Volevo solo avere più tempo

Volevo solo avere più tempo
Il nuovo romanzo di Stefania Convalle

sabato 24 dicembre 2016

Numero 262 - Il mio amico, una storia di Natale - 24 Dicembre 2016

                      

IL NUOVO AMICO
di
Maria Rita Sanna

   Il canto del gallo la svegliò bruscamente, la luce dell'alba iniziava a inondare la cucina facendo apparire ogni cosa come fosse coperta da un morbido telo di seta. Tutto era rimasto come la sera prima, i recipienti ancora sporchi di farina e gli attrezzi ormai incrostati. I teli usati lasciati disordinatamente sul tavolo e sulle sedie.
Rachele si era addormentata, sfinita, dopo l'ultimo lavoro della giornata, l'impasto del pane; lo aveva messo a lievitare in un grosso recipiente di terracotta, sopra il tavolo, coprendolo con una coperta e sedendosi poi a pensare al giorno dopo, ma accasciandosi dolcemente sul ripiano.
Ora il giorno avanzava, la donna si scosse dal torpore e adirata con sé stessa prese a riordinare l'ambiente, spazzò un poco il forno, dove ancora ardevano le braci, e iniziò a lavorare la pasta formando le pagnotte. 
Quella mattina non aveva visto nemmeno le stelle per potersi augurare la buona giornata. Rachele fin da bambina le osservava insieme al padre che le insegnò a riconoscerle e ad usarle come riferimento durante la notte. Lei, alla sera e all'alba, d'inverno e d'estate, conosceva i tempi per i suoi lavori seguendo un ritmo impeccabile. Si era confusa raramente, l'ultima volta risaliva a poco tempo prima e  non se ne dava pace; aveva svegliato il marito perché andasse alla mungitura, come ogni giorno; l'uomo, obbediente e fiducioso, era andato, ma l'alba aveva tardato ad arrivare. Ripensando a quella notte, si era lasciata incantare dalla luna e da una stella luminosa che non ricordava, ma che brillava vivacemente nel cielo.
Scacciò questi pensieri dalla mente, il pane era sfornato e rimanevano ancora tanti lavori da fare, tra qualche giorno sarebbero arrivati ospiti nella casa padronale, e tutto doveva essere pronto.
Quella mattina Isacco, il marito, rientrato dal pascolo, chiese subito alla donna delle bisacce con del cibo, mentre lui avrebbe preparato l'acqua e i cavalli; doveva andare a soccorrere una carovana fermatasi a un giorno di cammino dalla città. Rachele, contrariata e scontenta, ubbidì all'uomo, che la consolò avvolgendola con il suo abbraccio forte e caloroso: “Non temere, donna, sarò presto di ritorno; è una carovana di gente umile e hanno bisogno del nostro aiuto.”  La strinse a sé un po' di più dandole un bacio sulla fronte.
Rachele, rassegnata, lavorò ancora con più lena facendosi aiutare dalla servitù. 


   La carovana era ferma in mezzo al deserto, un carro si era rovesciato su un fianco e le scorte di viveri e acqua erano andate perdute nella terra. I viandanti ormai stremati dal viaggio e dalle avversità si erano accampati in attesa di soccorsi; alcuni uomini avevano proseguito il viaggio fino in città, che non era lontana, per chiedere aiuto.
Soffiava un vento fortissimo con la sabbia che pungeva il viso e accecava gli occhi. Le donne e i bambini stavano a terra accucciati al riparo sotto grandi coperte, mentre gli uomini a turno controllavano tutta la carovana per il timore di attacchi nemici, come era già avvenuto in precedenza.
Un ragazzo molto giovane uscì fuori dal suo rifugio, disobbedendo alla madre, ma rassicurandola con un bacio che non si sarebbe allontanato; si avvolse in un grande telo che toccando terra copriva le sue stesse orme, si fasciò la testa lasciando solo una fessura per gli occhi: era Elia, un ragazzo di circa dodici anni, molto vivace e intelligente; da quando avevano iniziato il viaggio si sentiva in parte responsabile per l'incolumità di quelle persone. Non capiva bene cosa gli succedesse, ma la forza e l'energia che aveva dentro non lo lasciava sereno; si sentiva pervaso di gioia perché presto avrebbe conosciuto un nuovo amico. Con grande coraggio controllava più volte al giorno che nulla impedisse il loro cammino verso la città. Purtroppo si erano fermati per la seconda volta. Elia perlustrò per bene il perimetro della carovana, soffermandosi sul carro rovesciato e notando che una ruota era completamente  rotta, ma ciò che lo incuriosì fu l'affossamento della terra su cui era andata a finire. Si chinò per vedere meglio l'ampia fossa tra i detriti, ma si spaventò alla vista di un grosso serpente che scattò in avanti  con la testa e le fauci spalancate, mancando la presa per un soffio. Elia perse l'equilibrio e cadde all'indietro, seguì con lo sguardo il serpente che scappava veloce, proprio in direzione di due persone che stavano poco più avanti al riparo del vento. Afferrò un legno e rapido inseguì l'animale, ormai vicino alle persone e pronto all'attacco; con tutte le sue forze lo colpì sulla testa, meravigliandosi che il  bastone si fosse improvvisamente infuocato, come una torcia, e con più vigore lo scagliò sul serpente abbattendolo definitivamente. Ancora una volta Elia, sorpreso, aveva salvato la giovane donna che, abbracciandolo, lo fece sentire colmo di gioia e amore.
Il vento cessò e con l'arrivo dei soccorsi la carovana riorganizzò la ripresa del viaggio.
Era notte fonda quando una parte della carovana, guidata da Isacco, arrivò in città; Elia e la sua famiglia furono condotti nella casa padronale dove Rachele li aspettava con ansia, con un tuffo al cuore notò il ragazzo che decise di dormire nella grande cucina vicino al camino.


   La mattina seguente Rachele non si lasciò sorprendere dal sonno pesante, andò a guardare le stelle come di consueto, ma si meravigliò alla vista di quella stella che da qualche tempo brillava più di ogni altra in cielo, eppure non la ricordava e non era presente nelle carte lasciatele dal padre; sembrava, anzi, che si muovesse proprio in direzione della città.
Un rumore proveniente dalla stalla la richiamò alla realtà, la mucca chiedeva di essere munta, dato che Isacco, rientrato solo poche ore prima, dormiva ancora. Il grosso animale, docilmente, donò il suo prezioso latte alla donna; subito lo preparò per gli ospiti, portandone prima una tazza ad Elia, il ragazzino che tanto somigliava al suo adorato figlio. Non trovandolo nel suo giaciglio vicino al camino, preoccupata, lo cercò nel cortile, ma poi lo vide nel capanno degli attrezzi intento a lavorare illuminato da una piccola candela. Porse al ragazzo il latte caldo e accarezzandogli i capelli lunghi e folti, chiese spiegazioni sul suo lavoro. Elia stava unendo delle assi di legno con delle corde di canapa e, confortato dalle premure della donna, si confidò: “Viene a trovarmi in sogno tutte le notti, da quando abbiamo iniziato il cammino verso la città. Lui mi parla, mi rassicura e mi infonde coraggio; mi ha detto che tra qualche giorno sarà con me e potrò vederlo e io resterò con lui per sempre. Due giorni dopo la nostra partenza dal paese, per venire qui in città, fummo assaliti dai banditi, ma  non ebbi paura. La notte prima, il mio amico, era venuto in sogno per avvisarmi; preparai alcuni sassi e quando arrivarono li scagliai verso i malfattori, che già ci avevano accerchiato. Ogni sasso, cadendo, si incendiava, e la fiamma diventava sempre più grande, finché non fummo circondati da un cerchio di fuoco che ci protesse e scacciò via i banditi. La carovana era in salvo. Tutti mi acclamarono, ne fui felice, ma in cuor mio ringraziai il mio nuovo amico. Venne da me anche una giovane donna, affaticata dal proprio grembo, mi accarezzò come un figlio, nonostante pensai che avesse la mia età.”
Rachele, dubbiosa di quel racconto, propose al ragazzo di aiutarla nei suoi lavori, ma egli, sicuro e determinato, rispose: “Non posso, devo finire il giaciglio per lui, sarà qui molto presto, e io lo seguirò. Insieme avremo molti nemici da combattere.”


   La giornata passò velocemente e con la comparsa delle prime stelle, Rachele era sempre più in ansia: uno strano tremore la scuoteva, ma non era il freddo, era più la tensione dovuta agli avvenimenti precedenti e alla presenza del ragazzo, Elia, col suo carattere determinato e ribelle, con i suoi racconti fantasiosi. E quella stella, ora molto più brillante e luminosa, sopra la loro casa, sembrava pronta all'esplosione.
Elia uscì eccitato dal capanno dove era rimasto tutto il giorno per finire il suo lavoro e trovando Rachele nel cortile la esortò a  stare pronta, tenendo tutti i lumi accesi, perché era in arrivo il suo amico. Il ragazzo entrò anche in casa avvisando i suoi familiari e tutta la servitù; era pervaso da una gioia incontenibile e incomprensibile a se stesso e per chi lo circondava, tuttavia fu poco compreso e addirittura rimproverato per il suo strano comportamento.
Ormai in forte trepidazione, andò nella strada, sperando di trovare qualcuno che potesse dargli le risposte che cercava, ma nessuno passava da lì e il buio sembrava inghiottirlo; confortato dalla grande stella luminosa e da una piccola torcia che aveva con sé, ripensò alla voce del sogno: "Rimani in veglia, Elia, perché oggi stesso sarò con te". Nella tensione del momento urtò contro qualcosa, sobbalzando per la sorpresa, illuminò l'ostacolo e si trovò davanti due occhi grandi con orecchie lunghe e dritte, un muso peloso in continuo movimento che cercava acqua. Il somaro precedeva un uomo che teneva in braccio sua moglie, sfinita dalle doglie del parto: "Ragazzo" disse l'uomo "per favore, aiutaci a trovare un rifugio, mia moglie sta per partorire, temo il peggio per lei e il bambino. Purtroppo nessuno ci ha potuto ospitare qui in città". Elia, riconoscendo l'uomo e la giovane donna, che facevano parte della carovana, placò la sua agitazione e condusse i coniugi e l'animale presso la casa, dove lui stesso era ospite.
Rachele non si aspettava certo altri ospiti, soprattutto non a notte inoltrata, ma mossa da compassione per la donna incinta che le sembrava una bambina, sistemò la stalla ammucchiando tutto il fieno, tale da ottenere un letto soffice.  La mucca e l'asino, coi loro grossi corpi, emanavano calore, creando nell'ambiente un'atmosfera di pace e quiete. In quegli istanti avvenne il parto, quasi in silenzio. Rachele senza smettere un attimo di aiutare la ragazza, prese il bimbo avvolgendolo nei teli e porgendolo alla mamma. Profondamente commossa dal piccolino, ricordò quando anche lei partorì il suo unico figlio, chiedendosi dove mai fosse.
Alla sua silenziosa domanda rispose la ragazza con voce flebile, che tutto si sarebbe sistemato mantenendo viva la speranza.   
Entrò nella stalla Elia, parlando vivacemente e portando di peso il giaciglio che aveva preparato per l'amico, ma quando incontrò gli occhietti del bimbo appena nato, tacque improvvisamente e cadde sulle ginocchia; in quegli occhi vide le fiamme che lanciò nel deserto e il bastone infuocato che scacciò il serpente:  riconobbe il suo nuovo amico. 
"Eccomi, mio Signore, sono il tuo servo" disse Elia, con profonda devozione.



Era quella, la notte infinita, in cui tutto si era compiuto, la notte di cui parlavano i profeti; era nato il Messia, il Re dei Re, il Signore di tutte le terre e di tutti i tempi, colui che avrebbe salvato ogni uomo dalla morte, dandogli la vita eterna. 
Per Elia fu l'inizio di una nuova amicizia, trasformatasi in alleanza col solo sguardo, consolidatasi col tocco delle manine calde e morbide del piccolo. Ancora inginocchiato davanti al neonato, col fiato corto e la voce tremante, ottenne il permesso di prenderlo in braccio; si sentì subito bruciare il petto da una forte emozione, il cuore sembrava esplodergli, lacrime salate gli bagnavano il viso.  Aveva sentito parlare di questo grande evento dai suoi familiari, ma essendo ancora ragazzo non si era mai interessato dei loro discorsi; la voce che sentiva in sogno, durante il viaggio per venire in città, l'aveva considerata come una sua fantasia, e l'idea di avere un nuovo amico, per lui, era una gioia immensa da tenere nascosta, considerato che non aveva tanti amici per via del suo carattere ribelle e  singolare; le sue imprese coraggiose nel deserto lo avevano reso più forte e sicuro di sé. Ora tutto diventò chiaro, lui era stato scelto per essere il primo servo del grande Re, per aiutarlo e difenderlo nelle tante battaglie che, ancor prima che nascesse, erano iniziate; quelle manine che allegramente si annodavano nei suoi capelli lunghi e folti gli davano conferma di tutto.
Rachele, invece, non aveva né conferme né pace in cuore; era certamente commossa dall'evento del parto e dalla tenerezza del bimbo, ma ricordi dolorosi la assalirono, le venne un nodo in gola e con moto di rabbia iniziò a raccogliere i panni usati e sporchi. Tutta quella bellezza non le apparteneva più, era dimenticata, la sua felicità di madre era svanita nel nulla, come suo figlio; quella era solo una ragazza come tante altre che partorivano ancora giovani e i lavori non potevano fermarsi solo per lei. Ancora una volta arrivò la risposta ai suoi pensieri: la voce, stavolta, era più ferma e determinata: “Rachele, fermati un momento, raccontami ciò che ti tormenta”. Rachele incredula di trovare conforto e comprensione, si sedette accanto alla ragazza: “Non puoi capire, Maria, il dolore che porto dentro. Mio figlio è andato via di casa quando aveva appena vent'anni, inseguendo l'illusione di una vita migliore. Aveva sentito parlare dei soldati che vivono nella grande città al servizio del Re Erode, circondati da ricchezze e ogni bene. Stanco di aiutare il padre nei pascoli, andò via voltandoci le spalle, senza nemmeno abbracciarci; non ho mai più avuto sue notizie. Si chiamava Davide”.


Era ormai notte fonda e finalmente regnava il silenzio, sia nella casa che nella stalla. Rachele, pur essendosi confidata con Maria poco prima, era sempre più in ansia perché ancora una volta aveva trascurato i suoi lavori. Non riuscendo a prendere sonno tornò fuori nel cortile, il cielo brillava e pulsava più viva che mai la nuova stella. La donna, fermatasi sulla soglia della stalla, guardava quelle persone dormire serene, l'uomo abbracciava la moglie e lei teneva la manina del bimbo; l'altra manina era tenuta, dall'altra parte, da Elia, anch'esso sprofondato nel sonno. Sembrava che quel bambino tenesse saldo il legame tra il passato da cui proveniva, i suoi genitori, e il futuro verso cui era proteso. 
Rachele ripensò alle parole della ragazza: “Non darti pena per tuo figlio”, le aveva detto, “vedrai che un giorno lo riabbraccerai. Abbi fede e Dio ti aiuterà, anche per i tuoi lavori”. Le sembrava che quella ragazza proprio non capisse, che venisse da chissà quale paese, dove tutto era sereno e senza preoccupazioni.
Sobbalzò sentendo dei rumori provenire dall'esterno, uscì incuriosita, trovandosi davanti alcuni pastori che portavano in mano, oltre ai lumi, ceste piene di focacce e formaggi, anfore colme di latte; alcune donne avevano coperte e abitini nuovi per il bambino. “Abbiamo portato doni per il Re di tutti gli uomini”, disse colui che guidava la piccola comitiva. Rachele, sorpresa, fece entrare le persone invitandole al silenzio, accorgendosi che a quel piccolo gruppo ne seguiva un altro, e dopo un altro ancora.
Venivano dalle case vicine, ma anche da fuori città; non solo pastori, ma anche commercianti e tutti avevano un piccolo dono per il bambino e la sua famiglia. Il brusio destò i dormienti e Maria, per mostrarlo ai presenti, prese in braccio il bambino che agitava le mani come se volesse accarezzare la testa di ogni persona, la quale si sentiva colma di gioia e amore.
Elia, anch'egli sveglio, guardava con sospetto tutti, riconoscendo tra gli adoranti anche i suoi genitori che andò ad abbracciare. “Madre!” disse eccitato, “ecco il mio nuovo amico”.
Anche Rachele fu abbracciata dal marito, due braccia forti che le circondavano le spalle dandole sicurezza e conforto; in quell'abbraccio la sua tensione si sciolse in pianto.
Era una nuova alba, ma la stella in cielo brillava quasi a richiamare altri forestieri.



Entrarono in città alcuni soldati a cavallo che il Re Erode, governatore di quelle terre, aveva inviato per riferirgli dove fosse il tanto nominato rivale. Parlavano con derisione, criticando anche la piccola carovana che guidavano:  erano i Re Magi, tre Signori di terre molto lontane, avvolti in mantelli dal tessuto broccato e dai colori vivaci, sul capo avevano ampi turbanti e, sopra, la corona; erano studiosi delle stelle e, sapendo dell'arrivo del Messia, avevano iniziato il viaggio tanto tempo prima e seguendo la nuova stella erano giunti  fin lì, per rendere omaggio al Re di tutti i Re.
All'imponente passaggio dei soldati, la gente si scansava con timore, la loro domanda con voce tuonante, non ammetteva incertezze; facilmente trovarono la casa.
Elia, con buona volontà, aiutava come poteva nei lavori in casa, ma non perdeva mai l'occasione per stare col bambino, al quale avevano dato il nome Gesù, dopo il rito della circoncisione.
Il ragazzo stava in cortile godendosi il sole del mattino, col piccolo in braccio, facendosi stringere le dita da quelle manine vivaci. Si alzò improvviso un vortice di vento sollevandogli i capelli e mandandogli polvere negli occhi. Si irrigidì presagendo quanto gli era stato detto in sogno la notte prima.
All'ingresso del cortile stavano i soldati, scesi da cavallo per accertarsi cosa avrebbero trovato in quella casa; alla vista del ragazzo col bimbo sorrisero sprezzanti per la facilità con la quale avevano portato a termine la loro missione. Andarono via, lasciando entrare i tre uomini dai mantelli colorati.
Rachele, sentendo lo scalpiccio degli animali e voci di scherno provenire da fuori, uscì di corsa nel cortile vedendo i tre pacifici personaggi entrare, ma accorgendosi dei soldati, di uno in particolare che, proprio mentre lei lo raggiungeva con lo sguardo e col cuore,  saliva a cavallo voltando le spalle.
Al cospetto del bimbo tra le braccia della mamma, i tre Magi lasciarono i loro doni, oro, incenso e mirra, raccontando il loro viaggio e l'incontro con i soldati di Erode; al tramonto ripresero la via del ritorno. La grande stella iniziò a perdere il suo splendore.
Elia attento a ogni dettaglio di quei racconti, capì che non c'era più tempo da perdere; Gesù, con i genitori, doveva andar via e lui con loro.  L'impeto di rabbia fu presto placato da suo padre, ricordandogli vigorosamente che era solo un ragazzo; a questa esortazione si aggiunse quella più pacata di Giuseppe, il padre del bimbo, incoraggiandolo a rimanere per difendere la via di fuga da eventuali ostacoli.
Rachele abbracciò Maria con nuovi sentimenti di amore e ammirazione verso quella ragazza tanto coraggiosa; aveva lasciato loro le sue carte delle stelle per orientarsi nella notte, verso la quale la piccola famiglia si avviò. Elia ebbe il permesso di accompagnarli fino alle porte della città, insieme a Isacco, spinti dal vento che dalla mattina si era fatto insistente.



La quiete in cui era tornata la casa fu presto lacerata da grida  e voci concitate; i soldati, entrati prepotentemente nel cortile, annunciavano la presenza del Re Erode in persona giunto per eliminare colui che avrebbe dovuto spodestarlo. Trovandosi davanti Rachele impietrita da quelle figure minacciose la scansarono con disprezzo, entrando in casa e interrogando i genitori di Elia, anch'essi spaventati da tale invadenza. Non avendo risposta, i soldati frugarono la casa, mettendo tutto sottosopra, ma non trovando tracce del bimbo.
Erode iroso e impietoso, diede l'ordine di ammazzare tutti i neonati. Era l'inizio di un'altra notte infinita.
Dalle case perquisite le persone scappavano in ogni direzione, come impazzite; le madri stringevano a sé i loro bambini, cercando rifugio nelle strade o presso altre case, ma fu tutto inutile davanti alla forza assoluta e violenta dei soldati che affondavano le spade in quei corpicini. 
Le urla strazianti delle donne arrivarono fino all'altro lato della città, dove Elia e Isacco avevano appena lasciato i fuggitivi. Una serie di lampi improvvisi illuminarono i soldati sopraggiunti a cavallo con le spade ancora insanguinate ed Erode, con labbra strette e pieno di odio, chiedeva del bambino.
Elia, senza paura, spinto da orgoglio e coraggio,  nella mente gli occhi del suo amico, alzò le braccia al cielo gridando con vigore: “Io sono Elia, amico di Gesù, niente e nessuno ci separerà. Lui è il nuovo Re di tutte le terre e di tutte le genti. E tu, Erode, non sei nessuno!”. Il vento soffiò più forte e un boato scese dal cielo con la pioggia sferzante, i cavalli spaventati disarcionarono gli uomini che, riprendendosi, inseguirono Elia scappato via, scaltro, in direzione opposta alla fuga della famiglia amica.
Il ragazzo, nuovamente circondato dai soldati, alzò ancora le braccia al cielo, invocando il nome di Gesù, per poi abbassarle verso i soldati, i quali furono colpiti da fulmini e saette.
Erode, nel frattempo, rimasto sorpreso dall'impeto del ragazzo, cercò protezione dietro un soldato che, con un bambino tra le mani, stava per compiere un altro delitto con la spada alzata. L'urlo straziante della madre del bambino fu sovrastata da un altro grido di donna: “Davide, no!”. Era Rachele che, corsa in strada a cercare Isacco, aveva riconosciuto in tutta quella confusione di sangue e tempesta, il figlio soldato.

Davide, sbalordito, riconobbe anch'esso la madre, e mosso da pentimento e dall'amore mai sopito per lei, lasciò cadere l'arma, saettando invece il braccio verso Erode alle sue spalle che lo incitava a uccidere tutti; consegnando il bimbo a sua madre, corse verso Rachele abbracciandola con lacrime di gioia e pentimento. La donna non poteva credere a quanto accadeva, ma purtroppo non c'era tempo per parlare; Davide carezzò il volto della madre, si tolse le vesti da soldato e preso un cavallo si avviò veloce verso l'uscita della città. 







5 commenti:

  1. Che bello. ..brava Maria Rita. Proprio in tema con le feste. Scritto molto bene l'ho letto d'un fiato trascinata nella storia. Brava!
    Auguri di Buon Natale 🎅

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  2. ... è arrivato Gesù Bambino! Bel racconto Rita! Buon Natale!

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  3. Grazie Daniela e Tiziana, ho avuto insegnamenti preziosi. 💜💜

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  4. Bello sia averlo scritto che leggerlo "fuori dal pc" grazie Stefania 💜💜

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