Di questo romanzo mi aveva attirato il titolo: Lasciar andare.
Quando Philip Roth è morto, nel 2018, mi sono detta che non potevo non aver letto niente di questo scrittore - Premio Pulitzer per la narrativa - e così mi sono recata in libreria e sono uscita con questo romanzo di quasi ottocento pagine, scritte in piccolissimo :-(
Secondo me è un dovere preciso, per chi scrive (come me) e per chi lavora nel mondo dell'editoria (come me) leggere i cosiddetti Classici e le opere degli autori contemporanei che sono entrati nella storia della letteratura. Non si tratta più, quindi, di leggere solo per diletto, né di giudicare un'opera che, al di là che piaccia o no, deve essere rispettata, ma anche per studiare la scrittura. E imparare.
E così sono entrata nel mondo di Philip Roth da una porta laterale, non quella che rappresenta le sue opere più famose, quelle della maturità, ma da quella che incarna il suo esordio.
"Lasciar andare", il suo primo romanzo, scritto quando aveva ventinove anni.
Ho amato e odiato questo romanzo, nel corso di questi mesi, mentre cercavo di ritagliarmi del tempo per portare a termine questa lettura.
L'ho amato per un incipit che mi ha coinvolto subito e portato dentro l'atmosfera del romanzo.
L'ho odiato quando Philip Roth diventava prolisso e sorridevo al pensiero di quanto gli avrebbe detto Cechov se Roth gli avesse inviato qualcosa da leggere per avere un'opinione. Forse gli avrebbe detto quello che scrisse al fratello Aleksandr Cechov in una lettera del 1889: la brevità è la sorella del talento.
L'ho amato per la potenza di saper entrare nell'interiorità dei suoi personaggi, costituite prevalentemente da disagi personali, rapporti difficili, con sé stessi e con i familiari, o amanti o, amici. E questa sua capacità mi ha fatto affezionare a Gabe Wallach, protagonista del romanzo; a Libby e Paul Hertz, amici di Gabe dove i sentimenti correranno per tutto il romanzo in bilico tra amore e amicizia. E poi Martha, carnale, esatto opposto di Libby, quasi eterea. E poi la madre di Gabe, la cui presenza aleggia nel romanzo, mentre quella del padre, seppur sporadica, emerge potente facendoci addentrare nel rapporto padri e figli.
L'ho ammirato perché scrivere un'opera prima del genere è qualcosa che porta scritto su ogni pagina: questo è un vero scrittore, questo è talento.
Tante sono le riflessioni scaturite durante la lettura. Ritrovare l'America descritta nei racconti di Carver, quell'ombra di squallore e recessione, con tutte le conseguenze sul ceto medio. Ritrovare anche il guizzo ironico di Paul Auster, quello che ho scoperto e mi ha fatto innamorare di lui leggendo il romanzo "Follie di Brooklyn".
Philip Roth non mi ha fatto innamorare in toto, ma leggendo alcune pagine mi ha fatto commuovere.
Non voglio raccontarvi la trama perché secondo me una recensione non deve raccontare la storia di un romanzo che, per me, deve solo essere letto senza levare niente al lettore che scoprirà da solo, in un rapporto a tu per tu con l'opera, quanto lo scrittore ha voluto mettere sulla carta.
E, dunque, non vi racconterò la storia di Gabe, di Libby, di Paul, di Martha e dei suoi figli, di Theresa, del padre di Gabe e così via.
Vi dico, però, che anche se in alcuni passaggi ho fatto fatica a proseguire per il divagare dello scrittore lungo vie traverse rispetto a quella principale, "Lasciar andare" è un romanzo da leggere.
Ma, attenzione - specifico - non è un romanzo da bere in una sorsata, come spesso si fa con certa narrativa. No, è da leggere con calma, godendo, oltre che della storia, della bella scrittura che appartiene a pochi. Un romanzo da assaporare.
Lasciar andare, dice il titolo... Lasciar andare come fa la madre nella lettera che scrive proprio a lui, al figlio Gabe.
Lasciar andare come fa Gabe, nella lettera che conclude il romanzo, quella che scrive a Libby.
Un romanzo che si apre e si chiude con una lettera. Un finale che lascia un sospeso, quasi alla Carver, ma esattamente com'è la vita.
Lasciar andare: leggetelo.
Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle
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