intendo, come vive la propria attitudine a questo mondo di parole e versi. In un mondo dove, a volte, è davvero difficile trovare ancora la poesia in ciò che ci circonda, pensi che la poesia sopravvivrà?

Non è facile rispondere, ognuno vive la propria interiorità singolarmente. Di poesia si sente parlare spesso, ma sembra che poi sparisca nella realtà del mondo, soprattutto nei rapporti umani. Si vive su piani diversi. Non so come sarà la scrittura nei prossimi anni, quando tutto si evolverà e diverrà oggetto dell'I.A. ma molte cose esistono da sempre; io credo che fino a quando ci sarà un pensiero d'amore e uno sguardo verso il cielo, la poesia non finirà.

Grazie, Luigi, per averci donato un pezzetto di te.

 


 Le sue opere pubblicate con Edizioni Convalle

https://edizioniconvalle.com/product/25219795/l-erba-sogna-il-cielo-978-88-85434-29-5


https://edizioniconvalle.com/product/33390210/lo-specchio-convesso


Biografia


Il percorso di studi di Luigi Besana si è svolto nell'ambito delle discipline tecniche, tuttavia ha sempre approfondito la letteratura e soprattutto la poesia. La sua è una poetica guidata dalla passione e allo scopo di sondare la propria interiorità: descrive le emozioni provate durante il passare dei giorni e degli anni, fissandole in quell'istante. 

Si definisce un autodidatta, i suoi versi sono liberi per non perdere l'ispirazione originale, cerca solo delle assonanze intuitive. È socio del Gruppo Letterario Acarya di Como e Circolo Culturale di Olgiate Comasco. Partecipa a Reading, Festival di Poesia, collabora con riviste e antologie. Ha ricevuto riconoscimenti con premi e segnalazioni. Con "L'erba sogno il cielo" ha ricevuto una Menzione speciale nel Premio Letterario Città di Arcore, nel 2019. Una silloge personale, dal titolo "Il Grumo", è presente nella Collana "Quaderni dell’Acarya". "L'erba sogna il cielo" è la sua prima opera pubblicata con Edizioni Convalle, alla quale è seguita la pubblicazione "Lo specchio Convesso" nel 2024. 



Alla prossima

dalla vostra

Stefania Convalle


venerdì 28 novembre 2025

Numero 482 - Gara 800 Metri di Parole - Terza tappa - 27 Novembre 2025


Siamo arrivati alla terza tappa della gara di scrittura 800 METRI DI PAROLE.
Otto concorrenti in gara.
La prova di questa tappa consisteva nello scrivere un racconto di massimo 500 parole.
Nell'immagine un Jukebox (che bei ricordi) e i concorrenti dovevano scavare nella memoria individuando un ricordo legato a una qualche canzone.
Bisognava, quindi, romanzare quel ricordo, facendolo diventare un racconto dove la canzone fosse tra i protagonisti, senza citare - però - le parole (nemmeno una frase) del testo della canzone stessa, doveva comparire solo il titolo.

Qui di seguito gli otto racconti che dovevano rispondere ai requisiti sopra elencati.

Ora tocca a voi, cari lettori, leggere e votare i TRE racconti che vi avranno colpito di più per originalità e per capacità di emozionare. Ovviamente dovrete valutare anche la scrittura.

REGOLE PER VOTARE:

1: il voto va espresso in un commento in questo blog, scrivendo i titoli e i nomi relativi ai testi prescelti.

2: il commento deve contenere anche nome e cognome di colui che vota. NON VERRANNO CONSIDERATI COMMENTI ANONIMI o DOVE CI SIA SOLO UN NOME (senza cognome).

3: si potrà votare fino a mercoledì 3 Dicembre 2025, ore 20:00.

IMPORTANTE: tutti coloro che voteranno nel modo corretto ED ESPRIMENDO ANCHE LA MOTIVAZIONE DEL VOTO PER OGNI SINGOLO RACCONTO (è bello sapere da voi lettori il motivo delle vostre scelte, come cosa graditissima dagli autori che hanno scritto), parteciperanno a una estrazione durante la diretta del giovedì 4 Dicembre sulla Pagina Facebook di Edizioni Convalle. 
Il fortunato estratto vincerà un libro di Edizione Convalle.

Cominciamo a leggere i racconti?

ALL THAT SHE WANTS
Tatiana Vanini

Manca un mese a Natale e Tatiana si muove nel centro commerciale alla ricerca del regalo perfetto.
Concentrata, canticchia una canzone natalizia poi, dalle casse del supermercato, parte un brano del 1992, All that She wants. All’improvviso non è più adulta, ha quattordici anni e si trova nella stanza 6, quinto piano, Collegio Orsoline di San Carlo a Como.
«Ho finito l’acqua» dice Tania capovolgendo la bottiglia che tiene in mano.
«Prendi la mia, è piena» risponde Tatiana chiudendo lo zaino.
«Ma è gassata.»
«Embè?»
«Io la bevo naturale, per fare tanta plin plin
«È sempre acqua.»
«Non mi piace.»
Tania e Tatiana, sembra un barzelletta, eppure a settembre si sono trovate appaiate così. Non si può dire che sia stato subito amore, ma sono bastate poche settimane per diventare amiche.
Taty lancia uno sguardo alla sveglia sul comodino che segna le 22:00.
«Domani andiamo alla Standa e la compriamo.»
«E nel frattempo io muoio di sete.»
«Cosa vorresti fare, scusa?»
Tania la guarda, fa un sorrisino e sottovoce dice la frase che trasformerà la notte in un’avventura. 
«Andiamo giù in cantina e prendiamo una delle bottiglie delle suore.»
Vanno a scuola dai preti, sono in convitto dalla suore e stanno per indossare i panni di Lupin e Jigen. Ecco i risultati dell’educazione cattolica.
Aspettano mezzanotte, per essere certe che Suor Carmine stia dormendo ed escono dalla stanza. Scarpe da ginnastica ai piedi, silenziose scivolano per il corridoio dalla luce fioca, verso le scale. Di prendere l’ascensore non se ne parla, troppo rumore. La strategia è banale: scendere dal quinto piano a terra, raggiungere la cantina, prendere la bottiglia in vetro d’acqua naturale e tornare in camera. Semplice, veloce, pulito.
Arrivano al quarto piano, Tatiana davanti, Tania dietro aggrappata alla maglia del pigiama dell’amica.
«Vanini!» sibila Tania.
«Che vuoi, Buono?»
«Sento un rumore.»
«Ma figurati.»
Tania però ha ragione. Samantha esce dalla stanza per andare verso i bagni comuni. Hanno appena il tempo di tornare indietro di un paio di gradini per farsi nascondere dalla curva delle scale. Sam sta in bagno una vita, o almeno sembra a loro, finché possono tornare a respirare e a scendere.
Terzo piano, salone comune. Tutto tranquillo. Secondo piano, la cabina telefonica, tutto tace. Primo piano, piano terra e le luci di cortesia che le hanno accompagnate fin qui finiscono: sono al buio.
«Vanini…»
«Buono…»
«Non vedo niente.»
«Idem.»
«E se ci sono i ladri?»
«In cantina?»
«Allora i topi.»
«Dalle suore?»
«Torniamo in camera.»
«E l’acqua?»
«Andiamo avanti.»
A tentoni, a memoria, raggiungono la cassetta dell’acqua e afferrano una bottiglia prima di tornare indietro come due fulmini.
Al sicuro in camera ridacchiano di sollievo: missione compiuta.
«Vanini…»
«Oh mamma, Tania, cosa?»
«È gassata…»
Al buio hanno preso la bottiglia sbagliata.
Scoppiano a ridere nel ricordo e Tatiana, nel presente, ride di rimando.
Tutto quello che voleva Tania era una bottiglia d’acqua naturale. All that She wants.


§§§


SENZA LUCE

Graziella Braghiroli


Non guardo quasi mai la televisione, ma stasera, mentre giro senza entusiasmo tra i vari canali, mi fermo su un programma che trasmette spezzoni di vecchi varietà. Cantanti, attori, complessi come si chiamavano una volta le band di oggi, si susseguono con rapidità. Canticchio vecchi motivi ormai dimenticati e poi… la sento e riconosco le prime e inconfondibili note di Senza luce dei Dik Dik.
È incredibile come una canzone possa essere la chiave che apre porte che credi chiuse per sempre.
Non vedo più il salotto, non sento più il frigorifero che ronza.
Sono nella mia cameretta da ragazza, ho quindici anni e indosso jeans taglia 40 così stretti che ho dovuto sdraiarmi sul letto per chiudere la cerniera.
Ricordo quel pomeriggio come se fosse ieri.
Io e Elisa, la mia amica di allora, eravamo uscite di casa in punta di piedi perché i nostri padri non dovevano sapere che stavamo andando alla festina a casa di Angelo.
Ricordo la frangia  che avevo sistemato in modo che coprisse il maledetto brufolo che mi era spuntato sulla fronte proprio quella mattina.
Ricordo quel misto di timidezza, spavalderia e speranza che solo a quell’età senti davvero.
E ricordo Guido. La mia prima vera cotta e in quel momento l'amore della vita.
Eravamo arrivate a festa già iniziata. La stanza era affollata, il tappeto arrotolato in un angolo lasciava lo spazio alle coppie che ballavano sulla musica che usciva dal mangiadischi.
Mi ero versata un bicchiere di aranciata già calda, cercavo Guido con gli occhi, mi importava solo di lui. E lui non c'era.
Poi, la porta si era aperta.
Guido era entrato, mano nella mano con una ragazza più grande, più bella e molto sicura di sé. Minigonna rossa e maglioncino d’angora bianco che avrei dato l'anima per avere.
Tutte le mie speranze erano crollate di colpo e avevo sentito il gelo della delusione per tutto il corpo.
Mi ero diretta a testa bassa verso il divano, dovevo sedermi, le gambe non mi reggevano.
Era stato in quel momento che erano partite le prime note di Senza luce.
Un ragazzo che conoscevo solo di vista e che non avrei mai guardato due volte, si era avvicinato e mi aveva chiesto: «Vuoi ballare con me?»
E io, con il cuore in tumulto, avevo detto sì.
Non ricordo il suo nome. Forse Marco? O Domenico?
Ricordo solo le sue mani calde, il modo in cui cercava di non stringere più del necessario, i suoi occhi  che cercavano i miei, il suo sorriso.
Avevo quindici anni e quello era il mio primo lento.

Sono passati quasi cinquant’anni da allora e dentro di me sento qualcosa che non è solo nostalgia ma anche tenerezza per quella ragazzina impacciata, nei suoi jeans troppo stretti, preoccupata per il brufolo sulla fronte e convinta che quella festina le avrebbe cambiato la vita.

§§§

 

LA RAGAZZA DEL JUKEBOX
Luigi Besana


C'era sempre una ragazza nel Bar in fondo al viale, era sempre la stessa che teneva in funzione il jukebox.
Quella ragazza, dalla notte accesa. Ci andavo quando calava il crepuscolo.
«Se potessi essere una moneta, m'infilerei nel jukebox e farei suonare una canzone per te» le dissi una sera, mentre gli amici ballavano beat dance nello spazio utile in fondo alla sala.
«Con gran piacere. Ti aspettavo, ora metti la tua canzone» rispose.
La mia canzone, quella che dava fuoco al cuore, era in quei giorni “Sognando la California” dei Dik Dik, versione italiana di California Dreamin'.
Quel tema dolce e ricorrente, l'aspirazione d'una partenza verso il futuro, cercando una felicità desiderata, ma sempre rinviata perché nella vita c'era lei che stava ad aspettare. Tutto ciò dava slancio ai miei sogni.
Sapevo bene che non ci sono luoghi splendenti, è soltanto uno stratagemma, o vizio, o sete di esistere, ma vale la pena di cercarle.
Ora che ci penso, con quella canzone tornano suoni, oggetti, persone che hanno avuto un significato. A quel tempo amavo la Beat Generation e la sua musica derivata dal Jazz e dal Rock and Roll. Essere Beat significava essere calati nell'abisso della personalità, vedere le cose dal profondo. Leggevo "Il pasto nudo" di Burroghs, intreccio di visioni, nebbie alla cocaina, e "Urlo" di Ginsberg, quindi Corso, Ferlinghetti, Kerouak. La poesia non era più solamente l'espressione personale di una élite ma diventava un linguaggio di tutti. Quel fermento anarcoide mi toccava profondamente. Si diceva che hashish, marijuana, Lsd aumentavano le potenzialità della mente: io, confinato lontano dalla grande città e dalle sue infinite possibilità, mi appagavo con lo studio e la comprensione della realtà coi suoi aspetti. Le mie agitazioni oscillavano fra "La vita nei boschi" di Thoreau e la rivoluzione di Che Guevara. Portavo comunque i capelli lunghi, volevo, in qualche modo, sentirmi parte degli Hippy o dei Figli dei fiori, in quanto mi davano l'emozione di appartenere alla rivolta che avrebbe cambiato il mondo.
Le note di una nuova canzone si alzarono e presero vita intorno a noi.
Mary, la ragazza del jukebox mi fissava e nel cielo la luna bianca, appena visibile tra le nubi, saliva verso la notte.
«Ti amo, Mary, perché sei un simbolo di questa epoca, perché il tuo corpo è un canto che mi sbaraglia e sei arrivata a essere la più bella della storia. Ci siamo cercati come due gatti on the road in questa città trascurabile e ci amiamo in mezzo a questo pulviscolo e a questa musica. E so che quando ci baciamo il vento scende sul jukebox e fa volare una lirica d'amore per il mondo. Alla fine del viale comincia il giorno le luci sulla strada sono sogni che si spengono. Fa che duri questo dolce fluido con questa tua delicatezza inventata per me. Ti amo, perché posso affondare i tuoi occhi nella mia poca gioia e consegnarti i miei in cambio della tua poca tristezza.»
Mary al jukebox, fece partire di nuovo la mia canzone. 
Forse era anche la sua nell’anno 1966.

§§§


DUE ETÀ NELLA STESSA CANZONE 

   Chiara De Mas


Anna spinse la porta del bar, trattenendo il respiro per il solito colpo d'aria fredda. Era il locale in cui si incontrava da anni con la sua migliore amica per l'aperitivo del mercoledì, un appuntamento che nessuna delle due saltava mai. Stava già cercando con lo sguardo il tavolino d'angolo quando qualcosa, improvviso e inaspettato, le fece rallentare il passo.
Dalle casse, soffocata dal brusio dei clienti, partiva Sere Nere.
Una fitta le attraversò il petto. Bastarono le prime note a capovolgere tutto, come se una mano invisibile avesse premuto un interruttore. Il bar si sfocò, le voci si allontanarono, e Anna si ritrovò di nuovo lì, in un tempo che credeva archiviato.
 
Era seduta sul suo letto, le ginocchia al petto, lo sguardo fisso sul vecchio televisore che trasmetteva Radio DJ. Non guardava davvero lo schermo: era accesa solo perché non sapeva dove appoggiarsi per non crollare. La stanza stretta e disordinata, troppo angusta per contenere tutto il suo dolore.
Aveva appena lasciato il suo primo amore. Una storia ingenua, adolescenziale, ma che l'aveva fatta sentire viva come nient’altro fino ad allora. E ora le sembrava che tutto le fosse scivolato via dalle mani. Si sentiva fuori posto, sbagliata, come se l'intero mondo sapesse andare avanti senza di lei.
Fu allora che partì quella canzone.
Non ne aveva mai sentito nemmeno una parola, eppure, dalle prime battute, fu come se qualcuno le avesse aperto una finestra nel petto. La musica non la consolò; non prometteva soluzioni, non le tendeva la mano, ma era lì, ferma accanto a lei come un ospite discreto. Le faceva compagnia mentre cercava di mettere ordine al caos che le ribolliva dentro. Ogni accordo sembrava darle il permesso di respirare, fosse anche solo per pochi secondi.
Anna rimase immobile, come incantata. Il dolore non diminuiva, ma almeno non era più un deserto silenzioso: aveva una forma, un ritmo, una voce ed era forse la prima volta che si sentiva meno sola nel suo vuoto.
Quando la canzone finì, il silenzio le cadde addosso come una coperta troppo pesante. Ma qualcosa, impercettibile, era cambiato. Non capiva cosa, non ancora. Avrebbe avuto bisogno di anni per comprenderlo.
 
Il ritornello svanì nelle casse del bar, e Anna tornò a sé con un leggero sobbalzo. La sua amica varcò l'ingresso e lei si affrettò a raggiungerla, ma dentro sentiva ancora vibrare un'eco assordante.
Solo ora, da adulta, capiva davvero. Quella canzone aveva preservato un dolore acerbo, l'aveva tenuto vivo ma lo aveva anche trasformato in memoria invece che in cicatrice.
Sere Nere non era più il rifugio solitario di una preadolescente ferita, era diventata un ponte: un passaggio tra ciò che era stata e ciò che era diventata, tra il buio di allora e la chiarezza di adesso.
Anna sorrise appena, senza che nessuno se ne accorgesse.
Certe canzoni non passano: aspettano. E quando tornano, ti trovano diversa.

§§§

 
LA RELIQUIA
Tania Mignani
 
(Canzone del jukebox: "Amico" di Renato Zero)
 

La strategia consisteva nell'arrivare all'interno del “barettino” per prime. Potevano così scegliere la postazione migliore, vicino al jukebox, dalla quale tenevano d'occhio la porta. Per Sara, Jenny e Milly era il rituale necessario che riempiva i pomeriggi d'inverno prima di rientrare a casa alle sei in punto. I ragazzi arrivavano più tardi, il loro coprifuoco non era così tassativo, e quello era il momento in cui la giornata acquisiva, finalmente, un senso.
Le tre amiche poggiarono sul tavolino di latta gli spiccioli in condivisione, dovevano bastare per una spuma e per almeno tre canzoni. Quel giorno un pacchetto di sigarette ancora sigillato faceva bella mostra di sé sul tavolino, conseguenza di una nuova strategia.
Francesco e un amico fecero il loro ingresso nel bar. Le tre ragazze si erano limitate a fingere la più totale indifferenza, ostentando persino un'espressione annoiata. I loro cuori, al contrario, erano in subbuglio per Francesco, da settimane ormai parlavano solo di lui, della sua celestiale bellezza, di quel suo carattere scontroso, ma che, ne erano certe, nascondeva un animo timido.
Sara si alzò e un istante più tardi si udì il suono metallico della moneta introdotta all’interno del jukebox. Decisa, premette i tasti delle sue scelte abituali e le note della prima canzone riempirono la saletta del bar. Jenny alzò gli occhi al cielo fingendosi ancora più annoiata.
In realtà adorava quel brano  e, sola nella sua cameretta, spesso piangeva seguendone le parole.
Francesco si era avvicinato al loro tavolo attirato dalle sigarette.
«Me ne offrite una?»
Annuirono senza proferire parola, estasiate dal sorriso del ragazzo, il quale con sicurezza aprì il pacchetto, ne estrasse una sigaretta e si allontanò ringraziandole con un sorriso ancora più celestiale.
Era stata la svolta della giornata, ma il crudele orologio all'entrata segnava le sei meno cinque, ora di andare.
«Cioè… ragazze ditemi che non abbiamo sognato…»
«Vi rendete conto? Lui ha toccato questo pacchetto, lui ha fumato una sigaretta… Questo astuccio è stato nelle sue mani, non potremo più toccarlo…»
Jenny sorridendo sfoderò il suo colpo da maestra.
«E di questo cosa ne dite?»
Nella sua mano, avvolto da un tovagliolo di carta, un mozzicone di sigaretta schiacciato.
«L'ho raccolto dal posacenere prima di uscire.»
«Ma tu sei un mito… Ora, però, dovremo conservarlo al meglio, come una reliquia.»
Jenny prese il pacchetto, lo svuotò dalle sigarette rimaste e vi posò all'interno il mozzicone.
«Lo terremo una settimana a rotazione. Inizierò io e, fra una settimana, lo affiderò a Milly…»
Le tre ragazze si separarono per raggiungere le loro abitazioni, ognuna persa nei propri pensieri ma unite nel loro comune amore per Francesco.
Jenny raggiunse la sua cameretta, stringeva nelle tasche della giacca il pacchetto con all'interno il prezioso contenuto. Accese la radio e nascose il pacchetto nell'ultimo cassetto, sotto i fazzoletti, non prima di aver posato un lieve bacio sulla scritta Marlboro. In quell’istante la radio passò la canzone del jukebox e una prima lacrima le rigò il viso.

 

§§§


IL BACIO DESIDERATO
Silvana Da Roit
(Fiori rosa, fiori di pesco. L. Battisti)


Daniela fu la prima tra i suoi compagni a salire sul bus nel viaggio di ritorno. Prese posto accanto al finestrino, calò la visiera del cappello sugli occhi e cercò le caramelle alla liquirizia nella sacca di jeans, che usava come borsa. Le dita incontrarono il metallo con la tipica scanalatura mezzana di un gettone telefonico.
«Ma vai a quel paese» disse a mezza bocca.
«Con chi ce l'hai?» le chiese divertita la sua compagna di banco.
Conosceva Marina dal primo giorno del ginnasio e, per quanto si frequentassero poco, era l'unica che potesse definire amica.
«Con nessuno» le rispose alzando le spalle.
«Guarda che ti conosco. È tutto il giorno che ti osservo: non spiccichi una parola, sei assente, non hai voluto nemmeno assaggiare la fetta di torta che ho portato per festeggiare il tuo compleanno.»
«Non parlarmi del compleanno, ieri è stato uno schifo.»
«Non dirmi che Lorenzo si è comportato male…»
«Peggio, non si è presentato» rispose Daniela con la voce incrinata.
«Hai chiesto notizie a tuo fratello? Dopotutto, giocano nella stessa squadra.»
«Lui non deve saperlo, altrimenti, sai la presa per i fondelli da qui fino alla fine del mondo?»
Nel frattempo, altri compagni avevano preso i loro posti tra schiamazzi e battute demenziali e smisero di parlare. Marina le prese la mano, stringendola di tanto in tanto per darle conforto. Quando iniziarono i cori, ritornelli stonati delle canzoni che i ragazzi ascoltavano dal mangiadischi nell'intimità delle loro camere o dai jukebox dei locali più alla moda, Daniela le fece vedere il gettone.
«Avrei potuto chiamarlo, sono entrata e uscita dalla cabina non so quante volte, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Se avesse risposto sua madre, che cosa avrei potuto dire? Signora, mi scusi, suo figlio è uno stronzo. Mi è stato dietro per mesi facendosi credere innamorato e poi, una volta ottenuto l’appuntamento e vedendomi cotta a puntino, si è dileguato. Ti pare che potessi dire così?»
«Decisamente no.»
«E sai cosa mi fa stare male? Il fatto di avere un anno in più per niente. Cosa m'interessa avere quindici anni, se poi non ho ancora un bacio da ricordare? Marina, la vita è proprio uno schifo.»
Una volta a casa, dopo avere risposto a com'è andata, ti sei divertita, disse alla madre che non voleva cenare.
«Ma cosa avete, tu e tuo fratello, da essere così musoni?»
«Io ce l'ho con il destino. Ieri pomeriggio, Lorenzo si è rotto un braccio e il portiere di riserva ne buscherà cinque, domenica» si giustificò il fratello.
A Daniela tornò l’appetito. Si sentì cattiva per avere pensato male di Lorenzo, anche addolorata per il suo incidente. Ma, soprattutto, pensò che il bacio tanto desiderato sarebbe arrivato presto.

§§§

 

I TUOI OCCHI VERDI
Adelia Rossi


Come avrebbe potuto  dimenticarla, Alessio. Giada  portava  nello  sguardo l'incanto e lo splendore di una foresta tropicale, dove la magia di una bellezza naturale si confondeva con la fantasia creando un'atmosfera surreale. 
I suoi occhi raccontavano storie infinite che andavano oltre la realtà. A un tratto tutto gli parve irraggiungibile anche il sogno che ogni sera, con l'avvicinarsi della notte, gliela riportava accanto. Quel suo attendere e cercarla oltre il buio gli recava un grande tormento.   
Lacrime di solitudine incominciarono a scendere riempiendo rivoli che i segni del tempo avevano scavato sul suo volto non più giovane. Nella sua mente i ricordi riaffiorarono prepotenti. Prima fra tutti, l'immagine di loro seduti a gambe incrociate sul morbido tappeto dello studio dove erano soliti ritrovarsi,    mentre si divertivano con quello strano gioco che avevano  chiamato "bisticcio di parole". Si trattava appunto di trovare delle assonanze con le parole come "luce" e "amore", una  dissonanza, più che un'assonanza. 
Insomma, una rima imperfetta. Per un attimo il pianto si mischiò al riso e, guardando oltre la grande vetrata della camera le luci affievolite di una città quasi dormiente, provò ancora più malinconia. Si sdraiò su quel tappeto dove tante volte aveva dormito  abbracciato a  Giada e la immaginò con il volto rigato  di  lacrime, come il suo. Sentì nel petto il  cuore accelerare i battiti e, una dopo l'altra, le parole che insieme mormoravano quasi canticchiando fuoriuscirono dalla sua bocca a imitare la dolcezza di quel suono che su quella di Giada acquistavano il gusto di una melodia inconfondibile. 
Ed è lì, "nel buio" che Alessio la ritrova. Persa in un altro tempo.

§§§

 

UNA CANZONE PER CRESCERE
Maria Rita Sanna


Oggi con un'amica abbiamo ricordato di quando eravamo ragazzine, appena quindicenni, e andavamo al bar tabacchi per comprare le sigarette ai nostri padri. Il negoziante conosceva noi e i nostri genitori, perciò ce le dava senza fare storie. Capitava, a volte, di avere alcune monetine residue e i nostri sguardi correvano dalle monete in mano al jukebox.
Era uno strumento potente, non solo per il volume assordante, ma perché a noi femmine non era consentito avvicinarci. Gli sguardi degli avventori, maschi per la maggior parte, ci avrebbero subito etichettato come ragazze poco serie. Se avessimo scelto una canzone d'amore sarebbe stato un segnale chiaro di disponibilità all'abbordaggio da parte dei maschi.
Le sigarette, però, non destavano alcun sospetto, ai padri non si poteva disobbedire. 
Rinunciavamo, quindi, a quel magico momento di scegliere una canzone tutta nostra, gustarcela a tutto volume e sognare in santa pace. Godevamo, comunque, dei momenti in cui potevamo ascoltare alla radio la nostra canzone del cuore.
Un giorno, dopo il solito acquisto, con le monete rimaste avevamo comprato un pacchetto di chewing-gum.
«Nina, restano due monete. Le mettiamo nel jukebox? Che c'importa di quei due, nemmeno ci guardano.»
In effetti il locale era vuoto, se non per due signori seduti a un tavolo. Li reputavamo adulti perché ci avevano insegnato a portare rispetto, e timore, a chi non era nostro coetaneo. Comunque quei due stavano per i fatti loro, bevevano e fumavano.
Lo strumento sotto i nostri occhi brillava. Sulla parete rialzata, la fila di cartellini indicava le canzoni; sotto, un'altra fila di bottoni con lettere e numeri per selezionarle.
«Dai, Rita, metti la moneta.»
«Scegliamo Ti amo» dicevo io.
«Eh sì, poi ci guardano. Mettiamo Tu» rispondeva Nina.
Batti e ribatti, non decidevamo.
«Prima, Ti amo. Dopo, Tu. L'occasione è irripetibile.»
Le canzoni che ci piacevano erano tante, tutte belle e desiderate.
«Muoviti, Rita, prima che entrino altre persone!»
Prima la moneta, poi i bottoni. Alcuni ticchettii e deboli clangori annunciavano l’arrivo della prima nota. Un botto alle orecchie che ci aveva fatto vibrare; un’emozione forte che rivelava tutta la nostra innocente vittoria verso qualcosa di proibito.
Avevamo ascoltato ogni singola parola. Una volta a casa l'avremmo di nuovo snocciolata come le poesie, se non meglio, che studiavamo per la scuola. 
«Buonasera signorine, quindi vi piacciono le canzoni d'amore.»
Io e Nina eravamo sbiancate. Che brutto risveglio dall’incanto!
Uno dei due uomini seduti al tavolino si era avvicinato a noi e voleva abbordarci, proprio come ci avevano ammonito tante volte le nostre madri.
Senza dire una parola, mentre quelle della canzone occupavano ogni silenzio libero, con la testa china, avevamo imboccato l'uscita. Nella strada avevamo iniziato a ridere come matte, senza però fermare la nostra fuga.
«Questa cosa che noi femmine non possiamo usare il jukebox deve finire» aveva detto Nina ridendo. Sapeva bene, come me, che non potevamo farci niente. Avremmo dovuto aspettare gli eventi del futuro.
Era già lì, d'altronde, a portata di mano. Bastava ancora una canzone. 

§§§


Ora tocca a voi!
Una raccomandazione: votate con serietà, perché ci sono 8 concorrenti che si sono impegnati per scrivere qualcosa di bello per voi e credo sia giusto e corretto leggere tutti i racconti e scegliere a seconda di quanto i racconti ci hanno coinvolto, giudicando i testi e dimenticandosi i nomi di chi li ha scritti. Mi sembra la cosa più giusta e rispettosa per gli 8 autori stessi.



Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle


mercoledì 26 novembre 2025

Numero 481 - Conosciamo meglio Tania Mignani, concorrente di 800 metri di parole - 27 Novembre 2025


Oggi conosciamo meglio Tania Mignani, concorrente della gara più coinvolgente del pianeta-scrittura: 800 Metri di Parole.

Le ho rivolto alcune domande e lei ci ha raccontato, attraverso le sue risposte, tante cose interessanti. Andiamo a leggere ;-)

Raccontaci il tuo incontro con la scrittura, com’è nata questa passione?

Fin da bambina ho sempre nutrito una grande passione per la lettura e la scrittura. Leggevo storie e le inventavo trascrivendole in quaderni che, tuttora, conservo. All’inizio era il diario “personale”, quello che ti regalavano per la Prima Comunione,  con il lucchetto per tenere al sicuro i “segreti”. 
Più tardi, i semplici racconti di come trascorrevo le giornate diventarono pensieri più articolati, l’incessante chiedersi “perché” tipico dell’adolescenza, accompagnato da poesie struggenti e racconti o tentativi di romanzi frutto della mia fantasia. 
Gli impegni della vita adulta hanno poi diminuito questa attività. Tuttavia, circa dieci anni fa ho ricominciato a scrivere racconti che, per la prima volta, ho reso pubblici, facendoli leggere dapprima agli amici più fidati, per poi allargare il giro ai concorsi letterari. È stato proprio uno di questi concorsi, il Premio Letterario “Dentro l’amore”, che ha trasformato, grazie all’incontro con Stefania Convalle, quello che consideravo solo un passatempo, in una passione necessaria.





Quando hai capito che scrivere era diventato una parte di te?

In seguito all’incontro con Stefania Convalle, ho iniziato a seguire il suo laboratorio di scrittura e, di conseguenza, a scrivere regolarmente. Ho assistito alla nascita di Edizioni Convalle, la mia raccolta di racconti “L’Altra” è stata una delle prime pubblicazioni. A quel punto, scrivere era diventato davvero una parte di me e della mia vita. Scrivere mi fa bene e, a volte, anche male, perché mi consente di guardare dentro quella parte di me che la vita di tutti i giorni tende a nascondere.


Se pensi al PRIMA e al DOPO rispetto al momento in cui hai cominciato a scrivere in modo professionale, com’è cambiata la tua vita?

Non credo sia cambiata, almeno non a livello organizzativo. Si tratta solo di “incastrare” nella routine della giornata, uno spazio dedicato alla scrittura. Il cambiamento più importante è avvenuto per me, perché ora ho un obiettivo, può essere un racconto, un romanzo o, come è successo di recente, occuparmi di una raccolta di racconti di vari autori. Quello che più mi gratifica, oltre alla mia scrittura, è anche poter collaborare con Edizioni Convalle, attività che trovo molto stimolante. Posso affermare che la scrittura, ora, fa parte della mia vita e non posso che esserne felice.


Tu hai una grande passione anche per la musica. Quanto ha influito sulla scrittura?

La musica è un’altra mia grande passione. In questo campo sono molto selettiva, ascolto solo un tipo di musica, principalmente quella prodotta negli anni della mia gioventù, perché la musica mi ha formato, è sempre stato un punto di riferimento ben preciso. A parte pochi, rarissimi casi, non è musica italiana e da qui nasce un’altra grande passione, l’amore per la cultura anglo-sassone e americana e, di conseguenza, lo studio sempre attivo della lingua inglese. Non solo la musica ha influito sulla scrittura, ma soprattutto sulla mia formazione personale. È di sicuro di grande ispirazione, non scriverei senza musica e, non di rado, in ciò che scrivo inserisco riferimenti musicali.



Nelle tue opere, la tua città natale, Bologna, è spesso il teatro dove si svolgono i tuoi racconti e i tuoi romanzi: raccontaci dell’anima della tua terra.

Di Bologna ho scritto in un racconto che si trova all’interno della raccolta dall’A alla Z, penso di aver sintetizzato bene ciò che provo nei confronti della mia città, anzi, della mia Bologna. Specifico “mia” perché mi riferisco “alla” Bologna che ho vissuto nei miei anni giovanili, dalla fine degli anni Settanta a metà anni Ottanta. Era una Bologna dalle mille sfaccettature, una città che non accettava di piegarsi agli anni di piombo e ai terribili episodi di terrore dei quali è stata protagonista. Una città culturalmente viva e vivace soprattutto per quanto riguardava la cultura underground, tanto da essere paragonata a Londra, New York e Berlino. Il sentimento che nutro ora nei confronti della mia città è paragonabile all’affetto verso un’amica di lunga data ed è come quando ci si ritrova, dopo molti anni, per parlare del tempo passato, ma si fatica a conciliare l’immagine attuale con quella dei ricordi.


 

Nei tuoi scritti spesso troviamo anche parti che si svolgono in altre città europee. È un caso o c’è una ragione specifica?

Nei miei propositi di gioventù c’era la volontà di viaggiare e conoscere quanti più luoghi possibili del mondo. Ahimè, è rimasto solo un proposito. Tra i pochi luoghi che sono riuscita a visitare, al di là dei nostri confini nazionali, vi sono anche Londra e Berlino. Londra meriterebbe un capitolo a parte perché è la mia città del cuore, il luogo che ha visto nascere gran parte della cultura che amo. È una città che conosco abbastanza bene e che ho visitato più volte, tornando sempre a casa con un “bagaglio” culturale ogni volta più importante. In queste città ho immaginato di “far muovere” i personaggi dei miei due romanzi, sono città che conosco e che mi piace immaginare come teatro delle mie storie.

 


Nel mondo editoriale di oggi, come vivi la tua vita di scrittrice?

La vivo il più possibile al di fuori del cosiddetto mondo editoriale. Per essere più precisi, l’unica realtà editoriale che conosco è Edizioni Convalle. Una realtà che ho visto nascere e crescere e insieme alla quale sono cresciuta come autrice. Non ho interesse a esplorare altri “mondi editoriali”. 
Scrivo principalmente per me stessa ma sono felice quando un mio romanzo o racconto piace ai lettori. Mi sento apprezzata e, soprattutto, capita. La sensazione più gratificante è quando un lettore coglie appieno il senso di quanto ho voluto trasmettere. Questo è l’obiettivo che mi prefiggo, ogni volta, davanti al foglio bianco. La gioia di stringere tra le mani un libro che riporta in copertina il mio nome è impagabile, come l’emozione di leggere recensioni, apprezzamenti e, perché no, anche critiche. Non importa che questi siano migliaia o uno solo, la soddisfazione vera è aver scritto.




Grazie a Tania Mignani per averci raccontato di sé e della sua passione per la scrittura :-) Ma prima inserisco un'altra foto perché dovete sapere che Tania è anche...


...un'ottima cuoca! ;-) Gnam!


Ricordiamo le sue pubblicazioni personali: 



https://edizioniconvalle.com/product/25219748/l-altra-978885434141



https://edizioniconvalle.com/product/25219814/nessuno-e-innocente-nemmeno-tu-978-88-85434-65-3


https://edizioniconvalle.com/product/26953272/in-perfetto-disordine


https://edizioniconvalle.com/product/35667334/ieri-oggi-per-sempre

Breve biografia di Tania Mignani:

Tania Mignani, autrice bolognese, ha già al suo attivo premi e numerose pubblicazioni: vincitrice della sezione racconti nel Premio Letterario “Dentro l’amore” nel 2016 e seconda classificata, nella stessa sezione, nel 2017.
L’opera prima, la raccolta di racconti “L’Altra” (Edizioni Convalle) pubblicata nel 2018, ha ottenuto il secondo posto nel Premio Letterario Città di Arcore, nella sezione opere edite.
Nel 2020 pubblica la seconda opera, “Nessuno è innocente. Nemmeno tu”, una raccolta di racconti dalle tinte noir. Nel 2023 esce con il suo primo romanzo "In perfetto disordine" che ottiene il Marchio della Microeditoria di Qualità nel 2024. Nel 2025 pubblica il secondo romanzo "Ieri, oggi, per sempre".
Ha al suo attivo diverse altre pubblicazioni condivise con altri autori, sia a sfondo benefico (“I Racconti di Natale” e “Le storie che non ti aspetti”), sia sperimentali e artistiche (“Dalla A alla Zeta” e “La vita in uno scatto”), tutte opere firmate Edizioni Convalle. Tania Mignani frequenta da diversi anni i laboratori di scrittura di Stefania Convalle ed è una delle strette collaboratrici della casa editrice. 


Non mi resta che darvi appuntamento alla prossima intervista a un altro concorrente di 800 Metri di Parole.



Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle