Anche la quarta tappa si è conclusa.
Ecco i nomi degli autori che si sono qualificati, fino a questo momento, per partecipare alla supersfida finale dove ne resterà solo uno!
Alessandra D'Angella
Giulia Landini
Tiziana Mazza
Tania Mignani
Alessandra Nobile
Pamela Pirola
Adelia Rossi
Maria Rita Sanna
Pinuccia Sassone
Linda Silvia Scarpenti
Sonia Signorino
Riccardo Simoncini
Di seguito potrete leggere i racconti della quarta e ultima tappa e votare le vostre CINQUE preferenze in un commento.
Vi ricordo che:
- i commenti devono essere firmati. I commenti anonimi non verranno tenuti in considerazione
- è necessario esprimere CINQUE preferenze (non meno) e motivare la scelta
Entrate nei panni della figura del giurato, siate obiettivi e cercate di votare SOLO i cinque che DAVVERO vi saranno piaciuti di più. Per un attimo, dimenticate chi li ha scritti e giudicate solo il testo, la bella scrittura, l'originalità della storia, la forma, le emozioni che vi avranno trasmesso.
Le votazioni per questa tappa si chiuderanno
giovedì 10 giugno - ore 19:oo
Durante la diretta della stessa sera, dedicata alla presentazione del nuovo romanzo di Silvana Da Roit, comunicherò i nomi degli ultimi autori che si giocheranno la finale.
E ora, via con le letture! ;-)
P.S. Ho deciso di pubblicare senza apportare nessuna correzione ai testi, né virgole, né altro, insomma, nessun piccolo editing da parte mia. Ho deciso di fare così visto che la sfida si fa calda ;-) Unica modifica: ho messo le caporali per una questione estetica di tutto l'insieme.
Autrice: ALESSANDRA NOBILE
Il puntino rosso
All’inizio eri soltanto un puntino
rosso in fondo alla strada. Ma il rosso fiammante del tuo vestito, quella sera
d’estate, aveva già iniziato a inglobare il mio mondo, man mano che ti avvicinavi
a me. E tu, la ragazza più bella della festa, la più elegante, il rubino più
prezioso, per tutto il tempo ballasti insieme a me senza parlare.
Tu eri il rosso.
E io, prima di te, ero il bianco.
Un bianco splendente. Bianco sopra
strati di bianco. Neve sopra il bosco dopo una tormenta. E non c’era spazio per
nessuno in mezzo a quel chiarore che abbagliava, che feriva gli occhi,
allontanando tutti quanti.
Tutti, sì. Tutti tranne te che con
un solo sguardo avevi capito. Quel bianco era un guscio vuoto. Un guscio privo
di reale spessore. Un guscio che si sarebbe sciolto davanti al calore del rosso.
Di quel rosso che eri tu.
E così, a macchia d’olio, il tuo
rosso fiammante ha invaso tutto, di me. Tutto. Senza pietà. Tutto. Senza
lasciarmi un respiro di quello che io, un tempo, ero. Era bello, all’inizio,
quel tuo rosso che mi circondava e mi parlava sempre di te. Un rosso più rosso
del sangue che mi scorreva nelle vene. E dentro al mio sangue, da quella sera
d’estate, ci galleggiavi tu.
Ma poi.
Poi ho cominciato a non vedere più nessun
orizzonte, al di là di quel rosso. E il mio bianco era sempre più eroso. Sempre
più eroso da quel rosso che eri tu.
Ti parlai tante volte, sì. Ti
parlai, nel tentativo di non sparire. Ti parlai per cercare di dipingere un po’
di bianco, un bianco ormai pallido, nella mia e nella tua vita. Ma tu no, non
eri disposta a rinunciare nemmeno a un pezzettino del tuo rosso. Il tuo rosso
bruciava tutto. Il tuo rosso bruciava, un po’ per volta, il mio bianco. Quel
poco di bianco che ancora mi rimaneva.
Allora un giorno, tu eri in viaggio
per lavoro, svuotai il salotto dai nostri mobili. Poi ridipinsi tutta la stanza
di rosso: un rosso fiammante, il tuo rosso. Solo un angolo del pavimento,
accanto alla parete, lo dipinsi di bianco: un bianco splendente, il mio bianco.
Quell’angolo era tutto quello che restava di me. Lasciai asciugare. Mi misi il
completo del matrimonio: i pantaloni chiari e le scarpe nere e lucide che
indossavo quando ci dicemmo sì. E ti aspettai. Aspettai il tuo ritorno in piedi
nell’unico angolo dipinto di bianco. Speravo che aprendo la porta e vedendomi
lì avresti capito.
Tu apristi la porta, al tuo
ritorno. Mi guardasti negli occhi. Nei tuoi occhi c’era il rosso fiammante. Poi
prendesti un pennello che era ancora là, dentro al secchio, e con la vernice
bianca splendente scrivesti sul muro: «Voglio il divorzio».
- 2 -
Autrice: SONIA SIGNORINO
L'artefice
Lo stato d’animo di George
diventava sempre più irrequieto.
«Hai qualcosa che possa tirarmi
su?» disse a uno dei suoi “compagni di buco” con gli occhi socchiusi che
spezzavano il mondo a metà.
«Si, ma poi ridammela.» Rispose
Andrea senza mezzi termini né giri di parole.
Inizialmente era convinto di poter
gestire la cosa. Non sarebbe mai finito come i suoi compagni tossici, costretti
a rubare, prostituirsi e addirittura uccidere per quella polvere magica che
rendeva tutto tranquillo, bello e sopportabile. Grazie alla sostanza poteva
superare anche quella merda di vita. La sua.
E invece, George c’era caduto con
tutte le scarpe, anzi, con tutte le braccia rese ormai un colapasta dai tanti
buchi che era costretto a farsi per rendere la sua esistenza degna di essere
vissuta ed evitare le indicibili sofferenze dell’astinenza.
Subito dopo l’iniezione veniva
pervaso da un’ondata di sensazioni gradevoli.
La parola che forse più si avvicinava a quella impressione era “PACE” e
probabilmente solo un intenso orgasmo avrebbe potuto eguagliare quel senso di
goduria.
Preparò con meticolosità l’arnese
per la sua “pera” pregustando l’ennesimo senso di beatitudine.
Spinse piano lo stantuffo ma la
sensazione di euforia lo investì all’istante, fino all’ultimo nervo del corpo.
CALORE, BENESSERE, APPAGAMENTO.
Subito dopo si ritrovò in una
camera senza porta né finestre. Prevalse immediatamente il senso di
oppressione, gli mancava l’aria. Era in
trappola.
La stanza aveva le pareti rosse e
lentamente anche il pavimento stava cominciando a tingersi della stessa
tonalità. La linea rossa della vernice sul ripiano avanzava inesorabile verso
di lui, propagandosi per tutta la superficie.
L’istinto di George gli suggeriva
di dover fare qualcosa prima che la macchia rossa lo inghiottisse. Se fosse
rimasto impassibile, sarebbe morto.
Indietreggiava sempre di più,
finché non si ritrovò nell’angolo della stanza, l’angoscia lo faceva respirare a
fatica e si sorprese a tremare di paura.
Presto la superficie si colorò
quasi completamente, l’unico punto bianco era il piccolo spicchio dove poggiava
i piedi, si guardò la mano e al posto "dell'amica" siringa trovò un
pennello con le setole sporche di vernice rossa, lo stesso colore della trappola.
Si sedette, portò le gambe al petto
rannicchiandosi. Cercò di farsi piccolo.
Quella stanza altro non era che lo
specchio del suo destino. Capì che era proprio lui l'artefice della sua
ventura, nel corso della vita aveva colorato di rosso le quattro pareti, le
pennellate forti e decise rappresentavano, una a una, tutti gli errori
commessi.
Continuò a guardare il pennello e
il pavimento. Cosa avrebbe dovuto fare a quel punto? Non aveva scelta: chiuse
gli occhi, prese coraggio e dipinse l’ultimo spicchio bianco, si abbandonò al
suo destino. BUIO.
George venne ritrovato disteso su
una panchina alle 6.40 del mattino, morto per overdose con la siringa ancora
appesa al braccio.
- 3 -
Autore: RICCARDO SIMONCINI
Rosso sangue
Mi raccomando, neppure un puntino occorre tralasciare.
Tutto rosso, rosso sangue mi hai
chiesto e tutto rosso, rosso sangue, avrai.
Pareti, tetto, pavimento.
“Rosso sangue” mi hai chiesto, e
sangue rosso avrai.
Intingo il pennello e osservo le
gocce colare. Spiccano sul bianco che verrà cancellato dal rosso che più sangue
non si può, amore mio. Ad ogni passaggio le setole lasciano delle strisce
parallele in leggero rilievo. Mi piace fermarmi e osservare da vicino come,
piano piano, lo strato si assesta e diventa uniforme. Che pittura
straordinaria. Sembra viva.
Avevi ragione tu, cara. A me piace
il verde, ho provato a dirtelo, ma mentre ti parlavo hai cambiato stanza, sei
andata a sistemare le tue cose come se la mia fosse solo la voce della
pubblicità alla radio. E quando sei tornata hai ricominciato a parlare del
rosso. Io te l’ho detto che risulta pesante il rosso ma tu hai alzato la voce,
hai ribadito “rosso sangue” e sei tornata di là, nell’altra stanza lasciandomi
parlare da solo, come una radio.
Ho dipinto prima il soffitto.
Sentivo i “plick plick” delle
piccole gocce di sangue che dal rullo cadevano a terra e qualcuna pure sul mio
viso, ma non me ne sono curato, perché ero affascinato dal silenzio, finalmente.
E poi, comunque, a breve avrei dipinto anche lì. Sei stata chiara. Pareti,
tetto, pavimento. Hai avuto cura di dirmelo più volte, sempre urlando, come
quando mi sgridi se sbaglio e non ti sta mai bene niente. Niente.
Mi manca solo quest’ultimo angolo,
ma il barattolo è vuoto. Sono sicuro che alzeresti ancora la voce per
rimproverarmi del fatto che non so fare le cose, urlandomi che sono maldestro e
incapace.
Ma non è colpa mia, amore.
Sei tu che sei riuscita a scappare.
Io sono tornato di là, nell’altra
stanza, dov’eri tu. Sono venuto a strizzarti ancora, a rifornire il barattolo
per completare il lavoro.
Perché venisse perfetto come hai
chiesto tu.
Rosso sangue.
Sangue rosso.
Ma sei scappata.
Così, dispettosa, potrai
rinfacciarmi che ho lasciato un intero angolo bianco.
.
Autore: CHRISTIAN POLLI
La fobia del divenire
Mi sono mosso troppo velocemente,
ho inquadrato bene le pareti e ho usato la vernice più fresca che si potesse
trovare sul mercato. Ma…vale la pena verniciare qualcosa che non si vuole
verniciare? O meglio, provo a spiegare questo teorema: questo rosso non mi
piace, è così sanguigno, sembra la scena di un delitto. Vorrei provare a
rimuovere queste tracce di sangue delle mie lacrime con un po’ di frescura
nella mia vita, con un bel po’ di bianco su cui poter ricostruire qualcosa di
cui valga la pena parlarne. Diciamo che finora non ha così ben funzionato,
quest’operazione: per quale diavoleria mi sono messo i pantaloni d’ufficio per
riverniciare il mio passato! Sono solo uno sciocco: se desidero riconquistare
il mio passato, non è certo vestendomi da uomo della city che otterrò questo
risultato. Ci dev’essere un cambiamento d’anima, una nuova visione di vedute…ed
ecco che faccio la fine dell’inetto di Svevo: mi ritrovo ad aver tinteggiato la
mia vita proprio in un angolo, con un pennello che non conosco e con un
secchiello simile a quelli che si trovano sulle spiagge in estate. Mi trovo in
un angolo…il bianco del mio passato che voglio far divenire il mio avvenire non
ha portato assolutamente a nulla di buono, a niente di cui valga la pena
combattere…valere, valere. Io non valgo nulla: sono solo un ometto
insignificante che si ritrova in un angolo della sua vita, in un angolo di una
camera qualsiasi, a dover camminare ancora su quel rosso sanguigno che tanto mi
fece soffrire…e feci soffrire. Sì, perché quel rosso sangue non è un semplice
colore, è proprio il sangue di una persona con cui affrescai le pareti della
mia anima quell’estate notturna, in macchina…non l’avevo visto, e sono corso
via, lasciandolo là, nel suo stesso sangue che poi l’avrebbe soffocato. Una
morte terribile, da come l’appresi sui giornali. Ma io non mi feci vivo alla
stazione dei carabinieri per denunciare il mio orribile delitto: nessuno vide
la macchina con cui quel poveretto fu investito; non vi era nessuna telecamera
posta lungo la strada perché potesse inchiodare la targa dell’assassino. Sono
stato troppo vile, e questo tormento mi spinge a sbiancare sia la mia anima che
questa stanza…ed io sussisto in un angolo, come un pupazzo, privo d’anima e di
avvenire. Sì, perché nessuna operazione potrà cancellare ciò che ho fatto, e il
mio divenire è già segnato qualunque cosa faccia.
Autrice: TATIANA VANINI
Opera in rosso
Dopo aver perso il lavoro mi sono
arrangiato a fare un po' di tutto. Avevo fatto dei biglietti, scrivendo: “Hai un lavoretto?
Chiamami! Non vuoi farlo tu, ci penso io!”.
All'inizio ho stentato ad
ingranare, ma poi la mia fama si è estesa dalla via dove vivevo, alle strade
limitrofe, poi ai quartieri più prossimi, fino all'intera città e adesso una
chiamata dalla campagna, anzi dal bosco.
Che dimenticanza, non mi sono
presentato e vi sto già raccontando la mia storia. Rimedio subito: mi chiamo,
Angeletto, sono un tutto fare di professione e sto andando nel bosco di
Moltofittoeoscuro, al castello del conte Acul per una arrossatura.
Non ho sbagliato, il conte vuole
un'arrossatura, ovvero che dipinga una stanza di color rosso. Non di bianco, rosso,
capito? Imbiancatura col bianco, col rosso... arrossatura! Un conte col senso
dell'umorismo, mi piace già.
Il castello è mezzo diroccato. Ha
evidente bisogno di tanti lavoretti, magari se porterò a termine il compito di
oggi al meglio, avrò altro da fare.
Non faccio in tempo a bussare alla
porta che questa crolla all'interno con gran fragore. Che pessimo inizio!
Eppure il conte mi accoglie con una battuta; dice di non farci caso, la porta
si emoziona alla vista di sconosciuti e sviene. É davvero simpatico!
Mi accompagna in una grande stanza
bianca, spiegandomi che ama il rosso, perché è il colore del sangue e della
vita. Devo dipingerla tutta così. Mi porterà un po' di pittura alla volta e si
allontana, chiudendomi dentro per la mia sicurezza, non vuole che mi perda per il maniero, con la
promessa di tornare a breve con la prima latta di vernice. È di parola, torna
con vernice, pennello e scala e mi dice di cominciare prima dal soffitto, poi
dalle pareti e tenere per ultimo il pavimento.
Comincio a lavorare e perdo la
nozione del tempo. Ogni volta che finisco un barattolo, dopo poco il conte me ne porta uno nuovo e io
dipingo, dipingo, senza fermarmi. Gli ho chiesto perché non mi lascia tutte le
latte in una volta, mi ha risposto che la mole di vernice ferirebbe il mio
morale; gli ho domandato perché la vernice ha un odore strano, ferroso, mi ha
risposto che è una composizione speciale; gli ho fatto notare che nella stanza
fa sempre più freddo, mi ha invitato a lavorare più in fretta per scaldarmi;
gli ho detto che sono stanco e vorrei fermarmi, mi ha esortato a continuare,
che ho quasi finito e poi potrò riposare per molto tempo.
Mi sono chiuso in un angolo. Un
mare di rosso intorno, un triangolo bianco ai miei piedi. Che fare? Sto
malissimo, barcollo, ho freddo e sonno. Vedo il conte, pare lontanissimo. Dice
che sono stato bravo, quasi perfetto, che sono un capolavoro che lo sazierà per
un bel po' di tempo. Che significa? Il pennello mi cade di mano e anche io
cado...cado... buio.
Angeletto, andò nel bosco. Partì
per un'arrossatura tornò per una sepoltura, la sua.
Autrice: ANNA INCANDELA
Angusto
Sto realizzando che sono bloccata
in uno spazio angusto, stretta nell’unico angolo senza vernice.
La sensazione dura solo pochi
secondi. D’altronde è così da quasi due anni, ci sto facendo l’abitudine.
Questo virus mi ha inchiodato.
Non ho di meglio da fare, così
comincio a sfogliare il libro della mia vita.
È un tomo, la mia esistenza è lunga
e di tempo ne ho vissuto tanto. Passo tutto in rassegna. Diventa un momento
catartico. Quanti esami ho superato.
La finestra è aperta, adesso un
raggio di sole mi sta scaldando l’anima. È ciò di cui ho bisogno. Sorrido e
penso che forse una mano dall’alto mi lancerà un’imbracatura, ma non importa se
devo aspettare: la vita andrà avanti lo stesso.
Autore: MARCO CASTOLDI
Sogni di latta
«Inutile vestire elegante se poi
tutta la cerimonia si racchiude nell’angolo di una maledetta stanza pittata!!!» urlò Caterina aprendo la porta di casa al suo rientro dopo una settimana di
lavoro all’estero. Giulio le aveva aperto il cancello d’ingresso dal citofono,
ma non era andato ad aprirle la porta per abbracciarla come faceva da sempre,
sollevandola appassionatamente senza mai prima di averle tolto le valige di
mano, tirandole nell’appartamento... L’ingresso aveva cambiato colore e le
pareti erano diventate quattro lastre color rosso vivo intervallate solo da due
specchi a giorno orizzontali, di quelli senza cornice… lui se ne stava
elegantissimo nel suo abito migliore rintanato là nell’angolo, dove quella
sottospecie di chiazza bianca sotto le scarpe sembrava essere la macchia che
imprigiona l’artista, perso nelle proprie fantasie dopo che ha pittato la
stanza, errando nei propri meandri sino a chiudersi in gabbia nell’unico angolo
sano ancora da pittare… Eppure c’era tutto, ma proprio tutto per mandare
letteralmente in bestia la nostra fanciulla; appena tornata dalle camere di lussuosi
alberghi a quattro stelle e sale riunione dall’eleganza e sobrietà sopraffine…
Un marito alle corde, un ingresso fiammante e un idiota finito all’angolo come
un pugile suonato… un pennello con le setole imbrattate e la latta lì per
terra… il suo uomo elegantemente vestito di un sorriso ebete e con due occhi
che la guardavano radiosi… Povera Caterina!
Le pareti le ricordavano la carta di quei cioccolatini a forma di cuore che
tanto adorava ricevere in dono e quelle palle di cioccolato fondente che Giulio
amava farsi sciogliere lentamente in bocca, facendo giochi di bolle in
movimento con le sue guanciotte da Cicciobello troppo cresciuto. La giovane
guardava quella assurda sequenza di pareti rosso pittate… e quell’uomo fermo a
guardarla con un arnese da imbianchino in una mano. Il suo giovane grande
artista era forse ammattito? Adesso l’ingresso della loro casa sembrava il box
di quelle famose macchine da corsa che portavano il nome dell’Italia nel mondo
“Svegliati, tesoro. Dobbiamo andare;” cantilenava in un sussurro la voce di
Giulio… A strapparla dalle coltri fu il bacio di un principe che, sollevatala
tra le braccia, la stava conducendo in cucina per la colazione. Fingendosi
addormentata, Caterina, attraversando l’ingresso, sbirciò di sottecchi le pareti
rosso corsa. Ma l’ingresso non era più quello che l’aveva scioccata al suo
arrivo… I girasoli di Vincent, Il Guernica Pablo, Il concetto spaziale di
Lucio; tutte le sue amate riproduzioni erano magicamente tornate al loro
chiodo… Eppure lei aveva ben impressa la
mano, il pennello, la latta di vernice e tutto quel rosso… l’unico rosso che le
diede uno schiaffo cromatico furono tre fantastiche rose; due tazzine con lo
stemma del cavallino rampante, colme di inebriante caffè e un astuccio dalle
dimensioni contenute… Solo allora si accorse che Giulio la stava osservando
impaziente… Guardava Caterina e guardava l’astuccio e tratteneva il fiato…
Caterina rigirò l’astuccio. Facendolo scattare, le apparvero un test di
gravidanza e la scritta rossa: «Sorridi, amore mio! sarai presto mamma.»
- 8 -
Autrice: GIULIA LANDINI
«Dottore, mi sento come se avessi
dipinto un’intera stanza di rosso e fossi rimasto bloccato nell’angolo.»
«Come dice, August?»
«Mi sento come se fossi nell’angolo
di una stanza; mi osservo come dall’esterno, ho dipinto di rosso tutto quanto:
il pavimento, le pareti, il soffitto, sono rimasto bloccato e adesso non riesco
più a muovermi.»
«Come in un vicolo cieco, dice?»
«Esatto, è tutto monocolore e sento
le pareti stringere.»
«Forse è un momento complesso per
lei; ha detto che il colore predominante è il rosso, cosa le ricorda?»
«Il mosto, l’odore del vino, mia madre
che teneva stretta la gonna tra le mani e saltava, arrivava in alto e li
schizzi le coprivano le gambe.»
«Quindi le ricorda qualcosa che ha
a che fare con la figura materna, August?»
«Può darsi, era molto bella mia
madre, l’ho amata tanto, dottore.»
«Forse è un bisogno di sicurezza,
di sentirsi accolto, cerchiamo spesso la figura materna quando ci sentiamo
fragili.»
«Dottore, come posso uscire dal
punto dove sono rimasto bloccato?»
«Forse, l’unico modo è calpestare
la pittura. Lei che ne pensa?»
«Ma resteranno le pedate.»
«Sì, ma lei potrà uscire dall’impasse
solo affrontando i suoi blocchi, August, e a volte l’unico modo è tornare sui nostri
passi, a costo di sconvolgere tutto e riprendere le cose che abbiamo lasciato
indietro.»
- 9 -
Autrice: ELISABETTA MOTTA
Nell’ufficio deserto si sente solo
il fruscio dei fogli che la stampante laser sputa uno dietro l’altro con la
stessa velocità con cui il mio cuore batte all’impazzata. Ho fatto due ore di
straordinario, questa sera. Quel rumore si dilata nel silenzio della stanza. Dello
stabile intero, un alto edificio a vetri. Alle nove è deserto.
Sono sola.
Sola.
Il pensiero mi mette ansia. Mi
incute timore. Ho un buon motivo per lasciarmi prendere dal panico. La città è
terrorizzata da un serial killer; le sue vittime sono giovani impiegate uccise sui
loro luoghi di lavoro.
All’improvviso, colgo con la coda
dell’occhio un’ombra proiettarsi sulla parete del corridoio. Possibile che ci sia
qualcuno? No, è solo la mia suggestione.
Deglutisco.
Resto in ascolto per captare
qualche rumore sospetto.
Si sente solo quello della mia
stampante che continua a produrre un esercito di fogli, ma io non ne sto
raccogliendo più nemmeno uno, inghiottita dalla paura. Mi avvicino alla porta.
Non c’è nessuno. Poi, allungo lo sguardo nel corridoio. L’ultima stanza è
illuminata. Deve esserci qualche
collega.
Eppure sono sicura di non avere
visto nessuno, prima quando sono andata alla toilette.
L’idea di non essere sola mi produce
un moto di sollievo e scaccia per un attimo la mia paura. Decido di andare a
vedere chi c’è lì dentro.
Le gambe tremanti e il cuore che
produce una serie di colpi in petto, mi muovo con circospezione nel corridoio.
Davanti alla porta, una grossa
chiazza rossa che si spande sul pavimento, mi blocca. Diventa sempre più
grande. Oh, Dio… sangue! Ho la fobia del sangue. Non ne sopporto la vista.
Anche il suo odore mi dà la nausea. Scopro invece che è pittura.
Rossa.
In un angolo, c’è un uomo, ai suoi
piedi un barattolo di vernice.
Rossa.
E regge un pennello in mano.
Che sciocca, mi sono lasciata
suggestionare. Quell’uomo sta dipingendo la stanza. Le pareti, il pavimento. Ma
ha iniziato decisamente dalla parte sbagliata! Quella da cui non vi è via
d’uscita. E adesso si ritrova confinato in un angolo, quasi prigioniero della
vernice. Davvero bizzarro!
Lo squillo del mio cellulare mi riporta
bruscamente alla realtà.
«Ehi,
Silvia, ma dove sei finita? Ti sto aspettando da un’ora. Sono alla porta
d’ingresso del museo. Ho una fame da lupi. In pizzeria cederanno il nostro
tavolo a qualcun altro, se non ci sbrighiamo.» La voce della mia amica
Damiana mi giunge impaziente.
Entrambe appassionate di arte siamo
venute a vedere quella mostra di quadri, con l’intenzione di concludere la
serata con una pizza.
Evidentemente devo essermi soffermata
a lungo davanti a quel dipinto. Si chiama Profondo Rosso. Ha dimensioni
gigantesche e tutto quel rosso ha scatenato la mia fantasia. Per un attimo, mi sono
calata nelle vesti di un’impiegata ufficio alle prese con la sua fobia di
essere nel mirino di un serial killer.
«Eccomi,
Damiana. Arrivo» le rispondo, allontanandomi a passo svelto, pronta a
tuffarmi in un altro rosso. Quello della mia pizza preferita!
Rosso Rubino
Mi presento alla storia: sono
Nancy, ho dieci anni e non porto gli orecchini. Ho sempre avuto paura del
sangue, alla sola vista la mia faccia cambia colore. Il rosso non è proprio il
mio colore preferito. Una volta ho avuto in regalo un paio di scarpe rosse, col
laccettino alla caviglia, la punta arrotondata come quelle delle bambole,
bellissime per molti. Le ho conservate subito in soffitta, ben nascoste; per la
cronaca, chissà che fine avranno fatto, forse buttate per errore tra carta e
cartone. La mia mamma lavora fuori casa, è sarta presso un atelier, una roba
chic, sempre attenta nel modo di presentarsi, impeccabile anche tra le mura
domestiche. Quando è davanti allo specchio, cura ogni particolare del viso, dei
capelli e indossa orecchini con preziosi rubini, un regalo di papà. È uno
spasso quando siamo insieme, mi bacia con quei baci a schiocco e mi stampa le
sue labbra sulle guance. Il mio papà fa l’architetto, lui lavora spesso a casa
su un grande tavolo da disegno con attrezzature che non conosco. Quando siamo
tutt’e due in casa, ognuno se ne sta per conto suo, a volte credo di vederlo e
un attimo dopo non c’è più. È un tipo taciturno, molto pratico, sembra non
abbia sogni nel cassetto, almeno non ne parla. Al rientro della mamma, però,
compare all’improvviso e sono occhi languidi di qua e sorrisi smorza fiato di
là. Una bella coppia, non c’è che dire e io nel mezzo a blaterare, un po' di
attenzione anche per me, che diamine! I giorni scorrono tranquilli, senza
imprevisti, fino ad oggi, una brutta influenza mi vede a letto con la febbre,
il canovaccio bagnato sulla fronte e i lunghi silenzi nella stanza. Eppure mi è
sembrato di aver visto mio padre, ho puntato lo sguardo e non c’è più. Ah,
nella presentazione ho dimenticato di dire che sono curiosa, ma molto curiosa!
Mi sono alzata piano, ho infilato le pantofole e ho cominciato a perlustrare,
stanza per stanza, tutta la casa. Qui non c’è, qui neppure, non può avermi lasciata
sola così. Manca la soffitta, con fatica comincio a salire le scale, più salgo
e più entra nel naso un odore di pittura. Apro la porta bassa, mi affaccio e lo
vedo. Oh no, con un pennello in mano, fermo in un angolo, ha colorato di rosso,
pareti e pavimento. Il mio grido lo spaventa, la sua bocca a forma di uovo e
gli occhi spalancati è il fermo immagine durato non so quanto. Ma chi è,
Barbablu che nasconde le tracce di sangue con la vernice dello stesso colore!
Ecco la mia fantasia prendere il volo. Quando riesce finalmente a parlare
racconta di aver trovato le mie scarpe e di aver sperimentato il colore per un
nuovo ambiente: rubino perfetto, completo fino al sottotetto.
Giacomone, un ragazzo imbranato
Giacomone era conosciuto da tutti
come un ragazzo simpatico e bonaccione. A volte, uno si chiedeva se c’era o ci
facesse. Erano talmente assurde le sue azioni che rasentavano la fantasia
umana. Viveva felice in quanto non doveva rispettare alcun protocollo morale,
né si poneva il problema che gli altri lo capissero; affermava che erano gli
altri diversi da lui e non viceversa. È così che gira il mondo: i matti sono
quelli fuori e non quelli dentro.
Giacomone si prestava con tutti a
svolgere lavoretti o fare commissioni. Tutte le volte che terminava i compiti
voleva essere gratificato; solo così si sentiva importante. Poveraccio, non
aveva capito che c’era qualcuno che si divertiva alle sue spalle per le sue
cavolate.
Un giorno fu chiamato a sostituire
un operaio nel frantoio perché non stava molto bene. Il suo lavoro consisteva
nell’attaccare l’asino alla macina; riempire la fonte di olive per essere
schiacciate dalle pesantissime ruote di pietra; sorvegliare che l’asino girasse
tranquillo e che la fonte fosse sempre piena di olive per essere molite. Il
passo successivo era quello di riempire i fiscoli con la pasta ottenuta con la
molitura e inserirli nella pressa, che li avrebbe schiacciati per ottenere il
liquido composto di olio e di acqua di vegetazione.
Ci
fu un problema proprio durante il suo primo giorno di lavoro. Qualcuno aveva
dimenticato un canestro di vimini col manico nella fonte e per Giacomone
quell’ostacolo non consentiva di lavorare. Chiamò il padrone del frantoio e gli
disse: compare Domenico, questa notte non possiamo lavorare perché un
incosciente ha lasciato un canestro nella fonte. Domenico, che stava al gioco,
gli rispose: Giacomone, mi dispiace quanto te! E’ vero, con quest’ostacolo non
si può proprio lavorare. Quindi stacca l’asino dalla macina e andiamo a dormire
sui pagliericci davanti il camino; domani ci penseremo come risolvere il
problema.
Durante
la notte, Giacomone non chiuse un occhio e stava sempre a pensare; Domenico lo
controllava, mentre bisbigliava qualcosa sottovoce tra sé e sé. Di un tratto
Giacomone svegliò Domenico e gli disse: compare, ho fatto una pensata. Lo
togliamo il canestro dalla fonte? Domenico, felice come una Pasqua, per tenerlo
contento lo gratificò e gli disse: meno male che ci sei tu, così non perdiamo
una nottata di lavoro.
Ho
raccontato questa storiella per inquadrare il personaggio. Dopo quella
parentesi nel trappeto, Domenico commissionò a Giacomone l’imbiancatura di un
locale, di nuova costruzione, annesso al frantoio. Gli disse: qui hai tre
barattoloni di vernice di tre colori diversi, rulli, pennelli e scala, fammi
una bella imbiancatura come piace a te e nessuno interverrà fino alla fine del
lavoro.
Giacomone
con grande lena dipinse tutto il locale da cima a fondo. Poi, si fermò in un
angolo perché non sapeva come uscirne senza fare danni, giacché la vernice era
ancora fresca. Rimase in quella posizione in attesa che Domenico fosse andato a
controllare il lavoro. Domenico lo vide in quella posizione e gli disse: sei come
Cimabue!
Una foto rosso sangue
«Buongiorno commissario, vedo che sulla sua bellissima lavagna bianca è rimasta solo la mia foto. Ci sta bene, non trova? Voleva sbalordirmi, lasciando quell’immagine? Pensavo fosse diverso da tutti i commissari del vostro amato corpo di polizia.»
«Carrera non faccia lo spiritoso. È
rimasta solo quella foto, perché ora lei è qui con me e finalmente i giochi
sono finiti.»
«Finiti? Deve essermi sfuggito
qualcosa. È proprio sicuro che io non abbia vinto anche questa manche? Caro
commissario, mi spiace frantumare la sua certezza. Devo dire che comunque mi ha
colpito la sua capacità di essere riuscito a identificarmi così in fretta.»
«Io sono il commissario Pezzalonghi
e non sono caro a nessuno, men che meno a lei. Si rivolga a me con rispetto. Ma
crede di essere infallibile? La sua foto è perfetta, mi è piaciuta e l’ho
trovata molto interessante. Peccato che su quella latta di vernice ci sia un’etichetta
e non è una qualunque. Si ricorda dove è andato a comprare la vernice? È tipico di una persona come lei, il voler
avere le cose migliori. Avrebbe potuto acquistarla in qualsiasi negozio, ma lei
ha preferito quel piccolo laboratorio di vernici. Grave errore. Ci è bastato un
attimo per arrivare a lei, caro Carrera.»
«Bravi. Complimenti. Avevo già
immaginato che prima o poi mi avrebbe messo in un angolo, senza vie di fuga. Ed
è per questo che ho seguito il suggerimento di un’amica nell’inviarvi questa
mia foto. Dalle mie parti si dice: quando il gioco si fa duro, i duri
cominciano a giocare. Ho sempre pensato che fosse in gamba e mi piace sfidare
uno come lei. Gli altri commissari non sanno osservare. Lei ha dimostrato che
basta fare attenzione ai particolari, per avvicinarsi alla vittoria. Ma, come
avrà notato nella foto, il rosso sangue ha preso il sopravvento. Io sono lì,
sono abbastanza fotogenico, non le pare? E tutti gli altri? Non crede che
manchi qualcuno nella foto? Sicuramente avrà capito che ho tanti amici con i
quali condivido tutti i miei giochi.»
«Senta, non ho più voglia di scherzare.
Abbiamo anche scoperto che Carrera è un finto nome. Ma con chi crede di avere a
che fare.»
«Commissario, quella foto ha molto
da raccontare. Io sono qui, perché deve essere così. Il suo problema sarà
capire chi non appare in quell’immagine. Gli elementi ci sono tutti.
Continueremo a giocare ancora per molto tempo, prima di decretare il vincitore,
anche se io e lei sappiamo già chi sarà.»
«Portatelo via, subito!» Urlò il
commissario, ormai stremato dalla malvagità di quell’uomo.
Una possente risata echeggiò,
lasciando il commissario solo davanti a quella foto rosso sangue.
- 13 -
Autrice: MARIA BARILARO
Il dolore
Incomincio a pitturare questa
stanza, volendomi fare più male ho scelto il rosso, è un colore che non mi
piace, troppo intenso, forte, scuro, mi ricorda il dolore.
Il nostro colore era l’azzurro, il
blu, i colori tenui del verde del rosa, caldi come un abbraccio.
Avevo promesso che non ti avrei mai
lasciata sola, sempre al tuo fianco, ti avrei protetta, coccolata, ma, non ho
potuto mantenere la promessa, non per colpa mia, ma degli eventi, e questo mi
procura un immenso dolore.
Dipingo le pareti e cerco di
pensare ad altro, ma tu sei l’unica immagine che ho da quando non ci sei più.
I tuoi grandi occhi che mi
guardavano durante l’ultima video chiamata, sono rimasti impressi nei miei,
sonnecchiavi ed io ho alzato la voce, per farmi sentire, hai spalancato gli
occhi e non riuscendo a parlare mi guardavi fisso, come eri bella, le parole
che non riuscivi a dire le hai prestate agli occhi, erano espressivi ed io
riuscivo a capirle.
Eri malata da tanti anni, io sempre
al tuo fianco, in tutte le visite mediche, i ricoveri in ospedale, quella
promessa che mi hai strappato contro la mia volontà: “se dovessi avere la
tracheotomia non la voglio”, continuo a pitturare con questo colore intenso, su
e giù con il pennello, vorrei lavare il dolore che c’è in me, ma tu sei dentro
di me.
La sera prima verso le 22,30 ho
sentito un lungo brivido, e un’aria fredda che mi circondava, girava intorno al
mio corpo, mi accarezzava la testa le mani, soffiava sul mio viso, ho
controllato il balcone e mi guardavo intorno, tutto chiuso, fuori non c’era
vento, il mio cuore batteva fortissimo, guardavo il telefono, mi avrebbero
chiamato se c’erano novità, ho avuto paura, ero terrorizzato, ma mi sono fatto
coraggio.
In mattino seguente quella
telefonata, la sera prima alle 22.30 ti avevano portato in ospedale, respiravi
male, i battiti erano lenti.
Di corsa in ospedale, chiedo
notizie, mi fanno aspettare, dopo un’ora chiedo ancora, devo aspettare, regna
il caos, autoambulanze che corrono su e giù, poi la telefonata di tua figlia.
In quel momento eri volata via, ed
io ero lì, fuori dal pronto soccorso a due passi da te, nessuno mi ascoltava,
volevo esserci, stringerti fra le mie braccia ancora una volta, volevo urlare,
prendere a pugni il mondo, non potevano farmi questo, era troppo doloroso.
Mi sono buttato contro la porta che
ci separava e mi hanno fatto entrare, eri sola, in un angolo della stanza, un
paravento ti isolava dagli altri, rannicchiata su te stessa come una bambina, ti
ho baciato ed ancora quel vento freddo che mi ha risucchiato in questo grande
dolore, non doveva andare così non lo meritavi.
Ho finito di pitturare ma perso nei
miei ricordi dolorosi ho steso la pittura anche sul pavimento, sono rimasto
nell’angolo ancora intonso, con le spalle al muro, è così che mi sento, messo
in un angolo, senza più la mia sorellina.
- 14 -
Chiuso all'angolo
Stupido. Avevo finito il mio bel
lavoro quando mi accorsi di aver fatto una cavolata. Ma le impronte erano da
cancellare, le macchie dovevo coprirle per bene. E cosa c’era di meglio che una
vernice rosso vermiglio per mascherare il mio delitto?
La fretta, maledetta, giudice
esecutrice della mia condanna. È proprio vero che gli attimi che seguono un
gesto estremo carico di adrenalina destabilizzano la mente. E io, stupido, mi
ero lasciato andare a quel lussuoso pensiero di aver messo fine alle mie
paranoie.
La gelosia, come la fretta, anche
lei giudice del mio pensiero mi portò all’azione appena sentii il nome
dell’altro. Certo, lei lo pronunciò per errore, fu un lapsus perché magari,
come disse, lo aveva incontrato durante la mattina, per lavoro.
Ma l’ossessione, oh quella dannata,
peggio della mia amante, aveva preteso tutte le attenzioni, distraendomi
dall’amore. Questo era caduto sotto i colpi ripetitivi di quella che con parole
cadenzate lo aveva espulso dalle stanze del cervello.
La presunzione appartiene agli
stolti. Io ero sicuro di me, convinto di essere l’unico uomo sulla faccia della
terra ad avere ogni diritto sulla mia donna. Ne feci il mio punto di forza. La
sua vita mi apparteneva. Perciò dopo averla strangolata ricoprii tutta la
stanza di vernice rossa, pure il suo corpo feci rosso, come l’amore in cui lei
credeva.
E se quel colore e l’odore
nutrivano il mio ego mentre completavo l’opera, dentro le viscere lottavano
contro la bile costringendola a un rigetto inaspettato.
Stupido. Arrivai a fine lavoro
senza più fiato, senza altra vernice per ricoprire la mia fuga.
Chiuso all’angolo dalla mia stessa
follia.
- 15 -
Autrice: TIZIANA MAZZA
Paura
L’urlo agghiacciante proviene da oltre quella
porta e fra poco tocca a me.
Mi si offusca la vista, sento le forze abbandonarmi, il mio corpo è
divenuto all’improvviso molle come quello di un animale invertebrato, sto per
accasciarmi al suolo.
Sento delle voci, ma non riesco a distinguerle.
Sono prigioniero di un involucro rigido e insensibile, non so più dove sono.
Di sicuro in un luogo nemico.
Che ci faccio qui?
Chi ha gridato?
Non riesco ad alzarmi per andarmene, il fisico non risponde più ai
comandi, è come se la mia mente fosse imprigionata nel corpo di un’altra
persona.
Il cuore, però, quello sì, lo sento battere, così forte che sembra
voglia fuoriuscire dalla cassa toracica. Sento le pulsazioni nelle orecchie, sembrano
i rintocchi di un tamburo che accompagna le esequie del caro estinto…
Oddio!
Dove sono finito?
Perché sono qui?
Chi c’è di là?
Che cosa vogliono farmi quegli esseri immondi?
Dopo l’urlo, uno strano silenzio.
Poi,
un bisbiglio… «Non può strillare così, spaventa la gente, poi le persone
scappano…»
Eh sì che scappo, se solo potessi muovermi…
Non capisco più se ho gli occhi aperti o chiusi: vedo solo rosso. Un’ enorme
macchia rossa si allarga sul pavimento e si ricongiunge con un’altra che cola
lungo i muri dal soffitto, sembra… Sangue!
Devo scappare, sono accerchiato, fra poco mi raggiungerà…
Ma dove? Non c’è via di fuga…
Aspetta, com’era quel gioco che si faceva da bambini, come si chiamava?
Ah sì, rialzo…
Se solo trovassi un gradino e riuscissi a salirci, sarei in salvo! Basterebbe
anche solo un piccolo rialzo…
«Ecco fatto! Gli esiti saranno pronti domani pomeriggio, può passare a ritirarli a partire dalle 14:00.»
Apro la mano stretta a pugno: mi fa male, le dita intorpidite riprendono a muoversi, il tamburo nelle orecchie si acquieta, i muscoli degli arti si sciolgono come iceberg a primavera.
Stiro le palpebre strizzate a plissé, la vista non è più offuscata: le
pareti rosse non ci sono più, al loro posto solo muri bianchi.
Davanti a me una piccola scrivania, anch’essa bianca, e sopra un
raccoglitore dove pendono tante fialette di colore rosso… Sono tutte
etichettate con un nome e una sigla… Ce l’ho fatta, c’è anche la mia!
- 16 -
Autrice: GIULIANA DEGL’INNOCENTI
In odore di svincolo
Lucia aveva deciso di dipingere la
loro camera di rosso e adibirla a soggiorno. Dopotutto una stanza così grande
non le serviva più. Paolo l’aveva lasciata e per lei sarebbe stato sufficiente un
ambiente decisamente più piccolo. E poi la psicologia spicciola delle riviste
femminili che era solita leggere suggeriva sempre come terapia di rielaborazione
delle rotture affettive, il cambiamento radicale anche di tutto quello che era
stato scenario della storia d’amore interrotta.
Pertanto lei, con pecorile ossequio alle autorevolissime rubriche dei sopracitati
rotocalchi nonché ai meme dei social network che motteggiavano: “cambiare per
ricominciare” oppure “riparti modificando il tuo vivere” e altre amenità, pensò
di colorare di scarlatto il locale che
per dieci anni aveva assistito ai tumultuosi amplessi tra lei e il suo uomo,
alle loro furibonde litigate e alle altrettanto formidabili dormite dopo notti
d’amore infuocate. Ebbene, si recò alla ferramenta Ossini, proprio sotto casa
sua, acquistò pennelli e diversi barattoli di vernice, si infilò una tuta da
lavoro bianca e poi si mise all’opera.
Dipinse tutto il giorno, con il capo
chino, ripassando con cura ogni superficie con estrema attenzione, si fermò
solo all’ora di pranzo per una breve pausa nella quale ingurgitò uno sneak scolandosi
una quanto mai analcolica e altrettanto indigesta
bevanda ghiacciata, poi riprese a pitturare fino a sera. A un certo punto il
suo cellulare squillò. Era Paolo, riconobbe subito la suoneria personalizzata della
chiamata in entrata, però si accorse anche di aver dimenticato il telefono
sulla soglia di uno dei due ingressi della stanza, appoggiato per terra, mentre
lei si trovava all’angolo opposto, ormai racchiusa in un piccolo quadrato
ancora da dipingere. D’un tratto un crampo alla pancia la piegò in modo brusco
preannunciandole una imminente scarica di diarrea.
Dannato the verde!
Che fare? Correre in bagno a
liberarsi passando sul pavimento già tinto e ormai asciutto, oppure dirigersi
verso l’altra porta, rovinando la tinta sempre fresca per rispondere al proprio
amore forse pentito e pronto a ritornare a casa?
Ci pensò un microsecondo e poi:
Ma chi se ne frega, ormai ho dipinto,
vado a cagare!
Autrice: LINDA SILVIA SCARPENTI
«Ridete, ridete!» era solito dire accorato
e con voce roca Antonio tutte le volte in cui era schernito. Era come se usasse
un’arma - l’unica a sua disposizione, per difendersi da quei soliti ragazzotti idioti
del paese, che non perdevano l’occasione di deriderlo quando lo incontravano.
Tant’è, che quasi a volerli
intimidire, con forza aggiungeva: «Arriverà il momento in cui vedrete chi è lo
stolto!»
Da qualche tempo, poi, lo seguivano
di nascosto per fotografarlo ovunque, anche quando lavorava, innervosendolo di
continuo. Era ormai preso di mira a… suon di click!
Vestito modestamente, anche se sempre
pulito, e d’indole buona, si racconta che Antonio, in seguito a una delusione
amorosa, da ragazzo avesse cominciato a rinchiudersi sempre più in se stesso,
fino a prediligere una vita ritirata e solitaria. Perse il lavoro da
imbianchino e, da lì a poco, quando la depressione bussò alla sua porta, fu anche
internato in una casa di cura per un breve periodo.
Viveva da solo e, aiutato da una
piccola pensione che percepiva e dallo svolgimento di alcuni lavoretti per
conto della parrocchia, si barcamenava.
Nessuno degli abitanti di quel
paesino, arroccato sulla cima di quei monti, sapeva quanti anni avesse
quell’uomo, anche se tutti, vecchi e bambini, lo conoscevano da sempre.
Un pomeriggio d’autunno, tornati da
scuola, i ragazzi raggiunsero Antonio per dare inizio al solito monotono e
offensivo ritornello.
Lo trovarono fermo in piedi, in uno
degli angoli di una stanza in sacrestia tutta colorata di rosso: entrambe le
mani occupate reggevano una latta di vernice, da una parte, e un pennello,
dall’altra.
Anche il pavimento era stato dipinto
con vernice rossa, come le pareti, tranne un’ultima parte bianca, un intero
angolo, quella in cui Antonio stava ritto in piedi senza muoversi.
I ragazzi cominciarono a ridere e,
fotografandolo con i loro cellulari, a canzonarlo per non aver saputo calcolare
da che parte iniziare il lavoro per poter, poi, uscire dalla stanza senza
camminare sulla vernice fresca.
Non si accorsero, però, dell’arrivo
di don Alberto, il sacerdote del paese.
Tutto trafelato, voleva soccorrere
Antonio per aiutarlo a schivare con i piedi la vernice bianca rovesciata inavvertitamente,
con cui avrebbe dovuto dipingere il pavimento rosso!
«E no, cari miei! Che cosa state dicendo? Non avete capito nulla!» li zittì il prelato, aggiungendo: «Siete in errore: quello che appare in quelle foto, non è verità! È solo un’illusione ottica!»
I ragazzi, quindi, mortificati e
ben redarguiti, posero fine – almeno per un po’ di tempo – al loro
comportamento ingiusto e saccente.
Don Alberto tese un braccio ad
Antonio che, con un balzo felino, si liberò dalla sua posa forzata e cominciò a
correre lungo la stradina che dalla chiesa portava al centro del paese, urlando
dalla gioia.
«Corri, Antonio, corri!» pensò il
sacerdote, guardandolo diventare sempre più piccolo all’orizzonte.
«Fa’ che la tua innocente felicità ti
difenda da chi vero stolto è!»
- 18 -
Autrice: EMANUELA TOMIATO
Basta rimandare.
No, non poteva tirarsi indietro,
non aveva margine di scelta.
Era arrivato il momento di prendere
una decisione importante.
E una cosa così, ti lascia il
segno. Per sempre.
Pieno di confusione dentro, non capiva
ancora bene come fare, ma non vedeva altra possibilità.
Da giorni continuava a cercare
soluzioni, a immaginare modi possibili.
Niente. Si sentiva all’angolo. Anzi,
era finito in un angolo, senza via d’uscita.
Solo il tempo gli avrebbe dato una
risposta e fatto capire, forse, se avesse deciso in modo giusto.
I problemi erano tanti, tra cui la
questione dell’eredità, diventata insostenibile.
Dalla tragica morte dei genitori,
suo fratello Simone, fragile e poco maturo, aveva ricominciato a drogarsi: i
segnali erano chiari, gli chiedeva del denaro ogni giorno e poi spariva dalla
circolazione. Giovanni se ne era accorto che aveva gli occhi con le pupille
dilatate e il suo comportamento passava da un’apatia silenziosa a un’aggressività
tipica.
Le loro telefonate, all’inizio con
toni abbastanza pacati, andavano poi a parare sempre sul denaro, sull’eredità o
sul conto in banca. E questi argomenti riempivano le parole che, acide,
portavano a litigate forti. Le chiamate si chiudevano con uno scontro, sempre.
Simone, oramai soggiogato dalle sue
dipendenze tossiche, era incapace di decidere di sé stesso e di vedere il suo ruolo
futuro con serietà. Gli serviva un percorso di riabilitazione: l’unica
soluzione possibile sarebbe stata una comunità di recupero, al più presto.
E al fratello grande, Giovanni, era
toccata la triste scelta di denunciarlo, di avere la sua tutela e ora di
accompagnarlo alla casa di accoglienza, come stabilito dal giudice.
Di risposta, Simone lo accusava di essere
avido e di volersi accaparrare tutta la successione; addirittura, gli urlava
che non si comportava da fratello.
Ogni frase trasudava odio, quante
pugnalate...
Dalle frasi di Simone non trapelava
mai una frase verso l’incidente triste capitato ai genitori, né l’idea di
cercarsi un lavoro per cominciare a mettere ordine in una vita così conciata, o
trovare una ragazza per crearsi una famiglia. Disgraziato.
Giovanni sentiva il peso di tutto:
la perdita dei genitori, le incombenze del tribunale, i casini del fratello
tossico, la cura della famiglia e il proprio lavoro.
Tutto da mandare avanti. Tutto
sulle sue spalle.
Aveva l’acqua alla gola, si sentiva
sommergere, circondato.
Il carico andava aumentando, una
cosa dopo l’altra, goccia a goccia.
Si sentiva davvero saturo. Era capitato
così. Lui ora si vedeva in un angolo, solo.
Ce l’avrebbe fatta?
Non aveva intenzione di rinunciare.
Basta rimandare: doveva provarci.
Per il bene di tutti, anche di sé stesso.
Era tenace, voleva uscire dal
tunnel. Il destino aveva in serbo la soluzione, bastava fidarsi e lasciarsi guidare:
avrebbe attraversato il pavimento rosso delle prove per arrivare alla via
d’uscita, anche a costo di sporcarsi.
Guardò in alto. C’era una luce: il
riscatto, la salvezza.
Poi prese un foglio e cominciò a
segnare le cose da fare…
- 19 -
Autrice: CAMILLA TERSO
Io avrò cura di te
Quando ne arrivavano due nuovi se
ne accorgeva immediatamente dalla loro faccia impaurita, ma lui li accoglieva
sempre con un bel sorriso.
Sulla porta dell’associazione aveva
messo un’immagine dove tutti, soprattutto i nuovi soci, almeno una volta si
riconoscevano: quella di un uomo che dipinge un pavimento di rosso e lascia un
quadrato bianco. E Angelo in quel quadrato ci era stato, sapeva come ci si poteva
sentire.
Il signor Angelo aveva settantacinque
anni e da quando era in pensione si dedicava a quei genitori che, come lui,
avevano avuto un figlio disabile.
Aveva solo ventotto anni e sua
moglie ventisette quando nacque Sergio, si ritrovarono entrambi in un mondo sconosciuto;
avevano voluto e aspettato quel bambino per anni, sembrava normale almeno per i
primi mesi, poi diventò tutto stano… Sergio era strano.
Angelo e Maria erano al primo
figlio e perciò non conoscevano bene le tappe di un bambino. Infatti, anche se
il figlio aveva più di due anni, non parlava ancora, ma loro lo attribuirono a
semplice pigrizia e al fatto che era figlio unico e non era stimolato abbastanza.
Ma Sergio era anche molto irrequieto, forse perché era viziato da tutti, soprattutto
dai nonni di entrambe le famiglie.
A due anni e mezzo lo portarono dal
pediatra per la solita visita di controllo e il dottor Marini informò la coppia
che c’era qualcosa che non andava e la indirizzò da uno specialista sulle forme
di autismo.
I sospetti del pediatra, purtroppo,
erano fondati, la diagnosi era autismo.
Il dottore consigliò ad Angelo e
sua moglie di iniziare un percorso per il piccolo, ma soprattutto per loro per
conoscere quel mondo. Fu lì che Angelo vide per la prima volta quell’immagine e
vi si riconobbe, per via del senso di solitudine in cui si trovava.
Con il passare del tempo Sergio
diventò sempre più inquieto e bisognoso di cure e non riusciva a socializzare
con gli altri bambini, li spaventava e veniva allontanato, lui viveva in un
mondo tutto suo dove nessuno poteva entrare e di conseguenza anche Angelo e Maria vennero esclusi
dagli altri genitori.
I primi anni della sua vita furono
davvero duri e di grande solitudine per la coppia, a lungo andare la loro
unione ne soffrì.
Una mattina Angelo si svegliò e non
trovò più Maria, era andata via, lasciando solo un biglietto con su scritto: non
ce la faccio, tu sei più bravo di me. Lui rimase a fissare quel biglietto per
ore, poi guardò Sergio e lo abbracciò forte, promettendogli che si sarebbe
preso cura di lui finché la vita glielo avrebbe concesso.
Da allora si dedicò ai ragazzi come
suo figlio e ai loro genitori, fondando un’associazione, così da non farli mai
sentire come in quell’immagine.
Autrice: ADELIA ROSSI
Follia
Cercasi giovane disinvolto e
paziente per arte contemporanea.
Riccardo, dopo aver letto per la
seconda volta l’annuncio, strappo il trafiletto dal fondo pagina e lo mise
nella tasca della giacca senza farsi vedere dal cameriere giunto a prendere
l’ordinazione.
Era una proposta bizzarra, ma in un
momento, dove trovare lavoro era sempre più difficile, tutto andava bene.
Trascorse mezz’ora gradevole
all’esterno di quel piccolo bar, sotto un invitante sole primaverile e dopo
aver gustato il delizioso espresso, si avviò verso la propria abitazione.
Appena in casa prese il cellulare e
compose il numero riportato sul ritaglio che aveva strappato dal quotidiano.
«Pronto!»
Caspita! Incominciamo bene, pensò
Riccardo, sbalordito dal vigore di quella voce. Subito si presentò e senza
perdere tempo passò a parlare dell’inserzione. Dall’altra parte del telefono, l’uomo,
presentatosi come Golia, lo convocò per l’indomani mattina nel proprio ufficio
in Viale del Tramonto, quarantotto. «Mi
raccomando: vestito in modo elegante.» aggiunse.
Troppe stranezze, pensò Riccardo, deciso
comunque ad andare fino in fondo.
All’orario stabilito era già
davanti alla grande cancellata del civico 48. Si avvicinò al citofono e premette
il campanello che riportava il nome indicatogli. Gli rispose la stessa voce che
aveva udito al telefono, invitandolo a salire all’ultimo piano. Si avviò verso
l’ascensore e una volta dentro premette il tasto finale. Appena la porta si
aprì, un omino poco più alto del metro e cinquanta lo accolse con un sorriso
beffardo. Era una stonatura unica a confronto del temibile gigante che il suo
nome rievocava.
«Direi che è perfetto: pantalone
grigio di ottimo taglio e scarpe nere. Proprio quello che mi serve. Si accomodi!
Diamo inizio all’opera d’arte.»
Riccardo, sempre meno tranquillo, lo
seguì fino ad arrivare davanti a una porticina che nemmeno si vedeva, camuffata
com’era con la stessa tappezzeria che ricopriva il corridoio.
«Ora tocca a lei» e così dicendo, Golia,
spalancò la porta e lo sospinse all’interno di un piccolo locale triangolare.
Questo è pazzo, pensò Riccardo,
abbagliato da quel rosso scarlatto che ricopriva tutta la stanza, soffitto e
pavimento compreso. Aprì la bocca per chiedere spiegazioni, ma l’uomo lo zittì.
«Lo vede quel pezzo di polistirolo
nell’angolo con i margini seghettati? Dovrebbe salirvi sopra e restare immobile
per pochi secondi. Il tempo di un click.»
Riccardo rimase allibito. La poca
lucidità rimastagli stava per abbandonarlo.
«Aspetti, manca qualcosa!» Gridò Golia,
prendendo da dietro la porta una lattina di vernice e un pennello. Appoggiò il
barattolo di fianco all’uomo, gli porse l’arnese per la pittura e dopo avergli
raccomandato di tenerlo con le setole rivolte verso il basso, tirò fuori dalla
tasca un piccolo telecomando e lo attivò. Dal soffitto scese un pannello tutto
nero che coprì Riccardo dal volto fin sopra le ginocchia. Al fermo, una luce
illuminò la stanza irradiando con i propri raggi quel fulgido cromatismo.
«Stop! Non si muova.» Il click di
uno scatto fotografico mise fine a quella scena. Quel momento segnò l’inizio del romanzo «Senza
testa né coda» della scrittrice Adelia Rossi.
Autrice: TANIA MIGNANI
«Ti amo» dice lui.
Ti amo?
Che significa, ti amo?
Eh no, caro, tu stai giocando
sporco. Non erano questi i patti, ricordi?
Nessun coinvolgimento emotivo, si
era detto.
Ci vediamo, stiamo insieme, io ti
piaccio, tu mi piaci. STOP.
E adesso tu che fai? Mi prendi tra
le braccia, mi guardi negli occhi e mi dici Ti amo?
Dimmi, cosa dovrei rispondere io,
ora?
C’è una foto, l’ho vista qualche
giorno fa, non ricordo più dove, forse su una rivista o su internet. Raffigura
un tizio che ha appena dipinto un pavimento e si ritrova all’angolo,
letteralmente, senza sapere che fare.
Ecco, ora io mi sento proprio così,
all’angolo e no, non è del tutto colpa tua, mi ci sono messa da sola in questo
angolo.
Quando ti ho conosciuto mi sono
detta: questa volta non ci casco. Ho messo subito le cose in chiaro, sesso,
amicizia e nient’altro. Sembrava ti andasse bene e tutto stava procedendo nel
migliore dei modi. Niente ansie, nessuna attesa con il cuore in gola ad
aspettare una chiamata o un messaggio come ho fatto in passato, illudendomi che
potesse essere “per sempre”.
Non è certo la prima volta che mi
sento dire ti amo. Una delle frasi più inflazionate, lo si dice con leggerezza,
magari ci si crede pure, in quel momento. Ma poi passa, dopo un giorno o un
mese, la frase non ha più valore e chi l’ha pronunciata sparisce o, nel
migliore dei casi, ammette di essersi sbagliato.
Con te mi sono detta che sarebbe
stato diverso. Ho imparato, giorno dopo giorno, a non aspettarmi niente di più di
quello che eri in grado di darmi. Se ci ripenso tu non mi hai mai promesso
nulla, neppure una telefonata, la facevi e basta. Non avevo bisogno di guardare
ripetutamente il display del telefono per sperare in un piccolo messaggio
“buongiorno” “buonanotte “come stai?”, lo leggevo, semplicemente. Non aspettavo
alla finestra guardando a destra e a sinistra per capire se e quando saresti
arrivato, scendevo le scale e tu eri lì ad aspettarmi.
E ora?
Ora te ne esci con questa frase.
E io?
Io cerco nei tuoi occhi un sentore
di menzogna, almeno un barlume che mi faccia dire ecco, vedi? È come tutti gli
altri.
Ma non lo trovo.
Allora che faccio, qui all’angolo?
Fingo di non aver sentito e me ne
rimango qui, ad aspettare che la vernice asciughi per finire la mia opera?
Sai che ti dico, io me ne frego
delle impronte che lascerò sul pavimento.
Me ne frego se sarà da
ritinteggiare.
Io ci cammino sopra alla vernice
fresca e me ne esco così da questo angolo.
Ti guardo negli occhi e rispondo «anch’io».
E poi?
Poi, vada come vada.
Autrice: SILVANA DA ROIT
Zitto e buono
«E se invece di una sola parete,
tingessi di rosso anche quella opposta?»
«Ma dicevi che volevi solo dare un
tocco di colore alla stanza.»
«A me dà l’idea che venga meglio.
Cosa ti costa, in due ore fai tutto se ti metti di buona lena, sempre che tu
non abbia perso la voglia di lavorare andando a vivere da sola.»
«Mamma, non sono andata a vivere da
sola, ho solo deciso di ritornare nella mia camera. Poi, ora stai meglio, non
hai bisogno di assistenza. Dipingerò anche l’altra parete di rosso, come vuoi.
Contenta? Mi sembri “Zitto e buono”.»
«Chi?»
«Un uomo del mio reparto.»
«Passi più tempo con i tuoi
pazienti che con me.»
«Scherzi, vero? Ti ho seguito fino
a qui anche se non ho mai capito come mai tu sia voluta ritornare al paesello; stavamo
tanto bene in città ed ero più vicina al lavoro.»
«Questa è ancora casa nostra, era
inutile pagare l’affitto, ne abbiamo discusso ampiamente. Cosa dicevi di
quell’uomo?
«È ricoverato in istituto da anni
perché non c’è nessuno che si occupi lui. Non parla mai, l’unica cosa che dice
è zitto e buono, quando lo redarguisci. Inoltre, colora tutto di rosso.
Dovresti conoscerlo, dicono fosse un Orlandi originario di qui.»
«Siamo stati via molto tempo, non
posso ricordare. Ma è pericoloso?»
«No, figurati, non ha mai dato
problemi. Però la settimana scorsa è entrato un postino a portare dei pacchi in
aula da disegno e ha reagito in modo strano. Si è messo in piedi contro
l’angolo dell’aula e ha continuato a ripetere zitto e buono, zitto e buono. Era
terrorizzato. E dire che l’uomo non aveva nulla di strano, poi sai che a me la
divisa da postino ricorda il papà, quindi mi faceva pure simpatia.»
«Basta chiacchiere, mi sta mancando
l’aria. Vai a prendere il pane.»
«Stai bene mamma? Sei impallidita.
È il cuore?»
«No, cara. Deve essere questo odore
di vernice, mi dà proprio fastidio. Guarda, ho deciso che mi tengo solo una
parete colorata. Adesso vai, io inizio a preparare il pranzo.»
Mentre affettava la verdura, teneva
a bada l’affanno.
Le avevano detto che la bicicletta
di suo marito era spesso appoggiata alla casa degli Orlandi. Nulla di male, era
o no un postino? Ma un giorno l’aveva seguito e nascosta dalla siepe aveva
assistito a quell’impudico bacio sulla porta. La donna aveva detto: «Sbrigati, lui
se ne starà zitto e buono in camera sua, come sempre.»
La serratura non era stata chiusa
ma non se la sentì di entrare; spiò solo dalla finestra dove un bambino stava
ritto in un angolo della stanza, immobile. Non lo si vedeva mai in giro, la
gente diceva non fosse normale.
Il giorno dopo si seppe che la
signora Orlandi era stata trovata in una pozza di sangue proprio in quella
camera e il bimbo era ancora lì, in quell’angolo maledetto.
Disse al marito che voleva
trasferirsi in città e lui, per l’unica volta nella vita, esaudì i suoi
desideri. Fece di più. Preparò le valigie.
Sara era depressa da troppi anni e
l’atteggiamento passivo rispetto alla vita, certamente non l’aiutava. Era convinta
di non meritare niente di buono.
Sulle spalle, un passato disastroso
a causa del patrigno. Ricordi orribili, diventati cicatrici incancellabili. Per
una vita intera quell’uomo aveva bistrattato lei e la madre.
Povera donna, quante ne aveva passate.
Lui trascorreva pomeriggi interi al circolo cacciatori, sperperando danaro in
gioco e alcool. Tornava sempre arrabbiato e ubriaco, sfogandosi con la prima persona che trovava davanti.
La sera, Sara, prima che lui
rincasasse, si chiudeva in camera, fingendo di dormire. La madre era obbligata ad
aspettarlo, sperando che non tornasse
ubriaco, cosa molto rara.
Seguivano urla, botte e non solo.
Qui si fa quello che dico io, dei
miei soldi ne faccio ciò che voglio. Tu e tua figlia, senza di me, potete fare
solo le puttane.
La strattonava spingendola verso la
camera da letto.
Sara si riparava sotto le coperte,
le mani alle orecchie per non sentire quel mostro mentre abusava della madre. Si
sentiva violentata anche lei.
Non avevano né casa, né lavoro. Se
si fossero ribellate le avrebbe sbattute in mezzo alla strada.
Un giorno, la madre dovette
assentarsi per diverse ore, Sara era a letto con la febbre. Nel pomeriggio, in
orario inaspettato, tornò il patrigno, nervoso e ubriaco, come al solito.
Entrò nella sua stanza, urlando…alzati
puttana!
La ragazza, impaurita, soffocava un
pianto sordo coprendosi il volto con le braccia, senza possibilità di uscire da
quella stanza diventata una prigione. Vivevano in campagna, se avesse chiesto
aiuto, nessuno l’avrebbe sentita.
Lui, barcollante, alzò le coperte, buttandole per aria. Imbestialito, cominciò a picchiarla. Sara cercò di difendersi, ma non servì a
fermarlo; tentò invano di alzarsi per scappare. Lui la spinse sul letto
riempendola di botte e urlando parolacce di ogni genere. La rabbia dell’uomo
peggiorava sempre di più, era diventato un mostro.
Sara… un pianto disperato…un
doloroso disgusto.
Aveva solo quindici anni.
Il buio… perse i sensi.
Al ritorno, la madre la trovò impaurita, lacerata nel corpo e nell’anima,
soffocata da silenziosi singhiozzi. Non servivano parole, si abbracciarono piangendo
ma le lacrime non potevano lavare quel dolore.
Passarono anni per decidere di
andare in analisi. Aveva paura di affrontare i mostri del passato. Era forte
però il desiderio di cambiare la sua vita.
La psicologa la seguiva con
delicatezza e pazienza.
Dipingi ciò che vuoi, le disse
porgendole una tela bianca e una tavolozza di colori.
Sara usava solo il colore rosso,
null’altro, rosso su rosso. Rappresentava il dolore, la violenza subita, il
sangue che aveva sporcato la sua innocenza. Trascorsero mesi, a quella tela non
si aggiungeva nulla di nuovo.
Il giorno prima del suo compleanno,
nell’angolo del dipinto ritrasse un corpo a metà, con un pennello in mano, sembrava
timoroso di continuare. Era posizionato però su uno scorcio di colore bianco,
simbolo di purezza.
Qualcosa stava cambiando: l’io
interiore iniziava a muoversi, pulendo lo sporco di cui lei era stata solo
vittima.
Sara stava rinascendo.
Autrice:
Il mistero del forte medioevale
Era una afosa mattina estiva.
Bianca decise che era la giornata giusta per andare a visitare il forte
medioevale. Era una bellissima ragazza, con fisico da modella, con capelli
scuri raccolti in una treccia portata sul davanti per nascondere il lato destro del
viso, deturpato da una cicatrice. Un segno indelebile lasciatole con un rasoio
da suo padre, uomo vile e violento.
Arrivata al forte, dopo aver
ammirato l’esterno, si aggregò a una comitiva per la visita degli ambienti interni. Saliti al piano nobile
poterono ammirare il salone di rappresentanza, la sala della musica, salotti e studi, tutti arredati con eleganza
e ricercatezza dei dettagli.
Giunti nella zona notte, si
trovarono al cospetto della Stanza Rossa, chiamata così perché le sue pareti
erano rivestite da una carta da parati rossa, il pavimento era tinteggiato di
rosso, il letto a baldacchino era ricoperto da lenzuola di seta rossa.
Entrando in quella stanza, Bianca ebbe
la sensazione di averla già vista, solo se la ricordava diversa da come era.
Nel suo ricordo il letto era il doppio
rispetto a quello esistente e il colore
era più chiaro: bianco avorio.
Incuriosita da quella strana
sensazione iniziò osservare gli oggetti
presenti nella stanza, alcuni dei quali le sembrarono familiari.
Era talmente presa dalla ricerca
che non si accorse che la comitiva aveva proseguito la visita, lasciandola sola
in quella stanza.
Ogni minuto che passava lì dentro
si sentiva sempre più a suo agio. Si sentì attratta dal letto a baldacchino al
punto di distendersi. Improvvisamente ebbe un giramento di testa che cercò di calmare sedendosi. Solo allora si
accorse che il vestitino azzurro, indossato la mattina, era una camicia di seta rossa. Ebbe la
sensazione di non essere sola ma, guardandosi attorno, non notò nessuna
presenza. Un dolore trafittivo al lato sinistro del petto la assali, le si offuscò la vista e venne rapita da una stanchezza indomabile. Perse i
sensi.
Poi tutto fu avvolto dal silenzio.
La mattina seguente il guardiano
del forte, entrando nella stanza rossa,
notò che nella carta da parati
rossa si era creata una breccia. Incuriosito, si avvicinò per osservare meglio. Nonostante la poca luce che
filtrava dall’apertura gli sembrò di vedere una stanza simile a quella rossa con
lo stesso letto, solo le pareti erano bianche. In quella stanza era tutto
immacolato. Sul letto era disteso il corpo di una ragazza. Prese una torcia per
illuminare meglio e vide che la donna
indossava una camicia da notte di seta rossa. La corporatura era esile e aveva i capelli scuri raccolti in una treccia. Il viso era deturpato
da uno sfregio sul lato sinistro. Nel corpo era infilato uno stiletto tra le ossa delle costole all’altezza del
cuore. Le lenzuola bianche erano cosparse di macchie di sangue rosso vivo.
Domandandosi chi potesse essere
quella ragazza, alle sue spalle udì un
fruscio. Vide uscire dalla stanza una ragazza con un vestitino azzurro, capelli scuri legati in una treccia e
con uno sfregio sul volto.
Autrice: MARIA GRAZIA CONTI
Genius
Giacomo era un ragazzino
di dodici anni, introverso e solitario. Amava leggere, immergendosi nelle
storie fantasy con una tale partecipazione da estraniarsi dalla realtà per ore
e ore.
Non si sa come né
quando iniziò, ma durante uno dei suoi viaggi fantastici fece conoscenza con il
folletto Genius che divenne suo amico e complice di avventure.
Genius era
dispettoso e birichino e gli faceva degli scherzi burloni, come quando passava
tra i muri, mentre Giacomo era costretto a sbatterci contro o a fare lunghi
giri per raggiungerlo.
Con lui poteva
arrampicarsi sugli alberi, visitare le tane degli gnomi e le casette degli
elfi. Insieme facevano piroette nell’aria, violando la forza di gravità. Con
Genius la vita era ogni giorno nuova, originale e sicura..
Fu durante queste
avventure che Giacomo venne a sapere da Genius dell’esistenza del malefico Asclepius,
personaggio da evitare a tutti i costi, per non rischiare una brutta fine. Era costui un’oscura figura
del male, invidiosa di tutto ciò che fosse leggerezza e solarità. Imprevedibili
erano i malefici che usava per creare ostacoli o addirittura eliminare gli
avversari, ma fino ad allora Giacomo non
ne aveva mai sperimentato i pericolosi influssi.
Un giorno, usando
l’ascensore per salire a casa sua, trovò all’interno una latta di vernice.
Stava domandandosi che cosa ci facesse lì, quando la latta, come prendesse vita
da sola, fece uscire un liquido bianco che si allargò sul pavimento,
insinuandosi sotto le scarpe e intorno alla postazione di Giacomo e diffuse una
macchia appiccicosa che incollava la suola delle scarpe. Terrorizzato, Giacomo
cominciò a urlare, chiamando invano Genius, anche perché, contemporaneamente,
l’ascensore si era bloccato tra un piano e l’altro. Non c’erano vie d’uscita:
davanti a lui solo il cemento della tromba dell’ascensore che gli dava la
sensazione di essere prigioniero in una tomba.
Il ragazzo non si
arrese: sfilò i piedi dalle scarpe e, allungando il passo, arrivò in un punto
del pavimento dove il liquido non era arrivato.
Si ricordò che Genius lo aveva messo in guardia dalle diavolerie di Asclepius –
e questa era forse opera sua- suggerendogli una formula in caso d’ incantesimi
per trarsi d’impaccio. Già, ma qui veniva il brutto: lui non se la ricordava
più.
Farfugliando, quasi
fuori di sé dalla paura, finalmente riuscì a ricostruirla: Ámelon
L’ascensore
riprese il suo cammino, la vernice rientrò nella latta e Giacomo si ritrovò
sul pianerottolo
di casa sua, di fronte alla porta d’ingresso. Ad aspettarlo trovò Genius.
«Finalmente! Ti ho
chiamato tanto!» Lo apostrofò Giacomo, arrabbiato.
«Non sempre mi è
possibile intervenire! Comunque te la sei cavata bene, non ti pare?»
rispose il
folletto.
Perplesso e ancora
scosso, Giacomo spalancò gli occhi e si
accorse di essere… nel suo letto: era stato solo un sogno o meglio un incubo.
Felice come non mai, pensò che forse era diventato troppo grande per continuare
a giocare con Genius: d’altra parte aveva sperimentato di saper reagire con le
proprie forze.
A malincuore, perciò, capì che era venuto il
momento di crescere e di fare affidamento su se stesso.
Letti tutti? Ora votate!
AVVISI:
Vi ricordo che siete ancora in tempo per partecipare al Premio Letterario "Dentro l'amore" (sesta edizione) organizzato da Edizioni Convalle. Potete scaricare il bando nel sito www.edizioniconvalle.com
Troverete tante interessanti sezioni alle quali partecipare. Termine ultimo per gli invii degli elaborati: 30 giugno.
Si ricorda inoltre che si stanno raccogliendo le prenotazioni per la nuova classe dei Laboratori di Scrittura Creativa (on line) tenuti da me medesima. Per le informazioni scrivere a: steficonvalle@gmail.com
Vi ricordo, infine, il manuale di scrittura che potrete acquistare scrivendo a edizioniconvalle@gmail.com
Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle
Molti racconti mozzano il fiato, scelgo i miei 5
RispondiElimina3 Simoncini, confermo il mio pensiero è un vero bomber... L'ho letto e ho pensato che Norman Bates non gli attacca nemmeno le scarpe al suo protagonista
25 Conti, una metafora interessante sul senso del crescere, passaggio obbligato della vita di ognuno
24 Pirola, già in diretta quando ho ascoltato il pezzo ho pensato a Lovecraft, uno dei miei "geni del cuore". Bellissimo stile!
23 Sassone, dipinge con le parole, come la sua Sara sulla tela, la lacerazione del corpo e dell'anima... Straziante e intenso
19 Terso, senza cadere nel pietismo riesce a rendere come pochi saprebbero fare lo smarrimento di chi si trova ad affrontare qualcosa alla quale non si è affatto preparati
Complimenti a tutti!
Alessandra D'Angella
Alessandra... grazie!
EliminaAl di là del "bomber" (sorrido un sacco, ogni volta ��) i tuoi complimenti lasciano il segno.
❤
Grazie Alessandra!
EliminaSplendida serata ieri sera. Ero curiosissimo di leggere cosa avesse ispirato questa foto e in effetti le sorprese sono state tante.
RispondiEliminaAncora una volta avrei voluto votare ben più di 5 racconti, ma non si può e ho dovuto operare ben tre scremature, con molto dispiacere.
Ecco i miei voti, dunque, come al solito in ordine numerico:
2 - Sonia Sognorino - L'artefice: a dir poco geniale il modo in cui ha inserito la foto in un racconto toccante e ben scritto. Praticamente non mamca nulla.
6 - Anna Incandela - Angusto: scusate, ma al di là della forte emozione che mi ha dato leggere questa esternazione di mia mamma, il suo racconto mi ha insegnato qualcosa, ovvero che devo sbrigarmi a portarla fuori a cena una sera di queste ❤
9 - Elisabetta Motta - Profondo rosso: durante la lettura in diretta mi sono scoperto incollato alle parole. Quando sono venuto qui a rileggere era esattamente come lo ricordavo. Mi è piaciuto un sacco e mi si è incollato addosso.
21 - Tania Mignani - Vada come vada: Tania, ti leggo e mi ricordi come si sogna. E io, di sognare, non voglio smettere.
Ti ringrazio infinitamente per le splendide parole. Grazie grazie grazie!
EliminaGrazie, Riccardo! Il tuo commento mi si incolla addosso 😄
Elimina(si è perso un pezzo!)
RispondiElimina16 - Giuliana Degl'Innocenti - In odore di svincolo: dissacrante e irriverente tanto da costringere Stefania ad omettere il finale. Geniale!
Grazie!
EliminaI complimenti sono per tutti il mio voto va a:
RispondiEliminaCARMINE SCAVELLO Giacomone, un ragazzo imbranato -11-
MARIA RITA SANNA Chiuso all'angolo 14
GIULIANA DEGL’INNOCENTI In odore di svincolo -16-
Ma cullo le emozioni in punta di piedi.
bisogna esprimere 5 preferenze, altrimenti il commento è nullo.
RispondiEliminavoto i racconti di:
RispondiEliminaTatiana Venini
Maria Grazia Conti
Alessandra Nobile
Elisabetta Motta
Giulia Landini
Grazie, Carmine.
EliminaGrazie!
EliminaBelli tutti!
RispondiEliminavoto:-1 –ALESSANDRA NOBILE Il puntino rosso: quando l’ho letto il primo commento è stato: “Sbam! Che finale!” Mi piace veramente la prospettiva da cui viene raccontata la storia e gli infiniti modi di “perdere sé stessi in una relazione”. Veramente bello!
- 3 – RICCARDO SIMONCINI: rosso sangue: dato che si è beccato il mio voto in tutte “le gare” ho deciso che al prossimo giro Simoncini non lo voto per principio �� scherzi a parte riesce sempre a creare queste coppie di personaggi sui generis, apparentemente al di sopra delle righe, ma in realtà perfettamente e profondamente centrati e realistici. Bravo davvero.
- 11 – CARMINE SCAVELLO: Giacomone, un ragazzo imbranato: Il testo mi ha ricordato la struttura di una fiaba, e il personaggio “Giacomone” mi piace come viene tratteggiato, creando una certa vicinanza emotiva
-21 –TANIA MIGNANI: vada come vada: l’idea della spinta a riprovare a rimettersi in gioco mi piace molto e, anche se in modo diverso, l’ho percepita anch’io. Bella questa lettura positiva con uno sguardo rivolto in avanti. Tra l’altro...❤️e chi se ne frega se quel pavimento sarà di nuovo da tinteggiare! ��
-14 MARIA RITA SANNA: Chiuso all’angolo: molto forte, mi è piaciuto tanto, soprattutto la frase finale!
Giulia Landini
Grazie, La Landa! Spero si veda che questa maratona mi diverte tanto!
Elimina...
Però dai, fai uno strappo e votami ancora UNA volta. UNA sola. Poi basta, ok?
:D
Grazie, Giulia.
EliminaIndico le mie scelte, in ordine di preferenza:
RispondiElimina9 – “Profondo rosso” di Elisabetta Motta. Trovo il pathos della scrittura perfettamente riuscito, anche grazie al periodare breve e incalzante. Interessante l’uso del tema della suggestione mentale. Vivace il finale in cui la tensione si scioglie in un sorriso.
22 – “Zitto e buono” di Silvana Da Roit. Bell’intreccio, compiutamente e credibilmente sviluppato in poche righe.
1 – “Il puntino rosso” di Alessandra Nobile. Racconto avvolto da un’atmosfera simbolica suggestiva. Scrittura evocativa e impressionistica. Stilisticamente funzionali (e funzionanti) le ripetizioni lessicali
24 – “Il mistero del forte medievale” di Pamela Pirola. Nel solco del genere fantastico, atmosfere ben rese grazie a una scrittura solida e tradizionale. Come sempre efficace, in questi contesti, il tema del doppio.
3 – "Rosso sangue" di Riccardo Simoncini. Il racconto strizza l’occhio al genere “splatter” e lo fa in modo efficace.
Grazie per l'apprezzamento, Giorgio Leonardi!
EliminaE volevo dirti che sulle parole "strizza l'occhio" e "splatter", mi hai acceso la lampadina per un nuovo racconto! ��
Grazie per avere votato e per la preferenza che hai dato al mio racconto, Giorgio! Il tuo commento mi riempie di piacere perché so da chi arriva!
EliminaGrazie, Giorgio.
EliminaGrazie Giorgio!
RispondiEliminaQuesta volta è stato davvero difficile scegliere. Dopo avere riflettuto a lungo ecco le mie preferenze.
RispondiElimina2 Sonia Signorino. Racconto ben scritto e pertinente alla foto.
3 Riccardo Simoncini. Coinvolgente sin dalle prime battute, questo racconto mi è sembrato l’incipit di un interessante thriller.
8 Giulia Landini. Confermo le mie precedenti impressioni. Bella penna. E poi ho apprezzato il finale che invita alla riflessione.
14 Maria Rita Sanna. Mi sono piaciuti l’idea e il finale, in questo caso incisivo ed efficace. Ben scritto anche il suo.
21 Tania Mignani. Una ventata di positività e ottimismo. Mi è piaciuto il modo in cui ha inserito la foto nel racconto.
Grazie davvero!
EliminaGrazie, Elisabetta!
EliminaIn effetti avrei avito altre due o tre cosette da metter giù... Ma le 500 parole arrivano in fretta!
Riccardo, mi sono espressa male. Rettifico: il tuo racconto potrebbe essere l’incipit di un thriller 😉. Come racconto di questa lunghezza è perfetto!
EliminaÈ sempre più difficile scegliere.Tutti i racconti sono particolari ed esprimono le forti emozioni provate nell'osservare la foto.
RispondiElimina1) emozioni in poesia;
2) vero e struggente;
5) pura suspense;
17) profondo;
23) un colpo al cuore.
Grazie, Barbara.
EliminaGrazie molte.
EliminaGrazie Barbara ��
EliminaGrazie infinite Barbara, sono molto contenta per l'apprezzamento!
RispondiEliminaEcco le mie cinque preferenze in ordine cronologico:
RispondiElimina3 - Rosso Sangue di Riccardo Simoncini:
Un'esposizione originale di quel che succede "Quando la coppia scoppia".
14 - Chiuso all'angolo di Maria Rita Sanna:
Una descrizione molto vivida della furia omicida scaturita dalla follia di un amore malato.
16 - In odore di svincolo di Giuliana Degl'Innocenti:
Una sola parola: dissacrante! Con un finale strepitoso.
21 - Vada come vada di Tania Mignani:
In mezzo a tante storie strappalacrime, finalmente una storia a lieto alla "Pretty Woman".
22 - Zitto e buono di Silvana Da Roit:
Una storia originale e ricca di suspense in stile hitchcockiano.
Grazie, Tiziana!
EliminaAnche se più che esplosa, lei risultava... "svuotata"! ��
Grazie!♥️
EliminaNicoletta Mamdaradoni
RispondiEliminaVoto i n. 1,9,14,15,25
Il n 1 di Alessandra Nobile è un racconto ben strutturato con un finale sorprendente;
Il n 9 di Elisabetta Motta è interessante per il rapporto tra immaginazione e realtà;
il n 14 di Maria Rita Sanna è ricco di spunti di riflessione e affronta una tematica attuale;
il n 15 di Tiziana Mazza descrive con molta efficacia una situazione che si chiarisce solo alla fine;
il n 25 di Maria Grazia Conti, molto fantasioso, è apprezzabile per la morale che contiene.
Grazie Nicoletta!
EliminaGrazie, Nicoletta.
EliminaComplimenti davvero a tutti, ma devo operare una scelta:
RispondiElimina3. Riccardo Simoncini, Rosso sangue. Ironia pungente e finale inaspettato in un amore spremuto fino all’ultima goccia.
5. Tatiana Vanini, Opera in rosso. Atmosfera fiabesca e un po’ horror. Ma in fondo, le fiabe, non sono puro horror?
10. Costanza Trotti, Rosso Rubino. Efficaci le immagini per descrivere la solitudine di una bimba con dei genitori troppo presi da sé stessi.
14. Maria Rita Sanna, Chiuso all’angolo. Descrizione forte ed efficace di una mente paranoica.
23. Pinuccia Sassone, Paura di cambiare. Questo racconto è una bomba emotiva, ed è bellissimo.
Grazie "Esterina"!
Elimina(Ormai, per me... ��)
Inutile ripetere che sono tutti bellissimi. Ho trovato grande difficoltà laddove, a pari merito, ho dovuto fare una scelta. Ho votato per ordine numerico.
RispondiElimina1° "Il puntino rosso" autrice Alessandra Nobile. Attraverso il colore ha descritto l'emotività di un rapporto di coppia. Oltre che bello e ben scritto, l'ho trovato originale.
9° "profondo rosso" autrice Elisabetta Motta. Grande suspence con un finale sorprendente.
14° "Il dolore chiuso all'angolo" autrice Maria Rita Sanna. Infallibile la penna di Maria Rita . Non sbaglia un colpo e sorprende sempre. Finale che ti lascia senza fiato.
16° "Il dolore chiuso all'angolo" autrice Giuliana Degl'Innocenti.
E qui non posso fare a meno di ripetere quello che ho detto la volta scorsa. Da lei vado a nozze con la scrittura e la lingua italiana. Oltre che amare la sua narrativa, ne esco arricchita!
23° "Paura di cambiare" autrice Pinuccia Sassone. Capace di scavare a fondo nell'anima con delicatezza. Riesce attraverso le parole a donarti l'immagine. Leggerla, è come guardare un bel film.
Complimenti a tutti gli autori e un grande in bocca al lupo ai finalisti.
Sono Adelia
Grazie, Adelia.
EliminaGrazie, Adelia!
EliminaGrazie Adelia!
EliminaVoti Giuliana Degl’Innocenti:
RispondiElimina9 E. Motta: suggestivo;
14 M. R. Sanna: deciso;
15 T. Mazza: particolare;
21 T. Mignani: positivo;
23 P. Sassone: un pugno nello stomaco.
Grazie😊
EliminaGrazie, Giuliana!
RispondiEliminaDavvero toccante il racconto della signora Pinuccia Sassone. Il tema, purtroppo, è toccato quasi quotidianamente. Troppe donne sono violate, violentate nel corpo e nell'anima. È davvero un filo rosso, an ch'esso, che unisce innumerevoli tragedie. Un quadro introspettivo che turba e lacera nel profondo. Scrittura pulita, senza sbavature e toccante.
RispondiEliminaGrazie mille�� chi sei? Dovresti indicare il tuo nome e cognome e altre 4 preferenze. Diversamente il voto non viene considerato. Grazie
EliminaPinuccia Sassone
Intanto faccio i complimenti a tutti perché sono davvero molto belli poi, visto che devo votare, inizio subito con il racconto di Camilla Terso...intenso e toccante.
RispondiEliminaElisabetta Motta:particolare e suggestivo
Maria Rita Sanna: intrigante
Sassone Pinuccia: potente
Pamela Pirola:inquietante
Davvero difficile scegliere... Rinnovo comunque a tutti i miei complimenti.
Bravissimi!!!
Grazie, Simonetta!
EliminaScusate...mi sono dimenticata di firmare: sono Simonetta Grassi
RispondiEliminaVoti di Maria Grazia Lo Massaro
RispondiElimina23 P.Sassone interessante
21 t.Mignaniintrigante
6 a incandela conciso
5 Tatiana Vanini entusiasmante
25 MARIA Grazia conti fantasioso
Voto x Pinuccia Sassone n.23 e poi il 5,6,21,25. Sono Salvatore Mezzopane.
RispondiEliminaAncora una volta votazione complessa, complimenti a tutti.
RispondiElimina4 C. Polli, La fobia del divenire
Una riflessione inquietante affrontare il futuro schiacciato dalle pene di un passato drammatico.
9 E. Motta, Profondo rosso
Suspense fino all'ultimo ma il finale mi ha strappato un sorriso.
16 G. Degl'Innocenti, In odore di svincolo.
A volte l'urgenza fisiologica ci salva da una decisione altrettanto frettolosa.
21 T. Mignani, Vada come vada
All'angolo ci sono i sentimenti senza via d'uscita, il rosso simbolo dell'amore invade tutto.
22 S. Da Roit Zitto e buono.
Come dire: il mondo è piccolo e tutti i nodi vengono al pettine. Finale mozzafiato.
Maria Rita Sanna
Grazie, Maria Rita!
EliminaGrazie Maria Rita!
EliminaNon è stato semplice scegliere solo tra 5 storie , ognuno a suo modo è stato coinvolgente , complimenti a tutti .
RispondiEliminaI miei 5 preferiti sono :
9 Elisabetta Motta
Profondo rosso
Lettura scorrevole e coinvolgente , un po’ di souspance che mette timore per quello che accadrà… complimenti brava !
18 - EMANUELA TOMIATO
Cose da fare
Intrigante, una storia che si può definire d’attualità per argomenti che sono all’ordine del giorno, scrittura ben curata e coinvolgente, brava!
19 - CAMILLA TERSO
Io avrò cura di te
L’amore di un genitore per i propri figli oltre le difficoltà che la vita ti mette alla prova . Storia che ti prende subito per mano e ti accompagna dentro, un uomo , un padre con una grande forza!
Molto bello brava !
21 - TANIA MIGNANI
Vada come vada
Si può definire l’amore ai giorni d’oggi, i rapporti che vanno a prendersi un po’ per gioco per non legarsi e viversi. Solo divertimento … lettura coinvolgente e ben scritto , brava !
23 - PINUCCIA SASSONE
Paura di cambiare
Storie di ieri e oggi, l’animo umano maschile pronto a infierire verso le donne sempre e comunque , come se fosse uno straccio usa e getta… la vita dovrà cambiare affrontando la paura di una violenza subita…
Storia ben scritta, coinvolgente a tal punto da lasciarti trasportare dentro e immaginarsi le crudeltà subite dalle protagoniste .
Davvero brava complimenti !
Grazie, Omar!
EliminaÈ stato molto difficile scegliere sono tutte belle
RispondiEliminaAdelia Rossi
Pinuccia Sassone
Elisabetta Motta
Maria Rita Sanna
Tiziana Mazza
Grazie, Laura!
EliminaGrazie, Laura😊
Elimina
RispondiEliminaVoto
N. 23 Pinuccia Sassone
N. 1 Alessandra Nobile
N. 12 Barbara Galimberti
N. 19 Camilla Terso
N. 20 Adelia Rossi
Voto:
RispondiEliminaN. 23 Pinuccia Sassone
N. 1 Alessandra Nobile
N. 19 Camilla Terso
N. 20 Adelia Rossi
N. 12 Barbara Galimberti
Sono Titina D'Angella
Complimenti a tutti
Grazie, Titina.
EliminaGrazie!!!!
EliminaVoto in ordine numerico:
RispondiElimina- N°1 Alessandra Nobile - Il puntino rosso - Un fine inaspettato
- N°7 Marco Castoldi - Sogni di latta - Bello
- N°9 Elisabetta Motta - Profondo rosso - Profondo nell'animo
- N°13 Maria Barilaro - Il dolore - Commovente
- N°23 Pinuccia Sassone - Paura di cambiare - Toccante "...le lacrime non potevano lavare quel dolore."
Se non scrivi chi sei il voto va perso
EliminaSono Carmela Mercorella e voto:
RispondiEliminaPinuccia Sassone n.23
Camilla Terso n.19
Alessandra Nobile n.1
Costanza Trotti n.10
Maria Barilaro n.13
Complimenti a tutti
Grazie, Carmela.
Elimina12 - Barbara Galimberti:
RispondiEliminaun bell'intrigante e coinvolgente inizio di romanzo poliziesco che sembra dar vita ad un nuovo amato Commissario.
15 - Tiziana Mazza:
un finale inaspettato svela il segreto di una trama che ha ingannato a dovere.
19 - Camilla Terso:
il dolore e la forza di genitori speciali.
21 - Tania Mignani:
quando l'amore per essere vissuto bene ha bisogno di un pizzico di fatalismo.
22 - Silvana da Roit:
il dubbio atroce, rimosso anni prima, riaffiora e diventa certezza.
Grazie, Linda😊
EliminaSempre più imbarazzante esprimere preferenze. Non è una frase fatta dire che i racconti sono tutti belli.
RispondiEliminaVoto per:
n. 16 GIULIANA DEGLI INNOCENTI
Scrittura potente e colta come sempre. Una gran bella risata
nel finale per una scelta di sano egoismo della prptagonista.
n. 19 CAMILLA TERSO
Un genitore non è mai preparato ad accettare la sofferenza di
un figlio. La reazione può essere anche quella di scappare.
L'AMORE però alla fine vince sempre. Racconto delicato e
commovente.
N. 20 ADELIA ROSSI
Un racconto che ci fa conoscere il lato folle di una scrittrice
e poetessa che con la scrittura e la fantasia sa e può spaziare
senza limiti.
N. 1 ALESSANDRA NOBILE
Sentirsi come un guscio vuoto con bisogno smisurato di
riempirsi dell'altro che non è più disposto a dare.
N. 22 Amo la sua scrittura delicata e profonda, leggerla mi infonde
sempre serenità. Mi sono affezionata a "Zitto e buono"
Sono Pinuccia Sassone
Grazie, Pinuccia.
EliminaBuongiorno, continuo a dire che risulta davvero difficile scegliere 5 racconti. Tutti gli autori sono bravissimi! Ecco i miei preferiti:
RispondiElimina1- finale che mi ha strappato un sorriso.
2- descrive perfettamente ciò che abbiamo vissuto in questo anno, ho catturato una punta di rivalsa.
11- leggero e simpatico
21. Racconto ben strutturato e ben scritto
25- surreale. Bello.
Grazie, Sonia.
EliminaVoto in ordine numerico:
RispondiElimina- N°1 Alessandra Nobile - Il puntino rosso - Un fine inaspettato
- N°7 Marco Castoldi - Sogni di latta - Bello
- N°9 Elisabetta Motta - Profondo rosso - Profondo nell'animo
- N°13 Maria Barilaro - Il dolore - Commovente
- N°23 Pinuccia Sassone - Paura di cambiare - Toccante "...le lacrime non potevano lavare quel dolore."
Grazie, Pinuccio.
EliminaGrazie, Pinuccio!
EliminaVoto i miei 5 romanzi:
RispondiEliminaN. 3 Riccardo Simoncini Bello e profondo
N. 2 Sonia Signorino Inquietante
N. 14 Maria Rita Sanna Scrittura intensa e profonda
N. 20 Adelia Rossi Divertente, ironico, folle
N. 23 Pinuccia Sassone Tema all'ordine del giorno oramai, ma che ci stimola e ci da la forza per reagire, rinascere sempre!!!!
💕 Pinuccia
EliminaMa grazie! ��
EliminaMaria Cirone voto per
RispondiElimina19 Camilla Terso. Commovente e di grande insegnanento
23 Pinuccia Sassone
2. Sonia Signorino. Inquietante
14 Maria Rita Sanna . Amore malato
24 Pamela Pirola. Brava
È sempre più difficile scegliere,cmq i miei 5 sono:2)Sonia Signorini:Tema toccante,attuale,fa riflettere molto.19)Terso:l'amore per un figlio fa affrontare ogni avversità,commovente,difficile pensare l'abbandono da parte di una madre.23)Sassone:I suoi racconti sono pieni di cuore,anima,mi catturano ogni volta.storia struggente.20)Rossi Adelia:divertente,folle.21)Tania Mignani:L'amore vissuto giorno per giorno senza costrizioni vince sempre.molto bello e positivo.Cisterna Nunzia
RispondiEliminaGrazie!!!!!
Elimina23- Pinuccia Sassone...traumi
RispondiElimina14-Sanna ...profondo
15-Mazza... il potere della mente
20-Rossi...Sui generis...folle
19-Terso...resilienza, coraggio...amore
Complimenti ancora a tutti
Ilenia Orlando
Grazie mille!
Elimina23 Pinuccia sassone......commento?
RispondiEliminaXX nome e commento
5 preferenze
Io voto per:
RispondiEliminaNobile
Sassone
Landini
Motta
Terso
Grazie Pamela!
EliminaGrazie, Pamela.
EliminaPAMELA PIROLA
RispondiEliminaPINUCCIA SASSONE
MIGNANI
ADELIAB ROSSI
SANNA
Grazie mille. Adelia
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