Seduti allo stesso tavolo

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Il nuovo romanzo di Stefania Convalle, sul mondo dell'editoria.

venerdì 16 settembre 2022

Numero 410 - Masterbook, i racconti del GIRONE A, Fase 1 per il VOTO POPOLARE - 15 Settembre 2022


 

Il Masterbook, la sfida all'ultima parola, è partito!

Gli 8 concorrenti del GIRONE A si sono sfidati nella FASE 1 scrivendo un racconto di massimo 500 parole. La giuria tecnica ha valutato i testi, senza conoscere il nome degli autori, e ha scelto 4 testi. Gli autori di questi testi passano alla FASE 2.

Ma per i 4 rimasti fuori non è ancora detta l'ultima parola! 

Sarete voi, lettori, a poter ripescare un racconto e "ributtarlo" in gara attraverso il vostro voto che dovrete esprimere in un commento a questo numero del blog, all'interno del blog stesso.
Potrete esprimere una sola preferenza scrivendo: VOTO IL RACCONTO NUMERO ... 

Se volete scrivere anche la motivazione, all'autore farà piacere, anche se non sapete a chi appartiene il testo (ma lo saprete in un secondo tempo).
I racconti verranno postati in questo numero senza il mio intervento, nessuna correzione verrà da me apportata. Tutti i testi saranno qui riportati esattamente come mi sono arrivati.

Comincio quindi a postare qui di seguito i 4 testi che potrete votare.

RACCONTI DA VOTARE

GIRONE A – ELABORATO NUMERO 2

La felicità di spigolare le pannocchie di granoturco.

Guardando questa foto curiosa, confesso che ho sorriso anch’io, perché il riso è contagioso, specialmente quello della donna, che si sganascia dalle risate. L’uomo non è da meno; così conciato, mi sembra uno spaventapasseri, ma è autentico nel suo modo di vestire molto casual e conforme alla sua attività legata alla terra.

Mi sono ricordato del mio collega di lavoro, Pietro, di origine contadina e bresciana. Mi raccontava dei suoi genitori, Mariuccia e Serafino, che, non avendo un campo proprio da coltivare a granoturco, aspettavano che fosse terminata la raccolta del mais per andare a spigolare le pannocchie dimenticate – o meglio lasciate volutamente sulla pianta dai raccoglitori per far felici gli spigolatori.  

I padroni del campo facevano finta di vedere il cattivo comportamento di qualche raccoglitore occasionale, quando quest’ultimo dimenticava volutamente una pianta intatta sul suo filare. Era consuetudine radicata nel tempo che fosse permesso ai meno abbienti di entrare nei fondi agricoli, dopo il raccolto, per racimolare qualche pannocchia dimenticata o giudicata troppo piccola o non ancora matura. C’erano anche le eccezioni alla regola di certi uomini ingordi e indifferenti alla povertà, che dividevano il misero raccolto degli spigolatori.

Dal racconto di Pietro ho capito che l’asciugatura delle pannocchie fosse un’usanza condivisa, come quella che vedo nella foto in questione. Quelle appese alla pertica sopra le teste dei soggetti fotografati ne sono una conferma. Quando il raccolto era abbondante in quella casa si festeggiava il momento propizio di aver perlustrato un campo vergine - non battuto da altri concorrenti -: si poteva, così, ricavare la farina per la polenta; riempire il materasso con i cartocci nuovi e buttare i vecchi, ormai consumati dal peso dei corpi e sede di focolai di pulci e di cimici; conservare i tutoli per alimentare il focolare. 

Mariuccia e Serafino erano ottimi ballerini e quando venivano invitati dagli amici alla raccolta del mais vi accorrevano felici come una Pasqua, sapendo che dopo il raccolto si sarebbe ballato sull’aia al suono di una fisarmonica indiavolata per affogare la stanchezza fisica nei vortici delle danze. Nei due personaggi sorridenti, ritratti nella foto, immagino di vedere Mariuccia e Serafino pregustare la festa danzante con gli amici e divertirsi fino a notte fonda, mentre una tavola imbandita, ricordava la festa similare che si faceva dopo la vendemmia. Finalmente quel giorno si poteva riempire la pancia grazie alla bontà dei proprietari del fondo, che volevano fare bella figura, senza badare a spese.

Storie di altri tempi arcaici, quando i campi venivano arati con buoi o con cavalli da tiro.  La semina avveniva a mano, scavando solchetti; qui venivano collocati i semi di mais, alla giusta distanza per una crescita regolare, e ricoperti di terra con uno zappettino. Poi, bisognava aspettare settembre per il raccolto, che avveniva manualmente ruotando le pannocchie su stesse per sganciarle dal culmo. Le pannocchie venivano caricate su un carro sistemato ai bordi del campo. Quando questo era pieno, veniva scaricato sull’aia per la spannocchiatura.


GIRONE A – ELABORATO NUMERO 4
Le donne ne sanno sempre una più del diavolo 
 
«Dannazione! Anche questa mano non mi ha dato nulla di buono!»
L'anziano signore seduto di fronte alla moglie ride. La coppia sta giocando a carte su un tavolo coperto da una tovaglia gialla con fiori rossi e blu.
L'uomo mischia il mazzo. Carte sul tavolo. La donna alza. Tredici ciascuno. Prima di scoprire le carte, la donna guarda il marito fiduciosa.
«Vogliamo fare una scommessa?»
«Cosa vuoi fare?»
«Se vinco l'intera partita...una bella penitenza per te!»
L'uomo si passa la mano nella folta barba pensieroso.
«Rischio. Cosa avevi in mente?»
«La tua barba?»
«No no, questo mai. Ormai tutti mi conoscono con questa faccia! Alberto poi come fa a offrirmi il caffè tutte le mattine?»
«Dai, stai vincendo. Voglio un premio succulento!»
L'uomo fissa le carte sul tavolo. Si fida della sua fortuna.
«Ma sì dai. Accetto!»
Entrambi guardano le carte e l'uomo si dispera: non riuscirà mai a chiudere!
Verso la fine della mano lui pesca una carta, un due di fiori. Può aiutarlo ma potrebbe mettere sul tavolo solo un tris di due. Passa il turno. La moglie pesca. Mette le carte a terra e mostra una scala! Prima mano vinta.
La partita continua con ripetute vittoria da parte della donna e il marito già si immagina completamente rasato.
«Sapevo che non avrei dovuto accettare»
«Su dai, non andrà così male questa volta!»
L'uomo guarda le ultime cinque carte che gli rimangono in mano. Osserva attentamente il viso della moglie. Spera di poter indovinare cosa nasconda. Si decide e pesca. Un jolly! Non può ancora chiudere però. Posiziona un tris 7-jolly-9 sul tavolo. La moglie ha tre carte. Pesca e mette giù un tris 5-6-7! La donna fissa l'uomo sorridendo. Lui guarda a terra e vede che la moglie aveva scartato l'ultima carta. È vero, le rimanevano solo tre carte! Ha perso. Deve pagare la scommessa.
«Non ci posso credere...come hai fatto?»
«Dai su, stavo scherzando. Ti lascio quella barba ancora per un po'. Andiamo a riposarci»
«Assolutamente no! Una scommessa va sempre pagata. Non potrei mai permettermi di lasciarla in sospeso!»
«Ma sì dai, lascia stare. Era solo per divertirci un pochino. Non voglio che tu lo faccia davvero. Poi come fai con Alberto?» dice la donna ridendo.
«Troverò un modo...»
 
La mattina successiva l'uomo si sveglia presto per radersi prima che la moglie si svegli. Vuole sorprenderla.
«Caro, dove sei?»
«Vieni giù a vedere, sono sull'atrio»
La donna scende le scale a passi lenti per capire cosa il marito volesse e...vede l'uomo senza nemmeno un filo di barba!
La donna è felice e stupita allo stesso tempo e si affianca al marito a osservare la città davanti a loro.
«Spero di non dover rifare la patente però!»
Dice lui con atteggiamento orgoglioso e con una punta di timidezza per il cambiamento. La donna non riesce a trattenersi e scoppia in una risata fragorosa.
«Alla fine ti ho battuto eh?»


GIRONE A – ELABORATO NUMERO 5

Arthur e Olivia

“È incredibile Arthur, una volta non sarebbe andata a finire così!”
Disse lei sbellicandosi dalle risate.
“La fai facile come sempre. D'altronde, il lavoro sporco è sempre toccato a me.”
Rispose lui accennando un sorriso.
Lei si allungò per abbracciarlo e per dargli un bacio sulla guancia. Lui venne avvolto dal profumo del pane che Olivia quel giorno aveva preparato, le prese il viso tra le mani e fissandola dritto negli occhi esclamò: “Ora abbiamo un grosso problema!” Olivia riscoppiò a ridere: “Non ti preoccupare, dopo a casa risolvo tutto.” - aggiunse. Poi si girò e si avviò verso casa.
Arthur si diresse nella casina degli attrezzi, prese dello spago, tornò nella stalla e ricominciò a sbrigare le faccende che ogni giorno svolgeva dall’alba all’imbrunire. Ad un tratto sì fermò, ripensò alle parole di Olivia. Ora, nella sua testa, quel giorno risuonava diversamente dagli altri. Uscì dalla stalla e si guardò intorno.
Il suo umore ondeggiava come una parabola di emozioni che lo trascinava indietro e poi di nuovo lì, in mezzo alla sua terra.
Alzò lo sguardo e osservò il cielo che stava cambiando aspetto. Le nuvole minacciavano il sole che fino a quel momento aveva scaldato la sua anima. Un tuono, il silenzio e il rumore della pioggia.
Arthur rimase lì, immobile, a godere di quell’acqua che gli sembrò una risposta del cielo, pronta a dargli una scrollata all’inquietudine e alla malinconia che lo stava attraversando.
Dai suoi occhi spuntò una lacrima, poi subito un’altra e alla fine pianse come non era riuscito a fare da 40 anni.
L’odore acre esalato dalla terra bagnata gli entrò nel naso quasi a stordirlo, lo riportò all’odore di cloro di quella maledetta corsia ospedaliera e al tanfo alcolico delle mani del medico quando, senza troppi giri di parole, lo informò che il loro piccolo non ce l’aveva fatta ma che Olivia si sarebbe ripresa presto.
Arthur stava finalmente scazzottando col suo dolore. Ci stava dentro: tra lacrime, pioggia e disperazione. Lo stava lasciando andare. Per la prima volta non si stava imponendo di dover inscenare la parvenza di quell’omone grosso e forte che aveva dovuto sostenere Olivia, rimasta bloccata nel loop di quella intollerabile contingenza che non le permise più di avere bambini e che, col tempo, divenne un’angoscia cronica e patologica che le fece perdere il senno e la ragione, rendendola la “piccola” di casa di cui Arthur si prendeva cura in modo esclusivo, avendo rinunciato alla sua carriera di ufficiale per amore.
Smise di piovere. Arthur, zuppo, rientrò a casa. Aprì la porta e un profumo di caffè caldo e di pane appena sfornato lo inondò. Olivia gli andò incontro porgendogli un asciugamano. Gli slacciò lo spago, gli sfilò i pantaloni e gli disse: “Ora risolviamo quel problema”. Arthur rimasto in mutande, si diresse verso la radio, l’accese e partì un valzer. Raggiunse Olivia che era seduta sulla poltrona pronta a rammendare i pantaloni, lasciò cadere l’asciugamano sul pavimento e le disse: “Prima riprendiamo quel ballo”.

 

GIRONE A – ELABORATO NUMERO 8

 Zia Ginetta

Mi risuonano ancora nella mente le fragorose sghignazzate di zia Ginetta. La battuta sempre pronta e mai la faccia imbronciata; ogni risata era una cascata di buonumore, così forte che il morbido ventre le traballava, mentre le braccia si abbandonavano molli, perpendicolari al corpo.
I capelli raccolti scoprivano le tenere rughe del volto.
Il marito Matteo, al suono di quella contagiosa allegria, gongolava di gioia. La felicità della moglie era la sua unica soddisfazione. Orgoglioso di lei, l’amava come il primo giorno. I loro sguardi erano amorevoli incontri di semplice e inconsapevole complicità.
Lavoravano come custodi nella fattoria dei Marchesi Visconti.
 
Mezzo secolo di vita insieme, sette gravidanze finite tutte in complicati aborti, l’ultimo dei quali aveva messo a serio rischio la vita della donna.
Nonostante questo patimento, zia Ginetta non aveva perso la gioia di guardare i bambini con stupore. Amava ognuno come fosse stato figlio proprio, accogliendoli sempre con piccole sorprese. Per noi, che l’adoravamo, era zia Gigiotta.
E non solo: in una notte di tempesta si improvvisò anche ostetrica, aiutando una giovane partoriente per la nascita dei gemelli Anita e Giorgio.
Era stata così brava tanto da meritarsi il titolo di ostetrica del villaggio. Venivano a chiamarla anche dalle contrade limitrofe.
Alle donne in attesa accarezzava con dolcezza la pancia …è una femmina, hai la pancia tondeggiante, oppure…la pancia è a punta, questo è maschio, diceva azzeccando sempre.
I pastori la burlavano chiedendo consulto per le pecore gravide e scommettere sul sesso dell’agnello in arrivo.
 
La vecchia radio, poggiata sulla credenza, suonava vecchie canzoni a cui zia Ginetta faceva eco come una tromba stonata, rimbombando in tutta la corte.
Nei pomeriggi assolati, all’ombra del salice piangente, riuniva tutte le altre donne per quattro chiacchiere e un caffè. Lei intratteneva, proprio come una teatrante di strada, con una mimica da vero pagliaccio, facendo sbellicare di risate le amiche.
 
Zia Ginetta, odorava di basilico e rosmarino che usava in tutte le minestre. Accessorio immancabile era il grembiule, in momenti commoventi le serviva per asciugare qualche lacrima, ma soprattutto le impediva di sporcare i suoi vestiti coloratissimi che mostravano le generose forme. Dalle tasche, come per magia, uscivano caramelle di ogni forma e colore per noi bambini.
 
All’imbrunire, il belare delle pecore in lontananza annunciava il ritorno del gregge e il rito aveva inizio, come ogni giorno.
Le donne attendevano sull’uscio i propri mariti con sorrisi e parole di accoglienza.
Il profumo del cibo preparato inebriava la corte e davanti alle proprie porte erano pronti i tavoli da apparecchiare. 
I pastori, sistemato il gregge, procedevano alla mungitura; trasferivano poi i secchi di latte nel piccolo caseificio, pronto per trasformarlo l’indomani in formaggio.
 
Dopo la cena, la serata finiva sempre in compagnia di tutti, tra risate, canti e racconti.
 
La vita è un giardino profumato, e noi siamo tutti fiori, concludeva con saggezza zia Ginetta.
 
Il ricordo di lei spesso mi conforta, riportandomi, fresco, il profuma di basilico e rosmarino.


E ORA VOTATE VOTATE VOTATE!
Si può votare fino 
alle ore 12 di giovedì 22 settembre 2022


Qui di seguito i 4 racconti che hanno passato il turno grazie al voto della giuria tecnica.

NON SONO SOGGETTI AL VOTO DEL PUBBLICO

GIRONE A – ELABORATO NUMERO 1

 L’ultimo esame

Il Professor Saverio Martinelli, ordinario di Diritto del Lavoro presso la facoltà di Giurisprudenza della sua città, l’aveva sempre affascinata anche se attorno a lui aleggiava la fama di docente estremamente rigoroso e non proclive all’indulgenza. A trentotto anni compiuti vantava già una cattedra di prestigio in quel rinomato Ateneo e liquidava a ogni sessione d’appello decine di studenti con “Mi dispiace, ci vediamo al prossimo appello. Si accomodi prego”. Tutti i ragazzi e le ragazze che passavano dalle sue grinfie, infatti, non riuscivano mai a superare l’esame prima del - come minimo - quinto o sesto colpo. Era una vera e propria tortura. Le domande erano insidiose e il docente si mostrava inflessibile, cinico e glaciale. Poi, però, tutti gli studenti riferivano che, immancabilmente, dopo aver inflitto una sequela di bocciature allo sventurato o sventurata di turno, il professore era solito corrugare la fronte, trarre molto rapidamente dalla tasca interna della giacca qualcosa, darvi uno sguardo, quindi riporre l’oggetto nel predetto alloggio e senza proferir parola regalare l’agognata promozione, vergando il voto sul libretto universitario. Nessuno, però, aveva mai capito perché il preclaro docente si comportasse così e soprattutto quale fosse la fonte che sembrava offrirgli ispirazione per rendere la tanto attesa valutazione.
Serena Lamorra aveva all’attivo ben dieci bocciature, praticamente un incubo. Avrebbe dovuto laurearsi il dodici settembre, se non avesse infatti superato quell’ultimo maledetto esame a luglio la discussione della tesi sarebbe sicuramente slittata intaccando l’anno accademico successivo. Arrabbiata e più che mai decisa a spuntarla, si sedette dinanzi al Martinelli. Interrogava da solo quella mattina. Non vi erano neppure quei damerini dei suoi assistenti. Le domande furono come sempre terribili. Serena rispose, però, a un certo punto si stizzì e ormai certa di venire respinta proruppe:

- E’ la decima volta che vengo Professore, devo cercare di laurearmi in tutti i modi nella prossima sessione. Sa, non posso proprio permettermi il lusso di chiedere ai miei di pagare ancora queste dannate tasse universitarie! -

A quelle parole il docente si irrigidì, poi trasse velocemente dal taschino interno della giacca l’oggetto misterioso, lo guardò e lo ripose immediatamente. Serena lo vide quindi scrivere a testa bassa il voto sul libretto. Così, incuriosita all’inverosimile esordì:

- Mi perdoni l’impertinenza, posso sapere che cosa consulta sempre prima di darci la valutazione? -

Il Martinelli rimase in silenzio a fissarla per qualche istante, poi si arrese dinanzi alla sfrontatezza della giovane. Trasse così dalla tasca una piccola foto in bianco e nero e la mostrò alla ragazza. Ritraeva due contadini, un uomo e una donna, entrambi sorridenti: lui nell’atto di sostenersi i calzoni, lei con le braccia abbandonate lungo il corpo ai lati di un grembiule sgualcito, con la testa reclinata all’indietro.

- Guardo questa: sono i miei nonni negli anni Cinquanta. Lavoravano sodo in campagna ed erano molto poveri. Mi aiuta a ricordare le mie origini e stempera la mia anelasticità di giudizio. Comunque si è meritata un bel trenta, complimenti. -

 

 GIRONE A – ELABORATO NUMERO 3

 L' imboscata

È il solito pomeriggio al tramonto. Nell'aia una gallina s'è rifugiata tra i novelli del tiglio, nonno Tata occhieggia seduto nel portico. Piegato in avanti nel completo scuro, fuma la pipa.
Maria è appena stata lì a fare la sceneggiata, i suoi fratelli indugiano ancora nei campi.
L'hanno cresciuta bene, Maria. Ecco, forse è diventata un po' troppo saccente. Quando ha un attimo di tempo si ritira nel suo mondo, parla coi libri – l'hanno vista un giorno – ma, nella vita reale, mica le manda a dire. Colpa di quella zia di città che le gira la sapienza, testi di famiglia consunti. Santo Dio, quelle pagine mettono in discussione anche il Padre Eterno! Una volta la figlia ha detto loro che il Curato non la conta giusta. Macché peccato e peccato, il Reverendo ha da fare contenti tutti, loro e il Padrone, ma è ora di farla finita con quel "metà e metà", dopo anni a sgobbare anche i mezzadri hanno dei diritti. Se si sposerà ne sceglierà uno sveglio, non uno dimesso come suo padre.
A parer di Luigina sarebbe ora che Vincenzo ci parlasse con quella loro figlia, ché sta un po' uscendo dalla Grazia di Dio. Ma per lui è solo una fase, poi passerà.

Giulio è una brava persona, un mammone con la passione per la caccia, gran lavoratore. Ragionamenti pochi ed elementari, figurarsi se può capire ciò che la loro figlia va dicendo. A scuola se l'è cavata solo perché ci andava un'ora prima, lo sanno tutti. Accendeva il fuoco nella stufa delle aule concesse dal Principe alle Istituzioni della neonata Repubblica, nel Castello.

Quando Maria è comparsa all’improvviso al loro cospetto ha detto che no, quello non si può proprio permettere di avvicinarsi per parlare, pure se loro lo vedono come un buon partito, che non tramino con la madre di lui. Poco prima il tipo si è tradito, e lei, ormai, ha capito il loro gioco.
Non ha neanche il coraggio di farsi avanti quando c'è in giro altra gente il grand’uomo, la raggiunge quando è sola, spara agli uccelli ma il vero tordo è lui.
Sono sotto alle pannocchie di grano appese a maturare, guardavano verso i campi, Luigina aveva appena finito di impastare, e Vincenzo dato da mangiare ai conigli, Maria gliel’ha giusto cantate tutte, e loro non sono riusciti nemmeno a rispondere.
Vincenzo non l’ha mai sentita così. Gli va di traverso la saliva e gli provoca un attacco di tosse, e il fiocco dello spago che usa come cintura si scioglie. Maledetto spago, eppure tiene così ben legate le balle di paglia.
Agguanta all'ultimo le braghe, prima di rimanere in mutande. Guarda stranito la sua creatura che se ne va veloce, così come era comparsa; per miracolo il cappello resta al suo posto.
Luigina non riesce a trattenere una grassa risata, abbandona le braccia e se la ride a occhi chiusi col cielo.
Nonno Tata si fa un'altra tirata.


GIRONE A – ELABORATO NUMERO 6

 Il momento di credere

(1943)

Quando esce nel cortile, sta per sorgere il sole: il gallo ha già cantato. Tempo prima, Beppe adorava quel momento. Quello in cui il giorno è una pagina bianca, piena di promesse. Quello in cui si può sognare, prima di immergersi nella realtà che la luce del mattino, impietosa, andrà rivelando. 
Con la guerra, però, tutto è cambiato. L’alba, cui vorrebbe impedire di squarciare la coltre notturna, gli fa paura. Con due figli al fronte da quasi quattro anni e un nipotino da crescere, ogni istante può portare brutte notizie. Solo al tramonto, ormai, si regala una breve pausa di pace.
Maria è già in cucina. Sua moglie è cambiata: nonostante Filippo allieti la casa con le energie dei suoi tre anni, pare più anziana di quanto sia realmente. La ricorda giovane e serena, quando la caricava sulla bicicletta traballante per tornare dal lavoro nei campi. Riusciva sempre a farla ridere. A volte, con la sua proverbiale goffaggine, anche senza volerlo. Ora è tesa e silenziosa, il capo chino, lo sguardo spento. Beppe darebbe qualunque cosa pur di ascoltare ancora la sua risata argentina, ma non sa più come fare.
Il rombo di un motore rompe il silenzio e il filo dei suoi pensieri: è il vecchio trattore di Giulio, che scoppietta in lontananza. Si intensifica man mano che si avvicina lungo la strada per il mulino, poi culmina in un gran botto e s’interrompe, sostituito da una serie di improperi.  
Il veicolo si è inchiodato davanti all’ingresso del suo cortile, senza volerne sapere di ripartire. Beppe passa un paio d’ore ad aiutare Giulio a smontare e ripulire le candele, sperando non ci siano guai grossi: i ricambi scarseggiano, i soldi pure. Nel frattempo il piccolo Filippo, accorso a controllare la novità, gli balzella intorno.
Quando finalmente il vecchio motore riprende a tossire rumorosamente, Giulio si offre di portare il bimbo a fare un giro fino al mulino, in cambio dell’aiuto. Filippo, entusiasta, cerca di arrampicarsi sul predellino, che è più alto di lui. Così Beppe lo issa sul grande parafango, vicino al posto di guida. Ma ha paura che cada e, per sicurezza, si sfila la cintura dai calzoni per assicurare il nipotino al piantone dello sterzo.
Maria esce sulla soglia, mentre il trattore si allontana adagio.
Quando il piccolo ormai distante si volta gioioso verso i nonni, entrambi alzano le braccia, agitandole sopra la testa in segno di saluto. E in quel momento i pantaloni di Beppe, liberi dalla cintura, gli scivolano giù, alle caviglie. 
Lei lo vede così, un attimo prima che si precipiti a tirar su le braghe: imbarazzato e stupito nei suoi mutandoni rammendati. Allora fa una cosa da tempo dimenticata.
Ride.
Prima timidamente, poi, lasciandosi andare, sempre più di gusto.
In quel momento involontariamente comico, con un bambino felice e con l’uomo della sua vita, senza un preciso perché, ci crede. Anzi, ne è certa. La guerra finirà, e i soldati torneranno a casa, vivi. 

 

 Rubare

La gente non avrebbe approvato, Cate lo sapeva bene. Era un piccolo borgo, il suo. Le sere d’inverno la nebbia era così bianca che il paese si cancellava dalle cartine geografiche, per poi ricomparirvi solo il giorno dopo, a mezzogiorno, quando la foschia era completamente diradata.

E perdipiù l’aveva rubato, quel momento. Al suo paese rubare era peccato assai più grave dell’uccidere.

Era stata una fortuna per Cate sorprenderli a ridere così, i suoi genitori, mentre rientrava a casa da un matrimonio con la macchina fotografica ancora al collo. Il perché di quella risata non l’avrebbe scoperto mai. E forse non aveva alcuna importanza.

Suo padre e sua madre erano contadini. Una volta dove sorgeva la loro casa c’era un bosco di aceri, ma la campagna si era mangiata via persino le ombre degli alberi. Cate non ricordava di aver mai visto i suoi genitori ridere, proprio mai, nemmeno da bambina. Forse lo facevano di nascosto, come fosse una vergogna.

Quella volta non erano riusciti a trattenersi. La risata era scoppiata, sotto il cappello grigio del padre. E i suoi occhi luccicavano, come dopo un lungo pianto.

La madre era sempre stata robusta. Amava gli abiti neri, a fantasia bianca. Anche quel giorno il suo vestito era così: era una nevicata al centro della notte. Il grembiale le si era un po’ sciolto in vita e le risa l’avevano fatta piegare all’indietro, come i girasoli, sollevandola da terra, nell’aria densa di sole e sudore.

Era stata una fortuna; questione di attimi, come in tutti gli scatti ben riusciti. L’anima è furba e fugge via quando ci si mette in posa. L’anima sbuca solo là, dove crede di non essere osservata.

Sì, era stato un attimo. Poi le labbra di suo padre erano tornate dritte e sua madre l’aveva fissata, gli occhi stretti e scuri: «Togliti quel peso dal collo e entra! C’è del minestrone in caldo.»

Mamma sapeva che Cate non toccava cibo nei matrimoni dove lavorava, nonostante le riservassero sempre un posto a tavola.

Di sera, nella camera oscura, Cate per prima cosa aveva visto emergere il bianco del grembiale della madre. Non era del tutto bianco, però. Il grembiale, sempre impeccabile, quella volta era macchiato di terra. Mamma non aveva fatto in tempo a cambiarsi. Da bambina Cate si nascondeva, sotto quel grembiale, da suo padre. Suo padre che non l’aveva mai picchiata; bastavano gli sguardi, e i silenzi.

La sagoma del cappello del padre era emersa dopo. E, solo alla fine, gli occhi.

La gente non avrebbe approvato, Cate lo sapeva bene. Era un piccolo borgo, il suo. Nemmeno i genitori avrebbero approvato.

Le foto dei morti non erano così. Erano composti, ben pettinati. Erano seri i morti, nelle foto. Al limite un sorriso. Al suo paese non ridevano mica così, i morti. Ma lei era la figlia e la decisione spettava a lei, solamente a lei.

Il padre e la madre non erano mai stati vivi come dentro a quella foto.

ATTENZIONE

Nella diretta di giovedì 22 settembre alle 21, nella Pagina Facebook di Edizioni Convalle, svelerò i nomi degli autori dei testi del GIRONE A (questo girone).

Complimenti a tutti i partecipanti! 

Il Masterbook prosegue e rimarrà un solo vincitore, ma ci saremo tutti divertiti condividendo la stessa passione:

SCRIVERE!



Alla prossima dalla vostra 

Stefania Convalle



 

 

 

 

 

 



 

60 commenti:

  1. Voto zia ginetta. Buon sapore di ricordi, bel finale anche se c'è un piccolo refuso. Complimenti.

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  2. Voto per il racconto " Le donne ne sanno una più del diavolo", poiché mi piace molto la complicità che l'autore ha fatto emergere tra i due personaggi. Tutto solo attraverso una partita a carte.

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  3. Io voto per elaborato n. 4 : Le donne ne sanno una più del diavolo! ... Era stato il mio preferito già ieri sera perché, per quanto tutti i racconti fossero molto belli, in questo più ho di tutti ho ritrovato la !foto !

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  4. Voto per l'elaborato numero 5: Arthur e Olivia. Mi emoziona molto, le parole si intrecciano in un immagine nella quale potersi identificare.

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  5. Voto Zia Ginetta, l'elaborato numero 8

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  6. Voto l'elaborato numero 8: Zia Ginetta

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  7. Voto per l'elaborato n. 2: "La felicità di spigolare le pannocchie di granoturco".

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  8. Elaborato nr. 2 - Ho rivisto i miei genitorii, stanchi al ritorno dalla campagna nel ritrovo sotto il porticato della nostra casa ringhiera. Quei fastidiosi materassi sui quali ho dormito... Io piccina seduta in cerchio con la famiglia fra montagne di pannocchie da 'sgusciare'. Complimenti. Rosy

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  9. Voto per il racconto n.2: La felicità di spigolare le pannocchie di granoturco.

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  10. Il mio voto va all'elaborazione n.5; Arturo e Olivia. Un bel racconto scritto bene.

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  11. voto l'elaborato n 4. Leggere il racconto mi mette allegria e un pizzico di malinconia: guardo la foto, leggo il racconto e mi sembra di rivedere i miei nonni

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  12. Belli tutti ma preferisco in n 4 le donne ne sanno sempre una più del diavolo. Scorrevole, e decisamente attinente al tema

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  13. Dei quattro preferisco il n.8 - zia Ginetta - che mi sembra attinente alla foto ed e' anche un'immagine positiva delle consuetudini dei nostri nonni .

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  14. Voto il n. 8 perché la figura di zia Ginetta mi piace molto e trovo il racconto attinente alla foto.

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  15. Voto “Zia Ginetta” per la poesia, il sapore particolare e la scrittura, pulita e originsle

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  16. Voto l'elaborato numero 4!

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  17. voto il n 4, ho concluso la lettura con un sorriso, complimenti. Bravi tutti

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  18. Voto zia Ginetta per le emozioni che mi ha suscitato

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  19. voto Zia Ginetta elaborato n.8 un racconto sinpatico ed emozionante,nel leggerlo sembra di sentire le risate e il profumo della dolce signora....

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  20. Voto per l’elaborato n.5. Stile fluido e ben scritto

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  21. Voto il racconto nr. 8 .. perché mi ha fatto sentire il profumo di basilico e rosmarino della Zia .. complimenti all’autore!!

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  22. Voto per l’elaborato n.5 , lettura fluida e coinvolgente, la complicità tra Olivia e Arthur davvero tenera e simpatica.
    Complimenti anche a tutti gli altri scritti, non è stato semplice sceglierne solo uno.

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  23. Voto zia Ginetta.
    Mi piace tanto il ruolo di quel grembiule che copre il dolore di un grembo di gravidanze mai giunte a termine.
    A volte ci asciuga le lacrime altre,invece,conserva nelle tasche caramelle per la gioia dei bambini.
    Bravi tutti

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  24. Voto il racconto numero 5
    Ho letto il racconto
    Ho ritrovato nel leggerlo i valori di una volta
    Cosa difficile trovare al giorno d’oggi
    Penso che tutti vorremmo avere a fianco persone come Arthur o Olivia

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  25. Voto per il racconto numero 5. Ho molto apprezzato in particolare il momento in cui la pioggia scatena in lui il ricordo del trauma. È qualcosa che si realizza solamente quando si vive certe emozioni.

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  26. Voto per il racconto numero 5.

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  27. Complimenti a tutti ma il racconto di zia Gigetta mi ricorda nonna Grazia, la sua saggezza e la forza di sorridere nonostante le tante sue sofferenze

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  28. Voto il racconto N. 8
    Il sapore dei ricordi.... La voglia di vivere di questa donna che nonostante la sofferenza era grata e sorrideva alla vita donando agli atri la sua positività, dolcezza e altruismo. Complimenti alla scrittrice! Attraverso le sue parole riaffiora quasi il profumo di basilico e rosmarino di questa zia meravigliosa.

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  29. Voto Zia Ginetta.
    Bello rivivere alcuni ricordi. La descrizione di questa donna è davvero magico

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  30. io voto per il racconto ZIA GINETTA: profuma di vita e di cuore

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  31. Io voto per l'elaborato num 5. Ho trovato questo breve racconto leggero e profondo allo stesso tempo, miscela la riflessione con il sorriso.

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  32. Io voto per il racconto numero 4. Dalla diretta è stato quello che più mi è piaciuto.

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  33. voto il numero 4, nel racconto rivedo la foto. Adoro la tecnica utilizzata. Top

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  34. Scelgo l’elaborato numero 5: “Arthur e Olivia” perché, secondo me, è un racconto in grado di toccare tematiche dolorose in maniera lieve e, allo stesso tempo, commovente. Mi piace il modo in cui si compenetrano i paesaggi e le emozioni dei due protagonisti.

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  35. Voto zia Ginetta perché ha creato l'atmosfera reale di un racconto vissuto e mai scordato.

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  36. Voto il numero 5 "Arthur e Olivia", tenero e profondo...

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  37. Ho letto i racconti e li ho trovati tutti piacevoli, ma voto l’elaborato numero 5 “Arthur e Olivia” perché si lega all’immagine in modo sorprendente e originale.

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  38. Voto il nr. 8. Profuma di ricordi d'infanzia che fanno bene al cuore

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  39. Voto elaborato 2 La felicità di spigolare le pannocchie di granoturco. Mi ha emozionato

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  40. Voto il n. 8. Un racconto piacevole.

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  41. Voto il racconto n.8 “zia Ginetta”. Piacevole lettura

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  42. Voto il racconto n.8 "Zia Ginetta". Un tuffo nei ricordi della vita semplice e genuina dei nostri nonni.

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  43. Voto il n. 8. Un racconto ricco di poesia, che pure nella durezza di una vita fatta di stenti, si assapora il gusto del bel vivere. In alcuni passaggi, nella mia mente, le immagini hanno sostituito le parole, donando all'insieme un ulteriore magia
    Complimenti all'autore!

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  44. Voto il racconto n. 8, zia Ginetta, perché la scrittura rievoca perfettamente profumi, ricordi e tempi ormai perduti.

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  45. Voto il n.8, zia Ginetta , la descrizione delle emozioni e dei profumi mi piace molto

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  46. Voto il n.8 Zia Ginetta, "La vita è un giardino profumato"......

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  47. Voto n.8, zia Ginetta, un racconto piacevole che stimola l'immaginazione.

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  48. Mi è piaciuto molto Arthur e Olivia, do il mio voto a questo racconto che mi ha incuriosito fino alla fine, facendomi provare emozioni diverse ma vere.
    Crepuscolare.
    Grazie 🙏!

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  49. voto elaborato n.5
    perchè e' stato l'unico che mi ha fatto domadare
    'e poi che succede'?

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  50. Voto "L'imboscata" perché mi riporta indietro nel tempo, ai ricordi della mia infanzia.

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