Cape Code Morning (Hopper)
Siamo arrivati all'ultima prova anche per il Gruppo B in gara nel Masterbook.
I concorrenti dovevano scrivere un racconto da "dentro il quadro". Vi ricordo che i testi che leggerete sono postati senza essere da me corretti, perché è giusto valutare le opere in base a come mi sono arrivate.
Il risultato lo potete leggere qui sotto, dove si susseguono i testi dei nove concorrenti, testi che verranno votati dalla Giuria Tecnica. I voti di questa ultima prova verranno sommati a quelli delle due precedenti e finalmente sapremo quali sono i concorrenti che accedono alla Fase 2, la semifinale.
Ma voi, caro pubblico, potrete lasciare in un commento le vostre impressioni sui racconti che vi avranno colpito, un parere: gli autori ne saranno felici!
Nella diretta di Giovedì 27 marzo 2025, in diretta dalla Pagina di Edizioni Convalle su Facebook, potrete scoprire come sarà andata a finire.
Buona lettura!
ELABORATO UNO
L'ATTESA
Una strada sterrata fa da collegamento alla civiltà, mai nessuno la percorre.
Laura è in salotto e guarda fuori dalla finestra, in piedi. La posa vigile ne manifesta la tensione. Indossa un morbido vestito color pesca che ne mette in risalto le forme. I capelli biondi sono acconciati un una crocchia bassa. È elegante nella sua semplicità, sembra una donna pronta per un appuntamento, in attesa di un accompagnatore che si fa attendere.
Aspetta che un'auto percorra la strada, che qualcuno si presenti alla sua porta. Passa ogni ora del giorno così, in ansia, con quel grumo di tensione nello stomaco che poi si scioglie in un misto di sollievo e delusione quando, calata la notte, si convince che altro tempo è passato e nulla è cambiato.
È in fuga da un anno, da quando ha lasciato in silenzio e senza rumore suo marito, dopo l'ennesima lite, i soliti colpi con calcio finale, dopo le lacrime e le scuse, dopo l'ennesimo mazzo di fiori riparatore. È andata dai suoi genitori, ma lui è andato a riprenderla. L'ha trovata dagli amici da cui si era rifugiata e negli alberghi dove si era nascosta. È sempre riuscita a scappare da una finestra, da una porta sul retro, salvata da una telefonata.
Quest'ultimo nascondiglio è l'unico che sia in mezzo al nulla, senza gente attorno. Nessuno sa che si trova lì, è stata zitta con tutti.
Laura si morde le labbra. Forse ha fatto una sciocchezza, in quel luogo così isolato si è messa ancora più in pericolo, lui la troverà anche questa volta, lei lo sa. Per questo vigila, guarda dalla finestra e sorveglia la strada.
Ed eccola lì, la nuvola di polvere che segue una macchina.
Laura si appoggia al davanzale, si sporge in avanti e lo vede.
L'auto si ferma e l'uomo che scende è il suo amore, il suo tormento.
Laura si volta, a passi rigidi raggiunge la porta e la spalanca. Si mostra e attende la fine.
Nella mano dietro alla schiena c'è la pistola a cui ha già tolto la sicura. Un tenue sorriso le accende il volto.
Vieni, ti stavo aspettando.
ELABORATO DUE
UNA FOTO ALLA FINESTRA
- Perché dici così ?
- Io conosco quella donna
- Non è possibile, come fai a conoscerla così semplicemente guardando la fotografia…
- Perché la foto l’ho scattata io !
Dopo un attimo di silenzio e dopo avere guardato l’amico con uno sguardo
stupito, si alzò e andò a prendere una bottiglia e due bicchieri che stavano
appoggiati sulla mensola.
- Raccontami
- Sei anni fa in quella in quella sala dell’albergo c’era molta gente elegante e disinvolta che parlava di moda…
- Era bella ?
- Certo, ma il mio sguardo colse subito l’imbarazzo di quella donna che sembrava alla ricerca di qualcuno
- E tu ti sei fatto avanti, naturalmente…
- L’ho invitata verso un tavolo e le ho chiesto quale fosse la cosa più bella che aveva visto in quella giornata. Gli occhi erano grandi e azzurri e il volto aveva un’espressione come di un bambino perso in un campo giochi e che stesse cercando un riferimento o una faccia amica.
- Ho capito. Quanto è durata la storia ?
- A Milano le due settimane della moda…
- E poi ?
- Dopo sei mesi andai a New York e credevo di trovarla all’indirizzo che mi aveva lasciato… Non c’era e per due settimane passai a cercarla da uno stato all’altro seguendo i suggerimenti di alcuni amici.
Era scoppiata la pandemia e seppure con ritardo anche gli americani avevano cominciato a vaccinarsi ed a fuggire dalle città.
Con l’auto a noleggio e la mascherina seguii le indicazioni che di volta in volta mi venivano date, finchè arrivai in un paese vicino a Filadelfia. E l’ultima indicazione mi portò ad una casa in stile novecento sulla riva del Delaware.
La vidi dalla siepe sulla strada e per istinto le scattai una foto non appena la scorsi affacciata ad una finestra verso il parco.
- L’hai chiamata ?
- Non ho fatto in tempo… Il tempo di scendere dalla macchina e avvicinarmi ed era scomparsa !
- Ma hai bussato ? Non ti ha aperto ?
Ho bussato e suonato a lungo, ma nessuno è venuto ad aprire ! Dopo una lunga e ansiosa attesa si è presentato un vicino della villa accanto. La casa era vuota e abbandonata da sei mesi e la donna non si era più vista !
- Raccontami
- Sei anni fa in quella in quella sala dell’albergo c’era molta gente elegante e disinvolta che parlava di moda…
- Era bella ?
- Certo, ma il mio sguardo colse subito l’imbarazzo di quella donna che sembrava alla ricerca di qualcuno
- E tu ti sei fatto avanti, naturalmente…
- L’ho invitata verso un tavolo e le ho chiesto quale fosse la cosa più bella che aveva visto in quella giornata. Gli occhi erano grandi e azzurri e il volto aveva un’espressione come di un bambino perso in un campo giochi e che stesse cercando un riferimento o una faccia amica.
- Ho capito. Quanto è durata la storia ?
- A Milano le due settimane della moda…
- E poi ?
- Dopo sei mesi andai a New York e credevo di trovarla all’indirizzo che mi aveva lasciato… Non c’era e per due settimane passai a cercarla da uno stato all’altro seguendo i suggerimenti di alcuni amici.
Era scoppiata la pandemia e seppure con ritardo anche gli americani avevano cominciato a vaccinarsi ed a fuggire dalle città.
Con l’auto a noleggio e la mascherina seguii le indicazioni che di volta in volta mi venivano date, finchè arrivai in un paese vicino a Filadelfia. E l’ultima indicazione mi portò ad una casa in stile novecento sulla riva del Delaware.
La vidi dalla siepe sulla strada e per istinto le scattai una foto non appena la scorsi affacciata ad una finestra verso il parco.
- L’hai chiamata ?
- Non ho fatto in tempo… Il tempo di scendere dalla macchina e avvicinarmi ed era scomparsa !
- Ma hai bussato ? Non ti ha aperto ?
Ho bussato e suonato a lungo, ma nessuno è venuto ad aprire ! Dopo una lunga e ansiosa attesa si è presentato un vicino della villa accanto. La casa era vuota e abbandonata da sei mesi e la donna non si era più vista !
ELABORATO TRE
UN ISTANTE
In un istante mi scorre davanti agli occhi tutta la vita con i sogni e le delusioni, con gli errori e i rimpianti.
É un istante lunghissimo.
É l’istante in cui credo di farcela ad andarmene via, via da qui, via da Frank e dalla monotonia.
Non devo pensare al luccichio negli occhi dei ragazzi quando al ritorno troveranno la crostata che ho appena sfornata, ai gesti quotidiani e ripetitivi che nel tempo mi hanno inchiodato a questa casa, devo invece ricordare le interminabili giornate trascorse in solitudine a spazzare via polvere e malinconia, ad attendere parole gentili e cercare sguardi complici, a desiderare emozioni forti che mi facciano sentire ancora viva.
Il cuore trasmette alle gambe l’impulso di muoversi, poi però il cervello le immobilizza e le mani rimangono ancorate ai bordi della scrivania così saldamente da sbiancare.
Sono ancora in tempo, Tom mi aspetta al posteggio dietro all’emporio.
Ho indossato l’abito rosso che mi regala leggerezza e che a lui piace tanto; posso farcela, devo solo gettare in un angolo quest’inquietudine che mi sta avvolgendo come una ragnatela.
Quello che mi inchioda è la paura di poter essere finalmente felice.
Ancora un istante, poi me ne vado.
ELABORATO QUATTRO
ANIMA E POLVERE
Alla fine del giorno, come se intorno fosse ancora tutto vivo, il mio corpo, fatto di anima e polvere, ritorna in questa casa.
Apro la finestra, mi appoggio con le mani, il volto teso a cercare il profumo dei campi, e mentre sento il freddo nel cuore, con gli occhi frugo dentro l’abbaglio di un tramonto che illumina il buio della mia lunga notte.
E cerco la nostra vita, il canto dell’usignolo, la meraviglia di un’onda dorata a scompigliare le spighe di grano; cerco i puntini delle stelle e una falce di luna a trapassarmi il vuoto del viso; le foglie degli alberi che sussurrano al vento e pare una ninna nanna; e cerco la tua voce, il cane che abbaia festoso al fischio allegro che annuncia il tuo ritorno dal lavoro quando si fa sera; l’abbraccio che sa di fiducia e conforto; l’amore che non si confonde dietro le pieghe del tempo e mi bacia dolce e lieve sugli occhi e sulla bocca.
Cerco i nostri giorni felici, e quelle piccole cose che ogni scusa era buona per festeggiare: Pasqua, Natale, un anniversario, un compleanno, o solo un giorno che non è uguale agli altri.
Cerco gli odori del basilico e delle lasagne in cucina, i piatti da lavare, il bucato da stirare, la lista della spesa e le bollette da pagare.
Cerco il tuo sorriso; i gridolini del nostro cucciolo e le sue manine che stringono le mie.
Dentro questa casa che non è verità, ma solo macerie di una bomba.
Dentro la testa il grido incessante delle sirene e il rombo di tuono della morte.
Ritorno qui, anima e polvere, per cambiare il destino.
Un solo attimo d’oblio e di speranza a cancellare il dolore e la realtà.
Il silenzio di una mancanza dentro e fuori; l’odore acre del fuoco che brucia, distrugge e non hai più scampo.
E non ci sono più le rondini sotto al tetto.
Gli aquiloni a colorare il cielo.
Le tue carezze e le sue manine dentro le mie; i suoi giocattoli e i suoi piccoli passi sparsi sul pavimento.
Quella normalità di pace e di sereno, che non lo sai fino a quando, come l’aria, ti manca.
E grido alla sua luce - Signore pietà.
Cristo pietà.
E ti prego, ti scongiuro, cancella l’idea bastarda di ogni guerra, e chi, pazzo, nel delirio, vuole prendere il tuo posto sulla terra.
ELABORATO CINQUE
LA DONNA DEL QUADRO
LA DONNA DEL QUADRO
Sono anni, ormai, che ho la passione per le opere d’arte: studio i quadri nei piccoli particolari e faccio una stima dal punto di vista economico. Questo era il mio lavoro. Dico era perché da quando mi è accaduto questo strano episodio non riesco più ad avvicinarmi a un quadro. Ho timore, ma cosa dico, ho proprio paura.
Era un lunedì mattina e mi recai in accademia per giudicare le opere di alcuni artisti emergenti, quando i miei occhi rimasero attaccati a un’opera, nulla di nuovo, mi era già capitato, soprattutto se si trattava di un lavoro che vedevo per la prima volta. Quella mattina, però, la cosa fu eclatante. Non riuscivo più a muovere i piedi. Quel acquarello raffigurante una donna era così realistico tanto da ritrovarmi lì accanto a lei.
Fu come trovarsi in una di quelle realtà virtuali molto diffuse oggi, infatti per vedere l’esposizione dei neo artisti avevo usato gli occhiali in 3d.
In un attimo attraversai il bosco dai colori autunnali per ritrovarmi davanti alla casa della donna che mi vide arrivare dalla vetrata e si spaventò: ero diverso. Certo che lo ero, venivamo da due mondi lontani. Io ero un’immagine ad alta definizione e lei un semplice acquarello. Chissà come gli ero apparso strano. Le sarò sembrato arrivato da un altro pianeta, invece lei era perfetta. L’avevano disegnata proprio bene.
La trovavo una bella donna semplice ed elegante, pensai di entrare per fare la sua conoscenza.
Bussai alla vetrata e lei si allontanò per venirmi ad aprire e mi fece entrare, mi preparò un thè caldo per riscaldarmi da quella giornata fredda e ventosa. Parlammo a lungo. Incuriosito le chiesi di come e del perché fosse stata dipinta in quella casa così isolata, lei mi spiegò che l’artista era una giovane donna che lottava contro la solitudine e in quella grande casa avrebbe dovuto esserci anche un uomo che stava, appunto, attendendo attraverso la vetrata. Per un attimo aveva pensato e sperato fossi io.
Passammo il pomeriggio insieme, mi chiese di restare, ma non potevo perché dovevo tornare alla mia vita reale, lei riprese, dispiaciuta, a guardare fuori dalla vetrata aspettando il suo uomo.
ELABORATO SEI
RINASCITA
Mi rigiro nel letto – questo letto che era il nostro, penso come ogni giorno – e scosto la coperta che avevo tirato fin sopra la testa. Strizzo gli occhi. Ecco il problema: ieri sera ho aperto le persiane, poi mi sono dimenticata di richiuderle. Era la prima volta che le aprivo da mesi, da quando te ne sei andato. Avevo deciso di non aprirle più, mai più, per non far più entrare la luce in questa casa che ci ha visto insieme. Era il mio modo per onorare la tua memoria – chiudermi dentro e mantenere il buio – come se l’oscurità, impedendo ai miei occhi di raccogliere altre immagini, potesse conservare meglio le nostre.
Ieri sera, però, è successa una cosa. Un uccellino cinguettava insistente proprio sotto il bovindo. Ho aperto le persiane per vederlo e poi sono uscita, pensando fosse ferito o in difficoltà, invece era semplicemente lì, così, che canticchiava e saltellava allegro; quando sono rientrata, devo aver scordato le persiane per via del buio.
Strizzo ancora gli occhi. Che fastidio questa luce! Eppure, in qualche modo riesce a incuriosirmi: è strana, traccia chiaroscuri dorati sulle pareti.
Mi alzo. Col vestito che indosso da giorni e lo chignon un po’ scomposto – ormai è da un po’ che non mi prendo cura di me – mi trascino verso il bovindo.
Mi sporgo, e in un attimo di puro stupore mi rendo conto di non essermi mai svegliata a quest’ora. Venendo dal mare, la luce solletica il biondo rigoglioso delle spighe e sembra spruzzare albori quieti sulle chiome degli alberi; la vedo poggiarsi, leggera ma decisa, sui muri esterni di casa per poi farsi strada dentro. È fresca e magnetica. Mansueta, eppure briosa. E all’improvviso mi accorgo di averla sul viso, la sento sulle braccia e sul petto. Il suo calore lieve quasi mi mette i brividi, e in un moto viscerale avverto un senso di comunione con il mondo attorno a me, dentro la casa e fuori, come se questa luce – questa luce che il sole appena nato, sontuoso e delicato, spinge proprio alla mia altezza – mi unisse alle spighe, agli alberi, al cielo un poco velato e, in lontananza, al mare scintillante di mattino.
Forse quell’uccellino cercava di dirmi qualcosa; forse c’è un altro modo per onorare la tua memoria.
Forse è arrivato il momento di una rinascita.
ELABORATO SETTE
IL TEMPO DELL’ATTESA
Si era svegliata presto, quella mattina, e con la solita tazza di caffè, era andata nel bow window: la luce del sole appena sorto filtrava delicatamente attraverso i vetri, quasi per entrare senza disturbarla.
Il vento cominciava a soffiare forte, ma non tanto da spazzare via i pensieri che si erano radicati nella mente.
Stava lì, ferma, come se avesse bisogno di trovare una risposta dentro di sé.
Guardava fuori dalla finestra, dove il mare, rispondendo al richiamo della brezza salmastra, cominciava a incresparsi sotto un cielo limpido e chiaro.
Il suono delle onde che s’infrangevano sulla battigia giungeva alle sue orecchie, ma Clarissa rimaneva immobile, come se avesse bisogno di sentire oltre.
Non era solo il paesaggio a trattenerla. No, era qualcosa di più profondo, che non poteva essere espresso a parole.
Si capiva dal suo sguardo; da quell’espressione assorta, pronta a raccontare una vita piena d’incertezze.
Si era rifugiata in quel piccolo angolo di mondo, che le aveva offerto calma e solitudine, per proteggere soprattutto quell’esserino, che sapeva essere dentro di lei; a differenza di altri, che l’avevano rifiutato ancor prima di conoscerlo.
Da un po’ di tempo, però, questa calma stava mettendola a dura prova, e chiudere con un passato, che l’aveva solo ferita, non era facile.
Posata la tazza sul tavolino, si era avvicinata all’ampia finestra, aprendola.
Con il busto proiettato in avanti e le mani ben appoggiate sul davanzale – come a cercare di aggrapparsi a quella nuova realtà che ormai le apparteneva – continuava a guardare l’orizzonte.
A un tratto, scorse una figura maschile camminare verso di lei… Lo riconobbe.
«Leonard…»
«Clarissa, finalmente ti ho trovato. Vorrai mai perdonarmi?»
«Non sono io a doverti perdonare… Devo ancora imparare a perdonare me stessa.»
Il pianto di un neonato li interruppe, e per Leonard quello fu un altro doloroso richiamo alla realtà.
Clarissa chiuse la finestra e si voltò, lasciando fuori il suo passato.
Pronta ad affrontare ciò che sarebbe venuto – senza fretta e senza paura – andò dal suo bambino.
ELABORATO OTTO
L'ATTESA
L'ATTESA
Ritornerò mamma, quando il grano diventerà biondo e affacciandoti dalla
veranda, vedrai un mare dorato confondersi con la luce del tramonto.
Mi avevi detto queste parole Antonio, prima di andare via, lasciando me, papà e il tuo fratellino sulla porta di casa. Un senso d’impotenza e rabbia mi era montato dentro e mentre tuo padre parlava dell’ineluttabilità della guerra, io non capivo e nemmeno volevo farlo.
Per me era incomprensibile la partenza per il fronte di tanti ragazzi, che a tutto avrebbero dovuto pensare tranne che a sparare addosso alla gente.
Molti si riempivano la bocca di belle parole come ideali, patria, ma io sapevo solo che mio figlio partiva e che forse non l’avrei rivisto più.
Chissà quante mamme e donne aspettavano come me, in tanti angoli della terra e sarà sempre così, non cambierà mai, ne sono sicura.
Non restavano che l’attesa e l’angoscia dei pensieri che venivano a bussare nelle notti insonni.
Davanti alla tragedia di una guerra, la vita di una singola persona sembra perdere d’importanza, e allora avrei voluto gridare è mio figlio, non è solo una targhetta attaccata al collo! Come posso ancora parlare, respirare, portarmi il pane alla bocca, sapendo che forse lui non ne ha, coprirmi, se penso che forse in questo momento soffre il freddo, quanti altri giorni, mesi, anni, dovranno passare prima che questa tortura finisca?
Non avevo più abbracci spensierati per Giuseppe e lui, pur essendo piccolo, si rendeva conto di quanto fossi cambiata, e ogni bacio portava la memoria di altri baci, la sua voce, di un’altra voce.
Giorno dopo giorno, avevo iniziato a perdere le speranze; le lettere, che prima ogni tanto ricevevo, avevano lasciato il posto a un silenzio interminabile. Era trascorso quasi un anno, quando il governo mi fece sapere che ti trovavi prigioniero in Africa e i miei giorni diventarono ancora più pesanti.
Non mi sentivo sola però, perché ero unita a tante altre donne, quelle che subiscono la follia del mondo e non la capiranno mai.
Mi avevi detto queste parole Antonio, prima di andare via, lasciando me, papà e il tuo fratellino sulla porta di casa. Un senso d’impotenza e rabbia mi era montato dentro e mentre tuo padre parlava dell’ineluttabilità della guerra, io non capivo e nemmeno volevo farlo.
Per me era incomprensibile la partenza per il fronte di tanti ragazzi, che a tutto avrebbero dovuto pensare tranne che a sparare addosso alla gente.
Molti si riempivano la bocca di belle parole come ideali, patria, ma io sapevo solo che mio figlio partiva e che forse non l’avrei rivisto più.
Chissà quante mamme e donne aspettavano come me, in tanti angoli della terra e sarà sempre così, non cambierà mai, ne sono sicura.
Non restavano che l’attesa e l’angoscia dei pensieri che venivano a bussare nelle notti insonni.
Davanti alla tragedia di una guerra, la vita di una singola persona sembra perdere d’importanza, e allora avrei voluto gridare è mio figlio, non è solo una targhetta attaccata al collo! Come posso ancora parlare, respirare, portarmi il pane alla bocca, sapendo che forse lui non ne ha, coprirmi, se penso che forse in questo momento soffre il freddo, quanti altri giorni, mesi, anni, dovranno passare prima che questa tortura finisca?
Non avevo più abbracci spensierati per Giuseppe e lui, pur essendo piccolo, si rendeva conto di quanto fossi cambiata, e ogni bacio portava la memoria di altri baci, la sua voce, di un’altra voce.
Giorno dopo giorno, avevo iniziato a perdere le speranze; le lettere, che prima ogni tanto ricevevo, avevano lasciato il posto a un silenzio interminabile. Era trascorso quasi un anno, quando il governo mi fece sapere che ti trovavi prigioniero in Africa e i miei giorni diventarono ancora più pesanti.
Non mi sentivo sola però, perché ero unita a tante altre donne, quelle che subiscono la follia del mondo e non la capiranno mai.
E ora che tu, Caterina, mi chiedi: «Che cos’è la felicità, nonna?» Ti
rispondo che per me è stata un ritorno, quell’avanzare lento e stanco verso
casa, mentre io, ancora incredula, mi aggrappavo al tavolo per non cadere e
quasi non credevo ai miei occhi.
Per me la felicità è un figlio che torna, mantenendo una promessa, fra l’ondeggiare del grano.
Per me la felicità è un figlio che torna, mantenendo una promessa, fra l’ondeggiare del grano.
ELABORATO NOVE
I CAMPI CHE BRILLANO D’ORO
I campi di grano brillano come distese d’oro e il vento del mattino, ancora fresco, fa suonare le foglie degli alberi come strumenti di un’orchestra diretta dalla natura.
Adoro tutto questo dai tempi della scuola, da quando, con l’arrivo della bella stagione, di ritorno dalle lezioni ero solito fare di corsa il sentiero che ancora taglia il campo in due e che porta a quella che era la nostra casa. Era un momento felice perché mamma era sempre lì, incollata alla finestra ad aspettarmi. La vedevo da lontano e allora iniziavo a correre come a voler raggiungere il porto sicuro della mia vita.
Così è stato.
Da ragazzino, a volte amavo nascondermi tra le spighe e restare fermo a osservarla. Mi inginocchiavo nel grano senza farmi vedere e la guardavo sporgersi per cercarmi lungo la strada di fronte alla veranda. Oggi interpreto quel movimento in avanti come un grande gesto d’amore: la preoccupazione di una madre che ancora non vede il figlio tornare contiene tutto il bene che può esserci in una montagna di abbracci.
A distanza di anni mi capita ancora di passare di qua e muovere qualche passo tra le spighe per immaginarla alla finestra della vecchia casa che ormai è disabitata. Vengo qui e mi lascio andare al ricordo di lei e del suo amore che ancora si respira nella terra e nelle radici di questo luogo che babbo ha voluto lasciare una volta rimasto vedovo. La vedo con il suo abito rosso, quello che indossava verso maggio inoltrato, quello che la rendeva bella agli occhi di tutti gli uomini. Ricordo che questa cosa mi infastidiva parecchio e che ero geloso senza neanche sapere cosa fosse la gelosia. Oggi, invece, sento tutto l’orgoglio di essere stato il figlio di una donna bellissima. Anche perché posso dire che mamma è sempre stata innamorata solo del babbo.
E di me.
In un modo così grande da essere riuscita a creare una sorta di serbatoio d’amore che conservo nella mia anima. A volte credo che neanche tutto il tempo che manca da qui alla fine del mondo potrebbe riuscire a far sbiadire il ricordo che ho di lei. Perché, davvero, io tutto quel bene riesco ancora a sentirlo.
Sentirlo e toccarlo attraverso le lacrime che mi accompagnano ogni volta che torno ad inginocchiarmi qui, nei campi che brillano d’oro.
Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle
Care e cari partecipanti, ho letto con piacere i vostri racconti, e chi per un verso e chi per l'altro, in tutti ho trovato una particolarità, un suo perché, e ho pensato a quanto è bella questa nostra passione che ci prende per mano, per cuore e ci fa stare bene. E allora evviva la Scrittura, il Masterbook e buon proseguimento a tutti.
RispondiEliminaSandra Morara
Grazie, Sandra, mi unisco all’esortazione…
EliminaLetto e riletto i racconti, direi che posso proseguire con i tre seguenti, che a pari merito mi hanno più colpito:
ELABORATO DUE - Una foto alla finestra
Mi è piaciuto molto l’insieme di originalità e mistero;
ELABORATO SEI - Rinascita
Ho apprezzato il messaggio di speranza;
ELABORATO NOVE - I campi che brillano d’oro
I ricordi di una madre che, pur sapendo benissimo non essere la tua, fanno rivivere i tuoi e ti regalano identiche emozioni.
"Anima e polvere" mi è piaciuto molto per le descrizioni e per la sensibilità che emerge tra la righe. Masterbook è stata una palestra stimolante. Maura Hary
RispondiEliminaAncora grazie, Stefania, per l'opportunità del Masterbook, una gara stimolante e divertente. Grazie alla giuria per il suo lavoro e complimenti a tutti i partecipanti! Arianna Desogus
RispondiEliminaL'elaborato 9 :" I campi che brillano d'oro " mi ha emozionato molto. Un racconto che culla , delicato, silente e profondo . Un figlio che scrive della madre, ma allo.stesso tempo un uomo che scrive della donna!
RispondiEliminaHo letto i racconti e li ho trovati davvero ispirati. I miei preferiti sono il n. 1 e il n. 8.
RispondiEliminaComplimenti a tutti perché sono TUTTI racconti molto belli. Se dovessi dire quelli che più mi hanno colpita sceglierei il 3: UN ISTANTE, di poche ma incisive parole. Il 4: ANIMA E POLVERE, perché mi ha commossa e il 9: I CAMPI CHE BRILLANO D’ORO, molto toccante.
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