Eccoci di nuovo con i racconti del GRUPPO B. I concorrenti dovevano scrivere un racconto ispirandosi alla fotografia che vedete qui sopra.
Vi ricordo la modalità di voto:
- dovrete scrivere in un commento a questo numero del blog le vostre TRE preferenze, cioè i tre racconti che vi saranno piaciuti di più, scrivendo il titolo (così non faccio confusione quando andrò a contare i voti). Se volete potete anche scrivere la motivazione per la quale scegliete proprio quei tre.
- nel commento dovrete mettere anche il vostro nome e cognome, perché la votazioni anonime non sono accettate.
- potrete votare fino a mercoledì 26 febbraio, ore 20.
A l termine della votazione, i tre racconti più votati riceveranno un bonus (al 1° 9 voti, al 2° 6 e al 3° 3). Questi voti derivanti dal bonus andranno a sommarsi a quelli espressi dalla giuria tecnica, producendo una classifica provvisoria in questa prima Fase del Torneo.
Vediamo chi sono i concorrenti del GRUPPO B, coloro che hanno scritto i racconti di questo numero del Blog. Li scrivo in ordine alfabetico, perché questi racconti li giudicherete senza sapere a chi appartengono, cosa che sarà svelata nella diretta di giovedì 27, a votazione conclusa.
Vi ricordo anche che i racconti vengono da me postati nel blog senza il mio intervento, cioè così come mi sono arrivati. Non correggo niente perché nella valutazione dei testi, anche la forma e l'uso corretto della lingua italiana devono avere un peso.
GRUPPO B
Stefano Buzzi
Arianna Desogus
Maura Hary
Giovanna Agata Lucenti
Sandra Morara
Linda Silvia Scarpenti
Cesare Sordi
Camilla Terso
Tatiana Vanini
Prima di terminare questo numero, vi dico anche com'è andata la prima prova per il GRUPPO A e qual è la classifica PROVVISORIA per quanto li riguarda.
Classifica provvisoria GRUPPO A – FASE 1 – Dopo la prima prova, data dalla somma dei voti della Giuria tecnica + i tre bonus ai tre racconti più votati dal pubblico: al primo bonus di 9; al secondo bonus di 6; al terzo bonus di 3.
1° Antonella
Malvestiti 55 voti
2° Alessandra
Nobile 55 voti
3° Laura
Scartabelli 50 voti
4° Valentina
Ciocca 44 voti
5° Emanuela
Tomiato 42 voti
6° Maria Grazia
Conti 39 voti
7° Luca Togni 37 voti
8° Carmine
Scavello 30 voti
9° Ilaria Alesina 16 voti
In bocca al lupo a tutti i coraggiosi concorrenti e buona votazione a tutti voi che ci seguite!
§§§
NOVE GIORNI
Era quasi mezzanotte e quella sera, dopo la cena di San Valentino, in cui mi ero vestita romanticamente tutta di rosa, mi hai lasciata davanti al portone.
Ti ho chiesto quando ci saremmo rivisti e tu hai esitato e mi hai detto di avere pazienza.
In un primo momento ho pensato che mi avresti chiamato giovedì, poi venerdì poi oggi che è domenica, ma non ho ricevuto nulla né sul fisso né sul cellulare.
Mi sono chiesta e mi sto ancora chiedendo perché.
Credevo che si fosse creata una linea di sensibilità comune, che ci capissimo facilmente e che si stesse bene insieme.
Non bastava.
Credevo di aver dato il giusto impulso ad approfondire la nostra conoscenza.
Non bastava.
Credevo che la tenerezza dell’ultima volta fosse sufficiente a sciogliere le nostre corazze costruite negli ultimi anni.
Non è bastato.
Mi rendo conto di scrivere frasi forse banali, ma la vita non lo è mai e quindi ci deve essere una ragione se i fatti procedono così.
E’ evidente che io non posso telefonarti e non posso neanche fare altre azioni che potrebbero essere male interpretate e quindi controproducenti.
E mentre lo penso mi accorgo che ci tengo a te e che vorrei disperatamente continuare a vederti.
Ma non posso proprio perché l’iniziativa ora è nelle tue mani e solo una tua decisione, qualunque essa sia, potrebbe sbloccare la situazione.
Decidere per il sì, capisco che sarebbe imbarazzante, vorrebbe dire accettare di stare con me, anche alle mie condizioni e creare dei cambiamenti importanti nella tua vita, nei tuoi affetti e nelle tue relazioni.
Decidere per il no, sarebbe pure critico perché in fondo trovi interessante la mia presenza e le mie parole, ti piace avere una donna che ti guarda con interesse ed è disposta ad aiutarti in momenti che sono ancora difficili.
Significa anche buttare acqua sul quel piccolo fuoco che forse si sta riaccendendo.
Nello stesso tempo non è più possibile continuare come prima, vedersi come amici, andare al cinema o a teatro come se niente fosse accaduto.
Il cuore non lo permette e soprattutto non lo permette a me.
Gli anni passano ed accumulando le esperienze mi sembra ogni giorno di essere ancora nella mia età giovanile, ai miei primi sentimenti, alle prime aspirazioni.
Lo so che anche questo è banale, ma ora è mio e sono io che lo voglio vivere intensamente così come lo sento.
Domani è il decimo giorno, non so cosa farai ed il tuo carattere è abbastanza imprevedibile.
Sarei felice di essere sorpresa, comunque sia, perché l’attesa è sempre faticosa e l’azione è rigenerante.
Chiamerai lunedì o aspetterai ancora ?
Forse, ma e però, che la mancanza di quello sfiato dell’h forestiero aveva spareggiato le aspettative e aperto le porte alle insicurezze, agli sghignazzi, le prese in giro, il farti credere che sei fuori dai tempi e dal mondo, e soprattutto sei fuori dal club di quelle quattro sfigate che fanno le bulle e si credono dio in terra, solo perché portano i jeans firmati, le scarpe con la targa dorata e si sono rifatte il naso, per non parlare delle labbra a canotto.
E ti senti un pesce fuor d’acqua, e ti senti persa. E se ti senti, vuol dire che prima non solo te lo dici, ma te lo ripeti - e dove cavolo lo trovo poi, il pezzo mancante della mia mela, se non c’ho le firme e i meloni - che vesto mercatino rionale e sono piatta di petto peggio del tagliere di nonna quando fa la sfoglia per le lasagne e le tagliatelle, che almeno su quelle ogni maschio ci sbava e gli prende il coccolone.
Tranquilla Debora senza lo sfiato forestiero dell’h che, come dice sempre tua nonna e te lo dico pure io - tempo al tempo, e vedi che lo trovi pure tu il pezzo mancante della mela, quella che prima se ne stava sull’albero ben radicato dietro l’angolo, ma poi si schioda, ti bussa alla porta, e ti dice che non gliene frega niente se non c’hai le firme, le scarpe con la targa dorata, le labbra a canotto, le poppe assassine e sei piatta come il tagliere di nonna, e porti il pigiama con i cuoricini e le ochette, e le pianelle rasoterra con la faccetta sorridente di gatto Silvestro e - che rimanga fra noi - pure le mutande ascellari con l’elastico slabbrato che non tiene più, perché lui è un estimatori di cervelli e vuole proprio te.
Nell’attesa - e che rimanga fra noi - pare che, spalmarsi sulle cosìdette gli escrementi del piccione, faccia davvero miracoli.
Era come se all’improvviso avesse smesso di prepararsi, visto che ai piedi portava ancora le solite ciabattine rosa – quelle che tanto piacevano a suo marito – con tacchetti e piume di struzzo.
E immobile, con lo sguardo assente, guardava fuori dalla finestra.
Era una serata di maggio, e i colori del crepuscolo stavano colorando il cielo sopra quella cittadina del Maine, dove Claire e il marito vivevano, dando così inizio alla fine di un’altra tranquilla e monotona giornata.
La donna era solita definire così le sue giornate, badando bene di non riferire a nessuno i suoi pensieri, per non ferire il marito.
Eppure, sembrava vivere in armonia con se stessa e gli altri. E l’atmosfera che si respirava sapeva di tranquillità. Quella tranquillità che a Claire avevano sempre detto di desiderare, ma che ormai la stava soffocando.
E pensare che qualsiasi donna sarebbe stata felice di avere una bella casa come la sua, con il prato verde ben tenuto e curato; avrebbe fatto carte false per poter accudire con amore quel bel marito, un veterano della Seconda Guerra Mondiale; e avrebbe pagato per poter appartenere a quella cerchia di amici benestanti e sorridenti, i cui figli sarebbero diventati amici dei suoi.
«Claire, sei pronta? Quanto ti manca a scendere? Posso entrare?» chiese George aprendo la porta della camera ancora prima che la moglie gli rispondesse, e distogliendola dai suoi pensieri.
«Arrivo… Finisco di vestirmi» gli disse Claire, rimanendo seduta sul letto.
«Sono già arrivati quasi tutti, e i Taylor e i Mitchell stanno parcheggiando, cara, manchi solo tu!»
George la guardò con ammirazione e le si sedette accanto abbracciandola.
Claire lo allontanò, con la scusa che le avrebbe stropicciato quel bel vestito, che proprio lui le aveva suggerito di indossare per l’occasione.
«Faccio in un attimo… Infilo le scarpe e scendo» aggiunse con un sorriso che aveva solo la funzione di nascondere un malessere – a lei – ormai noto.
Un’altra festa, un’altra serata con il sorriso forzato sulle labbra, pensò.
Si guardò allo specchio del comò posto di fronte a lei e, accarezzandosi il ventre, pensò a quel segreto che ancora non aveva voluto svelare.
Guardò le scarpe scelte da indossare per raggiungere gli ospiti, e un senso d’inquietudine la pervase.
Non metterò quelle scarpe eleganti, non sorriderò per piacere. L'apparenza non mi appartiene più, pensò.
Si alzò dal letto, e si tolse il vestito rosa.
Gettò le ciabattine in un angolo della stanza, come a voler seppellire una parte di sé che non voleva più.
Indossò un abitino e un paio di scarpe comode e, con discrezione, scese le scale per andare alla porta di casa sul retro: uscì, lasciando dietro di sé quel mondo di certezze che non le erano mai appartenute.
Un incontro casuale, un appuntamento di lavoro, una frase banale, un sorriso impacciato… Sarebbe davvero bello conoscere come sono nate tutte le storie del mondo e scoprire le diavolerie di cui è capace l’amore per manifestarsi e poi vivere.
Faccio questo pensiero mentre da qualche minuto fisso i miei occhi nello specchio: brillano.
Anche il viso splende, come fosse una porcellana passata e ripassata con lo straccio.
È chiaro che mi sono innamorato.
Ho conosciuto Marlene il mese scorso durante una sessione di lavoro. Sono un fotografo, uno di quelli che lavora per le riviste di abiti da sposa. A dire il vero prediligo quelli degli stilisti eccentrici, quelli che vogliono prendere le distanze dal classico bianco da favola.
Nozze rosa era il nome della collezione che andavamo a presentare sul catalogo estivo di un noto atelier, Marlene era la modella.
Come dite? Volete sapere come è nata la nostra storia? Non vi basta sapere del nostro incontro sul set di una camera d’albergo apparecchiata a tinte rosé?
Ebbene, tutto è iniziato con una frase banale: Il tuo sorriso è già un evergreen.
Le ho detto così tra un cambio di scenografia e l’altro. Del resto il suo modo di ridere riempiva la stanza più del suo splendore e suonava nelle mie orecchie come una bella canzone che passa alla radio. Una di quelle che ascolti per tanti anni e non ti stancano mai: un evergreen.
Ho rotto il ghiaccio così.
Stupido? Provate voi a farvi avanti tra truccatori, addetti alle luci e assistenti di vario genere.
Quella sera ci siamo fermati a cena in un piccolo locale poco distante dall’albergo. Abbiamo iniziato così a conoscerci piano piano.
Oggi è passato un mese. Cos’è mai un mese per una storia d’amore? Nulla. In così poco tempo un sentimento condiviso può, al massimo, imparare a gattonare.
Per la mia felicità, invece, vivere una favola così bella è tantissimo. Innamorarsi è come gettare tutti gli abiti vecchi e vedersi con una nuova luce. Una luce che irradia lo specchio e che vorrei catturare con una fotografia.
Sarebbe bello che tutti si scattassero una foto nel momento in cui scoprono di essersi innamorati. Potrebbe essere utile, chissà, tanti anni dopo, quando il logorio della quotidianità agisce subdolo sulla qualità del sentimento.
Una cosa tipo… Ecco, guarda come eravamo belli quando ci siamo innamorati. Ripartiamo da lì, da una nuova foto insieme.
Bello, no?
Lascio questi pensieri, per me oggi lontani, e preparo l’attrezzatura per un nuovo servizio. Oggi posa Marlene.
Quando lavoro con lei ripenso al vestito rosa della prima volta e a quando, seduta sul letto, rideva per una battuta fatta da qualcuno nella stanza. Mi emoziono ancora. Prendo la macchina fotografica e cerco, tra le foto inedite di quel giorno, quella che ritengo più bella.
La metterò in una cornice e sarà il prossimo regalo che le farò.
Magari con un biglietto con scritto evergreen.
Isabella cercava di ingoiare la saliva e con essa la frase che aveva pronunciato qualche minuto prima suo marito: voglio la separazione.
Armando non provava più nulla verso la moglie e glielo aveva vomitato addosso tutto in un fiato nel giorno del matrimonio della cognata. Una data per cui Isabella si era preparata a lungo, visto che le doveva fare da damigella. A rendere speciale questo avvenimento era il rapporto simbiotico tra le due sorelle.
Per l’occasione, la sposa, aveva chiesto, rigorosamente, di indossare un abito rosa, un colore che si intonava, guarda caso, con la camera di albergo dove alloggiavano la sera prima del matrimonio. Era passato molto tempo da quando marito e moglie non stavano soli nella stessa stanza.
L’abito l’aveva fatto confezionare alla miglior sarta del paese. Lo stesso dove si sparlava del matrimonio in questione e dell’onestà della sposa.
Isabella si schiarì la voce dal pianto e si girò verso Armando.
«È uno scherzo, vero?»
«No Isabella.»
«È solo un momento di crisi, sai capita dopo tanti anni. Riproviamoci!»
«Non mi sembra il caso.»
«Invece sì. Dopo dieci anni di matrimonio me lo devi.»
«Va bene, ma tanto sai che non cambierà nulla? Io non ti amo più e ci faremmo solo del male.»
Isabella fu presa da una feroce ira, indossò le sue scarpe rosa con tacco dodici e iniziò a fare su e giù per tutta la stanza. Il rumore dei tacchi indicava il suo nervosismo. I pensieri si affollavano e le parole erano difficili da dover articolare, così continuò con la voce di chi ha paura della verità.
«Chi è lei?»
Armando tacque
«È bella?»
Nonostante il silenzio del marito non aveva nessuna intenzione di dargli tregua. Ciò che le stava facendo era imperdonabile, inoltre proprio quel giorno e in quel posto.
Isabella aveva sfruttato l’occasione di quel matrimonio, in una località così romantica, con qualcosa di retrò, per provare a recuperare un rapporto ormai spento.
Infatti il loro soggiorno doveva continuare ancora una settimana dopo la cerimonia. Sperava che quel posto fuori dal tempo riaccendesse la passione, ma quella stanza la stava condannando alla verità.
«Da quanto tempo dura?»
A quel punto Armando si guardò nello specchio dell’armadio e si sentì una feccia umana.
«È una vita che la conosco, ma a volte è meglio non sapere.»
Per un attimo avrebbe voluto togliersi la scarpa e buttagliela addosso e invece se la prese con il suo vestito strappandosi tutto il tulle che ricopriva la gonna di raso. Voleva solo urlare, ma non lo fece.
Sapeva che l’uomo in quanto tale non avrebbe avuto mai il coraggio di dirle la cruda verità, così prese la valigia e mentre stava per raggiungere l’uscita, il telefono rosa su suo comodino squillò. Era sua sorella.
«Mi dispiace, non mi sposo più, mi sono innamorata di Armando.»
Isabella uscì da quella stanza e dalla vita di entrambi.
Un tripudio di tulle e seta che ti fasciava in modo superbo.
In quel paesino della Sicilia, il vestito bianco era prerogativa di chi aveva avuto un regolare fidanzamento ed era arrivata pura al matrimonio e quindi tu, che vivevi già da tempo con papà e per giunta avevi avuto anche me, avresti dovuto ripiegare sul colore beige, che solo a pensarci, ti faceva rabbrividire dall’orrore.
Avevi scelto così l’abito delle fate, così come l’avevo chiamato io, appena visto per la prima volta.
A distanza di anni, avevo capito che quel colore rosa e quel matrimonio voluto a tutti i costi, ti dovevano ripagare di tante piccole umiliazioni, non avevi niente di cui vergognarti e lo volevi sbattere in faccia al mondo. Quel mondo che non sopportavi più, che viveva di ovattati bisbigli dietro le tende scostate delle finestre, di sguardi d’accusa e di silenzi incomprensibili. Io, fin da piccola, percepivo tutto questo e mentre camminavamo insieme per strada, ti stringevo più forte la mano.
Ricordo anche che avevi voluto cambiare la vecchia camera da letto con una nuova, chiara e dallo stile romantico, costava un bel po’, ma papà ti aveva accontentata.
L’avevi arredata con tappeti bianchi e cuscini rosa e perfino il telefono, poggiato sul comodino, era della stessa tinta.
A distanza di tempo, capisco che anche quello era un modo per uscire dal grigiore in cui ti sentivi imprigionata.
La sera, di ritorno dal matrimonio, calzate le pantofoline di raso rosa, ti eri seduta sul bordo del letto, avevi accavallato le belle gambe e il vestito si era aperto come un fiore, eri un incanto…
In quel momento era entrato papà e aveva detto: «Calimero, la mamma è stanca. Fila a dormire!»
Quel nomignolo, mi era rimasto appiccicato addosso dalla nascita, quando papà, vedendomi per la prima volta, si era reso conto che avevo ereditato i suoi colori scuri e che di te, così bionda e chiara, non avevo proprio niente.
Così, quell’aria delicata che ti avvolgeva, piano piano, ha fatto nascere in me il desiderio di proteggerti, avevo capito che, delle due, ero io la più forte e l’ho fatto a scapito di non potere vivere appieno la mia infanzia e di tradire poi, la mia adolescenza.
Papà non si era mai voluto accorgere del tuo disagio, così avevo capito che toccava a me prendermi cura di te, e sai, vivevo con la paura di non trovarti più a ogni ritorno a casa.
Non è stato facile, ma ti ho voluto bene così.
E anche tu me ne hai voluto a modo tuo, vero, mamma?
Ora che la tua delicata bellezza ha lasciato il posto alla fragilità degli anni, siamo ancora insieme.
Guarda com’è ancora bello l’abito delle fate! Ogni volta che lo distendo sul letto, ti brillano gli occhi e mi cerchi la mano e io, come sempre, sono qua a stringerla più forte, come una volta, ricordi?
RispondiElimina1- Nonna
2- L'abito delle fate
3- La verità in una stanza
Nonna
RispondiEliminaBugie senza nome
Whisky e latte di capra
(Silvia Garioni)
Cesare Sordi
RispondiElimina5
7
9
1. n.6
RispondiElimina2. n.8
3. n.9 Lella Brioschi
1. Bugie senza nome
RispondiElimina2. Whisky e latte di capra
4. Nonna
M.Cristina Bellavita
Voto elaborato 2 - 4 - 7
RispondiElimina3, 8, 9
RispondiElimina2,3,5
RispondiEliminaElaborati 2/5/6… in bocca al lupo a tutti! Antonella Malvestiti
RispondiEliminaVoto gli elaborati 4 - complimenti per la verve -, 1 e 2.
RispondiEliminaLuca Togni
Voto:
RispondiEliminaelaborato 6
elaborato 7
elaborato 2
Voto 2,3, 5 Andrea Sordi
RispondiEliminaLe mie tre scelte:
RispondiElimina- Elaborato 1: Il rosa non fa per me
-Elaborato 7: Evergreen
-Elaborato 9: L'abito delle fate
Colla nadir,4 whisky e latte di capra,5 quel senso di d'inquietudine,6 nonna
RispondiElimina3 Nove giorni - 6 Nonna- 8 la verità in una stanza . Naiem Asma
RispondiEliminaBugie senza nome per le descrizioni che ti portano nel racconto, l'originalità della storia e la perfetta collocazione tem
RispondiEliminaBugie senza nome
RispondiEliminaPer le descrizioni che ti portano nel racconto, l'originalità della storia, collocazione in questo tempo.
L'abito delle fate per la storia.
Nonna per i ricordi che evoca.
Michela Rossi
Voto gli elaborati: 3, 5, 6; in bocca al lupo a tutte/i, ciao da Emanuela Tomiato
RispondiEliminaVoto l’elaborato numero 1: IL ROSA NON FA PER ME, per la delicatezza delle immagini e la bella scrittura, l’elaborato numero 4: WHISKY E LATTE DI CAPRA, per la scrittura originale e frizzante, infine l’elaborato numero 5: QUEL SENSO DI INQUIETUDINE, perché l’ho trovato lieve, toccante e malinconico. Complimenti a tutti! Alessandra Nobile
RispondiEliminaSono Elena Mazza
RispondiEliminaElaborato 5 quel senso d' inquietudine
Elaborato 8 la verita' in una stanza
Elaborato 9 l'abito delle fate
Io voto 4 Whisky e latte di capra, 5 Quel senso d’inquietudine, 6 Nonna. Manuela Cason
RispondiEliminaN.2 bugie senza nome
RispondiEliminaN.4 whisky e latte di capra
N.8 la verità in una stanza
Ilaria Luce Alesina
Voto gli elaborati n.2, n.4 e n.9
RispondiEliminaComplimenti a tutti.
Barbara Romano
Le mie scelte
RispondiEliminaElaborato 6 Nonna
Elaborato 2 Bugie senza nome
Elaborato 8 La verità in una stanza
bravi tutti !
Linda Scarpenti
RispondiEliminaElaborato 2 - Bugie senza nome
Elaborato 4 - Whisky e latte di capra
Elaborato 8 - La verità in una stanza