La gara di scrittura natalizia
(come poteva mancare?)
Eh va beh, ok che ho tanto da fare,
ok che adesso la Edizioni Convalle mi toglie tanto tempo,
ma poteva mancare la garetta di Natale come l'anno scorso, con il successo che aveva avuto?
Eh no!
Quindi, eccoci qui.
Adesso vi spiego.
Ho scelto una fotografia, quella che vedete in alto.
Al primo colpo potrebbe sembrare una foto essenziale
molto zen
quasi scarna.
Ma secondo me
se si guarda attentamente
è una fotografia che racconta tante cose
tante storie.
Vediamo dove arriva la vostra immaginazione
la vostra creatività.
Quindi
la garetta di Natale parte oggi
24 Novembre 2017
e si conclude, indovinate quando?
Il 24 Dicembre 2017.
Come si partecipa?
Molto semplice.
Dovrete scrivere un breve racconto,
ma proprio breve neh ;-)
500 parole.
Poche?
Sappiate che ci sono premi letterari dove chiedono racconti di 100 parole;-)
500 parole per raccontare una piccola storia che nasca dall'osservazione di questa fotografia.
Provate a immaginare...
fantasticare...
indagare questa immagine.
Quando l'avrete scritta, dovrete inviarla in allegato a
steficonvalle@gmail.com
e io la posterò qui sotto.
Da quel momento il pubblico potrà esprimere il proprio voto nei commenti all'interno di questo numero del blog.
Vi ricordate come?
Basta entrare qui sotto, nell'area commenti, e scrivere:
VOTO PER IL RACCONTO DAL TITOLO XXX
Potete esprimere varie preferenze per diversi racconti.
Questa è una garetta informale,
per giocare,
per condividere la passione per la scrittura.
Cosa si vince?
Una serata con la voce più ricercata dell'anno,
quella di Michele Fierro :-D
Scherzo!
Cosa si vince, non lo so.
Ma siccome partecipare è gratis
basterà anche la gloria.
Che ne dite?
Quindi, vediamo un po' cosa sapete fare.
Forse è un modo per Edizioni Convalle per scovare talenti. Chissà...
E si comincia...
OGNI NATALE È COSÌ
E si comincia...
Laura Sala
Siamo quasi a Natale e come ogni
anno arriva il momento degli addobbi.
Camminavi da poco, ma gioivi nel vedere lo scatolone delle palline dell'albero
di Natale. Eri un trapulin, come si dice dalle nostre parti quando si vuole
identificare una bella bimba.
Minuta ma paffutella, ti ricordo bene con quella tutina rosa fermata ai piedi
con le calzine antiscivolo arrotolate sulle caviglie. Avevi i riccioli d'oro, e due occhioni marroni e rotondi che s'illuminavano
alla vista degli addobbi natalizi.
Parlavi a malapena, ma ti facevi capire bene e da poco avevi imparato a
riconoscere i colori, tanto che non appena provai nella presa il cordone delle
luminarie, con la tua vocina pronunciasti: asgiallo, aoscio, avedde, alilla. Mettevi la
"a" davanti a ogni parola e ancora non conoscevi tutte le lettere, e
ridevo come una matta nel sentirti pronunciare i colori così.
E mentre avvolgevo le luci girando attorno all'albero, tu giravi con me e con
quel tuo ditino cicciottello indicavi le lucine ripetendo: asgiallo, aoscio, avedde, alilla.
E il rito continuava non appena aprivo la scatola delle palline, che per te
erano le pilille.
Ora sei grande, ma ogni anno, a Natale, quando apro gli scatoloni degli
addobbi, sento ancora la tua vocina che esclama: «Mamma, le
pililleee!!»
E rivedo ancora i tuoi occhi gioiosi.
(Dedicato ad Alessandra)
...
IL NATALE DI AMINA
Francesco Lisa
Sono Amina, ho venticinque anni e
da tre vivo in Italia.
A dire il vero ho imparato a vivere dopo aver lottato
per sopravvivere. Per tutti sono solo una negra, come tante se ne vedono ormai
nelle vostre città. Una di quelle che fanno paura per la loro vita penosa e
senza dignità. Sporca, vagabonda, coi pensieri assenti e gli occhi spenti.
Insomma, una cosa da cui stare alla larga.
È il mio terzo Natale in Italia. Ho
imparato pure ad accettare le vostre usanze, ormai; eppure rimango ancora una
cosa nera da evitare.
Ricordo la prima volta che vidi un albero rivestito di
luci e palle colorate; l'entusiasmo dei bambini, felici di passeggiare coi loro
genitori nei viali. Li invidiavo. Quell'albero per me era niente. Anzi, mi
intristiva più di ogni altra cosa.
Ripiombavo nella tristezza del ricordo di
un’infanzia mai vissuta. Quando insieme alle mie quattro sorelle e i tre
fratelli andavamo a lavorare nella foresta, con mamma e papà. Quelli sì che
erano alberi belli, non i vostri. Lì non è come qui. I bambini pensano già come
i grandi e lavorano, lavorano, lavorano. No, non ci aspettavamo di trovare un
regalo sotto l'albero, come fanno i vostri figli. A noi bastava un pezzo di
pane, qualche dattero e la carezza dei genitori. Era tutto ciò che avevamo,
tutto ciò che desideravamo.
Poi tutto è cambiato. La guerra, le violenze, il
terrore. Un giorno un gruppo di militari piombò in casa, prese i miei tre
fratelli, mio padre e li caricò su una jeep. Da allora non ho saputo più niente
di loro.
Passarono pochi giorni e Ima e Jalia tornarono a casa coi segni della
violenza subita. Mamma era disperata, pregava Dio affinché tutto finisse presto.
Ma
le cose non cambiano per volere di Dio, se non lo vogliamo noi.
Siamo fuggiti.
Un viaggio lungo, pericoloso e pauroso. Siamo arrivate vive in Italia solo io,
mamma e Jaila. Vive? Si fa per dire.
È Natale e fate festa sotto l'albero
illuminato. Ho imparato a vincere l'invidia con una folle speranza. Sì, perché
oggi è Natale anche per me. Anch'io come i vostri bambini spero di ricevere
qualche regalo. Il mio albero di Natale è un bidone della spazzatura. Da dove,
chissà, magari riuscirò a mangiare con i loro avanzi. Quelli che i vostri figli
schiferanno per godersi un camioncino nuovo, una bambola o uno smartphone.
È
Natale anche per me che, nonostante tutto, sopravvivo e mi aggrappo alla
speranza. Giacché posso ritenermi fortunata rispetto a chi non ce l'ha fatta, a
chi ha subito e subisce vili atti di violenza quotidiana, rispetto a chi non
conosce ancora la speranza che porta il Natale.
Buon Natale, Italia.
...
L’ALBERO DAI PIEDI DI SACCO
Costanza Trotti
Voci concitate risuonano dalla
soffitta lungo le scale. Ma che ci fa Fabio, lassù, tutto rosso in viso e col
naso bianco di polvere?
«Voglio preparare io, l’albero di
natale, sono grande ormai, vi sorprenderete di me!» grida Fabio, otto anni
compiuti a novembre.
La sorellina Ada comincia a salire
in tutta fretta, mentre la piccolina di casa, Betta, si arrampica al suo
vestito, fa poca strada perché rimane seduta ai primi gradini.
Nel trambusto generale la nonna,
dalla sua sedia a dondolo, agita le braccia quasi a dirigere un’orchestra, un
concerto a più voci, più che voci: sono schiamazzi.
La porta si apre, mamma e papà
rientrano affannati, tra scatole e pacchetti pericolosamente in bilico. In un
baleno tutti giù di corsa in un moto ondoso in aumento.
L’ultimo a scendere è Fabio, con la
grande grotta del presepe ma con un’espressione di delusione dipinta sul volto
impolverato, non ha trovato il suo albero di natale, quello con i piedi di sacco,
già addobbato e conservato l’anno prima. Dove sarà finito?!
Ecco che si leva il coro di voci
bianche: «Come farà Gesù Bambino senza l’albero sulla grotta, sarà triste,
senza luci sì e no, senza candeline accese e senza palline colorate».
Rassicurati i piccoli, calmati i
capricci, giunge finalmente il momento di andare a letto. Il papà aspetta il
silenzio per mettersi al lavoro con i preparativi del presepe.
La notte, si sa, porta consiglio e
una buona dose di sogni.
La fantasia di Fabio vaga per i
boschi alla ricerca della casa di cioccolato, intravede una piccola luce e si
incammina veloce. In fondo al sentiero di assi sconnesse, al centro tra uno
steccato e l’altro, vede il suo albero dai piedi di sacco, ornato solo da otto
palline colorate. L’albero, come un trono, si trova davanti a una piccola casa
tutta di legno. Fabio è smarrito, dove si trova? Si guarda intorno e sente delle
voci canterine al ritmo di sonagli giungere dall'interno della casa.
A un tratto vengono fuori in fila
indiana dei folletti con cappelli rossi, ghirlande dorate intorno al collo,
candeline in mano, legati l'uno all'altro da fili di lampadine lampeggianti.
La processione di suoni e colori si
stringe intorno all'albero in un gioioso girotondo, Fabio si fa avanti
incuriosito, viene preso per mano ed entra a far parte dell'insolita compagnia.
Rullo di tamburi, il momento è
solenne, tutti si piegano in un profondo inchino per ringraziare Fabio per la
magia che ha regalato.
«Siamo i bambini mai nati che il
cielo custodisce al di là delle nuvole, il tuo albero ci ha incantati, lo
abbiamo spogliato per vestire i nostri sogni, come succede per gli alberi
piantati nella terra, durante la stagione dei raccolti. Ti sveliamo un segreto,
le otto palline rimaste appese sono i tuoi anni che hanno formato la cupola
celeste da cui siamo calati, sei stato il nostro passaggio dall'infinito al tuo
mondo. Quando la stella cometa brillerà nella notte più luminosa dell'anno,
guarda la scia nel cielo, è il sorriso di tutti noi negli occhi di Gesù Bambino».
...
Floriana Naso
La canicola era insopportabile.
Persino l’odore di piscio e pattume decomposto che calpestava sembrava meno
pungente. Si portò il fazzoletto alla fronte, Maria, e trattenne il respiro. Imboccò
l’ingresso della Reja, un mostro di lamiera arrugginita nella favela.
Spazzatura e macerie ovunque. Nessun infisso. Superati pochi scalini crivellati
e un breve corridoio incontrò un tizio sdraiato tra le bottiglie.
«Cerco
Beatriz.» Quello la guardò non prima di averle sputato addosso una nuvola di crac,
poi mostrò i pochi denti marci che gli erano rimasti scuotendo la testa. Maria
frugò in tasca: appena pochi real, ma sufficienti per ottenere l’informazione.
Si fece coraggio e varcò le mura
sconquassate che la separavano da quella bimba.
«Beatriz! Dove sei?» Non la
vedeva, nonostante in quella stanza, grossa poco più che una cuccia per cani, ci
fossero solo un fornellino e una branda. La chiamò ancora. Stava per demordere,
quando qualcosa si mosse sotto il lenzuolo sudicio. Sbucò fuori una creaturina scarna
e sporca.
«La mia mamma?» Balbettò appena, rimanendo aggrappata a quello
straccio.
«Stai tranquilla, non voglio farti del
male.» Non riuscì a dirle che la sua mamma non c’era più, stroncata da
un’overdose. «Sono qui per portarti in un posto, vedrai, starai bene.»
Ma la
piccola la fissava immobile. Gli occhi rotondi privi di vitalità erano quasi
spettrali, come due voragini di paura.
Abbozzò un passo, Maria, ma l’altra
fece per scappare.
«No, non aver paura, io sono un’amica di tua madre, lei ti
sta aspettando.» Poi estrasse una foto della giovane, sembrava dormisse. «Vedi,
io conosco la tua mamma… ora ti prenderò la mano e andremo insieme a trovarla,
sei d’accordo?»
La piccola le andò incontro. Maria
trasalì al contatto con quella manina scheletrica. Dieci anni che sembravano
sei al massimo. Denutrita, forse malata. Non faceva altro che tossire.
Raggiunsero insieme la Casa
Famiglia Nossa Señora.
«Lei è Beatrix, di cui ti ho parlato.»
Mamarita accolse il viso della
bimba fra le mani e le baciò la fronte. La bambina, incuriosita da quel posto,
si guardava intorno. C’erano tanti coetanei. Uno si avvicinò tendendole la
mano.
«Povera creatura, quanto è crudele
la vita!»
«Già, e pare che Gesù si sia
dimenticato di Salvador. Ragazze madri sfruttate e maltrattate, disabili
abbandonati piccolissimi, degrado, violenza…»
«Ci siamo noi per questo, e tu,
Maria, sei un’assistente sociale dal cuore grande!»
«Chi lo dirà a Beatrix che… io non
ce l’ho fatta.»
Quella sera Mamarita spiegò ai
bambini che a volte, a Natale, gli angeli scendevano sulla terra per scegliere
delle persone speciali spesso a loro care e che quindi non dovevano disperarsi
se non le avrebbero più riviste perché significava che erano con Gesù per fare
del bene al prossimo.
«Ora aiutatemi ad addobbare gli
alberelli, sapete cosa narra la leggenda? Che gli angeli, insieme alle persone
speciali, visiteranno tutte le case che hanno l’albero più bello!»
Il giorno dopo Mamarita si accorse
che da tutti gli alberelli erano sparite le palline rosse, poi li contò: ne
mancava uno. Dalla finestra notò una figura esile, proprio sul sentiero che
conduceva alla Casa, con accanto l’alberello mancante.
«Beatrix, cosa fai qui?»
«Così la mia mamma noterà
l’alberello e tornerà da me; sai, il rosso è il suo colore preferito.»
Poi
prese la mano di Mamarita e le sorrise.
...
LA FANTASIA DELLO SCRITTORE
Riccardo Simoncini
«Dunque sei uno scrittore…»
«Un autore, per l’esattezza.»
«Ah. Ma dove trovi le idee per
scrivere?»
«È questione di fantasia. Per
quanto mi riguarda è l’ingrediente principale.»
«Stai ridendo? Sono divertente?
Scriverai di me?»
«No, non credo. Stavo solo
guardando questa foto.»
«Fammi vedere… Beh? Cosa c’è da
ridere?»
«Nell’immagine in sé forse nulla.
Ma, scusa, tu cosa vedi?»
«Una fotografia.»
«È un po’ pochino. Poi?»
«Un albero di natale su un ponte.»
«Un ponte? A me sembrava una sorta
di rampa d’accesso a uno chalet.»
«…»
«Va beh, dai, fin qui ci siamo. Poi
cosa vedi?»
«Un bosco, le palline rosse.»
«Poi?»
«Una staccionata?»
«È una domanda?»
«Sì. Magari a te sembrano dei guard
rail.»
«Mi stai prendendo in giro?»
«No, no, anzi. Anzi sì. Quello è un
ponte.»
«Va bene. Ma poi cosa vedi?»
«È forse un gioco? Uno di quelli
che c’è un’ombra che sembra una cosa, ma in realtà è un’altra? Fammi guardare
meglio. La macchiolina nera sulla destra? Sul ponte? Cos’è? Una mosca? No, un
coleottero. È troppo grosso per essere una mosca…»
«Sì, puoi considerarlo un gioco, ma
non del genere che stai descrivendo. Vorrei solo sapere cosa vedi in questa
fotografia.»
«Te l’ho detto.»
«Non vedi nient’altro?»
«Il sacco di iuta?»
«Ho capito perché non sorridi.»
«Bravo. Ora spiegami invece perché
tu lo fai.»
«Va bene. Questo chalet…»
«Quale chalet?»
«Facciamo così, distogli gli occhi
dalla foto e ascolta quello che ti dico.»
«Ok.»
«Io immagino uno chalet, ma più che
altro mi è venuta in mente una casetta di legno, roba da film tipo “La casa
nella prateria”, in cui le famiglia del falegname abitava in una casetta povera
al limitare del bosco. Ci sei?»
«Tu stai male.»
«Va bene. In questa casetta c’è un
bimbo, facciamo che si chiami Bil. Bill è il bimbo bravo, quello buono, quello
che divide sempre la merenda con chi ne ha meno di lui, a costo di rimanere
affamato. Ovviamente, per vivere al limitare del bosco le finanze della
famiglia sono scarse e non si sono mai potuti permettere un albero di natale,
cosa che Bill ha sempre desiderato...»
«Ma quanto è verosimile che vivano
al limitare del bosco e gli manchi l’albero di natale?»
«Touché. Però sai quanto costino
gli addobbi. E poi tu mi hai chiesto perché sorridessi, non di dimostrare
teorie già messe a punto. Dicevo, Bill è povero, ma è in gamba e molto
coraggioso e in un’occasione importante ha tirato fuori dai guai Jonathan, il
bimbo ricco e saccente, prendendo botte al posto suo. Jonathan è un po’
stronzo, ma osservare Bill lo cambia, lo migliora. Non vuole mostrarsi
apertamente, perché sa che Bill è anche molto fiero, ma vorrebbe fargli un
regalo. Compra un albero, lo addobba e glielo fa trovare davanti all’uscio, una
mattina di quasi natale. E Bill sorride. Sa che è stato Jonathan, ma non
avendolo visto, può tenerlo per sé, senza ferire il suo orgoglio. Stai
sorridendo.»
«Sì, sto sorridendo.»
...
MAGIA DI NATALE
«A volte, penso, che ogni albero di
Natale abbia la sua storia da raccontare.
Bella o triste che sia, a renderla
speciale, è la commozione che suscita nel cuore.
Mi chiamo Fusto e sono un abete!
Per questo Natale ho deciso
d’indossare un piccolo sacco di juta e qualche pallina rossa. Sono di gusti
semplici, io. Posso sembrare piccolo e buffo, sono buono e comprensivo, ma se
mi commuovo, o sì… se mi commuovo la mia linfa diventa rossa dall’emozione!
Quest’anno, ho compiuto un’azione
alquanto difficile. Sono fiero di ciò che ho fatto!
La luce, che illumina i miei rami,
unisce i popoli di tutto il mondo.
Sono l’albero dell’amore!
Sono l’albero della fratellanza!».
*********
Aiko era una bambina giapponese,
trasferitasi in Italia con la sua famiglia, da qualche mese. Le piaceva molto la
sua nuova casa e, nel quartiere dove abitava, sperava di conoscere dei nuovi amici.
Emozionata, si recava a scuola, dove veniva accolta con entusiasmo da tutti, ma
con il passare dei giorni, non riuscendo a esprimersi bene, i suoi compagni
iniziarono a isolarla.
Era molto triste; ogni giorno pensava alla sua terra, a ciò che aveva lasciato e alla vita felice che conduceva. Non era
quello che aveva immaginato!
Il Natale stava per arrivare. La maestra,
notando che Aiko era sempre sola e che non parlava più con nessuno, decise di preparare
un albero e di decorarlo con gli addobbi preparati dai bambini.
Tornata a casa, la bambina prese
dei fogli di tanti colori, della carta velina e iniziò a piegarli con abilità e
precisione; suo nonno, prima di partire, le aveva insegnato l’arte di
realizzare gli origami.
Ripiegando, più volte, un foglio
quadrato, formava stelle, palline e lanterne ma, prima di andare a dormire, pensò ai suoi compagni di classe e decise di fare un regalo a ciascuno di loro.
Realizzò dei fiori da donare alla
maestra e, per le compagne, creò delle farfalle, delle ballerine e delle fate
appese ai fili di nylon. Stanca, si addormentò pensando a suo nonno e sognò.
All’improvviso, tutto si animò; i
fogli cominciarono a piegarsi da soli con precisione, le farfalle volavano con fili
e nastri che, le ballerine e le fate incollavano sulla carta, mentre cavalli,
dinosauri, macchine e trenini prendevano forma.
Al mattino, Aiko, trovò gli origami
già pronti.
«Ma è una magia! Grazie, nonno!»
Mise tutto nello zaino e andò a scuola. Consegnò alla maestra le decorazioni per l’albero e, timidamente, distribuì a ciascun
compagno un origami. Davanti allo stupore di tutti, la maestra, compiaciuta,
le rivolse uno sguardo di ammirazione.
«Bravissima! Il nostro albero sarà splendido. Bambini, ringraziamo Aiko,
per i meravigliosi doni che ci ha portato!»
I bambini, contemporaneamente, si
alzarono in piedi e si inchinarono, salutandola secondo l’usanza giapponese.
Stupita, rispose al saluto, mentre le lacrime le rigarono il viso.
Da quel momento, Aiko si sentì amata
e ammirata da tutti.
Un origami, a forma di cuore,
divenne il simbolo d’integrazione della sua nuova scuola.
...
L'ACQUA MIRACOLOSA
Maria Rita Sanna
Celeste
tesoro d'eterna allegria, dormi vita e cuore, riposa, anninnia...
Il ragazzo cantava il ritornello al
ritmo della caduta dell'acqua, che gorgogliava dalla fonte.
Ripeteva continuamente le parole
come una preghiera con la speranza che il bambino continuasse a dormire dentro
la pancia della mamma, anche se aveva dato segnali di nascere prima del tempo.
Vedere la madre in preda ai dolori lo aveva preoccupato ma al contempo
inorgoglito; mancavano pochi giorni a Natale, un giorno speciale: finalmente
sarebbe diventato il fratello maggiore, si sentiva grande.
Dai, riempiti, che la mamma è sola e
il babbo non rientrerà prima che faccia buio. Riempiva alcune borracce,
continuando a cantare. Voleva imparare a memoria tutta la canzone per poterla
ripetere al nuovo arrivato, sperando che fosse un maschietto; gli avrebbe
insegnato molte cose, avrebbe avuto cura di lui, o lei.
Non aver paura di essere turbato,
riposa, anninnia...
Conosceva bene quel bosco e quella
sorgente di acqua, che si diceva essere miracolosa; decise di prelevare un po'
di muschio da una corteccia vicina, per il suo presepe. Una sacca seminascosta attirò la sua attenzione.
«Fermo,
ragazzo! Vai via da qui, torna a casa tua!»
Michelino si fermò, impaurito da
quella voce impetuosa e profonda, tuttavia reagì spinto dall'orgoglio.
«Chi
sei tu? Non ti vedo. Io sono Michele, sto prendendo l'acqua miracolosa, ora
finisco e me ne vado.»
Una fucilata lo raggiunse poco
distante, ma lui non si intimorì; gonfiò il petto.
«Sei
un vigliacco! Tanto lo so che sei il bandito che tutti cercano! A me non
interessa chi sei o cosa fai qui, io devo prendere l'acqua e portarla alla
mamma che sta male; il babbo è andato a chiamare il dottore in paese, ma
tarderà a tornare perché deve fare il giro lungo a causa della strada franata.
Perché non esci fuori e mi aiuti a portare l'acqua, che serve anche per il
bambino che sta nascendo; sarò il fratello maggiore e mi devo occupare di lui.»
L'uomo uscì dal nascondiglio alle
spalle del ragazzo, facendolo sobbalzare
dallo spavento. Si presentò imponente col volto coperto da una sciarpa e un
berretto calato in testa fino agli occhi, neri e duri. Senza staccare lo
sguardo dal ragazzo si avvicinò all'acqua, riempì le sue borracce. Michele,
suggestionato da quell'uomo parlò con gli occhi, avvicinando anch'egli il
contenitore all'acqua; l'ultimo sole del pomeriggio si insinuò prepotente fra
gli alberi, scaldando il contatto di quelle mani sotto il getto d'acqua fredda.
Istintivamente bevvero insieme.
«Andiamo,
ragazzo, fammi strada.»
Celeste tesoro d'eterna allegria...
«Babbo,
babbo! Guarda Salvatore come stringe il mio dito!»
«Sei
stato bravo, Michelino. Ora diamo il bimbo alla mamma. Come ti avevo promesso
ti ho portato una scatola di palline rosse per fare l'albero di Natale, ma tu
mi racconterai per filo e per segno quanto accaduto questo pomeriggio.»
«Babbo,
però, non ti arrabbiare se non troverai tre forme di formaggio.»
...
SEMPLICE COME
SORRIDERE
Elisa Calabretta
«Ehi, smettila di
prendermi in giro perchè non so correre!»
Il suono
fragoroso della sua risata rimbombò nella mia mente quasi a ricordarmi che sì,
ero viva.
«Chiara, ora che
siamo soli raccontami cos’è successo. Come ti senti?»
«Bene» risposi, girando nervosamente una foglia tra le dita con lo sguardo perso dentro a un
pensiero buio. Respirai
profondamente. Sì, quel posto aveva un buon profumo e in fondo si sa: tutte le
cose belle profumano di buono.
Partimmo presto, quella mattina. Meta sconosciuta.
Luca guidò la sua
macchina con il sorriso incastrato tra le labbra. Il sorriso di chi sapeva
stupire con disarmante semplicità.
Mi disse: «Regalami
uno dei tuoi giorni, in fondo ne hai trecentosessantacinque ogni anno!»
E così gli risposi
di “sì”, senza riflettere.
Mi strappò un
sorriso ed era troppo lontano nel tempo l’ultimo che avevo fatto.
Ed eccoci lì. In
quel magnifico posto: luci, ombre, alberi imponenti e accoglienti. Il
silenzio. Spezzato dal suo
sguardo fisso su di me, ancora in attesa di una risposta.
«Luca, forse doveva
andare così. Oggi non mi va di parlarne. E’ il tuo giorno su
trecentrosessantacinque ricordi?»
Ma questa volta lui non rise. Mi scompigliò i
capelli e delicatamente sistemò il mio ciuffo ribelle dietro l’orecchio.
Continuammo a
camminare in equilibrio tra il silenzio dei nostri pensieri e la luce
irresistibile delle nostre ombre così vicine. Mi misi a correre
nel mio solito modo buffo: troppo rigido e aggraziato, decisamente disarmonico
per immergersi in quella natura . In mezzo a quel bosco qualcosa di insolito
aveva catturato la mia attenzione: un piccolo albero addobbato, su un ponte.
Semplice come noi, elegante, vivo.
Poche palline a
ricordare le cose che avevo dovuto affrontare e tanti rami vuoti ancora da
riempire, verdi, pronti ad accogliere.
Come una bambina
mi voltai, corsi verso Luca e senza pensarci due volte lo presi per mano e lo
trascinai davanti a quella bizzarra scoperta. E mentre io
fissavo incredula quel piccolo albero così surreale e perfetto Luca non
smetteva di fissare me. Mi strinsi nella
felpa e tra le sue braccia.
Rimanemmo così per
un tempo indefinito e sospeso. Fu Luca a spezzare
il silenzio.
«Chiara, so che mi hai mentito».
«No, Luca, io...» Ma
lui mi strinse più forte a sé e sussurrò «Fammi finire scimmietta...» - era così
che mi chiamava da sempre per farmi affettuosamente arrabbiare - «la risposta è che
stai male, ma la vera risposta è che io sono qui».
Due lacrime
rigarono le mie guance, calde e pesanti.
Mi alzai piano,
presi in braccio l’albero e guardai Luca e come una bambina, tutto d’un fiato
dissi: «Questo è l’inizio, non la fine.»
Ci mettemmo a
ridere e proprio in quell’istante regalai a Luca i restanti
trecentosessantaquattro giorni della mia vita.
...
LA MAGIA DEL NATALE
Tania Mignani
E come ogni anno ricerco la magia
del Natale.
E sì che di Natali, ormai, ne ho
trascorsi parecchi, ma fatico sempre più a ritrovarla.
La cerco nei Natali della mia
infanzia, i Natali delle Messe di mezzanotte durante le quali immancabilmente mi
addormentavo e si tornava a casa a piedi percorrendo le vie innevate sotto le
luci natalizie. Ed erano Natali con la neve, Natali di pranzi preparati con
cura, nella sala da pranzo che si apriva solo per l’occasione. La lunga tavola
ricoperta dalla tovaglia candida e dal servizio “buono”. L’antipasto con le
olive, l’acqua “minerale frizzante”, il panettone Motta e lo Spumante Gancia,
quello della “bella canzone che fa tanto Natale”. Il regalo lasciato da Gesù
Bambino; per quello più importante avremmo dovuto aspettare la Befana.
I Natali dai pomeriggi pigri
trascorsi a giocare a Mercante in Fiera e a sgranocchiare frutta secca, delle
sere al cinema, tutti i nipoti insieme al nonno, e del tè sorseggiato nella
Pasticceria sulla strada del ritorno.
La cerco nuovamente nei Natali dei
miei bambini, i Natali preparati come nei film americani, con i biscotti e il
bicchiere di latte per Babbo Natale posati sul camino. Nel ricordo dei loro
visi impazienti e felici prima di addormentarsi sapendo che, il mattino
successivo, i piedi dell’albero di Natale sarebbero stati ricoperti di doni da
scartare ancora in pigiama dopo aver controllato che il bicchiere di latte
fosse ormai vuoto e i biscotti sgranocchiati. Delle ore trascorse insieme a
montare giocattoli complicatissimi già dimenticati dopo poche ore. I pranzi con
l’identico menù della mia infanzia i cui avanzi avrebbero stazionato nel
frigorifero per i giorni a venire. Ancora
serate al cinema, in quei nuovi “multisala” dal volume troppo alto che quasi ci
spaventava.
La cerco in questi nuovi Natali malinconici,
quando ogni anno mi ripeto che non farò l’albero ma poi mi ritrovo, come
sempre, inginocchiata nel sottotetto alle prese con scatole ricolme di luci da
montare e decorazioni. Rileggo con commozione
le vecchie letterine dei miei figli con le facce di Babbo Natale colorate con
attenzione, la barba di cotone idrofilo e la frase “Auguri Mamma e Papà” nella
loro calligrafia ancora incerta. E ogni anno mi riprometto che sarà diverso ma
sotto l’albero vi saranno ancora doni, non più grandi scatole multicolori, solo
pacchetti di dimensioni più contenute dai colori più eleganti. La mattina di
Natale mi alzerò prestissimo, come faceva chi mi ha preceduto, per preparare lo
stesso pranzo che ci accompagna da sempre.
Ripenserò a tutti i pranzi dei miei
Natali, un’unica ideale tavolata che attraversa tutto questo tempo, tavolata
che, anno dopo anno, conta sempre nuove sedie vuote. Come ogni anno lascerò
cadere qualche lacrima ma so che nel mio cuore saremo ancora tutti insieme a
quella tavola immaginaria, ognuno seduto al proprio posto.
In quell’istante avrò ritrovato la
magia del Natale.
Asciugherò le lacrime e… Buon
Natale a tutti!
...
PROFUMO DI NATALE
Graziella Braghiroli
Giampinetto era proprio fiero di sé, quella mattina. Era il suo primo incarico ufficiale come Albero di Natale dei
Piccoli. Pietro, il figlio dei proprietari della malga, aveva attaccato otto
bellissime palle rosse ai suoi esili rami e lui faceva del suo meglio per
sostenerle il più in alto possibile. Diamine, lui ero figlio di Giampinone, il
più bell'abete della pineta, che ogni anno veniva addobbato a dovere dagli
abitanti del paese e per giorni risplendeva di luci e suscitava infiniti “oh!”
e “ah!” di meraviglia.
Giampinetto si sentiva piccolo e
misero al confronto e non vedeva l’ora di crescere, crescere…
Passarono gli anni e Giampinetto diventò
un bellissimo abete dal tronco solido e dai rami lunghi e possenti che non
facevano nessuna fatica a sostenere il peso delle decorazioni che ogni anno gli
venivano messe da Pietro che continuava a considerarlo il “suo” albero. Diventò
talmente bello e alto che lo scelsero per un degli incarichi più ambiti :
essere l’Albero di Natale di Piazza San Pietro a Roma.
Vennero degli uomini che faticarono
parecchio ad estirparlo dal terreno. Lo adagiarono su un enorme camion e furono
pronti a partire.
Giampinetto era onoratissimo
dell’incarico ma anche dispiaciuto di lasciare la sua valle e soprattutto Pietro
che lo guardava andar via con gli occhi gonfi di lacrime.
Ma l’orgoglio di essere diventato
l’Albero di Piazza San Pietro superava ogni altra emozione.
Lo riempirono di luci sfavillanti,
palle di ogni colore e dimensione, ghirlande luccicanti…per giorni e giorni fu
ammirato, fotografato, immortalato sui giornali di tutto il mondo.
Poi le feste finirono. Via le luci,
via gli addobbi scintillanti. I suoi rami persero gli aghi e il vigore, si
ritrovo spoglio e solo…e capì.
E fu di nuovo Natale.
Pietro, come ogni anno, stava
decorando l’albero con i suoi bambini e raccontava di quel suo primo alberello
che era poi diventato il magnifico Abete di Piazza San Pietro… In quel momento,
dal camino si sprigionarono scintille e un ciocco cadde, un intenso profumo di
resina si diffuse nella stanza.
Pietro sorrise... Giampinetto era
tornato.
...
IO SONO L'ALBERO
Claudio Gurra
...
SPERANZA
Lucrezia Medici
Ormai era Natale e l’atmosfera di
festa si sentiva nell’aria anche qui, nel paese di Ventolina, chiamato così perché
tutti i giorni gli alberi che popolano la montagna vengono scompigliati dal
vento molto forte.
Solamente io, da anni, non percepivo
più quella gioia e quella serenità che il Natale dovrebbe portare con sé.
Ricordavo con enorme nostalgia le feste trascorse dai nonni materni, appena varcavo la soglia della loro casa ero come travolta dai profumi
tipici del Natale.
Quando avevo diciassette anni, mio
nonno, a seguito di una lunga malattia, l’ultimo giorno dell’anno si spense. Si
spense come una candelina. E una parte del mio cuore se ne andò con lui.
Per il rapporto che avevamo,
simbiotico e profondo, da quel giorno non ho più avuto la voglia e la forza di
festeggiare, nonostante il nonno avesse sfoggiato sempre nella sua vita, in qualsiasi situazione, il
suo sorriso.
Tre anni dopo, ho avuto la fortuna
di incontrare Mosè, per caso, a una cena tra conoscenti, e ora stiamo ristrutturando la casa dei suoi nonni per iniziare
una vita insieme!
Mosè ha sempre cercato di rendere il
mese di dicembre un periodo sereno e piacevole, facendo di tutto per non farmi
tornare alla mente ricordi dolorosi.
I pranzi con i miei genitori e la
mia amata nonna, all’inizio erano colmi di nostalgia e tristezza, nonostante la nonna si sforzasse per farci sorridere. Tuttora questi momenti di ritrovo
sono un rituale sempre più fugace in cui non manca mai il ricordo del nonno
che, invece, adorava il Natale e le feste.
Il giorno prima di Natale quella
volta fu diverso, inaspettato.
Passeggiavo con Mosè nel parco
innevato vicino a casa mia. Mentre attraversavamo un ponticello di legno che si
affacciava sul fiume notai un alberello di Natale addobbato con palline
colorate. Ci guardammo intorno, ma non c’era nessuno!
Mi avvicinai e vidi che tra i rami
c’era una busta rossa. La aprii incuriosita e lessi nel biglietto : “Sorridi sempre, qualsiasi cosa
succeda. E.”
Quella frase e quella “E” nella
firma, mi ricordarono subito mio nonno Enrico e il suo perenne sorriso,
nonostante tutto ciò che gli era accaduto.
Forse era un segno? Forse stavo
fantasticando troppo?
Senza accorgermene, le lacrime
tiepide e salate mi rigarono il viso. Mosè mi accolse nel suo abbraccio, che da
anni era il mio rifugio. Prese
l’alberello sorridendomi e, mano nella mano, ci avviammo verso casa.
Quell’alberello ora lo teniamo
sempre esposto in casa. È il simbolo della speranza e della serenità che
finalmente ho ritrovato.
Marcella Manca
In un piccolo paese di montagna viveva una famiglia conosciuta da tutti per la proverbiale generosità,
nonostante fosse molto povera, composta da tre persone: Alberto, Ada e la loro figlia
di sette anni, Allegra.
Abitavano nella casa ereditata
dalla nonna paterna. Ma la casa era l’unica realtà certa. Alberto e Ada,
difatti, a seguito di una brutta questione legale, non avevano più lavorato.
Gli unici soldi che entravano erano dovuti all’indennità statale per la disoccupazione.
Allegra era una bambina
intelligente e con un cuore enorme. Si rendeva perfettamente conto della
condizione economica familiare ma non se ne lamentava. Anzi, non chiedeva mai
nulla ai genitori che, invece, avrebbero voluto darle tutto. Andava a scuola
grazie alla solidarietà dei suoi compaesani che le offrivano libri, quaderni e
matite. Era sempre grata a tutti i suoi vicini e, soprattutto, era grata al
Signore per averglieli messi accanto.
Come ogni anno, la Festa
dell’Immacolata fece spostare la gente del paese in piazza per adibire i
mercatini natalizi.
Allegra, uscita da Messa, chiese a
mamma e papà di accompagnarla a guardare le creazioni locali per quel Natale.
Ne rimase stregata: angioletti intagliati nel legno, presepi su stelle di
cedro, babbi natale ricavati dalle pigne di pino, alberi natalizi lavorati su
lastre di compensato con gnomi di stoffa che vi sedevano accanto. C’era
veramente un mondo!
Un bel momento, la bimba arrivò al
tavolo di un anziano membro del borgo. Costui la riconobbe e quando vide che la
piccola chiudeva gli occhi dopo aver osservato i suoi manufatti, le chiese: «A
cosa pensi, Allegra?»
«Buongiorno signore. Stavo
mentalmente regalando alcuni di questi splendidi oggetti ai miei amici. Ho
pensato che se chiudevo gli occhi la magia avrebbe potuto funzionare meglio.
Lei cosa ne dice?»
L’uomo, dalla lunga barba bianca e
col cuore appesantito per la situazione di quella famiglia, guardò i genitori,
che avevano le lacrime agli occhi. Poi sorrise e accarezzò il volto della
piccola.
«Credo, cara,» rispose l’anziano,
con grande dolcezza, «che se c’è una bambina che merita questa magia, quella
sei tu. Desideri confidarmi cosa vorresti regalare e a chi?»
La bambina apprezzò profondamente
l’offerta di quel “nonno” e cominciò a giocare con lui.
Il giorno di Natale, Allegra si
svegliò, ringraziò Gesù per essere nato un’altra volta e poi andò in cucina
dove trovò mamma e papà in lacrime. Capì subito che era avvenuto un miracolo
perché, sparsi sul tavolo, c’erano tantissimi soldi, in carta e in moneta, e
una lettera del Comune in cui il sindaco spiegava che avrebbe trovato un lavoro
a entrambi i suoi genitori. Vi era poi un pacco con vestiti e cibo e le letterine
dei bambini del villaggio che la ringraziavano per i suoi regali. Quegli stessi
doni che lei aveva inviato solo col pensiero.
Allegra chiuse gli occhi e unì le
mani in preghiera: la magia del Natale l’avvolgeva, come soltanto il suo cuore
aveva creduto possibile.
...
FORSE È NATALE
Laurasabba
E ogni anno arrivava.
Arrivava portando con sé tutte le
ovvietà e le ipocrisie che, con gli anni, non si affievolivano. Ma ci si
arrendeva sempre, non c’era scelta; il senso di vuoto e di solitudine che
ormai facevano parte della vita stessa, della sua vita, si ingigantivano a Natale.
Quella magica parolina evocava
nella mente di Claudia solo aspettative e ricordi, ma i ricordi sono belli
finché non fanno male, per le aspettative è anche peggio. Finché la nostalgia
di Natali incoscienti, passati anni luce prima, non le lacerava le viscere
portandole quel maledetto groppo in gola e sentimenti che non si poteva più
permettere. Un Natale di un ricordo solo, un rito che si celebrava tutti gli
anni. Un albero grande, enorme, sproporzionato alla casa e che, nella sua
vastità, emanava calore e con le sue luci scaldava chi ci stava attorno. Anche se non era una famiglia
felice, lei si illudeva che lo fosse. Ci credeva e c’erano voci di bimbe che
guardavano di nascosto dal buco della serratura di una porta, svelando il rito
della posa dei regali e scoprendo che, no, Babbo Natale non esiste.
Ma lei
l’aveva sempre saputo.
L’ha sempre saputo.
Si mette il cappotto, esce. Scappa.
Non sa neppure da cosa. Scappa, forse, dalla tristezza - da sé stessa non può -
e nel suo camminare senza meta, persa nella malinconia di pensieri e di speranze
troppo grandi per poter essere realizzate, si blocca. Davanti a lei, un piccolo
albero. Un alberello che qualcuno ha messo in un parchetto, al centro di un
ponticello di legno. Impossibile non vederlo. Presenza quasi arrogante. Sembra
voler rivendicare la sua presenza in mezzo a tanta desolazione. Povero anche
lui, vuoto, come lei. Come il suo stato d’animo. Pochi ornamenti, qualche
pallina, una ghirlanda rossa. La donna lo fissa. Tempo interminabile.
Poi qualcosa, un moto di orgoglio,
di rabbia o entrambe. Claudia s'incammina, raggiunge uno di quei posti che
odia tanto perché le ricordano ancora di più la sua solitudine. Trova subito
quello che cerca. Torna nel parchetto. Aggiunge delle piccole luci azzurre,
sistema fra i rami la piccola batteria che le fa illuminare. Lo guarda. E
finalmente sorride.
Ora è bello, dice fra sé.
Torna a casa col cuore un po’ più
leggero. Forse può ancora sperare che qualcosa o qualcuno riaccenda quello che si
è spento. Fiducia e speranza. In un futuro. Nel suo futuro. Torna a casa. Non è
cambiato nulla. O, forse, tutto.
Forse, adesso è Natale.
Forse.
...
L’ALBERO SUL PONTE
Daniela Perego
Mi sento la persona meno adatta per
scrivere un racconto sul Natale. Le solite cose, tipo: siamo tutti più buoni, la
magia della festa, l’amore e la pace e tutto il resto, non mi appartengono.
Sarà che con il passare degli anni questa festa la sento sempre meno. Fare
gli addobbi quando già si ha poco tempo per le cose di tutti i giorni, sembra
tempo sprecato; mettici il fatto che non
ci sono bambini in giro per casa e il gioco è fatto.
Un mini presepe composto dalla
natività, un piccolo albero – finto - con qualche stella di Natale applicata e
poche luci a rallegrare il tutto e l’operazione “casa decorata” è finita.
Negli ultimi anni niente frenesia
per i regali e pochissimi pacchetti da scambiare con le persone più vicine. Non
prendetemi per matta o altro. Solo che il Natale, quello vero, secondo me è
un’altra cosa.
§§§§§§§§§
Prendi un piccolo pino, con le
radici avvolte in un sacco di juta, qualche palla rossa pende dai suoi rami
scarni. Lo trovo lungo il sentiero al limitare del bosco, sta proprio in mezzo
al ponticello che attraversa un piccolo ruscello.
Chi
l’avrà portato qui?
La sera, in paese, scambiando
quattro chiacchiere con il proprietario del bar, racconto dell’albero di Natale
sul ponte. Dapprima perplesso, si
avvicina con fare sospetto e guardandosi in giro, chiede conferma di quanto
appena detto.
Per la miseria, sono sicura che
c’era un alberello sul ponte! Peccato non aver scattato una fotografia con il
cellulare.
Il barista, con voce bassa –
per non farsi sentire dai presenti – mi racconta la leggenda dell’Albero di
Natale sul ponte.
Sembra che ogni anno, in prossimità
della festa, il piccolo pino faccia la sua apparizione sempre nello stesso
punto, facendosi vedere solo da poche persone.
Sono sbalordita. Ho le visioni?!
La leggenda narra che solo le
persone con un animo puro che incarna il senso della festa, riescano a vedere
il piccolo albero. Si parla di un gigantesco pino che ogni anno veniva
addobbato con così tante luci e palline colorate, da essere visto fino a valle.
Purtroppo, le ruspe rasero al suolo
una parte del bosco per far posto a un villaggio residenziale, abbattendo anche
il famoso pino. Si dice che il piccolo albero sul ponte sia figlio di quel
maestoso pino gigantesco, vanto del paese.
Durante il trasporto qualche ramo
cadde a terra e ogni anno, in prossimità del Natale si veste a festa compiendo
la magia del Natale.
Lo dicevo io che il senso del
Natale è un’altra cosa!
Buone Feste a tutti voi e… speriamo
riusciate a vedere il piccolo albero sul ponte!
...
LA CASA BLU
Marilena Mascarello
Oltre il bosco di betulle la strada
diventava scoscesa, dal ponte si sentiva il suono cristallino dell'acqua che
scendeva dal monte. Salima lo attraversava ogni giorno, si inoltrava tra i
tronchi, assaporava il profumo di resina facendosi accarezzare dal sole.
Ogni giorno una scoperta: il nido del picchio solitario, il
cuculo che si burlava di lei, i cuccioli di volpe che facevano capolino dagli
anfratti. Il suo cesto si riempiva di funghi, bacche, fragoline. Bucaneve e
roselline di bosco lo completavano come una piccola opera d'arte. Questo era il suo paradiso dove s’immergeva
lasciando alle spalle i crucci.
La meta era sempre la stessa; oltre
il bosco le betulle si diradavano, la strada si faceva ripida e lei proseguiva
saltellando tra un sasso e l'altro, tra i
rivoli d'acqua. Il respiro diventava affannoso, ma gli occhi le
brillavano. A metà della salita il bosco lasciava spazio a un'ampia radura, la luce cambiava colore, l'erba brillava di riflessi dal blu intenso. Prato e
cielo si confondevano in un unico bagliore.
Era arrivata, era sotto l'albero di
stelle, vicino alla casa blu.
Davanti al cancello di ferro si
fermava, sapeva che era aperto per lei; un profondo respiro ed entrava.
Il salone era arricchito da monili
argentati, poltroncine a forma di stella, lampadari di diamante. Al centro un tavolo
di cristallo e in fondo lei, la regina: Zafira la fata. L'aspettava avvolta nel
mantello color cielo, seduta sul trono madreperlaceo. Sempre gentile, occhi
azzurri dolci come il miele e capelli turchini lunghi fino ai piedi. Salima, ogni
volta, le porgeva in dono il cesto col raccolto del bosco.
Quel giorno, però, non riusciva a essere
felice. Si avvicinava il Natale e la sua casa era triste, con la mamma ammalata
che si aggravava sempre più. Zafira lo sapeva, ma ascoltò le sue confidenze,
accarezzandola. Salima si sentì più sollevata, le parole della fata la
rincuorarono.
«Vai, non temere, torna casa e
porta con te questa mela, devi solo appoggiarla nel cesto, vedrai, tutto si
sistemerà». La bimba non aveva mai chiesto nulla alla fata, le erano sempre
bastate le sue parole. Questa volta tornò a casa emozionata, attraversò il bosco
e il ponte sul ruscello di corsa. Entrata in casa, appoggiò il cesto sul
tavolo. La mamma si era assopita, aveva la febbre, ma erano finiti i soldi per
le medicine. A Salima spuntò una lacrima, si avvicinava il Natale, un Natale
triste per loro.
Si addormentò pensando alle parole
di Zafira che le procuravano un po' di sollievo.
Quando si svegliò, la luce
dell'alba illuminava la stanza.
Si avvicinò al tavolo e rimase
sbalordita: nel cesto, al posto della mela, c'era un sacchettino pieno di monete
d'oro. Comprese il prodigio! Non perse tempo, corse in paese a comprare le
medicine. Dopo alcuni giorni di cure la mamma
cominciò a sentirsi meglio.
L' indomani sarebbe stato Natale,
Salima era felice. Raggiunse il ponte e si accorse di un piccolo abete luminoso
ornato di stelle. Il suo Natale avrebbe avuto anche l'albero! Guardò oltre le
betulle, immaginando Zafira circondata dal magico alone di luce. Sarebbe
tornata presto alla casa blu per
ringraziare la fata, per ora sapeva che il suo sorriso le sarebbe arrivato oltre il ponte e oltre il
bosco.
...
Giovanna Lucenti
Le sembrava ancora di vederlo, quel
piccolo albero, lì, sopra il frigo della nonna: un'allegra nota di
colore in un angolo della semplice stanza da pranzo. Il tepore della "conca"
posta sotto il tavolo si spandeva e ogni tanto la nonna si
piegava per ravvivarla, rimescolando la carbonella con un cucchiaio di ferro, gesti lenti che le trasmettevano sicurezza e protezione.
Come ogni sabato Elide tornava con
i suoi genitori dalla nonna, per poi ripartire il lunedì mattina con la littorina
che da Catania la riportava a Messina.
Era dolce la consuetudine di
trascorrere i fine settimana dalla nonna Aitina
e dalla zia Nedda, che con un solenne giuramento aveva deciso di non
sposarsi, per il dispiacere di non avere avuto il consenso del padre; così la
povera zia aveva promesso in ginocchio di non sposarsi più, questa parte del
racconto era la sua preferita perché la zia mimava il giuramento
inginocchiandosi davvero, con una veemenza che la faceva scoppiare a ridere!
Quel sabato sera la zia l’aspettava
con una bella sorpresa: uno stupendo impermeabile di un bel colore brunito, come si usava alla fine
degli anni sessanta, con una bella cintura in vita; il fruscio della stoffa la faceva
impazzire, insomma non vedeva l'ora d'indossarlo per andare a scuola.
Frequentava la seconda media in un
istituto vicino a casa e percorreva da sola quel tragitto ogni giorno. Quel lunedì il vento soffiava forte; stretta nel suo amato impermeabile non perdeva
occasione di specchiarsi nelle vetrine.
Fu proprio in quel momento che lo
vide, riflesso in una di esse, uno sguardo freddo e sconosciuto che la svegliò
dalle fantasie di bambina: un ragazzone
infagottato in un giubbotto scuro. Riprese, affrettandosi, la strada di casa cercando di scrollarsi
quella sensazione d'inquietudine che le
si era cucita addosso, sentiva risuonare dei passi dietro di lei e iniziò ad
avere paura, non vedeva l'ora di
arrivare.
Entrata finalmente nel portone si sentì afferrare e frugare
sotto i vestiti, il respiro pesante di quell'uomo le era addosso, cercò di
aggrapparsi al passamano della scala provando, inutilmente, a spingerlo lontano. Il rumore di una porta che
sbatteva lo fece spaventare e scappare via.
Restò così, con il cuore in tumulto
per non so quanto tempo, sperò che non ci fosse nessuno nelle scale, una
sensazione di sporco cominciava a
serpeggiarle dentro; salì gli ultimi scalini cercando di ricomporsi,
sicuramente la mamma la stava aspettando con il pranzo pronto, si sistemò i
capelli e suonò il campanello.
Il tempo di un bacio frettoloso e
con il fare più naturale possibile entrò nella sua stanza.
Raccontare
ciò che era successo era l'ultimo dei suoi pensieri. Provava vergogna.
Quel fine settimana tornarono dalla
nonna per le vacanze natalizie.
Guardò l'albero luccicante, si era
arricchito di tanti pupazzetti di cioccolata, quella sera la nonna aveva fatto
salire un pastore per suonare la novena davanti al piccolo presepe ai piedi
dell'albero.
Elide ascoltò la musica della cornamusa appoggiata al petto della nonna quando tutto iniziò a tremolare intorno, le
luci dell'albero, Gesù Bambino nella grotta... Grossi lacrimoni le scendevano dalle
guance mentre la nonna sussurrava: «Buon Natale, Elide».
A distanza di tempo si chiese cosa fosse realmente successo quel giorno, ma
l’impermeabile non lo mise più.
...
ATTENZIONE, questo racconto è postato in ritardo PER COLPA MIA!!! Mi ero sfuggito!! Chiedo scusa a Tiziana:VOTATE VOTATE VOTATE.
LA STORIA DI PINETTO
Tiziana Mazza
Ciao!
Mi presento: mi chiamo Pinetto e
sono il guardiano del bosco.
Beh, diciamo che più che il
guardiano, sono il “Receptionist” della pineta che si stende alle mie spalle.
Per darvi il benvenuto mi sono
vestito a festa: mi sono addobbato con tante palline rosse e ho messo i piedi
in un sacchetto, pronto per essere infiocchettato e consegnato nelle vostre
case.
Vi accolgo nel mio magico regno,
vestito di tutto punto, baciato dall’ultimo sole della stagione. Ben presto mi
ricoprirò di un soffice manto bianco, impreziosito da numerosissimi cristalli
lucenti, per la felicità di grandi e piccini.
Resterò qui insieme ai miei fratelloni,
in trepida attesa delle renne di Babbo Natale che, guidate dalle loro cime
imponenti, troveranno la strada per atterrare nel mio regno, raggiungere le vostre case e consegnare i
doni, che allieteranno il giorno più atteso dell’anno.
Buon Natale!
Il vostro Pinetto
Voto per il racconto dal titolo " l albero dai piedi di sacco".
RispondiEliminaVoto per il racconto dal titolo l'albero dai piedi di sacco
RispondiEliminaVotorinolaringoiatria per il racconto dal titolo l albero dai piedi di sacco
RispondiEliminavoto per il racconto dal titolo OGNI NATALE È COSÌ
RispondiEliminaVoto OGNI NATALE È COSÌ
RispondiEliminaLaura Sala
Voto OGNI NATALE È COSÌ
RispondiEliminaOGNI NATALE É COSÌ di Laura Sala. La bellezza di un ricordo dell infanzia che riporta soprattutto nel periodo natalizio i primi passi e cenni di una serena bellezza, la vita. Grazie Laura
RispondiEliminaOgni Natale è così, dl Laura Sala
RispondiEliminaVoto per "L'albero dai piedi di sacco"
RispondiEliminaVoto Ogni Natale è così
RispondiEliminaL'albero con i piedi di sacco 😊
RispondiEliminaL'albero con i piedi di sacco 😊
RispondiEliminaVoto ogni Natale è così di Laur Sala
RispondiEliminaVoto ogni Natale è così di Laura sala
RispondiEliminaVoto Ogni Natale è così di Laura Sala
RispondiEliminaVoto x Ogni Natale è così
RispondiEliminaOgni Natale è così
RispondiEliminaDi Laura Sala
Voto x OGNI NATALE È COSÌ
RispondiEliminaVoto "La speranza" di Floriana Naso!
RispondiEliminaVoto Riccardo Simoncini con La Fantasia dello Srittore
RispondiEliminaVoto il racconto "magia di natale" di Nicoletti Daniela.
RispondiEliminaVoto per il racconto dal titolo l'albero dai piedi di sacco
RispondiEliminaVoto "La fantasia dello scrittore"
RispondiEliminaScelgo "Ogni Natale è così" di Laura Sala.
RispondiEliminaSimoncini la fantasia dello scrittore...always the best!
RispondiEliminaScelgo "Il Natale di Amina " e "L'acqua miracolosa" <3
RispondiEliminaGrazie mille anonimo 💖
EliminaSono tutti bellissimi. Complimenti a tutti.
RispondiEliminaI voti prossimamente.
Voto per l'acqua miracolosa ma sono tutti splendidi
RispondiEliminaGrazie mille anche a te Tania 💖😘
EliminaVoto per ogni Natale è così di Laura Sala
RispondiEliminaAggiungo il voto a "Il profumo balsamico del Natale" e "L'acqua miracolosa"
RispondiEliminaVoto per Profumo di Natale
RispondiEliminaAggiugno un voto alla "Magia del Natale" di Tania (ma sono tutti belli e originali, complimenti a tutti)
RispondiEliminaVoto il racconto di Tania Mignani "La magia del Natale"
RispondiEliminaMolto bello...mi sono commossa🎅
Voto per il racconto dal titolo"speranza"
RispondiEliminaCostanza Trotti
Grazie mille Costanza
EliminaVoto per il racconto SPERANZA di Lucrezia Medici.
RispondiEliminaLuana
Grazie cara Lu ❤️
EliminaVoto per 'Speranza' di Lucrezia Medici
RispondiEliminaGrazie !
EliminaVoto per ‘Speranza’ di Lucrezia Medici
RispondiEliminaGrazie :)
EliminaGrazie!
EliminaVoto per ‘La magia del Natale ‘ di Tania Mignani.
RispondiEliminaNostalgico e commovente !
Voto 'Speranza' di Lucrezia Medici, molto commovente ma allo stesso tempo si conclude con una speranza !
RispondiEliminaMarco
Grazie Marco !
EliminaAggiungo un voto per il racconto di Daniela Nicoletti ‘Magia di Natale’
RispondiEliminaVoto per il racconto scritto da Lucrezia Medici dal titolo ‘Speranza’ . Sento molto vicini i sentimenti che muovono la nostalgia dei tempi felici, con il raggiungimento di una speriamo che si credeva perduta.
RispondiEliminaMonica
Grazie Monica, bellissime le tue parole
EliminaVoto per "L'acqua miracolosa" d Maria Rita Sanna..ma son tutti così belli!!
RispondiEliminaAggiungo un voto alla "Magia del Natale di Tania Mignani e "L'albero sul ponte" di Daniela Perego.
RispondiEliminaGrazie Tiziana
EliminaVoto per Forse è Natale di Laurasabba
RispondiEliminaVoto per racconto "La casa blu" di Marilena Mascarello.
RispondiEliminaVoto per "l'acqua miracolosa" di Maria Rita Sanna
RispondiEliminaAggiungo voto per "forse è Natale" di Laurasabba e "L'albero sul ponte" di Daniela Perego.
RispondiEliminaEcco i miei voti
RispondiEliminaL'albero dai piedi di sacco, di Costanza Trotti
Semplice come sorridere, di Elisa Calabretta
Io solo l'albero, di Claudio Gurra
La magia del Natale, di Marcella Manca
La casa blu, di Marilena Mascarello
Il silenzio di Elide, di Giovanna Lucenti.
Preciso che sono rimasta affascinata da tutti i racconti e ringrazio chi ha votato per me 💖
Aggiungo un voto per il racconto di Marcella Manca ‘La magia del Natale’
RispondiEliminaVoto per "Il profumo balsamico del Natale di Silvia Gussoni
RispondiEliminaVoto per il profumo balsamico del Natale, di Silvia gussoni
EliminaVoto "il profumo balsamico del Natale" di Silvia Gussoni
EliminaVoto per "Il profumo balsamico del Natale" di Silvia Gussoni
RispondiEliminaVoto “Speranza” di Lucrezia Medici, perché mi ha affascinato molto.
RispondiElimina❤️
EliminaVoto anche per ‘l’albero sul ponte ’ Di Daniela Perego
RispondiEliminaVoto per il"Profumo balsamico del Natale" di Silvia Gussoni
RispondiEliminaVoto “il profumo balsamico del Natale”
RispondiEliminaVoto per il racconto ‘Speranza’ di Lucrezia Medici: ha il sapore di ricordi di infanzia mescolati alla speranza di un futuro sereno.
RispondiEliminaGrazie mille!!!
EliminaUn voto per La magia del Natale di Tania MIgnani. Un testo denso di sentimento, che procura commozione ed emozioni in cui anch'io mi ritrovo.
RispondiEliminaVoto per la fantasia dello scrittore di Riccardo Simoncini
RispondiElimina��
Io voto per il racconto di Silvia Gussoni
RispondiEliminaVoto il profumo balsamico del Natale di Silvia Gussoni
RispondiEliminavoto IL PROFUMO BALSAMICO DEL NATALE
RispondiElimina"Il profumo balsamico del Natale" di Silvia Gussoni
RispondiEliminaVoto per "ogni Natale è così"
RispondiEliminaVoto per “Il profumo balsamico del Natale” di Silvia Gussoni
RispondiElimina1 voto per : LA FANTASIA DELLO SCRITTORE
RispondiEliminaRiccardo Simoncini
1 voto per : SPERANZA
Lucrezia Medici
❤️
EliminaVoto per il racconto dal titolo Il profumo balsamico del Natale
RispondiEliminaIl profumo balsamico del Natale di Silvia gussoni è il racconto che più mi ha emozionato e per questo do a lei il mio voto.
RispondiEliminavoto per "ogni natale è così" di Laura Sala
RispondiEliminaVoto Riccardo Simoncini - La fantasia dello scrittote, racconto/dialogo originalissimo!
RispondiEliminaVoto Riccardo Simoncini - La fantasia dello scrittote, racconto/dialogo originalissimo!
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