Seduti allo stesso tavolo

Seduti allo stesso tavolo
Il nuovo romanzo di Stefania Convalle, sul mondo dell'editoria.

lunedì 24 marzo 2014

Numero 199 - Magazine 7, Van Gogh in primo piano - 24 Marzo 2014


Magazine n° 7
24 Marzo 2014

Voglio dedicare l'intero numero del Magazine di questa settimana a Cinzia che da più di un mese ci regala servizi degni di una grande rivista, su pittori famosi!
Voglio dirle G.R.A.Z.I.E per il tempo che dedica alla costruzione di questo Blog che vuole mantenere un suo "STILE" che sia volto esclusivamente al positivo, trattando argomenti culturali e motivazionali, senza cadere mai nella "rissa" che fa tanto audience in altri luoghi;-)

Grazie, quindi, a Cinzia per l'impegno che mette ogni settimana nel proporci la vita di un pittore con le sue opere, arricchendo il nostro sapere. Grazie a chi ci segue con affetto, a chi dedica qualche minuto del suo tempo per lasciare un pensiero, un'opinione, un suggerimento.

Grazie a tutti e buona settimana!



Vincent Van Gogh
(1853 – 1890)
a cura di Cinzia


Vincent si dedica alla pittura per ribellarsi ad una società pragmatistica che lo ha sempre respinto, considerando il profitto come unico fine del lavoro; costantemente colmo d’angoscia, si è sempre interrogato sul significato dell’esistenza, del proprio essere nel mondo.

Quando si fece pastore e poi missionario tra i minatori del Borinage, in Belgio, viene espulso anche dalla Chiesa, solidale con i padroni.

Si può dire che diventi pittore per disperazione, non per vocazione; a trent’anni si rifugia tra colori e pennelli, pagando questa sua rivolta con il manicomio ed il suicidio.

Nel primo periodo, in Olanda, si concentra sulla miseria e sulla disperazione dei contadini, causata dall’industrialismo che prospera nelle città, portando carestia nelle campagne, privando oltre che la gioia di vivere, perfino la luce ed i colori.

Dipinge la loro condizione con toni cupi, bui, sono quadri monocromatici:

(I mangiatori di patate – 1885)

Questo è il dipinto più importante del periodo olandese, Vincent lo considera (anche in seguito) uno dei suoi capolavori, nel quale è impressa un’immagine di grande crudezza e realismo: Vincent esalta la grossolanità dei personaggi, usando colori scuri e sporchi.

In una lettera al fratello spiega di aver voluto sottolineare come “questa gente ha zappato la terra con le stesse mani nodose che ora protende nel piatto” ed aggiunge “parlo del lavoro manuale e di come essi si sono guadagnati onestamente il cibo.”

Le figure appaiono isolate, i loro sguardi non si incrociano e la ragazzina in ombra, di spalle, è un fattore di distanziamento che esclude dalla scena lo spettatore.

Questo quadro rimane un “manifesto” del suo credo artistico e sociale: il suo “quadro di storia” più significativo.

Nel 1886, si stabilisce a Parigi dal fratello Theo, conosce gli impressionisti e trasferisce questo suo cambiamento sulle tele, proponendo un cromatismo violento.

Abbandona i temi sociali perché capisce che l’arte non deve essere uno strumento, ma un agente di trasformazione della società e più precisamente, un’esperienza che l’uomo fa del mondo; l’arte deve inserirsi come una forza attiva nella società, una luminosa verità contro la crescente tendenza all’alienazione.

Anche la tecnica della pittura deve mutare, opporsi alla tecnica meccanica dell’industria, non si tratta più di rappresentare il mondo in modo superficiale o profondo: ogni segno di Vincent è un “gesto” con cui affronta la realtà per cogliere e far proprio il suo contenuto essenziale, la vita, quella vita che la società borghese, col suo lavoro alienante, estingue nell’uomo.

Vincent cerca in tutti i modi di dipingere la realtà nella sua espressione più vera, una percezione della realtà nella sua esistenza “qui ed ora”, una pittura vera fino all’esasperazione, all’assurdo, al delirio, al tragico, alla morte.

Si può osservare come fa il ritratto del postino Roulin, uno dei suoi migliori amici ed uno dei più fedeli della sua vita:

 ( Ritratto di Joseph Roulin – 1888)

Che sia un postino si vede dall’uniforme turchina e gallonata, dalla scritta cubitale sul berretto: la dominante coloristica del quadro è proprio lo spicco del giallo-oro sul blu della stoffa.

Non c’è alcun interesse sociale , Vincent non ritrae il signor Roulin perché sia un postino, né perché lo interessi come tipo umano.

E’ una realtà che non giudica né commenta: può solo subirla passivamente oppure rifarla con gli atti mestieranti del pittore.

Infatti, VIVE lo spessore del panno nella densità opaca del turchino, la ruvidezza spinosa della barba in un intreccio di secche pennellate, non divagando sull’ambiente.

Vincent sembra riflettere: la realtà è altro da me, ma senza l’altro io non avrei coscienza del mio essere, io, non sarei; quanto più l’altro è altro, diverso, incomunicante, tanto io sono io, tanto meglio scopro la mia identità, il senso-non-senso del mio essere nel mondo.

Il “tragico” nel ritratto del postino Roulin è vedere la realtà e vedersi nella realtà con lucida evidenza; è tragico riconoscere il nostro limite nel limite delle cose e non potersene liberare.

E’ tragico, di fronte alla realtà, non poterla contemplare, ma dover fare e fare con passione e furia: lottare per impedire che la sua esistenza distrugga la nostra.

L’arte diventa “mestiere di vivere”, Vincent contrappone questo, disperatamente, al lavoro meccanico dell’industria, che non è vita.

Certamente, a livello stilistico, non è facile farlo rientrare in una categoria, anche nel suo periodo, prolifero di movimenti, dall’Impressionismo al Simbolismo, dal Decadentismo al Futurismo.

Vincent porta a compimento la propria formazione tra un fermento di stili ed orientamenti, ma, nonostante il suo interesse ai movimenti più progressisti, non fa parte né dell’Impressionismo, né del Pointillisme, né può essere considerato un simbolista: Vincent si costruisce uno stile che rimane soltanto suo, personalissimo.

Sperimenta, senza sosta, l’espressività del colore e l’uso di pennellate diverse, allungate, puntinate, a virgola, per trasmettere sulla tela i suoi stati d’animo.

Vincent spiega a Gauguin che i colori assumono, per lui, il significato di “concetti poetici”, la loro intensificazione o distorsione, gli permettono di raggiungere la tanto cercata fusione tra percezione visiva e psichica.

Insieme alle esperienze parigine, giunge a maturazione lo studio delle stampe giapponesi che indirizza Vincent verso una semplificazione delle forme.

In questo periodo, Vincent si trasferisce in Provenza, ad Arles nella Casa Gialla con Gauguin: i loro caratteri e le propensioni artistiche si scontrano; nonostante questo, accade un avvicinamento stilistico nel quadro “ Ricordo del giardino di Etten – 1888”


Questo quadro è attraversato da un’atmosfera misteriosa, risentendo dell’ascendenza di Gauguin, del quale Vincent ha un’enorme ammirazione, lo considera la sua “guida”.

Tra i due amici esiste una differenza sostanziale: tanto Gauguin vuole allontanarsi dalla realtà, quanto Vincent vuole coglierne l’emozione.

Ma le tensioni tra i due amici aumentano, al punto che una notte Vincent (già preda di un forte esaurimento), vedendo uscire Gauguin di casa, si mutila l’orecchio destro con un rasoio e lo consegna ad una prostituta; ritorna a casa, dove il giorno seguente viene trovato, svenuto, dalla polizia.

Gauguin che ha dormito in albergo, scoperto l’esito della nottata, riparte per Parigi senza vedere l’amico, limitandosi ad avvertire Theo, il fratello di Vincent.

Dopo due settimane di ospedale, dipinge in più tele il proprio autoritratto con l’orecchio bendato:

 (Autoritratto con l’orecchio bendato – 1889)

In questo autoritratto, il suo sguardo sfugge quello dell’osservatore e la pennellata è spezzata in piccoli tratti verticali, accidentati.

La giacca abbottonata ed il cappello in testa contribuiscono a trasmettere un senso di chiusura; Vincent parla tranquillamente delle proprie condizioni, rendendosi conto di incutere paura alla gente.

In seguito, una seconda crisi nervosa costringe Vincent ad un nuovo ricovero, una volta dimesso riprende a lavorare, ma i cittadini di Arles firmano una petizione, chiedendone l’internamento.

Vincent non si oppone, ma, in una lettera al fratello scrive “Sogno di accettare con fermezza il mio mestiere di pazzo, ma ecco, non mi sento proprio la forza necessaria per assumere questo ruolo.”

Ma, Vincent decide di farsi ricoverare nel manicomio di Saint-Remy, non lontano da Arles, dicendo che non riesce più a vivere da solo.

In questa struttura, Vincent non riceve alcuna cura specifica, ha il permesso di dipingere anche fuori del ricovero.

Il luogo gli trasmette tranquillità, ma, l’atmosfera deprimente gli infonde uno stato di malinconia esistenziale, perdendo ogni speranza di guarigione.

Vive nel terrore di essere assalito da nuovi attacchi allucinatori, dei quali parla con orrore, riferendosi alla pittura come la salvezza dall’abulia totale.

In questo periodo dipinge molto, il suo stile è ancora in evoluzione, verso una sempre maggiore espressività; la sua fonte d’ispirazione è la natura, un esempio è “ Il giardino di Saint-Paul – 1889:


In questo quadro si nota il richiamo alle linee decorative dell’arte giapponese, evocate nell’andamento contorto di alcuni tronchi.

Anche il cielo diventa ornamento, attraverso l’uso della pennellata a virgola, differenziandolo solo nel colore rispetto alle chiome degli alberi, tanto che l’orizzonte sembra non esistere.

La superficie della tela sembra ondeggiare, dando l’impressione di una ripresa in movimento.

Pochi mesi dopo, Vincent è preda di una fortissima crisi che lo getta in una profonda depressione, ancora più aggravata dalla proibizione di dipingere, imposta dai medici, poiché nel corso dell’ultimo attacco ha tentato di ingerire dei colori.

Ad un anno dal suo ricovero, nel 1890, Vincent lascia la Provenza per andare a Parigi; gli ultimi mesi sono stati sereni, dieci dei suoi dipinti di Arles e Saint-Remy hanno ricevuto grandi apprezzamenti alla nuova esposizione degli Indépendants, soprattutto da parte dei colleghi, tra cui Monet, Pissarro, Bernard  e perfino Gauguin gli ha scritto una lettera colma di complimenti.

Qui, incontra l’eccentrico dottor Gachet (amico di Victor Hugo, Paul Cézanne, Camille Pissarro) che entra immediatamente in sintonia con Vincent, il quale incontra finalmente qualcuno con cui condividere i suoi interessi, le proprie vedute sull’arte.

Vincent trova in Gachet il tanto cercato modello e, dopo sole due settimane di conoscenza, si appresta a ritrarlo, lavorando molto intensamente:

 (Ritratto del dottor Gachet – 1890)

Il dipinto è estremamente innovativo, l’artista abbandona le pose statiche  e convenzionali dei ritratti eseguiti ad Arles, cogliendo l’amico in un gesto familiare.

Nell’espressione triste di Gachet, Vincent vede “l’espressione disillusa del nostro tempo.”

Ci sono diversi tipi di pennellata nell’opera: il piano del tavolo è steso in modo piatto, mentre la giacca ed una parte dello sfondo hanno tratti curvilinei; la parte superiore dell’opera, è riempita con incroci ortogonali che hanno caratterizzato i ritratti provenzali.

A turbare questo equilibrio tra Vincent e Gachet sono una serie di problemi capitati al fratello Theo (la moglie ed il figlio si ammalano gravemente), come sempre Vincent se ne sente in colpa e viene attanagliato dall’angoscia; ha un diverbio con Gachet e rompe ogni rapporto con lui.

Terrorizzato all’idea di subire nuovi attacchi depressivi, il 27 luglio 1890 si spara un colpo di pistola, nei campi.

Si ferisce soltanto, ma muore due giorni dopo, il 29 luglio 1890, avendo completamente perso la volontà di vivere.

***

Per Vincent, lo strumento principale per esprimere sentimenti trasmessi dalla natura è il colore, è convinto che la “cromia” sia il miglior modo per esprimere la propria soggettività e comunicarla agli altri.

Oltre al colore, usava la pennellata quale mezzo espressivo: personalissima, sempre in evoluzione con tratti, puntini, virgole, spirali.

Vincent ricercò, durante la sua vita artistica, l’autenticità della visione, un’interpretazione sincera di un modello realmente esistente.

Camille Pissarro disse di lui : “Costui o diventerà pazzo, o ci farà mangiare la polvere a tutti quanti.
Se poi farà l’uno e l’altro, non sono in grado di prevederlo.”

 (Campo di grano con corvi – 1890)


3 commenti:

  1. mascarello marilena26 marzo 2014 alle ore 21:20

    grande Van Gogh!! ogni suo quadro regala emozioni!!.. e quanto ha prodotto, scopro sempre opere che non conoscevo! Grazie Stefania.. grazie a Cinzia...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Marilena! Devi ringraziare solo Cinzia per quanto riguarda Van Gogh:-) è tutta opera sua e devo dire che è davvero brava a proporci ogni settimana questi ritratti di grandi artisti. Lo fa in modo semplice e alla portata di tutti. Non è da poco!:-)) Sono contenta che la apprezziate ed è bello dirglielo!:-) Grazie!

      Elimina
  2. Per rispondere a queste domande o per lasciare un proprio pensiero, vi ricordo come si fa ad inserire il commento: sopra lo spazio dove dovreste scrivere il testo c'è una scritta che dice COMMENTA COME e sulla stessa riga trovate una piccola freccia sulla quale dovete cliccare; uscirà un elenco e cliccate su NOME/URL, si aprirà una nuova finestra e dovete scrivere il vs nome o nick dove c'è scritto NOME; poi cliccate su CONTINUA, inserite il testo e cliccate su PUBBLICA. Più facile di così!!!

    RispondiElimina