Volevo solo avere più tempo

Volevo solo avere più tempo
Il nuovo romanzo di Stefania Convalle

lunedì 1 agosto 2016

Numero 238 - Rosamarea By Stefania Convalle - 1 Agosto 2016




E dopo aver giocato insieme ai miei amici scrittori, partendo da un incipit di un mio romanzo che avevo iniziato a scrivere un po' di tempo fa, voglio proporvi quello che era stato il mio personale sviluppo di Rosamarea, per continuare a scriverlo qui, per voi. Il mio regalo per l'estate.


R O S A M A R E A

di  

Stefania Convalle


                                            Capitolo uno
"Come ti chiami?"
"Rosamarea."
"Siediti, Rosamarea. Non avere paura. Hai un bel nome, particolare, non l’avevo mai sentito prima."
Si sedette a quel tavolo sorprendendosi con se stessa per ciò che stava facendo.
Era entrata in quel locale per rifugiarsi dal temporale improvviso. Infradiciata e molto contrariata, aveva ordinato un tè caldo rassegnandosi di fronte all’imprevisto che le stava facendo perdere parecchio tempo. Con un’occhiata nervosa all’orologio e una all’agenda piena di appuntamenti, pensò con disappunto a quanto lavoro non sarebbe riuscita a terminare.
Si abbandonò sulla sedia cominciando a guardarsi intorno. Subito si sentì avvolgere da un calore inaspettato. C’era una gradevole intimità in quella piccola sala da tè; pochi tavoli di legno consunto, luci basse e colori caldi; la tazza fumante lì davanti faceva il resto.
Guardò fuori e vide che il tempo non accennava a migliorare, ma non le importava più come prima, stava bene.
Assaggiò il suo tè bollente mentre osservava le altre persone in quel luogo così diverso da quelli che era solita frequentare. Intorno a sé  nessuno aveva fretta, al contrario ognuno sembrava assaporare quella tranquillità.
Si chiese come quelle persone potessero essere tanto padrone del loro tempo mentre lei riusciva a fare a malapena ciò che aveva minuziosamente programmato.
In un angolo vide una coppia parlare fitto fitto, stavano guardando delle fotografie, sorridevano, sembravano felici, innamorati. Sentì un nodo in gola, le venne in mente il suo ultimo amore. Era ancora innamorata di lui, sebbene fossero passati ormai mesi dall’ultima volta che l’aveva visto, ma non riusciva a dimenticare. Si erano lasciati perché volevano cose troppo diverse: lei una famiglia, lui soltanto trascorrere qualche bel momento, senza nessun impegno. Da allora si era buttata nel lavoro, cercando di occupare qualsiasi angolino della mente con altri pensieri che non fossero "lui". Distolse lo sguardo da quei due, troppo dolore ancora pronto a riaffiorare.
Sorseggiava il tè, curiosando  in giro con lo sguardo finché vide in un angolo in penombra una donna seduta a un tavolo. Sembrava molto vecchia, quasi eterea. Davanti a sé una tazza e una teiera, pareva  fosse lì da sempre;  una candela accesa da una parte, un tappetino rosso adagiato sul   tavolo e un mazzo di carte appoggiate sopra.
Non vedeva bene i suoi occhi, restavano in ombra. La colpì la calma che sembrava appartenerle, un senso di pace che emanava da ogni parte del suo corpo. Fu subito attratta da quella figura; lei, così inquieta, così infelice,  cominciò a fissarla quasi incantata.
Quando passò il cameriere, ordinò un altro tè e gli chiese: "Chi è quella donna? Sembra faccia parte del locale!"
Lui,  mentre toglieva la tazza ormai vuota per posarla sul  vassoio, guardò in direzione dell’anziana donna: "Chi, Bianca? è una vecchia signora che viene qui da tanti anni, potrebbe essere anche una centenaria, a giudicare dal tempo che frequenta questo posto! Se ne sta lì, ore e ore con le sue carte, aspettando che qualcuno si sieda davanti a lei."
"Appunto" disse Rosamarea "mi chiedevo che ci facesse con quel mazzo di carte, cerca qualcuno che faccia qualche partita con lei?"
Il ragazzo sorrise. "Partita a carte? Ma no! Lei le legge, le carte, e non immagina quante persone vengano a trovarla regolarmente. Non si fa pagare, pare sia ricca di famiglia. C’è un certo alone di mistero sulla sua vita, nessuno ne sa molto." 
Rosamarea parve sorpresa. Non aveva mai avuto a che fare con cartomanti, seppure  ne fosse sempre stata attratta. Nella sua famiglia aleggiavano questi poteri divinatori: sua nonna leggeva i tarocchi e sua madre era stata una sensitiva, faceva sogni premonitori, aveva avuto qualche visione da bambina, possedeva sicuramente un potenziale paranormale che però non aveva mai coltivato.
Il ragazzo si allontanò per poi ricomparire con la nuova tazza di tè, aveva aggiunto un piccolo piatto con  dei biscotti, forse aveva capito che la donna non aveva intenzione di andarsene in fretta.
"Ma scusa, spiegami come funziona, ci si avvicina, e poi?"
"…Ci si avvicina e basta, poi ci pensa lei."
Rosamarea rimase a guardarla, voleva provare ad andare da lei, ma non ne aveva il coraggio.
Entrò una donna nella sala, il volto triste, sembrava avesse pianto fino a pochi minuti prima. Dopo una rapida occhiata, si diresse con passo svelto in quell’angolo misterioso. Scambiò due parole con la cartomante e si sedette davanti a lei.
L’attenzione di Rosamarea cadde sulle mani dell’anziana donna, riusciva a vederle benissimo, erano mani vecchie, nodose, ma mescolavano quei tarocchi con una grazia tale da sembrare una danza. Restò affascinata da quel rituale. La osservò stendere le carte sul tavolo, studiarle e poi parlare con la donna davanti a lei;  notò come la sensazione di tristezza profonda che aveva visto nei suoi occhi quando era entrata, lasciò lentamente il posto a uno sguardo più sereno, forse  Bianca le aveva dato qualche speranza riguardo a ciò che evidentemente la tormentava. Una parte di lei era scettica, ma un’altra parte sembrava che sentisse il richiamo di quel tavolo, quasi fosse una calamita. La donna si alzò, ringraziò  e lasciò un pacchettino sul tavolo, sembrava un regalo.
Ora il posto era nuovamente libero. Rosamarea sentiva quasi la nausea di fronte a quella sensazione fortissima di voler andare, senza averne il coraggio. E poi, si chiese, cosa avrebbe voluto sapere, quale domanda avrebbe posto. Forse gli avrebbe chiesto di lui? Ma voleva veramente avere informazioni, notizie - non sapeva come definirle - su quell’uomo che amava ancora, ma che non poteva avere? A cosa sarebbe servito? A farla stare meglio oppure a farle perdere quel minimo equilibrio che aveva raggiunto faticosamente in quei mesi, un equilibrio sudato, per poter continuare a vivere senza di lui? 
L’anziana donna, all’improvviso, si voltò verso di lei, il suo  viso emerse dalla penombra, gli sguardi s’incrociarono. Fu allora che Rosamarea si alzò, s’incamminò verso di lei e le si fermò di fronte.
"Come ti chiami?"
"Rosamarea"
"Siediti, Rosamarea."

Capitolo due

Rosamarea si sedette. La sedia le sembrò ricoperta  di chiodi, tanta era la sua tensione, ma poi cominciò a rilassarsi e si appoggiò allo schienale.
Bianca la guardava sorridendole, aveva posato i tarocchi sul tavolo e si era versata una tazza di tè. Tutti i suoi movimenti erano lenti e aggraziati. 
Osservò il suo abito, una tunica turchese di lino, molto semplice, le ricordava un abito di una donna dell’India. Gli occhi erano nerissimi e vivi come non mai; i capelli lunghi raccolti in una treccia. Si vedeva che era anziana, ma era difficile attribuirle un’età. Alle mani portava un  grosso anello d’argento con incastonato un turchese.
Bianca posò la tazza e riprese le carte; da vicino si poteva vedere come esse  fossero vecchie e consumate, quasi lievitate per l’uso continuo; erano grandi, ma stavano perfettamente tra le mani della donna che le aveva sparse sul tappeto rosso per mescolarle. Dopo averle girate e rigirate, le raccolse nuovamente e, composto il mazzo, riprese a mischiarle.
Rosamarea la guardava in silenzio, un silenzio tranquillo, per nulla imbarazzato. La cartomante posò il mazzo delicatamente sul tavolo.
"Dimmi, Rosamarea, ti trovi bene nel tuo tailleur?"
Sorpresa da quella domanda, guardò come si fosse vestita. Come sempre aveva indossato una gonna e una giacca, era il suo abito da lavoro, doveva porsi alla gente con cui veniva in contatto  con un’aria manageriale; era sempre elegante e in ordine, ma effettivamente c’era poco colore nei suoi abiti grigi, come del resto nella sua vita.
"Fa parte del mio lavoro. Che  strana domanda, la sua!"
"Ti prego, non mi dare del lei. Sai, Rosamarea, questa usanza di dare del lei  la trovo curiosa; se ci pensi bene, quando si recitano le preghiere o quando si è disperati e ci si rivolge al proprio Dio, non gli diamo certo del lei, ma un confidenziale tu. E allora ho sempre pensato che se non davo del lei a Lui, perché mai lo avrei dovuto fare con le persone come me?"
"Interessante punto di vista, non ci avevo mai pensato, in effetti. Ti chiami Bianca, vero? Me l’ha detto il cameriere."
"Sì, Bianca, mi chiamo così... Per voi."
"Hai un nome d’arte?” Rispose Rosamarea con un tono canzonatorio.
Bianca posò le carte sul tavolo. Con un sorriso  le disse: "Credo che tu non sia ancora pronta per farti leggere i tarocchi da me."
Si alzò dalla  sedia, raccolse le carte riponendole in una telo leggerissimo bianco dove notò le iniziali di un nome ricamate con del filo rosso, lo infilò  in una borsa di tessuto cangiante e prima di allontanarsi aggiunse, facendole una carezza sulla guancia: "Ti aspetto. E comunque non hai risposto alla mia domanda."
Rosamarea rimase sbigottita da quella reazione. E anche un po’ contrariata. In fondo era una vecchia donna che leggeva le carte, la giudicò altezzosa. Si sentì improvvisamente una stupida a essersi seduta a quel tavolo.
Si alzò di scatto, si sistemò gli abiti, prese la sua valigetta e guardò fuori. Aveva smesso di piovere. Uscì dal locale per tornare al lavoro.


Capitolo tre

Entrò nell’ufficio di pessimo umore, gettò con un gesto di stizza la borsa sulla scrivania facendo cadere il portaritratti che aveva il posto d'onore sul  tavolo. C’era la foto di suo figlio, un bellissimo ragazzo, la fotocopia del padre che se l'era data a gambe quando aveva scoperto la gravidanza. Erano passati venticinque anni, ma quando pensava a quella storia, aveva voglia di mettersi in cerca dell’uomo per dirgli finalmente ciò che pensava di lui, cosa che non era riuscita a fare a quel tempo per la  sua giovane età;  ma  ora, a quarantacinque anni, sarebbe riuscita a  trovare le giuste parole per farlo sentire un mezzo uomo.
Sistemò la foto di Marco e cercò le sigarette nella borsa.
Andò nell’ufficio a fianco, bussò sulla porta semiaperta e una voce la invitò a entrare.
Emma stava lavorando al computer, ma appena diede un'occhiata alla collega, capì che aveva bisogno di sfogarsi.
"Che ti succede? Hai un'espressione  da day after!"
Rosamarea entrò e si allungò su una poltrona, si accese la sigaretta  tirando boccate nervose. Si considerò fortunata di avere come collega Emma, sua grande amica. Erano in simbiosi perfetta,  si capivano da uno sguardo e sapevano che l'una era per l'altra.
"Allora? Dimmi!"
"Giornata pessima. Appuntamenti senza concludere niente. Poi il diluvio, mi sono bagnata dalla testa ai piedi e, piccolo particolare, stamattina ero riuscita ad andare dal parrucchiere! Va beh, lasciamo perdere. Comunque ero fradicia e mi sono catapultata dentro un locale, sai, in quella vietta dietro il Duomo, in centro."
"Sì, lo conosco, ci vado ogni tanto a fare colazione, hanno dei croissant ottimi!"
"Lascia perdere i croissant! Hai mai visto la cartomante?"
"Cartomante? No, perché, c’è una cartomante?"
"A giudicare da ciò che mi ha detto il cameriere, fa parte dell’arredamento. Insomma, non so che mi sia preso, ma a un certo punto mi è venuta una voglia irrefrenabile di andare da lei. E così l’ho fatto."
"Ma dai, ma veramente?"
"…Sì…."
Emma  si era avvicinata sempre di più all’amica, spostando coi piedi la poltrona con le rotelle sulla quale era seduta. Ora era proprio di fronte a lei, tutta protesa in avanti per sentire meglio.
"Non le avrai chiesto di  Massimo!"
"Volevo, anzi, veramente non so cosa volevo, ero confusa. Comunque comincia a mischiare le carte, poi all’improvviso si rifiuta di leggermele!"
"E  perché?"
"Si dev’essere risentita per qualcosa che ho detto, le ho chiesto se quello che usava fosse un nome d’arte." Rispose con una risata.
"Strano però…."
"Comunque mi ha fatto sentire una stupida" continuò, spegnendo la sigaretta nel portacenere e riducendo il mozzicone in poltiglia "non credo che mi vedrà più. Mi sento già meglio, come sempre dopo aver parlato con te! Che fai stasera? Sei libera?"
Emma nel frattempo aveva guidato la sedia tornando alla scrivania.
"Stasera esco con Fulvio, andiamo a mangiare una pizza."      "Cerca ancora di conquistarti?” Le disse con uno sguardo d’intesa.
"Eh sì, ma che vuoi, almeno mi distoglie dal pensiero di chi sai."

Emma, Rosamarea. Due amiche, due donne in cerca ancora dell’amore, quello che ti avvolge, travolge e stravolge.
Nonostante le batoste delle vita, ci credevano ancora.
Rosamarea si preparò a trascorrere una serata da sola. Raccolse le sue cose e si diresse verso casa.


Capitolo quattro

Camminare verso casa, quella sera, non le parve affatto piacevole. Non aveva voglia di tornare  e  ritrovarsi ancora da sola, un'altra serata da affrontare con tutto il peso dei suoi pensieri. Quando inseriva le chiavi nella serratura e apriva la porta, la prima cosa che avvertiva era il vuoto; era strano per lei che considerava un nido il suo appartamento, l'aveva coccolato nei minimi particolari, creando un luogo caldo, colorato, accogliente. Aveva sempre amato la sua casa, era  il suo rifugio; ogni volta che entrava, ritrovava il suo ambiente: gli ocra alle pareti, i mobili antichi mischiati ad altri orientali, le candele, i tappeti, tutto aveva un senso in quell'appartamento, un'armonia perfetta. 
Ma da quando era finita con Massimo, quella casa, era diventata una prigione.
In effetti lui non aveva mai messo piede lì dentro, sembrava averne paura, come se quel gesto potesse rappresentare l'ingresso nella vita di coppia che rifuggiva.
Però c'era tanto di lui. I quadri che le aveva donato, le foto dove erano raffigurati  insieme in cornici appoggiate su mensole piene di libri, quel  volumetto di poesie che le aveva regalato al loro primo incontro; tante piccole cose che le ricordavano i momenti con lui.
Non riusciva proprio a dimenticarlo.
Pensò a quanto fossero strani gli uomini! Insieme avevano fatto l'amore con una passione senza limiti, ma lui non aveva voluto entrare nel suo mondo di tutti i giorni.

Un passo dopo l'altro percorreva la solita strada. Salutava i negozianti che la conoscevano mentre si accingevano, data l’ora, a chiudere le serrande; guardava i palazzi lungo il corso, sbirciava attraverso le finestre aperte, cogliendo, con un velo di malinconia, attimi di vita familiare altrui.
L'aria era quella tipica dopo il temporale, l’odore della pioggia sull’asfalto le giungeva alle narici, il cielo era uno spettacolo, nuvole rosa tinte dal sole al tramonto in un cielo rischiarato. Le giornate si stavano allungando in quella primavera ai suoi esordi.
A un tratto si fermò, guardò l’orologio, erano le sette. Pensò che forse non era troppo tardi. Senza farsi troppe domande, si diresse verso il centro, voleva tornare al Caffè, voleva parlare con la cartomante.
Il passo divenne sempre più frettoloso, aveva paura di non trovarla più. Spalancò la porta ed entrò, gettando subito lo sguardo nell’angolo dove era seduta Bianca quel pomeriggio.
La vide. Era lì.
A grandi passi decisi andò verso di lei, neppure si sedette e le parlò come se non potesse aspettare un minuto di più: "Non mi piace il mio tailleur, no! Non ci sto affatto bene, ma è quello che la vita mi ha proposto e io l’ho dovuto indossare! Non sempre si può scegliere!"
Bianca la guardò, per niente stupita.
"Calmati, Rosamarea, siediti…"
Si guardarono per un lungo istante in silenzio. Poi Rosamarea tirò un grande sospiro, spostò la sedia e si sedette davanti a lei, posò la borsa per terra  abbandonandosi  allo schienale. Appoggiò le mani sul tavolo, una sopra l'altra. Bianca vi posò sopra le sue, quasi ad avvolgerle, e per Rosamarea iniziò un viaggio che non avrebbe mai dimenticato.


 Capitolo cinque

Romes si accese l’ennesima sigaretta della giornata, accortocciò il pacchetto ormai vuoto e lo gettò sul tavolo di cucina.
L'inquietudine lo divorava ogni giorno sempre di più in una vita che non sapeva  dargli uno scopo per alzarsi alla mattina.
Viveva da solo, in un appartamento spoglio, ai muri i  segni e i chiodi a cui erano appesi dei quadri che non c’erano più; molti libri accatastati ovunque; sul tavolo del soggiorno, un  computer perennemente acceso che rappresentava il suo contatto col mondo esterno; in camera un materasso per terra, mobili non certamente scelti da lui,  ereditati da non sapeva chi, ma che teneva per la svogliatezza di dare un  carattere a quella che era la sua tana, dove correva a rifugiarsi appena terminata l’incombenza lavorativa.

Era un uomo solo, Romes, ormai quarantenne, affascinante senza esserne consapevole, occhi verdi da pantera ferita, alto e fiero, possente, ma fragile nelle  emozioni che teneva ben lontane dal  cuore.
Diffidava della gente. Ma non era sempre stato così. Nella sua vita c'era un prima e c'era un dopo, un evento che ne segnava il confine. C'era un Romes prima e un Romes dopo, dopo quel pomeriggio maledetto che l'aveva segnato per sempre.

Era cresciuto in una famiglia benestante. Il padre, di origine spagnola, era stato un medico affermato; la madre si era dedicata ai figli mentre il marito era stato assente la maggior parte del tempo, totalmente assorbito dalla carriera.
Una famiglia come tante, con un equilibrio doveroso per andare avanti nel miglior modo possibile.
Ma quel pomeriggio di tanti anni fa, lui aveva scoperto qualcosa che l'aveva messo di fronte a una terribile realtà, difficile, anzi, impossibile da accettare.
Aveva fatto la valigia in un attimo ed era andato via di casa, senza lasciare il tempo a chi l'aveva mortalmente deluso di dare una spiegazione a ciò che lui aveva visto. Ma poi c'era una spiegazione?

Romes guardò fuori dalla finestra. Il temporale era passato. Decise di uscire per andare a comprare le sigarette.
S'infilò i jeans, una camicia, il giubbotto e uscì.
Camminò per un po', l'aria era frizzante e piacevole. Si trovò nei pressi del centro senza nemmeno sapere come. Vide un Caffè ed entrò per bere un aperitivo, l'ora era quella giusta.
Andò al banco per ordinare, ma poi si sentì avvolto da un'atmosfera piacevole, avvolgente, a cui non era abituato. Si guardò intorno e vide che c'erano dei tavolini in una piccola sala dove potersi sedere  e godersi il suo cocktail.
Entrò e il suo sguardo corse in direzione di Bianca che aveva le mani poggiate su quelle di Rosamarea.
L'anziana donna lo guardò meravigliata, pensò che quell'uomo non doveva essere già lì, non ora, non aveva ancora preparato Rosamarea a questo incontro che qualcuno aveva programmato per loro. Qualcuno di molto speciale.
L'imprevisto mise in moto rapidi pensieri. Aveva Rosamarea davanti a sé  e quell’uomo che non doveva andarsene prima che lei avesse terminato il suo compito.
La mente cominciò a viaggiarle velocemente, ma non era difficile per Bianca.
Uno sguardo a Romes, uno sguardo alla donna cui teneva le mani fredde e tremanti, e uno dentro la sua mente  ad aspettare un segnale, un suggerimento, un comando.


Capitolo sei

Rosamarea si era rilassata. Quel contatto fisico attraverso le mani di Bianca, le aveva trasmesso molta serenità.
Senza aspettare che fosse lei a chiederglielo, Bianca prese il mazzo di tarocchi e cominciò a mescolarli lentamente sotto lo sguardo affascinato di Rosamarea, infine lo posò sul tappetino rosso.
"Dimmi, cosa vuoi sapere?"
"Ho quasi paura a chiedertelo, non ho mai fatto una cosa del genere."
"Cosa c’è che in questo momento ti turba? Forse  l'amore?"
"Sì…"
"Taglia il mazzo, Rosamarea."
Lei, quasi con timore, si avvicinò alle carte e fece come le aveva detto l'anziana donna. Posò la parte delle carte che aveva alzato e mise le mani in grembo, pronta ad aspettare il  responso. I suoi occhi  tradivano mille aspettative.
Bianca girò il mucchietto di carte per vedere l'esito: l'Appeso fu quello che vide.
"Vedi, questa carta al taglio, già mi dice che tu sei in una posizione di stallo;  l’Appeso, come vedi,  sta a testa in giù, le mani legate dietro la schiena, questo mi dice che in questo momento tutto è fermo, ma non necessariamente è da leggere in chiave negativa,  può essere solo un momento in cui ti si spinge a riflettere sulla questione amorosa o a guardarla da un punto di vista diverso."
Bianca prese la metà del mazzo e iniziò a stendere le carte sul tavolo. Davanti agli occhi di Rosamarea, prese forma uno spettacolo di colori, simboli, le carte sembrava quasi parlassero. E infatti parlavano, parlavano a colei che le doveva interpretare.
"Hai chiuso una storia da poco, vero? È  stato un uomo che ti ha fatto molto soffrire, ma non è stato vano, ricordalo. L'esperienza che hai avuto con lui aveva un compito preciso, perché ricordati sempre: niente accade per caso."
Rosamarea ebbe un sussulto nel sentire parlare di Massimo come se lui non dovesse più tornare, in fondo ci sperava ancora.
Bianca si accorse di quel turbamento.
"Guardami, non devi essere triste per questo amore finito. Ciò che conta è che sia stato amore e non solo per te, anche per lui.  Questa esperienza è stata importante  per te, la definirei una specie di insegnamento per affrontare un nuovo amore che sta per arrivare. La storia che hai avuto, ed è conclusa, ha avuto il compito di traghettarti verso quello che sarà un grande amore, ma non facile, anzi, il contrario. L'uomo che incontrerai, e accadrà prima di quanto tu creda,  ha sofferto molto, è diffidente verso tutto l’universo femminile. Ma tu dovrai persistere, perché il vostro è un incontro del destino.”

Rosamarea era avvolta da quelle parole, spaventata dalla propettiva di trovare un uomo ancora più difficile di Massimo, ma attratta da tutto il resto. In fondo le piacevano gli uomini complicati, sembrava quasi li andasse a cercare con il lanternino, come le diceva sempre Emma, la sua amica.
"Ma dimmi qualcosa di lui, dove lo incontrerò, per esempio."
"Guarda questa carta, è l'Imperatore, simboleggia un  uomo di un certo temperamento, con una forte personalità; accanto a lui c’è l'Eremita, e questo mi dice che è un uomo solo. L'incontro sarà casuale."
Bianca cominciò a raccogliere tutte le carte, le ripose nel telo apposito e fece per alzarsi.
"Ora devo andare, ma ti aspetto, voglio che tu torni quando l'avrai incontrato."
Le sorrise mentre si avviava verso l'uscita. D'un tratto si voltò e aggiunse: "Non  temere, lo riconoscerai: nel tuo nome c’è scritto il suo."
Rosamarea rimase senza parole. La guardò mentre si allontanava camminando verso il tavolo dove era ancora seduto Romes col suo aperitivo.
Bianca gli passò accanto e lo guardò. Lui non se ne accorse immerso nel suo mondo di pensieri bui.
Rosamarea raccolse le sue cose, sistemò la sedia su cui era seduta. Era a un passo dall'uomo quando il suo cellulare squillò. Il rumore catturò l’attenzione di Romes che per istinto sollevò lo sguardo in direzione della donna intenta  a  rovistare nella borsa alla ricerca del telefono.
Erano a pochi centimetri l'uno dall'altra, lui seduto al suo tavolo, lei in piedi. Finalmente lo trovò e rispose, ma nello stesso momento i suoi occhi incrociarono quelli di lui.
Occhi da pantera ferita.
Si dice che se  un uomo  guarda  una donna per otto secondi consecutivi al primo impatto, sia colpo di fulmine.
Lui non riusciva a smettere di guardarla.
E la seguì con lo sguardo mentre lei si allontanava verso l'uscita chiacchierando al telefono.


Capitolo sette

I soliti gesti meccanici accompagnarono il suo  ingresso  
nell' appartamento. Tutto uguale, dentro e fuori, in un mondo polveroso come la sua anima.
Romes si richiuse la porta alle spalle, accese la luce e andò subito ad avviare il computer, la sua irrinunciabile compagnia. Nel frattempo si spogliò, buttò i vestiti su quel letto triste come lui, decise di farsi una doccia e rimase a lungo sotto l’acqua che scorreva sul  corpo statuario. L’immagine di quella donna non aveva ancora abbandonato la sua mente, non capiva come mai fosse rimasto tanto colpito da lei, ma sentiva una strana attrazione come se ci fosse stato nei suoi occhi qualcosa di familiare.
Afferrò un asciugamano e ci si avvolse, si guardò allo specchio, ma l’immagine che gli ritornava era quella di un uomo spento.
Lui viveva perché doveva vivere. Da quel giorno in cui il suo mondo era crollato, la sua vita emotiva ne era uscita distrutta e non era  più  stato capace di ritrovare la strada della serenità. L'amore, per lui, era una brutta parola, senza senso, qualcosa da cui fuggire. Quando sentiva il desiderio di una donna, non era difficile trovare compagnia per qualche notte; sapeva come fare per rubare un po’ di attenzione e procurarsi una manciata di passione. Dava solo  il  corpo, in quei momenti, e lo dava in maniera animale, ma le  emozioni le lasciava chiuse in qualche cassetto di cui aveva gettato via la chiave nell’oceano profondo del suo cervello.
Odiava le donne. Odiava l’amore. Odiava se stesso.

Sistemò con cura il pizzetto che circondava la sua bocca,  diede uno sguardo al cranio rasato per verificare  se necessitasse di un ritocco, un ultimo fuggevole sguardo nello specchio e s'infilò un pigiama.
Prima di sedersi davanti al computer, si preparò qualcosa da mangiare, definiva il suo modo di cucinare da campo, per far capire che sapeva come non morire di fame, ma le sue capacità si fermavano all'essenziale.
La sigaretta non poteva mancare e con quella tra le dita, si sedette sulla sedia davanti alla sua compagnia, quello schermo freddo che gli rimandava una luce tale da rendere il suo volto come quello di un  alieno.
Le sue dita cominciarono a percorrere la tastiera per iniziare il solito giro rituale tra i siti. Prima un'occhiata alla  casella di posta, ma non trovò che la solita pubblicità, non aveva amici che gli scrivessero. Alla fine approdò nella solita chat dove poteva scambiare due chiacchiere frivole con qualcuno di cui non conosceva il volto, né la storia, né il cuore.

Il fumo delle sigarette era illuminato dalla luce dello schermo e i suoi occhi sembravano più verdi in quel gioco di riflessi.
Quando la noia ebbe il sopravvento, si alzò, spense tutto e si buttò sul letto sfatto,  ma appena chiuse gli occhi il viso di quella donna gli  tornò alla mente. Rivide i suoi gesti nel cercare quel telefono che squillava dalla sua borsetta, i capelli  lunghi e scuri che le coprivano leggermente il viso, ma aveva visto i suoi occhi nocciola, occhi vivi e magnetici.
Ricordò anche la  voce che aveva sentito mentre parlava al cellullare, una voce calda e avvolgente.
Si stupì con se stesso di tutti questi dettagli che gli stavano tornando alla mente, in fondo era stata questione di qualche minuto, eppure non riusciva a non pensarci.
Si chiese chi potesse essere, se fosse passata di lì per caso, se fosse una cliente abituale, e si augurò che fosse vera l'ultima ipotesi: tornare in quel locale era l'unica speranza di rivederla, di conoscerla.
La voleva. Ma perché?
La sua risposta fu semplice e l'unica che riusciva a darsi: era una donna che l'aveva eccitato e come un animale, lui ora la desiderava e la voleva possedere.
Decise che il giorno dopo sarebbe tornato in quel Caffè.
Aveva deciso di cercarla.


Capitolo otto

Si svegliò nel pieno della notte, madido di sudore. Cercò l'interruttore della luce a tentoni, nel buio. Romes si mise  a sedere sul letto, il battito del cuore era accelerato, il respiro affannoso. Si rese conto che stava capitando di nuovo, quel malessere che gli faceva pensare di essere a un passo da un infarto. La paura cominciò a farsi strada nella sua mente  innescando una serie di pensieri che non facevano altro che aumentare il suo stato d'ansia. S'immaginò morente in quel letto, da solo, senza che nessuno potesse soccorrerlo.
Pensò, anche perché non era la prima volta che succedeva, che doveva reagire subito, prima che il panico prendesse il sopravvento.
Doveva assolutamente distogliere il pensiero dall’angoscia che sentiva crescere dentro di sé. Si sforzò di alzarsi in piedi, una vertigine lo assalì, ma resistette e rasentando il muro, raggiunse il bagno dove aprì il rubinetto dell’acqua fredda per bagnarsi il viso, i polsi.  Si guardò allo specchio ed ebbe pietà di se stesso, pensò che non voleva più vivere così.

I pensieri divennero pericolosamente cupi e il suo istinto di sopravvivenza lo spinse a vestirsi e uscire nel cuore della notte per camminare e sfogare nel movimento fisico  
l' inquietudine che si stava impadronendo di lui.
L'aria fredda  lo investì dritto in faccia ed ebbe quasi un sussulto. Guardò a destra e poi a sinistra, senza vedere anima viva in giro. Così  scelse una direzione  a caso, in fondo non  gli importava dove andasse, cominciò a camminare lungo il marciapiede.
Le mani in tasca, il bavero del suo giaccone alzato, procedeva senza meta cercando di non pensare a niente.
Arrivò nella grande piazza principale, deserta alle due del mattino. Si sedette su una panchina e rimase lì, la testa fra le mani, isolato dal mondo.
"Ti senti male? Hai bisogno di aiuto?"
Romes sussultò nel sentire quella voce. Alzò la testa di scatto e vide un'anziana donna davanti a lui. Lo guardava con dolcezza e sembrava preoccupata.
Si sorprese di quella presenza a notte fonda e ancora di più del fatto che gli si fosse rivolta   in quel modo.
"No, grazie. Sto bene."
"Ti dispiace se mi siedo un po’ qui? Sai, soffro d’insonnia e mi capita di uscire a fare quattro passi anche a quest'ora della notte."
"Non è molto prudente."
"Ma che vuoi che possa accadere a una povera vecchia come me…"
La guardò meglio ed ebbe la sensazione di averla già vista, ma non riusciva  a ricordare dove.
"Ma per caso ci conosciamo?"
"Non mi sembra."
"Eppure mi sembra di averla già incontrata."
"Forse ci siamo conosciuti in un'altra vita."
"Un'altra vita? Non credo! Sono già stufo di questa, figuriamoci se credo ad altre vite! No, no, per carità!"
Rimasero in silenzio per un po’.
Romes provò una strana sensazione, si sentiva rassicurato da quella presenza, ma allo stesso tempo c'era qualcosa che lo allontanava da lei; non c’era imbarazzo in quello stare muti, come se non servissero le parole tra loro.
Il freddo della notte cominciò a farsi sentire sulle mani non protette dagli abiti. Lui cercò una sigaretta nelle tasche, se ne accese una e respirò profondamente il fumo del primo tiro, procurandosi un colpo di tosse. Istintivamente si portò una mano al centro del petto, si ricordò della sua paura di poco prima, quella che l'aveva attanagliato in camera sua  quando pensava che stesse per avere un arresto cardiaco. Senza rendersene conto, cominciò a massaggiare quel punto con movimenti circolari della mano, come se avesse un peso da sciogliere.
La donna lo guardò  immobile fino a quando posò una mano sulle sue, fermandolo in quel ripetere compulsivo.
"Stai tranquillo, non stai per morire."
Romes s'irrigidì all’istante a quel contatto fisico. La guardò negli occhi per un attimo con un'espressione interrogativa e infastidita.
"Ma chi sei, che vuoi da me!"
Si alzò contrariato liberandosi da quella mano che aveva giudicato invadente.
"Non voglio niente, figurati, volevo solo rassicurarti, ti ho visto impaurito!"
"Sono solo fatti miei."
Le voltò le spalle e s'incamminò verso casa.
Bianca invece rimase a guardarlo, seduta sulla panchina, fino a quando lui svoltò dietro un angolo e scomparve dalla sua vista.


 Capitolo nove

Ricominciò un giorno come tanti altri. Rosamarea, Romes, Bianca.

Rosamarea, dopo la visita alla cartomante, aveva passato la serata a casa ripensando alle parole di quella strana donna. Si sentiva triste per ciò che le aveva detto riguardo a Massimo, quell'uomo era ancora nei suoi pensieri e sognava che lui capisse di amarla e che tornasse come nel più romantico dei film, ma si disse che queste cose accadono solo nei film, appunto, e che forse avrebbe fatto meglio a fare il funerale a quell'amore; allo stesso tempo   era in uno stato di eccitazione riguardo questo nuovo amore che, pare, sarebbe dovuto arrivare, anche se non capiva se si stava attaccando a questo miraggio per cercare di allontanarsi dal pensiero di Massimo. 
Non ce la faceva proprio a stare in casa. Dopo il lavoro andò a spasso per il centro ed entrò nella sua libreria preferita.

Romes non andò a lavorare, era stanco e sfinito per la notte passata fuori di casa a camminare, l'incontro con Bianca l'aveva innervosito ancora di più. Se ne stava sdraiato sul letto, senza fare niente, abbandonato nel nulla. Squillò il cellulare, decise di rispondere malvolentieri, era una delle donne che lo cercava ogni tanto, ma lui non aveva voglia di niente, tanto meno di passare del tempo facendo del sesso che, in fondo, avvertiva ormai come un'esperienza sterile che cominciava a farlo sentire ancora più solo di quanto si sentisse già. Si alzò a fatica, si trascinò in cucina, il frigo pareva il Deserto dei Tartari, s'infilò addosso qualcosa e uscì, gli balenò anche l'idea di passare dalla libreria del centro per trascorrere del tempo in un posto tra i pochi che rusciva a farlo stare bene.

Bianca, come ogni giorno si era recata al Cafè, aveva ricevuto le persone che venivano a chiederle consigli, ma la sua mente era rivolta a loro. Aveva poco tempo per realizzare il suo compito, quel tempo che le era stato concesso. Romes era arrivato troppo presto sulla strada di Rosamarea e la sua preoccupazione era che non si sarebbero più trovati.
Decise di dare una spinta al destino, ma si chiese come potesse fare. Prese le sue cose e andò via di lì, voleva riposare a casa, farsi venire un'idea: già, un'idea… E l'idea arrivò. Arrivata nel suo appartamento, si sedette nell'angolo che aveva adibito alla meditazione, di fronte a una parete nuda, predispose tutto e incominciò a concentrarsi muovere gli eventi nella direzione che desiderava.
Aveva visualizzato la libreria del centro: li avrebbe diretti là.


 

 Capitolo dieci

Rosamarea vagava in quella libreria del centro, respirava le parole di tutte quelle storie che la circondavano e che sembravano chiamarla dagli scaffali. Ci andava spesso e passava ore e ore lì dentro per riempire i pensieri di altro che non fosse quel vuoto opprimente.
Si fermò a sfogliare un romanzo quando avvertì gli occhi di Romes adagiarsi su di lei, alzò lo sguardo e lo vide.
Si fissarono per un istante sospeso nel nulla. Le sorrise in un modo particolare che apparteneva solo a lui, quasi come a prendersi gioco di lei.
Anche la donna sorrise e un po’ imbarazzata tornò ad accarezzare quel libro, ma sentiva le sue occhiate che le procuravano uno strano piacere.
Il suono del cellulare interruppe quel gioco tra i due, lei notò il fastidio con il quale Romes  rispose al telefono, sembrava parlasse con una donna.
"Ecco!" Pensò "Un altro seduttore."
Delusa si diresse verso la cassa. Lui, di spalle, il cellulare ancora all’orecchio, sembrava non ascoltare chi gli parlava, ma la cercava con gli occhi e quando la vide in fila ad aspettare il suo turno per pagare, prese un libro;  dopo aver frugato le mani in tasca alla ricerca di una penna, ne chiese una a un commesso e scrisse qualcosa sul retro di quella copertina.
Rosamarea, nel frattempo, pagò e uscì.
L'aria del centro era piena di fermento e di primavera, e lì udì alle sue spalle, chiara e nitida, la sua voce per la prima volta.
“Scusa!"
Sorpresa, si voltò verso di lui.
"Non prendermi per pazzo, ma ho visto che sfogliavi questo volumetto… Posso regalartelo?"
Glielo porse e notò che le sue mani grandi e forti con quel pacchetto in mano. Non sapeva che fare, non le era mai accaduta una cosa del genere.
"Accettalo, dai!"
Un po’ impacciata, lo prese e le dita si sfiorarono.
Senza dire una parola, lei si allontanò.
Confusa, turbata, non sapeva come sentirsi, camminò in fretta verso casa e alla sera, affondata sul divano, sfoglio il libro: poesie d'amore di Hikmet. La copertina, in bianco e nero, raffigurava un uomo e una donna in un bacio appassionato. Quando lo aprì, vide la scritta: "Vuoi scappare con me?" e poi un numero di telefono.
"Ma chi è questo matto?!"  Fu la prima cosa che pensò, ma non potè fare a meno di sorridere.

Quella notte non riuscì a dormire. Continuava a ripensare a quell'incontro, a quegli occhi verdi e indecifrabili; si rigirò nel letto mentre continuava a ripetersi lasciaperderelasciaperderelasciaperdere… Un altro fuori di testa."
Alla mattina, però, con una tazza di caffè tra le mani, prese quel libro e aprendolo a caso, "il più bello dei mari è quello che non navigammo" la investì dritto al petto.
Prese il telefono, compose il numero.
La sua voce. "Pronto"

La voce di Rosamarea: "Non ti ho detto nemmeno grazie."


Capitolo undici

Finalmente uno spiraglio. Un po’ di luce dentro quei due cuori sofferenti, anche se per motivi molto diversi.
La telefonata aveva sorpreso e, allo stesso tempo, reso euforico Romes che per la prima volta, dopo anni e anni, aveva sentito il suo cuore accelerare il battito per  un motivo diverso che non fossero i suoi attacchi di ansia.
Rosamarea si scoprì a sorridere mentre camminava verso l'ufficio, quando scorse Massimo, sì, il suo Massimo seduto al tavolino di un  bar a fare colazione. Tripla botta al cuore! Non lo vedeva da mesi, sembrava essere in forma, stava per andare a salutarlo, ma una donna uscì dal bar e gli sedette accanto. Si inchiodò come se i suoi piedi fossero improvvisamente incollati a terra, incapaci di muovere un passo.
Senti salire lacrime, rabbia, dolore, tutto quello che aveva curato come se fosse una malattia. Nella sua testa solo il pensiero che avesse un'altra donna, che l'avesse già dimenticata, archiviata. Fu Emma a salvarla, passava di lì con la macchina per andare in ufficio, la fece salire e si allontanarono in fretta.

In ufficio lavorarono ben poco… Rosamarea le raccontò dell'incontro in libreria con l'uomo misterioso, della telefonata, dell'euforia e poi della botta al cuore nel rivedere Massimo e il sentirsi precipitare di nuovo. Emma l'ascoltò senza parlare, a volte le parole non servono; era dispiaciuto per l'amica che, proprio quando era apparso un nuovo uomo nella sua vita,  era inciampata in quel mezzo incontro che l'aveva rigettata indietro in un attimo.

"Senti, Rose” Emma era abituata a chiamarla così  "perché non approfitti di quella proposta che ti ha fatto il capo, te ne vai per qualche settimana  in Spagna a seguire l'ufficio nuovo, ti allontani da qui, ti distrai: non pensi che sia un'opportunità da cogliere? Tuo figlio non c’è e non torna a breve, giusto? E quindi sei libera! Vai, Rose, può solo farti bene allontanarti da qui."
Rosamarea l'ascoltava come un'automa, non si era ancora ripresa, ma pensò che forse Emma aveva ragione, doveva cambiare aria.
Sarebbe partita. Nella sua testa, Romes non c'era già più.

E lui… Lui aspettò una nuova chiamata che non arrivò. Lo spiraglio del cuore si richiuse in fretta. Si disse che quella donna era come tutte le altre. Eppure la cercò ancora, senza trovarla. Quando di stare per diventare pazzo e gli attacchi di ansia si erano moltiplicati, facendo uno sforzo enorme, decise di concedersi una vacanza per capire se, un posto diverso, potesse essergli d’aiuto. Prese la macchina, l'aereo era troppo per lui, e guidò fino alle coste spagnole.


Capitolo dodici

 Sentì bussare alla porta della sua camera d’albergo. Un tocco leggero. Due volte. Pensò  si trattasse del servizio in camera che aveva richiesto. Aprì sicura di trovarsi davanti un cameriere, ma invece vide lui.
Romes la guardò senza parlare,  dritto davanti a lei, elegante nel suo abito di lino blu, le mani in tasca, lo sguardo fisso dentro gli occhi di Rosamarea, occhi che le chiedevano il permesso di entrare nella stanza.

Nessuno dei due parlava, lo avevano fatto tutta la sera senza usare le parole.
Poche ore prima l'aveva vista seduta su un divano  della hall di quel magnifico hotel dove aveva deciso di andare per allontanarsi da tutto. Mai avrebbe potuto immaginare di ritrovare proprio lì, a centinaia di chilometri da casa, quella donna che aveva cercato di incontrare di nuovo, tornando in quel Caffè e nella libreria per almeno un paio di mesi, senza riuscirci mai.
La sua preda.
L'aveva osservata mentre sorseggiava il suo cocktail, da sola. Non le si era avvicinato, ma non aveva distolto lo sguardo nemmeno per un attimo e alla fine lei se n'era accorta. Erano rimasti a lungo a fissarsi, lui dal banco del bar, lei su quel divano bianco.
"Me lo addebiti alla camera 17 ,  grazie."
Ora Romes sapeva dove trovarla, l'aveva sentita parlare col barman.
L'aveva guardata mentre si dirigeva all’ascensore. Aveva atteso qualche minuto prima di salire.

Rosamarea aveva una mano sulla maniglia della porta semiaperta e una sullo stipite. Sembravano incatenati dallo sguardo, un momento quasi irreale di cui entrambi si rendevano conto, ma al quale non sapevano opporsi.
Fu lui a muoversi per primo, lei vide come al rallentatore la mano di quell'uomo che andava a posarsi sulla sua spalla seminuda. Al solo tocco di quelle dita, avvertì un brivido percorrerle tutto il corpo e socchiuse gli occhi. L'atmosfera sembrava appartenere a un altro tempo, ma non era possibile opporsi a quella forza magnetica che entrambi percepivano. Lui fece un passo avanti e si avvicinò alla bocca di Rosamarea. Le sfiorò appena le labbra, mentre le dita della mano affondavano dentro i capelli sciolti sulle spalle; l'avvicinò a sé  e per qualche istante rimasero così, finché  la baciò con tutta la passione che aveva sentito esplodere dentro il suo corpo.
Senza staccarsi da lei, si mosse in avanti per entrare e si chiuse la porta alle spalle.
Non le era mai capitata una cosa simile, si rese conto che non riusciva a pensare. Sentiva la lingua di quell'uomo sulle  labbra, nella  bocca, avida, come se volesse divorarla. Si sentiva stordita nel provare  quelle sensazioni forti. Si rese conto che erano indietreggiati fino ad arrivare al  letto,  a piedi scalzi salì su quel materasso poggiato su una base di legno;  lui fece lo stesso senza abbandonare la presa, non era possibile, si sentiva come un animale che non poteva mollare la preda.
Le dita di Romes erano sui piccoli bottoni del vestito di Rosamarea, li stava slacciando uno a uno, sfiorando il seno di lei, fino a quando la veste scivolò lungo quei fianchi morbidi svelando la quasi totale nudità della donna.
L'impeto di Romes si fece sempre più strada, la voleva e la voleva subito.
Il rumore di qualcuno che bussava alla porta la fece uscire di colpo da quello stato di trance, lo fermò e per un istante si guardarono. Rosamarea cercò di muoversi, ma lui non la lasciava andare; all’insistenza del cameriere che aveva bussato di nuovo, lei si divincolò, si rimise il vestito e andò ad aprire; cercò nel portafoglio qualche spicciolo per dargli la mancia, ritirò il vassoio e richiuse la porta. Romes era ancora lì, nella medesima posizione, ma lei non lo raggiunse e rimase in silenzio a osservare la tazza di caffè che aveva ordinato. L'imbarazzo era palpabile.
Senza dire una parola, lui si voltò verso la donna, le si avvicinò e le sussurrò all’orecchio: "…Non mi scappi…" e con una espressione indecifrabile  si avviò alla porta.
Lo seguì con lo sguardo, lo osservò nella sua camminata lenta e apparentemente sicura, vide la sua mano posarsi sulla maniglia della porta mentre l'apriva e usciva, richiudendola alla sue spalle.
Si fermò a pensare che stava per fare l'amore con un uomo di cui  non conosceva neppure il nome.


Capitolo tredici

Notte insonne. Lei, camera 17, ma lui? Rosamarea non lo sapeva, ma anche se avesse conosciuto il numero della stanza di quell’uomo misterioso, non avrebbe certo preso alcuna iniziativa. La situazione surreale che l’aveva investita poco tempo prima, l’aveva completamente stordita e, in parte, spaventata.
La prima cosa che pensò di fare appena Romes aveva lasciato la stanza, era stata quella di telefonare a Emma per raccontarle tutto, come sempre. Compose il numero con mani tremanti e la paura di non ricevere risposta, ma il semplice pronto dell’amica le fece tirare un sospiro di sollievo. Le raccontò in ogni minimo particolare l’accaduto, riuscendo a ritrovare la calma ad ogni minuto che passava.
Emma aveva anche cercato di scherzare, sdrammatizzando un po’.
"Capitasse a me, una volta nella vita,  uno sconosciuto strafighissimo alla porta che mi bacia con passione!"
"Non scherzare, Emma! Ma ti rendi conto che ho fatto entrare uno sconosciuto? Cosa sarebbe potuto accadere se non fosse arrivato il cameriere?"
"Beh, sconosciuto proprio no! Era l’uomo della libreria, giusto? Hai il suo numero di telefono… Piuttosto c’è da chiedersi come sia capitato lì, in Spagna, proprio nel tuo albergo: coincidenza? O c’è dell’altro? Questa è la domanda inquietante."
"Ora però mi spaventi! E se fosse un pazzo?"

Già, un pazzo.
Romes si era rintanato nella sua camera numero 101, in bilico tra eccitazione e delusione, ma sicuro di avere in pugno quella donna che l’aveva così destabilizzato. Si guardava allo specchio di una stanza arredata con eleganza, d’altronde era un hotel di lusso, e cercava nel suo sguardo l’ombra di un’emozione che gli parlasse di qualcosa di diverso rispetto alle solite conquiste prive di sentimento alle quali era abituato.
Si sentiva strano, avrebbe voluto avere  un amico al quale rivolgersi  per scambiare due parole, ma non ne aveva, la solitudine era una sua precisa scelta e la sfiducia nell’essere umano era diventata la sua parola d’ordine.
Non riusciva a concepire la possibilità di vivere diversamente da come, ormai, era abituato a fare da anni e anni. Uscì sul piccolo balcone che si affacciava sul mare, aveva voglia di una sigaretta che fumò aspirandola come se fosse l’ultima concessa prima del plotone d’esecuzione. La brezza marina s’insinuava tra i vestiti dandogli la sensazione di essere vivo, ma la corazza era troppo dura perché quel leggero vento potesse riuscire ad arrivare a toccare le ossa spezzate dalla vita.
Si soffermò a pensare all’incredibile caso di aver ritrovato proprio lì,  a migliaia di chilometri da casa, quella donna che lo aveva quasi ossessionato negli ultimi tempi e della quale aveva perso tracce e speranze di ritrovarla. Pensò che la vita fosse davvero strana, ma altamente spaventosa se solo ci si ferma a pensare a come possa essere in grado di giocare con l’esistenza delle persone, come se si vivesse su un’enorme scacchiera; chi era, lui, un pedone che presto sarebbe stato mangiato? Oppure un cavallo, di sicuro imbizzarrito? E lei, forse la regina che si può muovere in tutte le direzioni? Sentiva  i suoi pensieri già pronti per partire per la tangente e portarlo chissà dove, di sicuro in mezzo alle sue paure. Eppure quella sera si percepiva più forte del solito, più risoluto, e il profumo della pelle di Rosamarea stava tornando prepotente a invadere le sue narici. Spense la sigaretta sotto le scarpe nere e lucide, gli piaceva essere elegante quando partiva per le sue conquiste. Ma quella sera qualcosa era andato storto, e non era riuscito a concludere. La partita era ancora aperta, ma se lei se ne fosse andata prima che arrivasse il mattino? Non si sarebbe fatto sorprendere da quella ipotesi. Avrebbe gironzolato nella hall, in fondo non aveva voglia di dormire, l’avrebbe aspettata fino al sorgere del nuovo giorno, non mancava poi troppo tempo all’alba. Non se la sarebbe lasciata sfuggire un’altra volta. No.
Uscì dalla camera e si diresse al bar del piano terra, era aperto tutta la notte e un bicchiere di whisky gli avrebbe fatto compagnia.

L’alba lo colse appisolato su un divano, la calma di quelle ore fu interrotta dall’arrivo del personale al cambio del turno, poteva sentire il rumore di tazze e tazzine, il profumo dei primi caffè per gli addetti al lavori e l’arrivo dei fornitori con scatole dalle quali fuoriusciva l’odore invitante di brioche appena sfornate.

Si avvicinò alla sala pronta di tutto punto per le colazioni, e mentre si stiracchiava la vide scendere dalle scale. Riposata e bella come una mareggiata d’autunno, la guardò con un sorriso che non sapeva bene quale direzione prendere, esattamente come lui in quel momento: lasciarsi andare oppure no a quelle sconosciute sensazioni che si facevano strada dentro di lui?

Rosamarea, quando lo vide, rimase immobile, anche lei sospesa tra paura e la voglia di scoprire di più.

“È  tutta la notte che ti aspetto…” Le porse la mano, aperta, invitante, accogliente, aiutandola a scendere gli ultimi gradini. 
Lei non potè fare a meno di sorridere. "Chi sei?"


Capitolo quattordici

Si può tornare a sognare?  Rosamarea si stava facendo questa domanda mentre tornava a casa, dopo aver trascorso del tempo con Romes, un uomo che la inquietava, ma che sapeva coinvolgerla con quei suoi modi romantici che pensava non   potessero appartenere più a nessuno.
Aveva afferrato quella mano tesa che l’aveva condotta al tavolo dove avevano fatto colazione insieme con un po’ d’imbarazzo, ma lui era stato bravo a metterla a suo agio evitando di parlare della sera precedente, di quel bacio sulla porta e di quella passione che sembrava essere esplosa tra i due. Lo osservava, tra un caffè e del pane spalmato di burro e marmellata; lui aveva continuato a servirsi di tutte le prelibatezze offerte dal buffet, sembrava  volesse prolungare quella colazione all’infinito.
La giornata di sole prometteva mare e calore, la proposta di trascorrere insieme altro tempo arrivò da quell’uomo misterioso, ma lei era lì per lavorare e quando declinò l’invito a fare una passeggiata sulla spiaggia, lui parve deluso e contrariato. Un’ombra di diffidenza si appropriò dei suoi occhi, la cosa non sfuggì a Rosamarea che tornò a chiedersi se fosse un bene approfondire la conoscenza con lui.
“Rose, posso chiamarti così?”
Il sorriso della donna gli fece capire che le piaceva, forse era riuscito ad aprire qualche porta, ma doveva stare bene attento che non si richiudessero tutte insieme lasciandolo di nuovo a bocca asciutta. Era riuscito ad aprirsi un varco, ma lei non era come le donne che era solito frequentare, pronte a cadere ai suoi piedi nel tempo di qualche boccata delle sue sigarette. Rose era una roccaforte e se la notte prima era stata vicina a un cedimento, era quasi stata  sua, ora sembrava tornata in sé e non sarebbe stato facile ritrovare quel momento di follia.
Ma non era nel suo carattere arrendersi, almeno per quanto riguardava l’universo femminile e solo quello, perché per il resto la sua vita era un mezzo disastro. Non si arrese. Le chiese se alla sera sarebbe stato possibile cenare insieme, pensò a come il cibo potesse diventare una buona scusa per rivedersi, ma lei gli comunicò che sarebbe partita la sera stessa, dopo gli appuntamenti in programma.
“Possiamo rivederci in città, se vuoi”, insistette lui.
Rosemarea lo guardò senza rispondere. Sentì lo stomaco ribaltarsi, era l’emozione, una strana emozione che stava prendendo il sopravvento, la voglia di osare, ma allo stesso tempo la paura di sbagliare di nuovo. Senza pensarci due volte frugò nella sua borsa mentre lui la guardava con curiosità, non capiva cosa stesse cercando. Si sorprese quando vide che lei aveva estratto quel piccolo libro che le aveva regalato, la seguì con lo sguardo mentre si sedeva su un divanetto e, dopo aver chiesto una penna alla reception, si era messa a scrivere qualcosa sulla prima pagina, per poi richiudere in fretta e dopo aver indugiato per qualche attimo, porgerglielo con un sorriso.
“Prendilo.”
Romes lo afferrò, ma quando fece per aprirlo, lei lo bloccò invitandolo a leggere più tardi quello che  aveva scritto.
Un bacio leggero sulla guancia che lei sentì ruvida di barba e se ne andò. Romes rimase immobile, con il libro in mano, a seguire quella camminata. Di spalle, meravigliose spalle che non sembravano dirgli addio, ma solo arriverci.
E adesso Rose, sì, le piaceva essere chiamata così, Rose tornava a casa con un’eccitazione che le invadeva la testa, sorrideva e pensava che era stata una pazzia scrivergli quella frase. Una pazzia alla quale non aveva saputo resistere.
Stasera, questo il mio indirizzo. Ti aspetto.



 Capitolo quindici

Apri la porta, uomo sconosciuto. Non so ancora come ti chiami, ma quello che ho visto nei tuoi occhi è qualcosa di selvaggio che sembra venire da lontano.
Piove. Un temporale estivo inaspettato. Guardo dalla finestra per vederti arrivare, ma verrai? Ecco, ti ho scorto nel traffico, hai posteggiato l’auto e sei sceso, ho colto la tua impazienza quando ti sono cadute le chiavi per terra nella fretta di chiudere.
Piove, piove talmente tanto che non riesco a capire cosa tu abbia in mano, forse un pacchetto e dei fiori, li proteggi con la mano mentre corri verso il cancello di casa mia. Il cuore ha accelerato il battito, è l’emozione: quanto ti ho aspettato, uomo senza nome.
Respiro profondamente, ma voglio godere di questa sensazione, voglio memorizzare ogni attimo insieme. Non sappiamo se ci sarà un poi, ma che importa… Mi hanno insegnato che  ciò che conta è vivere il presente, troppe volte il futuro mi ha inghiottita senza neppure essere arrivato.
Stai salendo, quasi non ci credo. Mi guardo allo specchio accanto alla porta, gli occhi ridono. Ridono e non pensano.
Non voglio pensare. Non voglio pensare. Non voglio pensare.
Socchiudo la porta, entra da solo, uomo misterioso.
Mi hai vista, mi hai vista in fondo al corridoio, appoggiata allo stipite della porta della mia camera da letto. Hai posato quello che hai portato sul cassettone, all’ingresso, lo hai fatto senza distogliere lo sguardo da me.
Ti ho sorriso e ora stai camminando, ti fermi a un passo, parla solo la musica, il rumore della pioggia, la corrente che scorre tra noi anche senza toccarci.
Quanto desiderio nei tuoi occhi!
Non possiamo resistere un minuto di più, la tua mano è tra i miei capelli, sento le tue dita sulla mia nuca, socchiudo gli occhi e le labbra, voglio che mi baci…
E lo fai, come sai farlo tu, come nella camera d’albergo.
Ti prendo per mano e mi avvicino al letto, mi siedo e tu accanto fai scorrere la mano su quella piccola fila di bottoni che m’imprigionano e lentamente, tanto lentamente da farmi ubriacare d’attesa, mi liberi. I tuoi occhi dolci e selvaggi mi spogliano insieme alle tue mani.
Sto per perdermi. Sono un mare, per te.
Amami, uomo che viene dal nulla, amami questa notte come non hai amato mai.

...

http://st62co.blogspot.it/2016/08/numero-240-addio-rosamarea-31-agosto.html









11 commenti:

  1. ehhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh insommaaaaaaa Stefania mi lasci sempre a bocca aperta e a cuore palpitante, bellissimooooooooooo stupendo romantico da morire mi piaceeeeeeeeeeeeee e mi piacerebbe anche il Seguito.........

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    1. Grazie, Giovanna:-))) allora ci lavoro e vado avanti :-))))

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  2. Mamma mia. ....letto d'un fiato e voglio il seguito. ...un uomo che ti regala il libro che vorresti con quella dedica è da seguire subito. ..romantico! Bravissima come sempre Stefania. ...e adesso aspetto altri capitoli.

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  3. Che pathos. ....atmosfera romantica ed un personaggio ambiguo che regala gesti antichi come il porgere la mano per accompagnare la discesa degli ultimi gradini della sua dama. Un capolavoro. ....

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  4. Che storia fantastica. Ma cos'è può Rosamarea fidarsi di Ramos? Intuito femminile o angelo custode? Tutto bello romantico e sentimentale. Mi piace la storia di Ramos
    Maria Rita

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  5. Voto il testo n 12 bellissimo

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    1. Per votare devi entrare nel numero 239 del blog, quello della gara:-)

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  6. Per quel che conosco Rosamarea sono certa che ci riserverà delle sorprese... Altrimenti che Rosamarea sarebbe? ������

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  7. La storia si fa interessante. ..e leggermente "hard"...bello....ci sta scappando un romanzo niente male. Attendo il seguito. ...come sempre cara Stefania sai come conquistare i lettori. Brava!

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  8. Voto il testo numero 14, di Carla Pozzi.

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