Seduti allo stesso tavolo

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Il nuovo romanzo di Stefania Convalle, sul mondo dell'editoria.

giovedì 4 dicembre 2025

Numero 484 - 800 Metri di Parole - Quarta tappa + Informazioni sul proseguimento della gara - 4 dicembre 2025


 

Prima di proporvi le otto recensioni dei film scelti dagli 8 concorrenti, vi aggiorno sulla gara, sia come risultato al momento della gara stessa, sia relativamente ad alcune evoluzioni che ho deciso per alzare l'asticella della suspense.

VI CHIEDO DI LEGGERE CON ATTENZIONE PER EVITARE DI RENDERE NULLO IL PROPRIO VOTO


COME SI VOTA DA OGGI

Da questa fase, si passerà a una votazione segreta per mantenere la suspense, come detto prima. 

Chi vorrà esprimere il proprio voto dovrà scrivere a steficonvalle@gmail.com scrivendo in OGGETTO: Gara scrittura. 
Ci sarà tempo per votare fino a mercoledì 11 dicembre 2025, ore 20:00.

IMPORTANTE: a partire da questa votazione, potranno votare anche i concorrenti (tranne che per sé stessi), questo a significare una volta di più lo spirito che deve albergare in questa gara, che si chiama così per comodità di linguaggio, ma che è una condivisione tra amici di una stessa passione. 

Nella mail si dovranno esprimere tre preferenze, titolo e nome dell'autore, con le TRE motivazioni che hanno portato chi vota a scegliere proprio quei tre testi.

Questo perché a noi interessa che chi vota legga con attenzione i testi e scelga a mente libera ciò che più lo ha colpito, spiegandocelo, cosa gradita a me e agli autori stessi. 
(Le motivazioni più articolate e significative verranno postate da me in un commento a votazione conclusa).

Amo precisare che questa gara è una non-gara, nel senso che ci sono 8 autori di Edizioni Convalle che partecipano per giocare con i propri colleghi della stessa casa editrice, senza sentire la gara in quanto tale, ma per condividere qualcosa di piacevole secondo il famoso spirito di squadra che ci contraddistingue. 

Quindi non sono i numeri che inseguiamo, ma il confrontarci con i lettori in uno scambio intellettuale che sia arricchente per ognuno di noi. 

Ecco spiegato il motivo di chiedere un voto espresso come spiegato, per dare valore a questa esperienza, al di là del numero dei votanti che non è l'obiettivo che inseguiamo.


COM'È ANDATA LA TERZA TAPPA, QUELLA DELLE CANZONI?


A conclusione del conteggio dei voti, ritenendo validi solo i voti dati secondo le indicazioni date precedentemente - non sono stati conteggiati voti anonimi né incompleti in qualche parte - ci sono due autrici che si sono aggiudicate la tappa: GRAZIELLA BRAGHIROLI e ADELIA ROSSI.
Un testa a testa che ha visto diverse penne coinvolte, con distacchi di pochi voti, a volte solo uno, tra gli 8 concorrenti. 
Complimenti a tutti, per l'impegno e i bei testi scritti per questo appassionante confronto letterario.

Un complimento speciale, però, voglio rivolgerlo alla giovane autrice CHIARA DE MAS che - adesso posso dirlo - a mio giudizio ha scritto il pezzo più bello della terza tappa. 
Chiara è stata molto coraggiosa a buttarsi in questa sfida, perché si confronta con persone con più esperienza, e lei si sta affacciando a questo mondo, ma da quello che sto leggendo di lei in questa esperienza di 800 Metri di Parole, devo dire che è proprio brava. Sono molto contenta che sia tra gli autori di Edizioni Convalle.



E ADESSO ECCO A VOI LE 8 RECENSIONI DELLA QUARTA PROVA 

(nell'ordine in cui mi sono arrivate)


TATIANA VANINI

RECENSIONE AL FILM 

"FORREST GUMP"

 


"Forrest Gump" è uno di quei film che restano impressi non solo per la storia che raccontano, ma per come riescono a farci guardare la vita con occhi diversi. Diretto da Robert Zemeckis e interpretato in modo unico da Tom Hanks, il film del 1994 è diventato un classico del cinema contemporaneo grazie alla sua capacità di mescolare commedia, dramma e riflessione esistenziale con una naturalezza che incanta.
La trama segue la vita di Forrest, un uomo con un basso quoziente intellettivo ma dotato di una sensibilità limpida, di una bontà disarmante e di una tenacia che lo porta, quasi per caso, al centro di momenti cruciali della storia americana del Novecento. Seguendo il suo sguardo ingenuo e sincero, entriamo in contatto con eventi iconici: dalla guerra del Vietnam alla nascita della cultura hippie, dallo scandalo Watergate alla corsa di lunga distanza che diventa un fenomeno mediatico.
Il cuore emotivo del film è però la relazione tra Forrest e Jenny, amica d’infanzia e amore impossibile. La vita di Jenny procede in direzione opposta a quella di Forrest: mentre lui attraversa il mondo con una purezza quasi infantile, lei cerca disperatamente un posto a cui appartenere, oscillando tra ribellione e autodistruzione. Questa tensione crea una delle storie d’amore più struggenti del cinema, fatta di momenti mancati, incontri fugaci e un legame che resiste nonostante tutto.
Tom Hanks offre una delle interpretazioni più memorabili della sua carriera: riesce a esprimere innocenza senza risultare infantile, semplicità senza ingenuità forzata, e una profondità emotiva che lascia il segno. Grazie a lui, Forrest diventa un personaggio universale, capace di rappresentare la forza dell’essere autentici anche in un mondo complesso e caotico.
La regia di Zemeckis fa un uso innovativo degli effetti speciali per inserire Forrest in filmati d'epoca accanto a presidenti e figure storiche. Una scelta che poteva sembrare artificiosa si rivela invece integrata alla perfezione nel tono del film, donandogli un tocco di leggerezza e ironia.
La colonna sonora merita un elogio a parte: una raccolta di brani che attraversano gli anni Sessanta e Settanta, capace di accompagnare la narrazione con precisione emotiva e storica.
Forrest Gump è un film che parla della vita in tutte le sue sfumature: l’amore, la perdita, la casualità, la resilienza. È un invito a guardare oltre le apparenze, a trovare valore anche nei percorsi più semplici, e a ricordare che la vita è come una scatola di cioccolatini. Un classico senza tempo, emozionante e profondamente umano.

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GRAZIELLA BRAGHIROLI

RECENSIONE DEL FILM

"SATURNO CONTRO"




"Saturno contro", uno dei film più intensi della filmografia di Ferzan Özpetek, è una storia che parla di sentimenti, di fragilità e di legami messi a dura prova. È un'opera costruita attorno a una comunità di amici che diventa famiglia e mette in evidenza l'incapacità o la paura di affrontare il dolore quando la vita decide di mettersi contro.
Il film si apre con il calore del vivere quotidiano: cene, battute, piccoli rituali che tengono unito un gruppo eterogeneo di amici.
Si sorride, ma l'apparente serenità si spezza quando Lorenzo, interpretato da un sorprendente Luca Argentero, viene colpito da un malore che lo farà  entrare in un coma che non gli lascerà scampo.
Il primo a crollare è Davide, che Pierfrancesco Favino interpreta in modo magistrale. L'attore rende quasi palpabile la disperazione, il dolore e il vuoto che lo assale quando la persona che ama se ne va per sempre.
Lo affianca Roberta, a cui dà vita un'intensa Ambra Angiolini. Roberta è la più fragile del gruppo, la più  irrequieta e instabile. La sua sofferenza non è composta, è  una richiesta di aiuto, un bisogno di essere vista e accolta per quello che è.
E poi Margherita Buy, con quella vulnerabilità che la contraddistingue; Stefano Accorsi, incapace di dare una direzione alla propria vita; Ennio Fantastichini, con la sua ironia e saggezza mista a rabbia; Isabella Ferrari, elegante e magnetica nel suo modo silenzioso di essere presente. Indimenticabile Serra Yilmaz, attrice di spicco nei film di Özpetek, che colpisce per la sua umanità, naturalezza e profonda empatia.
Il regista tratta con delicatezza il tema dell'amore oltre la coppia tradizionale. Mostra persone che non sono eroi, né martiri ma esseri fragili che cercano di vivere anche quando l'equilibrio si spezza. Tutti, nel film, devono affrontare qualcosa che non sanno come gestire: l'amore che si consuma, il tradimento, la paura di perdere qualcuno.
In definitiva, "Saturno contro" è uno di quei film che  non cerca di scandalizzare o di stupire a ogni costo, ma ti emoziona e ti costringe a fermarti un attimo dopo la fine, seduto in silenzio, come se avessi appena parlato con qualcuno che ti capisce davvero.

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LUIGI BESANA
RECENSIONE DEL FILM


 

Ero giovanissimo, ricordo la sala del Cineforum. Andavo con dei compagni ai quali piacevano, come a me, i film impegnati, si diceva così dei lungometraggi che avevano un significato sociale o politico e richiedevano una riflessione sulla tematica. Periodicamente proiettavano delle pellicole datate e per il successo ottenuto divenute cult. Quasi tutte erano del periodo neorealista italiano nato nel dopoguerra, sempre in bianco e nero, che esaltavano i contrasti e aumentavano l'impatto visivo. 
Il film che sento di rivedere è "La strada" di Federico Fellini, con la coinvolgente colonna sonora di Nino Rota. 
Girato nel 1954 e realizzato sul tema problematico del destino umano, sull'esistenza di coloro che non vivono, ma si lasciano travolgere dalla vita, chiusi in una specie di abulia. Pur nel drammatico scorrere degli eventi, la vicenda è percorsa da una malinconica e tenera poesia. 
I personaggi generati dalla fantasia del regista sono dei vinti per temperamento o per ambiente, oppure perché un'inferiorità psichica li chiude in un isolamento sociale d'incomunicabilità e solitudine. Il dramma è profondo ed esprime la pietà per gli umiliati e offesi. 
Fellini ha scelto due protagonisti estremi: un bestione tutto muscoli e nervi, involucro di un cervello cieco. Sullo schermo è il poderoso Anthony QuinnE un'infelice giovinetta, Gelsomina, la cui mente è rimasta ferma a uno stadio d'infantilismo, incapace di giudizio e volontà. Lui, Zampanò, non conosce altro che i bisogni elementari: mangiare, bere due fiaschi di vino alla volta e appartarsi con qualche donna occasionale che non disdegni la sua violenza. Non sa compiere altro mestiere che il mangiafuoco e l'erculeo che spezza le catene di ferro col torace; si esibisce nelle desolate piazzette di contrade solitarie, fra la povera gente. 
Gelsomina, che la madre ha venduto per diecimila lire all'artista vagabondo per avere una bocca in meno da sfamare, è perfetta nell’interpretazione di Giulietta Masina, moglie dello stesso regista, per il rilevante annullamento della personalità.
«Ma sei sicura di essere una donna?» le chiede un giorno Il Matto, altro artista girovago che incontra la coppia, la sola persona a usare gentilezza verso la ragazza. Fondamentale il dialogo filosofico in cui cerca di spiegare a Gelsomina che ogni persona, anche se insignificante per il mondo, ha un suo scopo nella vita. Il Matto è quindi ucciso da Zampanò perché non tollera i suoi scherzi. È il punto di svolta della trama del film.
Gelsomina, nonostante la mente ottenebrata intuisce la sua sofferenza di essere inutile nell'ingenuo vibrare di un amore casto, reso più intenso dal delitto di Zampanò, si lascia morire di dolore e di annientamento.
L'attore Anthony Quinn ha costruito il suo personaggio con intensa bravura, sia nelle scene di animalesca impulsività, sia nel torvo maturare del rimorso nelle scene finali, in cui scoppia in un pianto nella solitudine di una spiaggia sperduta, sotto un cielo di remote stelle.
La morte di Gelsomina ha redento la bestia e ha rivelato anche a lui la realtà di una consapevolezza umana.
Il film è proposto in forma nuova e originale, per quel tempo. Si potrebbe definire un realismo visionario per i contenuti onirici e simbolici. Induce a riflettere sul fine di ogni essere vivente esistente nel mondo. Un film denso, i cui personaggi sono le metafore della lieve luce della coscienza, che diviene consapevole della propria umanità.

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SILVANA DA ROIT
RECENSIONE DEL FILM


 

Clint Eastwood, regista e protagonista principale, costruisce con "Gran Torino" un racconto asciutto e potente, un viaggio morale in cui il dolore, il pregiudizio e la solitudine si confrontano con la possibilità di rinascita e il senso di responsabilità verso gli altri.
Walt Kowalski, un veterano della guerra di Corea, vive isolato nel suo quartiere multietnico. Ostile ai nuovi vicini di origine orientale, entra in conflitto con una gang che minaccia un ragazzo timido, Thao. Difendendolo, Walt viene coinvolto nella vita della famiglia e sviluppa un legame inatteso. Mentre la violenza della gang aumenta, Walt comprende il proprio passato irrisolto e decide di proteggere Thao e sua sorella. Il suo gesto finale, estremo e consapevole, diventa l'atto conclusivo di redenzione e passaggio di eredità morale.
La regia di Eastwood evita l'enfasi spettacolare e preferisce la concretezza. Qui, silenzi, sguardi, gesti quotidiani e momenti in apparenza banali rivelano tanto quanto una grande scena drammatica. Ed è proprio la sobrietà narrativa a rendere la trasformazione del protagonista verosimile. Lo spettatore assiste non a un gesto eroico costruito, ma a una metamorfosi interiore, lenta e dolorosa.
La colonna sonora, mai invadente, accompagna i momenti chiave con delicatezza; non enfatizza con forzature, si mette al servizio dell'anima del film, amplifica l'intimità, modula l'emozione, accompagna la transizione interiore del protagonista.
La fotografia e l'ambientazione accentuano la veridicità della trama. Il quartiere, le case modeste, le strade ordinarie, l'insegna consumata della casa, l'auto riflettono l'anima del protagonista, quella di un uomo ferito e amareggiato. L'ambientazione grigia, quasi quotidiana, diventa specchio di memoria, declino, rigidezza, ma anche di umiltà, concretezza, trasformazione. L'auto del protagonista, una Gran Torino Ford, simbolo del suo passato e della sua identità, perde a poco a poco la sua staticità di mero oggetto materiale per diventare metafora del cambiamento.
La scena della morte di Walt rappresenta il culmine di questo arco trasformativo. L'inquadratura pulita e misurata, il ritmo rallentato, la quasi assenza di musica anticipano un gesto che parla da sé, potentemente umano. Walt si presenta davanti alla casa della gang in una notte silenziosa, illuminata soltanto dalle luci fredde della strada, tiene le mani in tasca. La gang esce minacciosa. Walt, con un gesto teatrale e disarmante, porta la mano all'interno del giubbotto come se stesse per estrarre un'arma. Poi, forma con indice e pollice una pistola simbolica, una parodia dell'atto violento che tutti si aspettano da lui.
Infine, estrae l'accendino con un gesto che la gang interpreta come una minaccia, e cade a terra colpito a morte. L'unica arma che aveva era la scelta di esporsi.
È qui che la regia, la fotografia e la musica si fondono in un'immagine indimenticabile, dove si consuma la rinuncia alla violenza e al pregiudizio, a favore di un atto di amore e protezione verso chi rappresenta il futuro. Difatti, prima che scorrano i titoli di coda, vediamo Thao guidare la Gran Torino, lasciatagli in eredità da Walt.

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TANIA MIGNANI
RECENSIONE DEL FILM


Diretto da Sofia Coppola nel 2003, "Lost in Translation" è un film delicato e sospeso, una meditazione sulla solitudine, su quei legami improvvisi che nascono nei momenti più inattesi. Ambientato in una Tokyo frenetica e alienante, il film segue le vite parallele di Bob (Bill Murray), un attore in declino impegnato a girare uno spot pubblicitario, e Charlotte (Scarlett Johansson), una giovane donna alla ricerca di un senso alla propria vita.
La forza del film risiede nella capacità di raccontare la sensazione di essere fuori posto come se si osservasse il mondo da dietro un vetro. La regia, delicata e mai invadente, osserva i personaggi con affetto senza indulgere nel sentimentalismo, lasciando che siano la luce di Tokyo, gli spazi anonimi degli hotel e le notti insonni a raccontare ciò che loro stessi non riescono a esprimere.
C’è un equilibrio raro tra malinconia, ironia e dolcezza.
La città, filtrata dallo sguardo spaesato dei protagonisti, diventa una presenza viva e pulsante, un riflesso del loro stato d'animo. L'estetica — luci al neon, scorci notturni, interni eleganti e impersonali — contribuisce a costruire un ambiente che è insieme reale e illusorio.
Ed è in quello sfondo che Bob e Charlotte si trovano. Non c'è quasi  nulla di esplicito tra loro, eppure c'è tutto: la tenerezza, il bisogno disperato di sentirsi visti da qualcuno. È una storia di vicinanza emotiva, più che di fatti.
Bill Murray offre una delle sue interpretazioni più toccanti, dietro la sua comicità trattenuta emergono fragilità, saggezza e un senso di disincanto profondamente umano.
Scarlett Johansson, con un personaggio ben più introverso, riesce a trasmettere inquietudine, curiosità e vulnerabilità con una naturalezza impressionante. La chimica fra i due non è mai forzata: è una connessione sottile, credibile, che cresce scena dopo scena. Entrambi non solo recitano, sembrano abitare davvero quel momento della loro vita.
La colonna sonora, minimalista e sognante, contribuisce a creare quell'atmosfera contemplativa e ovattata che è diventata uno dei marchi distintivi del film.
Ma è il finale che dà il vero senso a tutto il film.
Quando Bob rincorre Charlotte tra la folla di Tokyo, c'è qualcosa di profondamente umano in quel gesto, il bisogno improvviso di non lasciare andare una persona che, anche per poco, ha visto una parte di lui che nessun altro vede. Nel loro abbraccio c'è una tenerezza che non ha bisogno di promesse. È il contatto tra due solitudini che hanno trovato una forma di pace l'una nell'altra. E le parole che lui le sussurra sono un dono privato che non appartiene allo spettatore. È come se il film ci dicesse: non tutto ciò che è importante deve essere rivelato.
Quando si separano, non c'è tragedia né dolore. Solo un sollievo silenzioso, la consapevolezza che qualcosa di prezioso è accaduto, e che continuerà a esistere proprio perché non ha avuto bisogno di definirsi. Lascia un nodo alla gola, una malinconia quieta, una di quelle che non spaventano, perché custodiscono un ricordo che fa bene anche mentre fa male.

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MARIA RITA SANNA
RECENSIONE DEL FILM



È innegabile che il mondo avventuriero e mitologico abbia su di me una suggestione potente.
Nel film di cui vi parlo, "C'era una volta il West", il regista Sergio Leone ha trasformato la ricostruzione storica del leggendario Far West americano in un mondo come sospeso nel tempo dove gli uomini osservano un'unica legge: quella della pistola. Il mito di quel contesto storico, poi, è stato trasformato in esperienza sensoriale grazie alle musiche, e ai suoni che accompagnano le scene, dal grande Maestro Ennio Morricone.
La storia inizia con l'uccisione di un proprietario terriero e i suoi tre figli, allo scopo di impadronirsi di un fazzoletto di arida terra, ma strategico grazie all'unica falda acquifera, e punto focale di attraversamento della futura linea ferroviaria.
La ferocia dell'assassinio eseguito da Frank, interpretato da un sorprendente e glaciale Henry Fonda, appare come cosa semplice e normale. Ci si ritrova, invece, nell'immediato, a capire le tante dinamiche di un mondo complesso, dove i personaggi sono spogliati della moralità e con sentimenti contrastanti. A questo male si oppone il bene: la vedova Jill McBain, interpretata dalla bellissima Claudia Cardinale, a cui non sfugge il destino che l'attende. Il suo sguardo magnetico non turba il cattivo di turno, ma con determinata lucidità e dignità la sua figura avrà un ruolo caratteristico nel film.
Tra le due forze entrano in gioco altri elementi scatenanti storie dal sapore enigmatico e inquietante. Armonica è un misterioso e affascinante pistolero, interpretato da Charles Bronson, veloce a sparare quanto bravo a suonare l'armonica; Cheyenne è un fuorilegge romantico, interpretato da Jason Robards.
I dialoghi tra i pistoleri sono intrisi di sottintesi, soprattutto quelli tra Frank e Armonica, fanno intuire un antico legame, a cui si aggiunge la profondità di un segreto rivelato solo nel finale. I personaggi non sono più buoni o cattivi, ma ossessionati dalla vendetta e perseguitati dai propri fantasmi. 
La colonna sonora del film è potente come solo il memorabile Ennio Morricone poteva crearla.
Le sue musiche diventano voci interiori dei protagonisti, come il lamento dell'armonica che introduce Armonica, il pistolero; oppure la melodia profonda e malinconica che accompagna ogni scena di Jill, voce senza parole, molto suggestiva per l'unica donna protagonista; oppure, ancora, la musica che evoca un senso di paura o avventura spensierata. I suoni della natura, cigolii, cicale, vento, passi, scandiscono la tensione fino allo sparo, segno di un destino inevitabile.
L'atmosfera è resa epica da azioni ad alto impatto emotivo e tempi dilatati, da volti carismatici dai profili in ombra ma, anche, da primi piani intensi; certe inquadrature danno la sensazione di vivere tra quegli aridi contorni, mentre i suoni schioccanti e decisi tengono il fiato sospeso.
Sergio Leone ha regalato al pubblico un film capolavoro, capace di affascinare ancora oggi grazie alla perfetta fusione tra immagini e musica, con protagonisti della grande Hollywood.
"C'era una volta il West" rimane nella storia come un grande racconto tra mito e leggenda.

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CHIARA DE MAS
RECENSIONE DEL FILM
"TI VA DI BALLARE?"


"Ti va di ballare?" è un film statunitense del 2006, diretto da Liz Friedlander e interpretato da un bravissimo Antonio Banderas. L'opera si ispira alla storia vera di Pierre Dulaine, un insegnante di ballo da sala di Manhattan che, spinto da una profonda passione e dalla fiducia nelle potenzialità dell'arte, decide di offrire le proprie competenze ai ragazzi più problematici di una scuola pubblica newyorkese.
L'incontro tra Pierre e un gruppo di studenti che vandalizza un'auto segna l'inizio di un percorso difficile, ma sorprendentemente umano. Pierre decide di voler in qualche modo aiutare i ragazzi dei quartieri più disagiati, così, quasi contro ogni logica e aspettativa, propone alla preside di una scuola lezioni di danza per i suoi studenti più indisciplinati. La risposta iniziale è prevedibile: ostilità, sarcasmo, diffidenza. Eppure, lui non demorde. Con una calma che sfiora l'ostinazione, continua a credere che la disciplina, il rispetto e l'armonia del ballo possano diventare strumenti di riscatto e, piano piano, anche questi studenti problematici iniziano ad apprezzare gli sforzi e la passione di Pierre.
L'incipit del film è quasi poetico: montaggi alternati mostrano due mondi che sembrano non poter mai dialogare tra loro. Da un lato l'eleganza, la compostezza e il rigore del ballo classico da sala; dall'altro l'energia ruvida delle strade, dei conflitti tra gang, della sopravvivenza quotidiana. Questa contrapposizione iniziale non è mai caricaturale, ma serve a preparare lo spettatore al tema centrale del film: la possibilità di incontro tra universi apparentemente incompatibili.
Uno dei punti più riusciti della pellicola è la scelta di soffermarsi sulle vite degli studenti al di fuori della scuola. Non si tratta di un semplice espediente narrativo, ma di un modo efficace per far affiorare le ferite, le responsabilità precoci, le disillusioni che alimentano la loro rabbia. 
Con brevi scene quotidiane, il film mostra contesti familiari difficili, pressioni sociali oppressive e realtà segnate da spaccio, gang e dipendenze. Lo fa senza spettacolarizzare il dolore, mantenendo uno sguardo rispettoso e privo di giudizio. È proprio nella delicatezza di questi tocchi che "Ti va di ballare?" dimostra la sua autenticità.
Le lezioni di Pierre diventano progressivamente un luogo di sospensione dal caos: un ambiente in cui i ragazzi imparano non solo passi di danza, ma soprattutto disciplina emotiva, autocontrollo e fiducia. La trasformazione non è immediata né eccessivamente idealizzata; avviene per piccoli passi, tra scontri, incomprensioni e timidi momenti di apertura. Il film mostra con coerenza come il ballo diventi un linguaggio alternativo, in grado di dare voce a emozioni che i protagonisti non sanno o non riescono a esprimere. Un linguaggio universale.
"Ti va di ballare?" è, in definitiva, una storia di incontro, crescita e possibilità. Non pretende di risolvere i problemi sociali che racconta, ma offre uno sguardo sincero sul potere dell'arte come spazio di guarigione e di rinascita. È un film semplice nella struttura, ma sorprendentemente efficace nella sua capacità di emozionare e lasciare un messaggio di speranza senza mai risultare retorico. Infine, sapere che si tratta di una storia vera, riscalda l'anima. Assolutamente consigliato.

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 ADELIA ROSSI
RECENSIONE DEL FILM



"Romeo e Giulietta". Un film la cui storia d'amore ancora oggi suscita emozione per quella forza capace di affrontare i pregiudizi.
Tante versioni sono state portate in scena ma, per fedeltà al testo originale, uscito dalla grande penna del drammaturgo e poeta William Shakespeare, mi ha colpita maggiormente quella girata e rappresentata dal famoso regista Franco Zeffirelli che con la sua eccellente direzione lo ha reso ancora più emozionante dando vita a una pellicola rimasta viva nella mente di tutti. Non meno importante la scelta di affidare al magistrale Nino Rota la direzione della colonna sonora che ha ben rappresentato soprattutto i momenti chiave del film creando scene di grande romanticismo. Ottima anche la scelta dei giovanissimi attori protagonisti che, perfettamente in sintonia tra di loro, hanno saputo dare vita a una grande interpretazione fatta di sguardi e tocchi fugaci, quasi a voler trattenere a sé il più possibile l'amore l'uno dell'altra in un disperato bisogno di appartenersi. In questo capolavoro il regista ha voluto trasmettere l'impatto devastante di una storia dove l'amore puro e appassionato di due giovani si scontra con la violenza e l'odio, ma soprattutto dove, i personaggi, nonostante il desiderio di essere felici, non riescono a fuggire al loro destino.  
A dare un'impronta positiva al film è anche  la location. Una Verona d'altri tempi che con le sue mura simboleggia la chiusura di un'epoca fatta di falsità, apparenze e complotti così da  rendere più forte la faida tra le due famiglie rivali: i Capuleti  e i Montecchi, per l'appunto.
Una struggente storia d'amore considerata capolavoro della letteratura mondiale. Una passione non svelata dove il tutto si avvale di travestimenti e scambi d'identità, dove rabbia e dolore si alternano alla speranza. Un sentimento sbocciato durante un ballo in maschera che la famiglia di Giulietta organizza per farle incontrare il nobile conte Paride, suo pretendente e predestinato dalla famiglia. A sua volta Romeo vi partecipa incoraggiato dagli amici e protetto dalla maschera che gli permette di restare ignoto, nella speranza di poter incontrare Rosalina, la ragazza di cui è innamorato, ma il destino “invece” ha in serbo ben altro e, prima ancora che la loro identità si manifesti, s’innamorano perdutamente.
Sarà poi la balia di Giulietta insieme e padre Lorenzo, che spera con questo gesto di riunire le due famiglie, a organizzare in gran segreto il matrimonio. 
Vi lascio qui cari lettori. A voi valutare e considerare la bellezza con la quale il regista ha saputo concludere le ultime scene. Un'opera che vi stupirà per la sua grandezza, per l'interpretazione degli attori, l'accompagnamento della musica e per il fascino dell'ambientazione. Un film che vi farà comprendere perché "Romeo e Giulietta" resta ancora oggi la più bella storia d'amore d'altri tempi.  
Buona visione a voi.

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Ora tocca a voi, lettori affezionati di questo Blog e della Pagina Facebook di Edizioni Convalle.
Leggete e non fatevi condizionare né dal film, in caso fosse tra i vostri preferiti (non si vota il film ma la recensione), né da quale firma porta la recensione, MA esprimete le vostre preferenze oggettivamente, perché è così che il gioco diventa costruttivo.


Alla prossima
dalla vostra 
Stefania Convalle



martedì 2 dicembre 2025

Numero 483 - Conosciamo meglio Luigi Besana, concorrente di 800 Metri di Parole - 2 Dicembre 2025

 



Oggi conosciamo meglio un altro concorrente della gara in corso 800 Metri di Parole: Luigi Besana.
Lo conosco da svariati anni, facevo le mie prime presentazioni - ero all'inizio della mia carriera - e lui era tra il pubblico di una serata in una associazione culturale nei pressi di Como. Ricordo il suo sguardo attento e sempre estremamente gentile. Di presentazione in presentazione, di anno in anno, la conoscenza si è approfondita e ho saputo della sua poesia. E poi, con grande orgoglio mio di editrice, è diventato un autore di Edizioni Convalle. Ma leggiamo le belle cose che Luigi ha deciso di raccontarci, attraverso le mie domande.

Ti ho conosciuto, caro Luigi, tanti anni fa, al Circolo Il Dialogo, durante una mia presentazione. Ricordo che mi parlasti del tuo grande amore per la poesia.
Ci racconti com'è nato questo importante incontro con la tua poetica? 

Il mio incontro con la poetica è iniziato durante gli anni di scuola. In italiano me la cavavo più che bene; purtroppo, per motivi di famiglia non ho potuto frequentare gli studi classici, ma le letture e un diario per fissare i miei pensieri sono stati sempre il mio passatempo preferito, anche se mi sentivo incompleto. Mi sono avvicinato alla poesia perché la sentivo compatibile con la mia sensibilità.

Nella tua poesia, come anche nei brevi racconti che scrivi, c'è molto "pensiero": sei un filosofo, ai miei occhi, oltre che poeta. Com'è stato questo incontro tra poesia e pensiero filosofico, quale è nato prima? 

Sono nati, posso dire, insieme. Uno non escludeva l'altro. La poesia esprimeva il mio stato d'animo e poteva rappresentare ciò che mi circondava, nello stesso tempo approfondivo altri argomenti che m'interessavano: filosofia, religioni e tante altre teorie.

Tu vivi il tuo essere artista in modo assai riservato. È una scelta? E se così è, cosa ti spinge a restare tanto "al riparo", diciamo così…

Tutto fa parte del mio carattere. Non riesco, per così dire, a propormi agli altri, preferisco che siano loro a valutare come sono, secondo la loro considerazione e volontà. Sì, in questo modo è un vivere ai margini, ma è un tipo di solitudine che ho quasi sempre provato.

La tua cultura – che conosco bene soprattutto dalla nostra prima intervista per presentare la prima silloge poetica pubblicata con Edizioni Convalle, "L’erba sogna il cielo" – è vastissima. Che peso ha avuto nella tua scrittura?

Io penso che per scrivere qualcosa di almeno un poco valido, una certa cultura, magari anche superficiale, sia necessaria. Il mio modesto sapere mi aiuta nella scelta delle parole e dei sinonimi necessari a formare un verso compiuto o un testo. Una persona che riuscisse a tirare fuori una narrazione perfetta, senza nessuna preparazione o conoscenza di un briciolo di mondo, per me sarebbe un genio.
Però, magari nella poesia, che nasce dal profondo di noi stessi, qualcosa di simile potrebbe anche accadere.

Ultimamente hai dovuto affrontare mesi/anni difficili e delicati per un tuo problema personale. Quanto ti aiutato la scrittura, se ti ha aiutato?

Un periodo infinito. La scrittura mi ha sempre aiutato, anche se a volte non la posso fissare sulla carta la raffiguro con l'immaginazione. Nei momenti di tristezza mi dona sollievo, anche scrivendo solo per me stesso, sapendo che nulla avverrà è un modo di liberarmi dai pensieri che mi disturbano la mente.

Ci vuoi parlare della poetica che troviamo nelle tue due opere "L’erba sogna il cielo" e "Lo specchio convesso"? Sono opere molto diverse, raccontaci la loro genesi.

Le poesie contenute in "L’erba sogna il cielo” sono parte di una raccolta che prende origine dagli inizi, (anche se un vero inizio si perde nel tempo), da quando ho cominciato a frequentare il Gruppo Acarya di Como dove ho conosciuto alcuni bravi poeti. Quindi sono poesie scritte in momenti diversi, la loro genesi va cercata nelle cosiddette emozioni sentite e vissute.
Nello "Specchio convesso", pur se diverse poesie si possono leggere singolarmente, nel contesto seguono il dialogo in prosa dei due protagonisti Carlo e Ada, nel tessere la trama della loro storia.

Come vive un Poeta nel 2025? Intendo, come vive la propria attitudine a questo mondo di parole e versi. In un mondo dove, a volte, è davvero difficile trovare ancora la poesia in ciò che ci circonda, pensi che la poesia sopravvivrà?

Non è facile rispondere, ognuno vive la propria interiorità singolarmente. Di poesia si sente parlare spesso, ma sembra che poi sparisca nella realtà del mondo, soprattutto nei rapporti umani. Si vive su piani diversi. Non so come sarà la scrittura nei prossimi anni, quando tutto si evolverà e diverrà oggetto dell'I.A. ma molte cose esistono da sempre; io credo che fino a quando ci sarà un pensiero d'amore e uno sguardo verso il cielo, la poesia non finirà.

Grazie, Luigi, per averci donato un pezzetto di te.

 


 Le sue opere pubblicate con Edizioni Convalle

https://edizioniconvalle.com/product/25219795/l-erba-sogna-il-cielo-978-88-85434-29-5


https://edizioniconvalle.com/product/33390210/lo-specchio-convesso


Biografia


Il percorso di studi di Luigi Besana si è svolto nell'ambito delle discipline tecniche, tuttavia ha sempre approfondito la letteratura e soprattutto la poesia. La sua è una poetica guidata dalla passione e allo scopo di sondare la propria interiorità: descrive le emozioni provate durante il passare dei giorni e degli anni, fissandole in quell'istante. 

Si definisce un autodidatta, i suoi versi sono liberi per non perdere l'ispirazione originale, cerca solo delle assonanze intuitive. È socio del Gruppo Letterario Acarya di Como e Circolo Culturale di Olgiate Comasco. Partecipa a Reading, Festival di Poesia, collabora con riviste e antologie. Ha ricevuto riconoscimenti con premi e segnalazioni. Con "L'erba sogno il cielo" ha ricevuto una Menzione speciale nel Premio Letterario Città di Arcore, nel 2019. Una silloge personale, dal titolo "Il Grumo", è presente nella Collana "Quaderni dell’Acarya". "L'erba sogna il cielo" è la sua prima opera pubblicata con Edizioni Convalle, alla quale è seguita la pubblicazione "Lo specchio Convesso" nel 2024. 



Alla prossima

dalla vostra

Stefania Convalle


venerdì 28 novembre 2025

Numero 482 - Gara 800 Metri di Parole - Terza tappa - 27 Novembre 2025


Siamo arrivati alla terza tappa della gara di scrittura 800 METRI DI PAROLE.
Otto concorrenti in gara.
La prova di questa tappa consisteva nello scrivere un racconto di massimo 500 parole.
Nell'immagine un Jukebox (che bei ricordi) e i concorrenti dovevano scavare nella memoria individuando un ricordo legato a una qualche canzone.
Bisognava, quindi, romanzare quel ricordo, facendolo diventare un racconto dove la canzone fosse tra i protagonisti, senza citare - però - le parole (nemmeno una frase) del testo della canzone stessa, doveva comparire solo il titolo.

Qui di seguito gli otto racconti che dovevano rispondere ai requisiti sopra elencati.

Ora tocca a voi, cari lettori, leggere e votare i TRE racconti che vi avranno colpito di più per originalità e per capacità di emozionare. Ovviamente dovrete valutare anche la scrittura.

REGOLE PER VOTARE:

1: il voto va espresso in un commento in questo blog, scrivendo i titoli e i nomi relativi ai testi prescelti.

2: il commento deve contenere anche nome e cognome di colui che vota. NON VERRANNO CONSIDERATI COMMENTI ANONIMI o DOVE CI SIA SOLO UN NOME (senza cognome).

3: si potrà votare fino a mercoledì 3 Dicembre 2025, ore 20:00.

IMPORTANTE: tutti coloro che voteranno nel modo corretto ED ESPRIMENDO ANCHE LA MOTIVAZIONE DEL VOTO PER OGNI SINGOLO RACCONTO (è bello sapere da voi lettori il motivo delle vostre scelte, come cosa graditissima dagli autori che hanno scritto), parteciperanno a una estrazione durante la diretta del giovedì 4 Dicembre sulla Pagina Facebook di Edizioni Convalle. 
Il fortunato estratto vincerà un libro di Edizione Convalle.

Cominciamo a leggere i racconti?

ALL THAT SHE WANTS
Tatiana Vanini

Manca un mese a Natale e Tatiana si muove nel centro commerciale alla ricerca del regalo perfetto.
Concentrata, canticchia una canzone natalizia poi, dalle casse del supermercato, parte un brano del 1992, All that She wants. All’improvviso non è più adulta, ha quattordici anni e si trova nella stanza 6, quinto piano, Collegio Orsoline di San Carlo a Como.
«Ho finito l’acqua» dice Tania capovolgendo la bottiglia che tiene in mano.
«Prendi la mia, è piena» risponde Tatiana chiudendo lo zaino.
«Ma è gassata.»
«Embè?»
«Io la bevo naturale, per fare tanta plin plin
«È sempre acqua.»
«Non mi piace.»
Tania e Tatiana, sembra un barzelletta, eppure a settembre si sono trovate appaiate così. Non si può dire che sia stato subito amore, ma sono bastate poche settimane per diventare amiche.
Taty lancia uno sguardo alla sveglia sul comodino che segna le 22:00.
«Domani andiamo alla Standa e la compriamo.»
«E nel frattempo io muoio di sete.»
«Cosa vorresti fare, scusa?»
Tania la guarda, fa un sorrisino e sottovoce dice la frase che trasformerà la notte in un’avventura. 
«Andiamo giù in cantina e prendiamo una delle bottiglie delle suore.»
Vanno a scuola dai preti, sono in convitto dalla suore e stanno per indossare i panni di Lupin e Jigen. Ecco i risultati dell’educazione cattolica.
Aspettano mezzanotte, per essere certe che Suor Carmine stia dormendo ed escono dalla stanza. Scarpe da ginnastica ai piedi, silenziose scivolano per il corridoio dalla luce fioca, verso le scale. Di prendere l’ascensore non se ne parla, troppo rumore. La strategia è banale: scendere dal quinto piano a terra, raggiungere la cantina, prendere la bottiglia in vetro d’acqua naturale e tornare in camera. Semplice, veloce, pulito.
Arrivano al quarto piano, Tatiana davanti, Tania dietro aggrappata alla maglia del pigiama dell’amica.
«Vanini!» sibila Tania.
«Che vuoi, Buono?»
«Sento un rumore.»
«Ma figurati.»
Tania però ha ragione. Samantha esce dalla stanza per andare verso i bagni comuni. Hanno appena il tempo di tornare indietro di un paio di gradini per farsi nascondere dalla curva delle scale. Sam sta in bagno una vita, o almeno sembra a loro, finché possono tornare a respirare e a scendere.
Terzo piano, salone comune. Tutto tranquillo. Secondo piano, la cabina telefonica, tutto tace. Primo piano, piano terra e le luci di cortesia che le hanno accompagnate fin qui finiscono: sono al buio.
«Vanini…»
«Buono…»
«Non vedo niente.»
«Idem.»
«E se ci sono i ladri?»
«In cantina?»
«Allora i topi.»
«Dalle suore?»
«Torniamo in camera.»
«E l’acqua?»
«Andiamo avanti.»
A tentoni, a memoria, raggiungono la cassetta dell’acqua e afferrano una bottiglia prima di tornare indietro come due fulmini.
Al sicuro in camera ridacchiano di sollievo: missione compiuta.
«Vanini…»
«Oh mamma, Tania, cosa?»
«È gassata…»
Al buio hanno preso la bottiglia sbagliata.
Scoppiano a ridere nel ricordo e Tatiana, nel presente, ride di rimando.
Tutto quello che voleva Tania era una bottiglia d’acqua naturale. All that She wants.


§§§


SENZA LUCE

Graziella Braghiroli


Non guardo quasi mai la televisione, ma stasera, mentre giro senza entusiasmo tra i vari canali, mi fermo su un programma che trasmette spezzoni di vecchi varietà. Cantanti, attori, complessi come si chiamavano una volta le band di oggi, si susseguono con rapidità. Canticchio vecchi motivi ormai dimenticati e poi… la sento e riconosco le prime e inconfondibili note di Senza luce dei Dik Dik.
È incredibile come una canzone possa essere la chiave che apre porte che credi chiuse per sempre.
Non vedo più il salotto, non sento più il frigorifero che ronza.
Sono nella mia cameretta da ragazza, ho quindici anni e indosso jeans taglia 40 così stretti che ho dovuto sdraiarmi sul letto per chiudere la cerniera.
Ricordo quel pomeriggio come se fosse ieri.
Io e Elisa, la mia amica di allora, eravamo uscite di casa in punta di piedi perché i nostri padri non dovevano sapere che stavamo andando alla festina a casa di Angelo.
Ricordo la frangia  che avevo sistemato in modo che coprisse il maledetto brufolo che mi era spuntato sulla fronte proprio quella mattina.
Ricordo quel misto di timidezza, spavalderia e speranza che solo a quell’età senti davvero.
E ricordo Guido. La mia prima vera cotta e in quel momento l'amore della vita.
Eravamo arrivate a festa già iniziata. La stanza era affollata, il tappeto arrotolato in un angolo lasciava lo spazio alle coppie che ballavano sulla musica che usciva dal mangiadischi.
Mi ero versata un bicchiere di aranciata già calda, cercavo Guido con gli occhi, mi importava solo di lui. E lui non c'era.
Poi, la porta si era aperta.
Guido era entrato, mano nella mano con una ragazza più grande, più bella e molto sicura di sé. Minigonna rossa e maglioncino d’angora bianco che avrei dato l'anima per avere.
Tutte le mie speranze erano crollate di colpo e avevo sentito il gelo della delusione per tutto il corpo.
Mi ero diretta a testa bassa verso il divano, dovevo sedermi, le gambe non mi reggevano.
Era stato in quel momento che erano partite le prime note di Senza luce.
Un ragazzo che conoscevo solo di vista e che non avrei mai guardato due volte, si era avvicinato e mi aveva chiesto: «Vuoi ballare con me?»
E io, con il cuore in tumulto, avevo detto sì.
Non ricordo il suo nome. Forse Marco? O Domenico?
Ricordo solo le sue mani calde, il modo in cui cercava di non stringere più del necessario, i suoi occhi  che cercavano i miei, il suo sorriso.
Avevo quindici anni e quello era il mio primo lento.

Sono passati quasi cinquant’anni da allora e dentro di me sento qualcosa che non è solo nostalgia ma anche tenerezza per quella ragazzina impacciata, nei suoi jeans troppo stretti, preoccupata per il brufolo sulla fronte e convinta che quella festina le avrebbe cambiato la vita.

§§§

 

LA RAGAZZA DEL JUKEBOX
Luigi Besana


C'era sempre una ragazza nel Bar in fondo al viale, era sempre la stessa che teneva in funzione il jukebox.
Quella ragazza, dalla notte accesa. Ci andavo quando calava il crepuscolo.
«Se potessi essere una moneta, m'infilerei nel jukebox e farei suonare una canzone per te» le dissi una sera, mentre gli amici ballavano beat dance nello spazio utile in fondo alla sala.
«Con gran piacere. Ti aspettavo, ora metti la tua canzone» rispose.
La mia canzone, quella che dava fuoco al cuore, era in quei giorni “Sognando la California” dei Dik Dik, versione italiana di California Dreamin'.
Quel tema dolce e ricorrente, l'aspirazione d'una partenza verso il futuro, cercando una felicità desiderata, ma sempre rinviata perché nella vita c'era lei che stava ad aspettare. Tutto ciò dava slancio ai miei sogni.
Sapevo bene che non ci sono luoghi splendenti, è soltanto uno stratagemma, o vizio, o sete di esistere, ma vale la pena di cercarle.
Ora che ci penso, con quella canzone tornano suoni, oggetti, persone che hanno avuto un significato. A quel tempo amavo la Beat Generation e la sua musica derivata dal Jazz e dal Rock and Roll. Essere Beat significava essere calati nell'abisso della personalità, vedere le cose dal profondo. Leggevo "Il pasto nudo" di Burroghs, intreccio di visioni, nebbie alla cocaina, e "Urlo" di Ginsberg, quindi Corso, Ferlinghetti, Kerouak. La poesia non era più solamente l'espressione personale di una élite ma diventava un linguaggio di tutti. Quel fermento anarcoide mi toccava profondamente. Si diceva che hashish, marijuana, Lsd aumentavano le potenzialità della mente: io, confinato lontano dalla grande città e dalle sue infinite possibilità, mi appagavo con lo studio e la comprensione della realtà coi suoi aspetti. Le mie agitazioni oscillavano fra "La vita nei boschi" di Thoreau e la rivoluzione di Che Guevara. Portavo comunque i capelli lunghi, volevo, in qualche modo, sentirmi parte degli Hippy o dei Figli dei fiori, in quanto mi davano l'emozione di appartenere alla rivolta che avrebbe cambiato il mondo.
Le note di una nuova canzone si alzarono e presero vita intorno a noi.
Mary, la ragazza del jukebox mi fissava e nel cielo la luna bianca, appena visibile tra le nubi, saliva verso la notte.
«Ti amo, Mary, perché sei un simbolo di questa epoca, perché il tuo corpo è un canto che mi sbaraglia e sei arrivata a essere la più bella della storia. Ci siamo cercati come due gatti on the road in questa città trascurabile e ci amiamo in mezzo a questo pulviscolo e a questa musica. E so che quando ci baciamo il vento scende sul jukebox e fa volare una lirica d'amore per il mondo. Alla fine del viale comincia il giorno le luci sulla strada sono sogni che si spengono. Fa che duri questo dolce fluido con questa tua delicatezza inventata per me. Ti amo, perché posso affondare i tuoi occhi nella mia poca gioia e consegnarti i miei in cambio della tua poca tristezza.»
Mary al jukebox, fece partire di nuovo la mia canzone. 
Forse era anche la sua nell’anno 1966.

§§§


DUE ETÀ NELLA STESSA CANZONE 

   Chiara De Mas


Anna spinse la porta del bar, trattenendo il respiro per il solito colpo d'aria fredda. Era il locale in cui si incontrava da anni con la sua migliore amica per l'aperitivo del mercoledì, un appuntamento che nessuna delle due saltava mai. Stava già cercando con lo sguardo il tavolino d'angolo quando qualcosa, improvviso e inaspettato, le fece rallentare il passo.
Dalle casse, soffocata dal brusio dei clienti, partiva Sere Nere.
Una fitta le attraversò il petto. Bastarono le prime note a capovolgere tutto, come se una mano invisibile avesse premuto un interruttore. Il bar si sfocò, le voci si allontanarono, e Anna si ritrovò di nuovo lì, in un tempo che credeva archiviato.
 
Era seduta sul suo letto, le ginocchia al petto, lo sguardo fisso sul vecchio televisore che trasmetteva Radio DJ. Non guardava davvero lo schermo: era accesa solo perché non sapeva dove appoggiarsi per non crollare. La stanza stretta e disordinata, troppo angusta per contenere tutto il suo dolore.
Aveva appena lasciato il suo primo amore. Una storia ingenua, adolescenziale, ma che l'aveva fatta sentire viva come nient’altro fino ad allora. E ora le sembrava che tutto le fosse scivolato via dalle mani. Si sentiva fuori posto, sbagliata, come se l'intero mondo sapesse andare avanti senza di lei.
Fu allora che partì quella canzone.
Non ne aveva mai sentito nemmeno una parola, eppure, dalle prime battute, fu come se qualcuno le avesse aperto una finestra nel petto. La musica non la consolò; non prometteva soluzioni, non le tendeva la mano, ma era lì, ferma accanto a lei come un ospite discreto. Le faceva compagnia mentre cercava di mettere ordine al caos che le ribolliva dentro. Ogni accordo sembrava darle il permesso di respirare, fosse anche solo per pochi secondi.
Anna rimase immobile, come incantata. Il dolore non diminuiva, ma almeno non era più un deserto silenzioso: aveva una forma, un ritmo, una voce ed era forse la prima volta che si sentiva meno sola nel suo vuoto.
Quando la canzone finì, il silenzio le cadde addosso come una coperta troppo pesante. Ma qualcosa, impercettibile, era cambiato. Non capiva cosa, non ancora. Avrebbe avuto bisogno di anni per comprenderlo.
 
Il ritornello svanì nelle casse del bar, e Anna tornò a sé con un leggero sobbalzo. La sua amica varcò l'ingresso e lei si affrettò a raggiungerla, ma dentro sentiva ancora vibrare un'eco assordante.
Solo ora, da adulta, capiva davvero. Quella canzone aveva preservato un dolore acerbo, l'aveva tenuto vivo ma lo aveva anche trasformato in memoria invece che in cicatrice.
Sere Nere non era più il rifugio solitario di una preadolescente ferita, era diventata un ponte: un passaggio tra ciò che era stata e ciò che era diventata, tra il buio di allora e la chiarezza di adesso.
Anna sorrise appena, senza che nessuno se ne accorgesse.
Certe canzoni non passano: aspettano. E quando tornano, ti trovano diversa.

§§§

 
LA RELIQUIA
Tania Mignani
 
(Canzone del jukebox: "Amico" di Renato Zero)
 

La strategia consisteva nell'arrivare all'interno del “barettino” per prime. Potevano così scegliere la postazione migliore, vicino al jukebox, dalla quale tenevano d'occhio la porta. Per Sara, Jenny e Milly era il rituale necessario che riempiva i pomeriggi d'inverno prima di rientrare a casa alle sei in punto. I ragazzi arrivavano più tardi, il loro coprifuoco non era così tassativo, e quello era il momento in cui la giornata acquisiva, finalmente, un senso.
Le tre amiche poggiarono sul tavolino di latta gli spiccioli in condivisione, dovevano bastare per una spuma e per almeno tre canzoni. Quel giorno un pacchetto di sigarette ancora sigillato faceva bella mostra di sé sul tavolino, conseguenza di una nuova strategia.
Francesco e un amico fecero il loro ingresso nel bar. Le tre ragazze si erano limitate a fingere la più totale indifferenza, ostentando persino un'espressione annoiata. I loro cuori, al contrario, erano in subbuglio per Francesco, da settimane ormai parlavano solo di lui, della sua celestiale bellezza, di quel suo carattere scontroso, ma che, ne erano certe, nascondeva un animo timido.
Sara si alzò e un istante più tardi si udì il suono metallico della moneta introdotta all’interno del jukebox. Decisa, premette i tasti delle sue scelte abituali e le note della prima canzone riempirono la saletta del bar. Jenny alzò gli occhi al cielo fingendosi ancora più annoiata.
In realtà adorava quel brano  e, sola nella sua cameretta, spesso piangeva seguendone le parole.
Francesco si era avvicinato al loro tavolo attirato dalle sigarette.
«Me ne offrite una?»
Annuirono senza proferire parola, estasiate dal sorriso del ragazzo, il quale con sicurezza aprì il pacchetto, ne estrasse una sigaretta e si allontanò ringraziandole con un sorriso ancora più celestiale.
Era stata la svolta della giornata, ma il crudele orologio all'entrata segnava le sei meno cinque, ora di andare.
«Cioè… ragazze ditemi che non abbiamo sognato…»
«Vi rendete conto? Lui ha toccato questo pacchetto, lui ha fumato una sigaretta… Questo astuccio è stato nelle sue mani, non potremo più toccarlo…»
Jenny sorridendo sfoderò il suo colpo da maestra.
«E di questo cosa ne dite?»
Nella sua mano, avvolto da un tovagliolo di carta, un mozzicone di sigaretta schiacciato.
«L'ho raccolto dal posacenere prima di uscire.»
«Ma tu sei un mito… Ora, però, dovremo conservarlo al meglio, come una reliquia.»
Jenny prese il pacchetto, lo svuotò dalle sigarette rimaste e vi posò all'interno il mozzicone.
«Lo terremo una settimana a rotazione. Inizierò io e, fra una settimana, lo affiderò a Milly…»
Le tre ragazze si separarono per raggiungere le loro abitazioni, ognuna persa nei propri pensieri ma unite nel loro comune amore per Francesco.
Jenny raggiunse la sua cameretta, stringeva nelle tasche della giacca il pacchetto con all'interno il prezioso contenuto. Accese la radio e nascose il pacchetto nell'ultimo cassetto, sotto i fazzoletti, non prima di aver posato un lieve bacio sulla scritta Marlboro. In quell’istante la radio passò la canzone del jukebox e una prima lacrima le rigò il viso.

 

§§§


IL BACIO DESIDERATO
Silvana Da Roit
(Fiori rosa, fiori di pesco. L. Battisti)


Daniela fu la prima tra i suoi compagni a salire sul bus nel viaggio di ritorno. Prese posto accanto al finestrino, calò la visiera del cappello sugli occhi e cercò le caramelle alla liquirizia nella sacca di jeans, che usava come borsa. Le dita incontrarono il metallo con la tipica scanalatura mezzana di un gettone telefonico.
«Ma vai a quel paese» disse a mezza bocca.
«Con chi ce l'hai?» le chiese divertita la sua compagna di banco.
Conosceva Marina dal primo giorno del ginnasio e, per quanto si frequentassero poco, era l'unica che potesse definire amica.
«Con nessuno» le rispose alzando le spalle.
«Guarda che ti conosco. È tutto il giorno che ti osservo: non spiccichi una parola, sei assente, non hai voluto nemmeno assaggiare la fetta di torta che ho portato per festeggiare il tuo compleanno.»
«Non parlarmi del compleanno, ieri è stato uno schifo.»
«Non dirmi che Lorenzo si è comportato male…»
«Peggio, non si è presentato» rispose Daniela con la voce incrinata.
«Hai chiesto notizie a tuo fratello? Dopotutto, giocano nella stessa squadra.»
«Lui non deve saperlo, altrimenti, sai la presa per i fondelli da qui fino alla fine del mondo?»
Nel frattempo, altri compagni avevano preso i loro posti tra schiamazzi e battute demenziali e smisero di parlare. Marina le prese la mano, stringendola di tanto in tanto per darle conforto. Quando iniziarono i cori, ritornelli stonati delle canzoni che i ragazzi ascoltavano dal mangiadischi nell'intimità delle loro camere o dai jukebox dei locali più alla moda, Daniela le fece vedere il gettone.
«Avrei potuto chiamarlo, sono entrata e uscita dalla cabina non so quante volte, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Se avesse risposto sua madre, che cosa avrei potuto dire? Signora, mi scusi, suo figlio è uno stronzo. Mi è stato dietro per mesi facendosi credere innamorato e poi, una volta ottenuto l’appuntamento e vedendomi cotta a puntino, si è dileguato. Ti pare che potessi dire così?»
«Decisamente no.»
«E sai cosa mi fa stare male? Il fatto di avere un anno in più per niente. Cosa m'interessa avere quindici anni, se poi non ho ancora un bacio da ricordare? Marina, la vita è proprio uno schifo.»
Una volta a casa, dopo avere risposto a com'è andata, ti sei divertita, disse alla madre che non voleva cenare.
«Ma cosa avete, tu e tuo fratello, da essere così musoni?»
«Io ce l'ho con il destino. Ieri pomeriggio, Lorenzo si è rotto un braccio e il portiere di riserva ne buscherà cinque, domenica» si giustificò il fratello.
A Daniela tornò l’appetito. Si sentì cattiva per avere pensato male di Lorenzo, anche addolorata per il suo incidente. Ma, soprattutto, pensò che il bacio tanto desiderato sarebbe arrivato presto.

§§§

 

I TUOI OCCHI VERDI
Adelia Rossi


Come avrebbe potuto  dimenticarla, Alessio. Giada  portava  nello  sguardo l'incanto e lo splendore di una foresta tropicale, dove la magia di una bellezza naturale si confondeva con la fantasia creando un'atmosfera surreale. 
I suoi occhi raccontavano storie infinite che andavano oltre la realtà. A un tratto tutto gli parve irraggiungibile anche il sogno che ogni sera, con l'avvicinarsi della notte, gliela riportava accanto. Quel suo attendere e cercarla oltre il buio gli recava un grande tormento.   
Lacrime di solitudine incominciarono a scendere riempiendo rivoli che i segni del tempo avevano scavato sul suo volto non più giovane. Nella sua mente i ricordi riaffiorarono prepotenti. Prima fra tutti, l'immagine di loro seduti a gambe incrociate sul morbido tappeto dello studio dove erano soliti ritrovarsi,    mentre si divertivano con quello strano gioco che avevano  chiamato "bisticcio di parole". Si trattava appunto di trovare delle assonanze con le parole come "luce" e "amore", una  dissonanza, più che un'assonanza. 
Insomma, una rima imperfetta. Per un attimo il pianto si mischiò al riso e, guardando oltre la grande vetrata della camera le luci affievolite di una città quasi dormiente, provò ancora più malinconia. Si sdraiò su quel tappeto dove tante volte aveva dormito  abbracciato a  Giada e la immaginò con il volto rigato  di  lacrime, come il suo. Sentì nel petto il  cuore accelerare i battiti e, una dopo l'altra, le parole che insieme mormoravano quasi canticchiando fuoriuscirono dalla sua bocca a imitare la dolcezza di quel suono che su quella di Giada acquistavano il gusto di una melodia inconfondibile. 
Ed è lì, "nel buio" che Alessio la ritrova. Persa in un altro tempo.

§§§

 

UNA CANZONE PER CRESCERE
Maria Rita Sanna


Oggi con un'amica abbiamo ricordato di quando eravamo ragazzine, appena quindicenni, e andavamo al bar tabacchi per comprare le sigarette ai nostri padri. Il negoziante conosceva noi e i nostri genitori, perciò ce le dava senza fare storie. Capitava, a volte, di avere alcune monetine residue e i nostri sguardi correvano dalle monete in mano al jukebox.
Era uno strumento potente, non solo per il volume assordante, ma perché a noi femmine non era consentito avvicinarci. Gli sguardi degli avventori, maschi per la maggior parte, ci avrebbero subito etichettato come ragazze poco serie. Se avessimo scelto una canzone d'amore sarebbe stato un segnale chiaro di disponibilità all'abbordaggio da parte dei maschi.
Le sigarette, però, non destavano alcun sospetto, ai padri non si poteva disobbedire. 
Rinunciavamo, quindi, a quel magico momento di scegliere una canzone tutta nostra, gustarcela a tutto volume e sognare in santa pace. Godevamo, comunque, dei momenti in cui potevamo ascoltare alla radio la nostra canzone del cuore.
Un giorno, dopo il solito acquisto, con le monete rimaste avevamo comprato un pacchetto di chewing-gum.
«Nina, restano due monete. Le mettiamo nel jukebox? Che c'importa di quei due, nemmeno ci guardano.»
In effetti il locale era vuoto, se non per due signori seduti a un tavolo. Li reputavamo adulti perché ci avevano insegnato a portare rispetto, e timore, a chi non era nostro coetaneo. Comunque quei due stavano per i fatti loro, bevevano e fumavano.
Lo strumento sotto i nostri occhi brillava. Sulla parete rialzata, la fila di cartellini indicava le canzoni; sotto, un'altra fila di bottoni con lettere e numeri per selezionarle.
«Dai, Rita, metti la moneta.»
«Scegliamo Ti amo» dicevo io.
«Eh sì, poi ci guardano. Mettiamo Tu» rispondeva Nina.
Batti e ribatti, non decidevamo.
«Prima, Ti amo. Dopo, Tu. L'occasione è irripetibile.»
Le canzoni che ci piacevano erano tante, tutte belle e desiderate.
«Muoviti, Rita, prima che entrino altre persone!»
Prima la moneta, poi i bottoni. Alcuni ticchettii e deboli clangori annunciavano l’arrivo della prima nota. Un botto alle orecchie che ci aveva fatto vibrare; un’emozione forte che rivelava tutta la nostra innocente vittoria verso qualcosa di proibito.
Avevamo ascoltato ogni singola parola. Una volta a casa l'avremmo di nuovo snocciolata come le poesie, se non meglio, che studiavamo per la scuola. 
«Buonasera signorine, quindi vi piacciono le canzoni d'amore.»
Io e Nina eravamo sbiancate. Che brutto risveglio dall’incanto!
Uno dei due uomini seduti al tavolino si era avvicinato a noi e voleva abbordarci, proprio come ci avevano ammonito tante volte le nostre madri.
Senza dire una parola, mentre quelle della canzone occupavano ogni silenzio libero, con la testa china, avevamo imboccato l'uscita. Nella strada avevamo iniziato a ridere come matte, senza però fermare la nostra fuga.
«Questa cosa che noi femmine non possiamo usare il jukebox deve finire» aveva detto Nina ridendo. Sapeva bene, come me, che non potevamo farci niente. Avremmo dovuto aspettare gli eventi del futuro.
Era già lì, d'altronde, a portata di mano. Bastava ancora una canzone. 

§§§


Ora tocca a voi!
Una raccomandazione: votate con serietà, perché ci sono 8 concorrenti che si sono impegnati per scrivere qualcosa di bello per voi e credo sia giusto e corretto leggere tutti i racconti e scegliere a seconda di quanto i racconti ci hanno coinvolto, giudicando i testi e dimenticandosi i nomi di chi li ha scritti. Mi sembra la cosa più giusta e rispettosa per gli 8 autori stessi.



Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle