Una strana estate, quella che stiamo vivendo. Il Covid ha scombussolato tutto e viviamo in un'atmosfera sospesa. Credo che questo dipinto di Nigel van Wieck, pittore definito da alcuni l'Hopper del XXI secolo, rappresenti il momento psicologico attuale di molti di noi. La postura della ragazza, i pensieri che evoca, ciò che la circonda.
E siccome penso che la scrittura sia sempre un ottimo antidoto contro la paura, ansie varie, preoccupazioni, proviamo a scrivere un breve racconto (massimo 600 parole) ispirandoci a questo quadro.
Insomma, anche se è un'estate singolare, non ho voluto farvi mancare il consueto appuntamento del gioco estivo con le parole.
Come si partecipa?
Inviando il proprio racconto in allegato formato word.doc a steficonvalle@gmail.com e io lo posterò nel Blog, in questo numero.
Condizioni per partecipare:
1) Mettere il LIKE alla Pagina di Edizioni Convalle su Facebook.
2) Essere lettori delle opere di Edizioni Convalle, aver letto almeno una delle nostre opere. Se non l'avete fatto, per partecipare è necessario acquistarne almeno una, tra l'altro c'è un'offerta per tutto il mese che vi consente di avere uno sconto del 15% sul prezzo di copertina su qualsiasi opera, a patto che si ordini scrivendo a edizioniconvalle@gmail.com
Nella mail che invierete per partecipare, oltre ad allegare il vostro racconto ispirato al dipinto, dovrete anche segnalare le opere lette di Edizioni Convalle; per coloro che risulteranno i lettori più attivi di questa casa editrice, ci sarà una piccola sorpresa.
La giuria
Sceglierò, insieme a due consiglieri esperti in materia, tre opere che risulteranno le più meritevoli.
Cosa si vince?
Scriverò una nota critica per ognuna di loro, con eventuali consigli di scrittura, in qualità di Writer Coach.
Quando termina questo gioco?
Il 31 Agosto, in concomitanza con l'offerta su tutte le opere.
Non resta che accendere il pc e scrivere il racconto, giusto? :-)
Vi aspetto,
Stefania Convalle
IL NUOVO INIZIO
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di
Wilma Coero Borga
Delusa la mente si aggira in un
groviglio di pensieri, per scoprire di che cosa non mi sono mai accorta davvero.
Ricordo la dolce emozione del tuo
primo bacio, la casa dei tuoi, in cui, come una principessa, in uno spiraglio
di romanticismo, in ginocchio, mi hai chiesto di sposarti, stringendo delle
stupende rose rosse, anche se in verità, desideravi il consenso per iniziare a
frequentarmi. Ingannata da quella prima tenerezza che mi ha fatto sentire unica
e importante, per un attimo, ho creduto di essere in Paradiso.
I mesi scorrevano e, nonostante le
nuvole passeggere, mi convincevo che saresti stato per sempre.
Mi sono spesso interrogata sul
significato dei tuoi silenzi che invece, ad ascoltar bene, raccontavano più di
mille parole. Ho conosciuto la freddezza dei sentimenti, il gelo delle
risposte, che ti rendevano sordo a causa del tuo orgoglio e della saccente
unicità dei tuoi pensieri a totale senso unico.
Sei stato una fiamma che non dà
calore, mani che sfiorano ma non abbracciano e sottintesi mai pronunciati.
Mi hai stremata sino a condurmi a
dubitare di me stessa e dell’amore. Io sbagliavo, tu mai. Ma dietro le parole
non dette, dietro i sentimenti non rivelati, dietro lo sguardo senza scintilla,
dietro l’egoismo più cieco, si celava il vero te, la realtà che non volevo
vedere e in cui mi hai fatto sentire di troppo, perché gli impegni e gli
obbiettivi da raggiungere, sono sempre stati più importanti.
«Pretendi attenzioni che non ti
posso dare» mi hai detto, buttando alle ortiche la nostra relazione, che ti
costava fatica e impegno, perché nella tua scala di valori, era marginale.
Un angolino non mi basta. Uno
spiraglio di tempo non è amore.
Ho pianto sino a star male ma, il
tuo passatempo si è svegliato e non si confonde più col resto delle
suppellettili. Mi è chiaro che non hai mai apprezzato la sostanza, perché ti
gratifica l’apparenza che, con gli anni, lascia il vuoto dietro di sé, quello
che tu hai dentro.
Sei transitato sul mio cammino per
un breve tratto, affinché possa capire qual è il vero amore. Ho imparato a non
nascondere i sentimenti e li ho amplificati per colmare le tue mancanze. Le
parole contano perché sono come chiodi piantati su un legno e dai gesti comprendi
chi vibra alla tua stessa frequenza.
Per amarti ho smesso di volermi
bene, però mi rialzo dal torpore e dallo sbigottimento che mi è giunto come una
sberla inattesa. Non mi interessa farti capire ancora dove sbagli e sbaglierai,
perché non vivi più dentro di me.
Ti lascio andare come un treno
perso che rincorrevo senza fiato, come il vento che è appena passato e imbocco
la strada del nuovo inizio. Siamo due rette che non si incontrano, due regioni
che non confinano. Ora so che la mia anima è lontana anni luce dalla tua, perciò
sollevo il capo e mi dirigo gioiosa tra i colori della mia nuova esistenza.
Grazie a Wilma per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere una nostra lettrice.
Opere lette da Wilma:
"Anime Antiche" di Stefania Convalle
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L’ASSENZA
di
Alessandra D'Angella
Il tragitto del ritorno ha, nella
percezione del viaggiatore, una durata decisamente più breve del suo percorso
fatto all’inverso. Tornare non è come andare, significa aver acquisito una
consapevolezza in più su quella che è la propria esistenza, un bagaglio di
esperienze su cui poter fare un bilancio, positivo o negativo che sia, poco
importa.
Ammesso che si sappia dove tornare.
E Tea questo non lo sapeva davvero.
Certo, sapeva che la sua casa era
lì, al piano attico di via Fiume 23, sapeva che se avesse infilato le chiavi
che giacevano sul fondo della sua borsetta nella toppa della porta, questa si
sarebbe aperta per lasciare spazio a uno spaccato domestico impeccabilmente acchittato
nel quale ormai da anni si svolgeva la sua invidiabile routine fatta di
apparenze, ma che da tempo sembrava non appartenerle più; sapeva che, data
l’ora, sul divano del salotto – quello di pelle bianca che aveva acquistato in
uno di quei momenti in cui a prendere il sopravvento era la sua tendenza
psicotica allo shopping compulsivo, solo perché lo aveva visto su quella
rivista di case da mille e una notte che collezionava perché si
confaceva a una signora del suo status – ci avrebbe trovato Guido, che si era
appisolato davanti al televisore acceso, aspettandola, come ogni sera.
Come poteva guardarlo negli occhi
dopo quello che era successo? Avrebbe tanto voluto fingere che tutto ciò non
fosse accaduto, ma era accaduto eccome e non c’era verso di riportare indietro le
lancette del tempo, né lei lo avrebbe voluto.
A ogni modo in quella casa non
voleva più tornare, non era più in condizione di affrontare la sua vita
sgualcita in quella camera a gas con le pareti rivestite di carte fiorate, che
sembravano urlare a chiunque varcasse la soglia che lì c’era felicità da
vendere, che ogni cosa occupava esattamente il suo posto e che tutto andava per
il verso giusto, quando di fatto non era così.
Non ne poteva più di fingere che
tra lei e Guido le cose fossero perfette, senza grinze, così come pensavano
tutti; gli amici, i colleghi al lavoro, la domestica filippina – anche questa
si confaceva al gradino sociale di alto-borghese cui si fregiava di appartenere
– e persino sua madre, donna incapace di provare sentimenti autentici, che
continuava a ripeterle che il suo matrimonio con il tributarista più quotato della
città l’aveva elevata: da semplice attricetta di provincia che si ostinava a inseguire il sogno di
poter vivere della sua arte, era diventata una donna raffinata e invidiata;
l’aveva resa ricca, talmente ricca da poter avere tutto ciò che desiderava,
senza dover dare nulla in cambio, solo interpretare il ruolo della moglie
perfetta, capace di restare nell’ombra e camminare sempre mezzo passo più
indietro di quel grande uomo d’affari che era suo marito. Questo, secondo sua
madre, le aveva consentito di ipotecare il suo avvenire, come se il futuro
fosse un contabile con cui fare calcoli.
Accasciata sul sedile di quel
vagone desolato del metrò alla sua ultima corsa notturna, i pensieri di Tea erano
scanditi dallo stridulo e assordante fragorìo delle ruote che strisciavano sui
binari; ma per quanto si sforzasse di raccogliere le idee e di prendere una decisione
sul da farsi, era il senso di vuoto ad avere la meglio, il senso di vuoto che
accompagna la rinuncia, che rallenta il tempo, che ovatta lo spazio circostante,
rendendo cedevole l’equilibrio.
A prevalere era l’assenza, quella
mancanza di contatto umano essenziale che l’uomo definisce convenzionalmente
solitudine, l’abbandono volontario, e pur non voluto, di quanto portava in
grembo.
Grazie ad Alessandra per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere una nostra lettrice.
Opere lette da Alessandra:
"Scrivere" di Stefania Convalle
e di prossima lettura
"Scrivere" di Stefania Convalle
e di prossima lettura
"Anime Antiche" di Stefania Convalle
"I tunnel di Oxilla" di Silvana Da Roit
"I tunnel di Oxilla" di Silvana Da Roit
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ABISSO
di
Maria Rita Sanna
Mi guardo i piedi, e vedo l’abisso.
Penso a lui come un elemento o un alimento di cui non potrei fare a meno. Non
vedo altro che i miei pensieri tumultuosi rotolare giù. Le responsabilità sono
divenute colpe, i successi per la buona riuscita degli impegni si sono
trasformati in cose inutili. Tutto ha perso significato.
Oggi
un Dio non ho, così cita una canzone, mi rimbalza in testa da quando mi
sono svegliata. Sì, Dio oggi non esiste, per me. Eh... Lui può mandarmi il Bene sotto forma di cuori tra il verde delle piante o la fredda
terra, tanto non gli credo se poi percepisco movimenti alle spalle; mi guardo
intorno e tutto è fermo. Quindi dietro di me c’è il Male? Fa i dispetti con le allucinazioni.
Qualche giorno fa ho trovato un
gattino davanti a casa, piccolo e con la rogna. Me ne sono presa cura, il pelo
si sta rinfoltendo. Ho pensato fosse il Bene,
venuto a guarire anche me. Invece mi ritrovo punto e a capo con i pensieri
negativi. Il Male si sta divertendo
alle mie spalle.
La
tua legge qui non rispetterò. Oggi un Dio non ho.
No, non rispetterò nessuna legge
del Bene senza un piccolo grazie, non
splenderà nessun sole finché avrò il buio nella testa. Se ci fosse vento e si
scatenasse una tempesta sarebbe più semplice gridare per la rabbia, invece è
arrivato il Male a farmi compagnia
durante questa afa estiva, silenziosa e ferma. No, negli abissi miei non ti cercherò, non saprei più come fare.
Mentre cado giù trovo appigli,
difficili sporgenze per le mie dita ormai stanche. Quei piccoli uncini sembrano
il Bene, offerta speciale per un
prodotto in scadenza. Sembrano confermare quell’ultima invocazione della
canzone, Madonna madre mia non andar via
che io morirò. Il vortice risucchia l’anima, è così facile lasciarsi
andare. Mi guardo i piedi e vedo l’abisso.
Ne ho paura.
Grazie a Maria Rita per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere una nostra lettrice, cosa apprezzatissima ancora di più in quanto Autrice di questa CE.
Opere lette da Maria Rita:
praticamente TUTTE.
praticamente TUTTE.
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I PENSIERI NON VIAGGIANO DA SOLI
di
Costanza Trotti con A. B.
Mi chiedi di raccontare insieme la
storia di una grande prova.
Sedute accanto a lei, ci precipitiamo a raccogliere la penna
scivolata dalle mani tremanti.
Tante le cose fatte da quelle mani
sapienti! Hanno intrecciato relazioni, hanno amalgamato i sapori della nostra terra,
hanno accarezzato i dolori di altri cuori, hanno legato fili spezzati, hanno
impastato farina e lacrime, hanno stretto i valori della famiglia, hanno
vibrato in alto all’unisono con le brezze dell’infinito.
La penna riprende vita, consigli
scritti, ricette, raccomandazioni di madre e pensieri profondi, ciò che resta
del fiato sottile di una voce che parla ai sogni.
Cerchiamo di tessere le trame della
speranza, parola dopo parola senza stancarci, non può l’angoscia cancellare
l’arco prezioso dell’alba e del tramonto di una vita.
E così raccogliamo cocci di
memoria, scriviamo pagine di un diario a quattro mani, senza seguire un ordine
preciso.
Il vento soffia sul balcone della
vecchia palazzina a ridosso della strada principale che collega le scuole al
grande giardino. Gli alberi ondeggiano solenni, la pianta affacciata alla ringhiera
scuote le foglie, il profumo di basilico
riempie l’aria e la mano stretta in un pugno. Il pranzo è pronto, pasta al
pomodoro nei piatti, le parole sono annidate nelle fessure dei muri come le
voci dei ricordi nei pensieri.
Ora parlano solo gli occhi, non
riusciamo a capirti e dondoli sconsolata la testa.
Un canto a fil di voce nel soffio
caldo di scirocco anima lo sguardo assente, le mani immobili si uniscono alle
nostre, si levano verso il cielo, Salve Regina
Madre di misericordia. Preghiere scorrono tra le dita come grani di rosario, il
barlume di un momento felice, il desiderio di continuare e noi non smettiamo,
ci stringiamo ancora, pure l’Angelo Custode sorride, c’è anche Lui nel
girotondo di anime.
La stanza è piena di te, la sedia
che ormai non lasci più è il trono dei tuoi giorni. Le note intonate da Rosina
ti accendono il cuore, Con te partirò di Bocelli e la mano si fissa lì,
all’incrocio dei sogni.
Indichi la dieci dita, i segni
prendono il posto delle parole, mamma che vuoi dire, dieci minuti, no no fai cenni
con le mani, devo fare qualcosa alle dieci, ancora no, mamma scrivi, così
capiamo.
Subito quaderno e penna in azione,
prendi dieci euro dal comò per la piccola Giulia.
La mano tesa, il tuo regalo troppo
grande per una bambina spaventata.
Sto Lasciando Amore, ecco
nell’acronimo del male oscuro il tuo messaggio.
La mano tesa al mondo. Sto
Lasciando Amore.
Il giorno si spegne all’orizzonte
come un occhio che, al sopraggiungere della notte, abbassa le palpebre.
Occhi di figlia fissi nella
meraviglia dell’universo, un vibrare di luci e sfumature di arancio e indaco
sembrano dire: ciò che si muove attraverso l’alito di vento è vita.
E della vita di una madre scorrono
senza freni le parole non dette.
Tenacia, istinto di sopravvivenza,
la volontà di restare a galla quando ogni cosa, giorno dopo giorno, ti porta a
fondo, ti toglie tutto, la forza, la dignità e l’intelligenza di una donna nata
negli anni trenta del secolo scorso, poco più che analfabeta, che ha parlato di
libertà anche quando sembrava servile e asservita.
Hai profuso amore e ogni sospiro
d’amore seppelliva il dolore custodito dentro, ti sei mostrata in tutta la tua
fragilità, perché tu sai più di qualsiasi aforisma di psicologia che siamo
fragili, che tutti noi abbiamo un punto di rottura e da un momento all’altro
possiamo infrangerci.
Hai condiviso con tutti, hai usato
sempre le tue mani per tenerti ad altre mani in una catena di condivisione.
Riposate le vostre notti
il silenzio placa il pianto,
tintinnio di cuori rotti
intona al cielo il canto.
E una nenia da lontano
culla i sogni dalla stella,
una madre tende la mano
sorridete la vita è bella.
Grazie a Costanza per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere una nostra lettrice.
Opere lette da Costanza:
tutte quelle di Stefania Convalle, Tania Mignani, Fortunata Barilaro, Riccardo Simoncini, Veronica Rocca, Michele Fierro.
Opere lette da Costanza:
tutte quelle di Stefania Convalle, Tania Mignani, Fortunata Barilaro, Riccardo Simoncini, Veronica Rocca, Michele Fierro.
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L'ATTESA
di
Tania Mignani
Nell’attesa ti immagino, seduta
scomposta nel vagone della metropolitana. Indossi il corto kimono che ti portai
dal mio viaggio a Tokyo. La seta purissima ti accarezza la pelle nuda, è il
nostro gioco. Non appena arriverai allenterai la sottile cintura che ti stringe
la vita e lascerai scivolare sulle spalle abbronzate il variopinto indumento
che cadrà ai tuoi piedi. E rimarrai così, di fronte a me, con i lunghi capelli
castani che ti coprono il viso nascondendo a malapena il tuo sorriso malizioso,
coperta solo dalle piccolissime mutandine di pizzo nero. Mi racconterai degli
sguardi lascivi che ti ha lanciato l’uomo seduto di fronte a te in
metropolitana mentre, con fare pensieroso, te ne stavi seduta come una bambina
sciatta e discola, con le gambe divaricate e le punte dei piedi che si
guardano.
È il nostro gioco preferito,
immaginare gli sguardi degli altri uomini su di te, come se ce ne fosse
bisogno, come se non bastasse il tuo profumo, i capelli che ti lambiscono le
spalle, la morbidezza della tua pelle, il suono della tua risata a farti
desiderare ogni giorno di più.
Nell’attesa immagino i nostri corpi
abbracciati, rotolare sul letto o immersi nella vasca da bagno, la stanchezza
che ti coglie dopo l’amore e il fumo della sigaretta che si leva dal comodino.
Allungherò il braccio e ti porgerò
il piccolo astuccio di velluto blu. Tu solleverai le palpebre quasi addormentate
chiedendo: e questo, cos’è? Lo aprirai, già immaginando cosa contiene e, in
quell’istante, io ti chiederò di sposarmi. Tu mi abbraccerai e i tuoi occhi,
ormai completamente svegli, si riempiranno di lacrime. Ti terrò stretta a me
convinto che da quel momento non uscirai più sola dalla mia casa, che non
percorrerai più il tragitto in metropolitana per raggiungermi. Da quel momento
saremo sempre insieme, io e te.
E così, nell’attesa, ti immagino.
Ti immagino scendere dal vagone
della metropolitana seguita dagli sguardi di quell’uomo.
Salire di corsa le scale e
riemergere sul marciapiede sorridente, anche tu immaginando il momento in cui
varcherai la soglia di casa mia e allenterai la cintura del kimono che ti
regalai in occasione del mio ultimo viaggio a Tokyo.
Allungare il passo, impaziente di
percorrere gli ultimi metri che ti separano da casa mia.
Nell’attesa immagino il tuo sorriso
mentre pensi a cosa inventerai da lì a pochi minuti, quando mi racconterai di
come sedevi scomposta nella metropolitana e dello sguardo lascivo di quell’uomo
seduto di fronte a te. Ti immagino sovrappensiero, attraversare la strada e poi
girarti sorpresa, mentre i tuoi lunghi capelli castani volano nell’aria quasi a
rallentatore, i fari dell’autobus vicini, troppo vicini, ti abbagliano e il tuo
sorriso, quel sorriso meraviglioso, fermo per sempre.
Nell’attesa, ti immagino.
Da vent’anni.
Vent’anni che ti aspetto con un
piccolo astuccio di velluto blu ormai pieno di polvere, solo, in questo
appartamento che non raggiungesti mai.
Grazie a Tania per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere una nostra lettrice, cosa apprezzatissima ancora di più in quanto Autrice di questa CE.
Opere lette da Tania:
praticamente TUTTE.
praticamente TUTTE.
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NON TI VEDEVO
di
Giulia Landini
Eppure mi guardavi ma io non ti
vedevo.
Osservavi disinteressato,
un’occhiata appena accennata, nascosta da battiti di ciglia.
Stavo persa nei riflessi di quello
che sarebbe stato l’ultimo giorno, senza forse apprezzarlo a pieno.
L’ufficio appena lasciato, la
scrivania carica di scartoffie che mi avrebbero aspettato l’indomani, la voglia
frenetica di chiudere tutto e andare via.
Ovviamente non sapevo che quello
sarebbe stato proprio l’ultimo, magari l’avrei vissuto diversamente; la verità
è che non pensiamo mai alla fine, finché un giorno questa arriva e ci
ritroviamo dentro.
Non sapevo che proprio quel volto, rimasto
nella mente, si sarebbe ripetuto all’infinito dentro di me.
Avido, immenso, dopo quell’incontro
si sarebbe preso tutto: ogni momento, ricordo, giorno.
Non avevo mai riflettuto su come
fosse andarsene, sull’ultima volta delle cose, mi muovevo nella vita come
un’immortale, di gran carriera, assaporando tutto, ma il destino e tu in
particolare, avevate altri piani per me.
Che strana geografia hanno gli
incontri, salivo sulla metro per tornare a casa e ci siamo sfiorati, credo che
l’avessi scelto, da buon predatore. Mi avevi toccata appena, sfiorandomi di
sfuggita la spalla, così che io mi girassi e ricordassi di te dopo,
nell’eternità.
Mi sono seduta a gambe larghe in un
posto in fondo, disinibita e un po’ sguaiata nell’afa dell’estate, mi dondolavo
strisciando i piedi stretti nelle ballerine nere, quelle scarpe basse tanto
belle che avevo comprato a Roma l’anno scorso e pensavo al bucato, alla cena; quanto
ero chiusa in quella routine che si scandiva ripetitiva da anni e che forse non
amavo.
Tra la gente c’era lui, con un
fiato pesante sulla mia spalla attendeva il momento per agire silenzioso,
paziente, malato.
Credo che mi seguisse da giorni,
forse ore, non lo saprò mai, so solo che non avevo capito quanto mi cercasse
tra le persone e bramasse il nostro momento.
Delle fermate della metro abitavo a
un chilometro a piedi dalla penultima, quindi finito il lungo tratto di
quaranta minuti seduta, mi avrebbe aspettato un altro quarto d’ora di passo
svelto fino a casa, stretta nella mia borsetta.
Quella sera avevo fatto tardi a
lavoro e mi ero convinta che se avessi continuato così, mi avrebbe privato di
tutto.
Lo sapeva Lui che avrei sbagliato
fermata? Se lo sentiva? L’aveva calcolato?
La metro continuò la sua corsa e io
persi la mia uscita, ridestata subito dall’errore e lievemente in preda al
panico mi accorsi che avrei allungato molto la mia passeggiata, o dovuto
attendere la metro di ritorno.
L’abitacolo era vuoto, tranne per
quell’uomo con quella giacca verde chiaro, che stava seduto qualche posto
dietro di me.
Scendemmo insieme e notò la mia
difficoltà, avessi solo saputo che l’aveva scorta e che rapido aveva già deciso
di approfittarne, sarei stata meno ingenua.
Presi la decisione di tornare a
piedi, anzi no, di non tornare mai più, fu come se in una gara col destino avessi
scelto la morte senza saperlo.
Fu rapace, sensuale e letale come
un vampiro, arrivò da dietro e mi strinse una corda intorno al collo, lo sentii
gemere di piacere mentre espiravo via la vita e soffocavo, intorno a quella
fermata c’era solo il parco, me e quell’uomo.
Avevo quarantatré anni e nemmeno
una buona ragione per morire, non lo conoscevo, ma mi aveva scelta; chissà se
per colpa dei capelli biondi, degli occhi chiari, della velatura rosea delle
mie guance, o magari per il corpo sinuoso di donna.
Morii così, con l’illusione cattiva
che la responsabilità fosse mia e non sua.
Grazie a Giulia per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere una nostra lettrice.
Opere lette da Giulia:
ben 24 opere! Non scrivo i titoli altrimenti viene fuori un altro racconto :-D
ben 24 opere! Non scrivo i titoli altrimenti viene fuori un altro racconto :-D
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di
Claudia Gabrieli
Da tempo non sorrideva più, difficile
dire da quanto, forse settimane o mesi. La verità era che non ricordava quando fosse stato il suo ultimo momento felice.
Era scappata da Milano senza sapere
dove andare, fuggire era stata l’unica soluzione che le era venuta in mente; ormai
aveva toccato il fondo sia dal punto di vista lavorativo che emotivo. Aveva
lasciato il suo posto di assistente sociale e si era decisa a partire. La
sensazione di angoscia era talmente opprimente che le sembrava di non avere
aria sufficiente nei polmoni per far battere il cuore, sempre che ne possedesse
ancora uno. Il suo era finito in pezzi settimane prima quando si era resa conto
di non aver mantenuto le promesse fatte a un bambino che le aveva dato fiducia.
Appena arrivata alla casa mobile
dei nonni aveva avvertito un’iniziale sensazione di gioia, forse per i ricordi
dell’infanzia o forse per il fatto di essere tornata lì, poi la realtà aveva preso
il sopravvento.
Affranta, col viso fra le mani,
seduta scomposta nel carrozzone, le tornarono alla mente alcune immagini orribili
delle settimane precedenti.
L’arrivo improvviso della nonna riuscì
a distrarla. Vestiva un abito a fiori e un grande cappello, era davvero una
donna singolare tanto che Francy si trovò a pensare che se non avesse tolto il
cappello e liberato la chioma, pochi avrebbero riconosciuto Madame Cherie, colei
che un tempo, durante le fiere itineranti, aveva predetto il destino di molti.
«Tuo cugino Paolo ha bisogno di
aiuto e tu devi distrarti; nelle tue vene scorre sangue gitano, da ragazza
avevi la capacità di ipnotizzare e volevi farlo» disse la nonna
«Già, ho studiato ipnoterapia,
alcuni terapeuti la utilizzano per aiutare i pazienti.»
Un velo di tristezza la colse, i
suoi pazienti erano bambini che gli venivano assegnati dai servizi sociali e avevano
gravi problemi da risolvere.
Con la nonna c’era poco da discutere,
sapeva che avrebbe dovuto aiutare Paolo negli spettacoli durante i tour estivi. Mansione stabilita: ipnotizzatrice.
Francy viaggiava da settimane e
ormai si era abituata a quel lavoro, divenuto lo spettacolo più redditizio
della fiera.
Quell’uomo dallo sguardo magnetico
la fissava con insistenza; lei avrebbe dovuto ipnotizzarlo e farlo parlare, eppure…
Eppure erano quegli occhi a incatenare i suoi, Francy avvertì lunghi brividi
percorrerle la schiena. Non le era mai capitato, parlavano a toni bassi e il
pubblico assisteva silenzioso allo spettacolo. Al termine della serata se lo
trovò alle spalle.
«Vorrei conoscerti, non ricordo bene
cosa ho detto durante l’ipnosi, ma probabilmente una dichiarazione d’amore devo
averla fatta, sai, mi interessi molto, vorrei conoscerti, frequentarti.»
«Non sai nulla di me, meglio se
mi lasci perdere, non posso coinvolgerti nei miei problemi.»
Senza rendersene conto iniziò a
raccontare del suo lavoro di assistente sociale, del dolore per non essere
riuscita a salvare un bambino al quale aveva promesso che non sarebbe più
tornato dai genitori che lo maltrattavano. Il Tribunale, nonostante verbali, fotografie,
lastre delle fratture, aveva riaffidato Marco ai genitori perché erano riusciti
a dimostrare di aver smesso di drogarsi e di bere. Il giudice aveva ritenuto
inviolabile il valore della famiglia e, senza tener conto della sua testimonianza,
aveva permesso ai genitori di riportarlo a casa. Il corpo del piccolo, dopo poche
settimane, era stato ritrovato senza vita nell’auto della madre.
Lei aveva
fallito, non era riuscita a salvare quel bimbo innocente.
«Francy, io ho un figlio piccolo,
sono vedovo.»
«Dopo quel che è successo non credo
di essere in grado di star vicino a dei bambini, ancor meno avere figli.»
Lo sguardo sincero dell’uomo
trasmetteva sicurezza.
Forse doveva fidarsi, riprovare a vivere.
Grazie a Claudia per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere una nostra lettrice.
Opere lette da Claudia:
un numero incredibile, praticamente quasi tutte, 41 opere! E' quasi una collezionista delle opere di Edizioni Convalle. TOP!
un numero incredibile, praticamente quasi tutte, 41 opere! E' quasi una collezionista delle opere di Edizioni Convalle. TOP!
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NIENTE COME DI PESCE ANDATO A MALE
di
Riccardo Simoncini
E adesso?
E adesso niente.
È un niente strano, che non sa di
vuoto assoluto, ma soltanto di pesce andato a male. Puzza. È un niente che in
realtà è qualcosa. Qualcosa di brutto. È un retrogusto rancido, come quello che
ti resta in fondo alla gola dopo che hai vomitato anche l'anima.
L'ho aspettato. L’ho aspettato
tutta la sera e l'ho aspettato anche tutta la notte.
Verrò, mi aveva detto. L'amore sei tu.
E allora deve avere rinunciato
all'amore e deve aver deciso di tenersi quella comodità che aveva accanto.
L'amore in fondo è scomodo. È
appuntito. Non ti fa mai rilassare del tutto.
O forse la colpa non è dell'amore
ma del nostro amore, che è stato sbagliato, che voleva essere a tutti i costi.
C'era già lei, io lo sapevo. E nonostante questo ho creduto di poterlo avere,
di poterla battere, di poter vincere questa battaglia impari.
Ogni giorno ho dovuto assopirmi
sugli spigoli dei suoi racconti. Ogni giorno ho dovuto massaggiare i calli
dell'umore martoriato dalla gelosia. Gelosia di che, poi? Del sentire sua madre
che gli parlava di lei? E perché avrebbe dovuto fare altrimenti? Non sa neanche
della mia esistenza. Lui mi ama, ha detto. Ma al suo fianco ha lei, tutti
vedono lei, tutti sanno di lei. Io non esisto, se non nelle nostre notti di
luna e nelle lettere d'amore che mi scrive.
Esisto in un mondo che è solo mio e
suo e di cui nessuno sa nulla.
Mi aveva convinto. E forse lo era
anche lui.
Aspettami, mi ha
detto. Stasera la vedo, le parlo,
la lascio e poi vengo da te da uomo nuovo, libero, tuo.
Io me lo ricordo ancora quel tuo.
Sebbene abbia sempre dovuto prendere con le pinze tutto quello che, in buona
fede o meno, mi ha detto, a quella parola ci ho creduto. Era morbida, comoda.
Come un cuscino. È stato un assaggio di ciò che dovrebbe essere l'amore.
Ma ha vinto lei. Lui non è venuto.
Non ha chiamato, non ha scritto. Non è venuto. Magari adesso stanno facendo
l'amore e io mi ritrovo le frecce acuminate di questa ossessione conficcate in
ogni parte sensibile del mio essere. Ha vinto lei. E a me non resta che
prenderne atto.
Mi aveva dato degli indizi. Mai una
parola su di me. Con nessuno. Neppure col suo migliore amico. Non riusciva a
parlarne, diceva. E io rimanevo sospesa nel niente di un rapporto solo nostro
che confondevo con tutto.
Perché per me lui è tutto.
Mi basta.
Mi è bastato sempre.
E non mi accorgevo che lasciavo
tutto. Tutto, per muovermi verso di lui. Adesso dovrò parlare con la mia, di
mamma. Dirle che non c'è più. Perché non ho fatto come lui. Io con mamma ci ho
parlato. Ho parlato con le mie amiche e con quasi tutte le persone alle quali
tengo, sognando di presentarglielo, di mostrarmi orgogliosa al suo fianco.
Ha vinto anche lui. Non dovrà
cancellarmi da nulla se non da se stesso. Mentre a me toccherà spiegare,
raccontare, affrontarlo ancora negli occhi ammonitori di chi mi diceva te
l'avevo detto.
E torno nel niente.
E torno sola.
Senza di lui.
Che magari l'ha lasciata e stava
correndo da me quando ha avuto un incidente. Forse è in ospedale. Magari è
morto. E io non ho nessuno che possa avvertirmi, nessuno che mi telefonerà,
perché nessuno sa di me.
E resterò con la convinzione che
stiano facendo l'amore.
Questo è niente.
Questo è essere niente.
Credere di avere tutto, sapere
tutto, sentire tutto tra le braccia di un amore che non è mai stato mio se non
per noi due e basta. Che se ne va e non avrà bisogno di dire niente a nessuno.
Neppure a te.
Questo è niente.
Un niente che non è proprio niente,
ma è più puzza di pesce andato a male.
Grazie a Riccardo per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere un nostro lettore, cosa apprezzatissima ancora di più in quanto Autore di questa CE.
Opere lette da Riccardo:
praticamente (quasi) TUTTE. Ben 33 titoli in suo possesso! Super.
praticamente (quasi) TUTTE. Ben 33 titoli in suo possesso! Super.
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SALA D'ATTESA
di
Tiziana Mazza
Sola,
seduta in questa sala d’attesa vip della stazione centrale, ripasso in rassegna
tutta la mia vita. Faccio una sorta di bilancio, come quando in ufficio mi
chiedevano di valutare i pro e i contro delle eventuali scelte aziendali.
Da
una parte metto tutto quello che sono riuscita a ottenere nella mia seppur
ancora giovane vita: laurea in economia e commercio con centodieci e lode,
rapida gavetta in un prestigioso studio di commercialisti e conseguente
raggiungimento di una posizione di potere come associata del suddetto studio. Sull’altro
piatto della bilancia le “piccole” rinunce che ho dovuto fare per centrare
l’obiettivo: abbandonare la passione per la pittura, che razza di sbocco mi avrebbe offerto? Mi sarei ridotta a fare la
barbona dipingendo ritratti ai turisti per le strade di un’affollata metropoli;
rinunciare all’amore per Riccardo, non sapeva accontentarsi degli scampoli del
tempo che potevo dedicargli; posporre all’infinito il progetto di maternità, in fondo chi l’ha detto che una donna per
realizzarsi debba diventare madre? Di sicuro un uomo.
Nella
mia mente visualizzo la bilancia e il piatto delle “piccole” rinunce pende a
dismisura. Non mi capacito del perché, non mi ero mai soffermata a ragionare.
Anni e anni a stilare bilanci per gli altri e non ho mai fatto quello della mia
vita. Certo è perché sono ancora giovane, ho solo quarantacinque anni, non è
ancora tempo di tirare le somme, mi dico. E allora, perché mi sento così sola?
Cosa significa questo senso di insoddisfazione che mi assale giorno dopo
giorno? Ho già raggiunto la fase di menopausa con i famosi scompensi ormonali?
Non io. Non ho tempo per stupidi sentimentalismi, non ho bisogno di nessuno,
io. Ho già tutto quello che mi interessa dalla vita, io.
Nel
silenzio della sala d’attesa mi giunge il suono di un guaito, alzo lo sguardo
dal pavimento e vedo due occhioni dolci che mi osservano. La mia mano si muove
da sola senza aspettare il comando del cervello e corre ad accarezzare il
morbido manto peloso del cucciolo di Labrador. Sembra gradire, scodinzola e mi
lecca la mano. Il mio primo istinto è quello di ritrarla, la lingua è ruvida e
bavosa, ma non ci riesco: quel contatto diventa all’improvviso necessario, non
so rinunciarci. Siamo così simili lui e io: due anime sole, bisognose
d’affetto.
Il
cuore, quello strano muscolo che si era anestetizzato, mi grida di portarlo a
casa. La ragiona sussurra: ma sei matta? Lo
sai che tutte le mattine e le sere lo dovrai portare fuori a fare i suoi
bisogni, dove trovi il tempo?
Di
nuovo il cuore: ma vuoi mettere quando torni a casa nel tuo squallido asettico
appartamento e trovi Batuffolo ad
accoglierti? La mente, a mia insaputa, gli ha già trovato un nome, mentre mi
mostra di nuovo la bilancia in equilibrio instabile.
Il
cuore ingaggia una battaglia all’ultimo sangue con la ragione, poi
all’improvviso, come in un film, entra in campo il cucciolo peloso e il piatto
della bilancia su cui si accoccola tocca subito terra.
La
sala d’attesa si riempie di gente, tutti dotati di ventiquattrore e tablet, in
procinto di partecipare a qualche riunione di lavoro dall’altra parte dello
Stivale.
D’istinto
mi alzo e, senza smettere di accarezzare il mio nuovo amico, gli dico: «Vieni,
Batuffolo, andiamo a casa, è tempo per me di farti un ritratto.»
Grazie a Tiziana per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere una nostra lettrice, cosa apprezzatissima ancora di più in quanto Autore di questa CE.
Opere lette da Tiziana:
praticamente TUTTE. Alcune addirittura prima di essere pubblicate, in quanto parte del team che mi aiuta a selezionare le opere! Super.
praticamente TUTTE. Alcune addirittura prima di essere pubblicate, in quanto parte del team che mi aiuta a selezionare le opere! Super.
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L’ULTIMA CORSA
di
Alessandra Nobile
Donata soleva prendere sempre le
ultime corse della sera. Specialmente d’estate, non le piaceva mescolarsi alla
folla accaldata del giorno e sentire ancor più forte il senso di vuoto e
inesistenza che, ormai, facevano parte di lei. Scendeva leggera le scale che
conducevano alla metropolitana, ma sulle spalle aveva il peso del mondo, o
piuttosto di una vita: la sua.
Era sempre sprovvista di biglietto, d’altra parte il biglietto non le serviva; anche senza varcava
senza alcun problema il tornello d’entrata. Meglio sarebbe dire che passava,
con tutto il suo corpo, attraverso il tornello chiuso. Con il suo corpo che,
ormai da anni, non era più un corpo. Era visibile solo a lei, esisteva solo per
lei.
Andava sempre a sedersi nello
stesso posto, nel vagone di coda. Sempre lo stesso posto, da quel giorno, che
era stato l’ultimo giorno della sua estate. Faceva ogni volta lo stesso
tragitto e scendeva ogni volta alla stessa fermata. Ricordava tutto di quei momenti
che avevano preceduto il punto di non ritorno, nella sua esistenza.
Si era vestita e truccata con cura.
Aveva indossato quell’abito raffinato, dai colori vivaci, dal taglio orientale.
Quell’abito che aveva amato fin dall’inizio, da quando lo aveva visto
scintillare in una vetrina elegante del centro di Milano. Se l’era messo per la
cena aziendale. Sapeva che a quella cena ci sarebbe stato “lui” e Donata aveva
sperato, inutilmente. E invece nemmeno
un rifiuto da parte di “lui”. C’era stato qualcosa di peggiore del rifiuto.
C’era stata l’indifferenza. E il gelo dell’indifferenza aveva scavato ancor più
dentro Donata, là dove, già da molto tempo, un dolore sordo stava scavando, in
lei. Lei che aveva sempre vissuto appesa agli sguardi altrui, come fossero
stampelle, senza accorgersi che stampelle non erano, ma trampoli sospesi
nell’aria.
Quella sera, dopo la cena
aziendale, aveva detto di no a un passaggio in auto da parte delle sue colleghe.
Era corsa giù per le scale della metropolitana, lontano da loro e da quella
serata, verso le luci anonime della stazione. Aveva preso il treno per casa, ma
poi, guidata da un istinto ancora indecifrabile... la decisione di fermarsi prima.
E di scendere a quella fermata, quella dove ogni sera continuava a dirigersi, da
allora. Lì, all’arrivo dell’ultimo treno, superata la linea gialla di sicurezza
quasi con un passo di danza, aveva volteggiato fin laggiù, nell’assordante
oscurità dei binari. Per un attimo si era sentita leggera, si era sentita
finalmente libera, libera dal peso del dolore, libera da quel corpo che la inchiodava
a terra, condannandola alla malinconia. Quel corpo reale che ora tanto le
mancava. Nessuno, in ufficio o nella sua cerchia di amicizie, si era spiegato
il perché di quel gesto. Nessuno la conosceva davvero fino in fondo o, meglio,
a nessuno lei aveva mai concesso di conoscerla fino in fondo. Solo agli amori
impossibili e alle amicizie superficiali lei si era concessa. Si era concessa
in quel modo, per non rischiare di concedersi mai, a nessuno.
Così, ogni sera, Donata
ripercorreva quel tragitto incompiuto, il tragitto interrotto della sua vita. Lo
ripercorreva in quel corpo che non era più un corpo. Lei, che aveva vissuto appesa
agli sguardi degli altri, ora non poteva più esser vista da nessuno. Adesso sì,
finalmente, poteva toccare con mano la sua inesistenza, non quella attuale, ma quella
passata. Poteva toccare con mano che non si era mai concessa di esistere per
davvero, di esistere per sé stessa e di amare qualcuno che fosse nelle
condizioni di ricambiare il suo amore.
E davanti ai binari, ogni sera, superava
nuovamente la linea proibita. Gettava uno sguardo nel vuoto, dove aveva
volteggiato anni prima. S’inebriava di quel vuoto, pensando a tutto ciò che si
era illusa contenesse.
Non era finito un bel niente. Tutto doveva, per sempre,
ricominciare.
Grazie ad Alessandra per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere una nostra lettrice.
Opere lette da Alessandra:
"Madri Illuse" di Silvia La Chiusa
... e speriamo che la lista si allunghi!
"Madri Illuse" di Silvia La Chiusa
... e speriamo che la lista si allunghi!
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E ADESSO…?
di
Stefano Buzzi
Non ho avuto neanche la forza e la
voglia di cambiarmi, tanta è la preoccupazione che mi porto a casa dopo questa
giornata al mare che francamente era meglio evitare.
Ma è più forte di me.
Non riesco a pensare ai miei
bambini nelle mani del loro padre per più di due giorni, figurarsi se potevo
resistere sapendoli con lui per una settimana intera in Romagna. Così
stamattina, in barba agli accordi presi con Marco ho preso il treno e sono
scesa a controllare che tutto andasse per il meglio.
Ciao mamma! Che bello che sei qui
anche tu! Mi hanno detto i miei angeli vedendomi arrivare in spiaggia, mentre
lui, invece, mi ha fulminato con gli occhi. Devo dargliene atto: anche questa
volta nessuna scenata davanti ai bambini, anzi mi ha salutata con una finta
gentilezza e li ha invitati a corrermi incontro per abbracciarmi.
Non è giusto che i bambini paghino
il conto dei nostri errori, lo sappiamo entrambi.
Ci abbiamo provato, più di una
volta abbiamo rimesso insieme i cocci del vaso rotto, ma un restauro non ha mai
la magia e la forza dell’opera originale, e noi in passato siamo stati una di
quelle opere da considerarsi patrimonio dell’umanità.
Poi l’ho tradito.
In un momento di fragilità in cui
sentivo l’universo darmi contro, sono salita sull’astronave delle bugie, guidata
dal ragazzo che sta all’ultimo piano del palazzo dove abita mia mamma. Giorni e
momenti in cui ho riscoperto la Via Lattea e quanto può spingere oltre il
desiderio di sentirsi nuovamente giovane, desiderata e riempita di attenzioni.
Oltre. Fino a rovinare tutto.
Fino a rovinare la vita intera.
E ora sono qui, di ritorno da una
giornata al mare, con indosso ancora il costume che mi lascia una sensazione di
umido sulla pelle.
Non erano questi gli accordi, mi
ha detto Marco non appena i piccoli si sono estraniati, alle prese con una
galleria nella sabbia per farci correre dentro le biglie.
Ha tremendamente ragione.
Non dovevo farlo.
Ma la mia storia mi sta dimostrando
che sono una campionessa delle cose da non fare.
Non dovevo fare esplodere la nostra
famiglia.
Non dovevo andarmene via di casa.
Non dovevo fare questa visita a
sorpresa oggi.
Perché Marco, questa improvvisata, se
l’è legata al dito, e ora ho paura che possa farmi la guerra per l’affidamento
dei miei bambini: l’unico appiglio solare che mi è rimasto in questa vita tutta
sbagliata e piena di nuvole.
Non l’ha detto, ma me l’ha fatto
capire con i suoi occhi.
O forse è solo una paranoia mia,
figlia del senso di colpa per non aver rispettato i patti. Figlia del pensiero
straziante di un futuro senza le mie due pesti che riempiono di gioia il mio
quotidiano.
Una settimana di vacanza con i suoi
figli è addirittura nulla se penso al male che gli ho fatto e a come lui ha
reagito senza mai farmi soffrire.
Un atteggiamento conciliante che mi
ha fatto sentire ancora più vile, fino a spingermi ad andarmene di casa,
lasciando che restasse lui a godere di quel bell'appartamento che abbiamo
costruito con l’amore.
Pensavo fosse una giusta ricompensa.
Non per lui, ma per me, per
alleviare il senso di colpa.
E invece no.
Ha lasciato anche che io tenessi i
bambini senza rimostranze e poi…
Poi mi ha chiesto di non esistere
più. Non esistere più come donna nella sua vita, ma essere solo la madre dei
suoi amati bambini.
Ruolo che, da stupida, ho preso anche
troppo alla lettera, stamattina.
Rovinando tutto.
E adesso…?
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IL PESO DELL’ESISTENZA
di
Giuliana Degl’Innocenti
È curioso come nei momenti più
impensati, magari mentre sei immersa nel traffico assordante dell’ora di punta
a bordo di un autobus strapieno, la tua mente riesca a mettere a fuoco in un
istante interi stati d’animo che hanno contraddistinto la tua vita. In una
frazione di secondo il tuo cervello è capace di attingere dal campo della
memoria disseppellendo immagini, voci, profumi che credevi di avere
definitivamente affidato alla terra dell’oblio e invece eccoli là: saltano
fuori tutti all’improvviso e subito riassapori lo specifico sentimento con il
quale hai vissuto quei momenti. È tutto lì e si distende dinanzi alla tua
psiche, chiaro e presente, pronto a condurti verso la tua vita passata che
riemerge con un nitore strabiliante.
Mentre una sconosciuta ti urta con
una borsa ingombrante per sistemarsi nel posto accanto e il tuo stomaco è
assalito da uno spasmo di nausea dovuto al rollio del mezzo, la tua mente si
trova, al contrario, pervicacemente ancorata al ricordo della tua prima lezione
universitaria, nel lontano millenovecentonovantaquattro, la quale segnò il
limite tra le acque sicure e inconsapevoli della giovinezza e quelle tempestose
ma coscienti dell’età adulta. E ti ritorna alla memoria quell’amore inespresso
che tanto sconvolse la tua anima ma che ti permise di sopportare il peso
dell’esistenza di quegli anni di studio arido e fitto, gli innumerevoli
disturbi di salute, i pensieri angosciosi, via via le perdite degli affetti più
cari, guidandoti con tocco soave sino all’età matura.
E così ti accorgi che tutto ciò che
hai vissuto non va mai perso, ogni singola emozione che hai provato, ogni
persona che hai incontrato con la quale hai condiviso qualcosa, ogni
accadimento che ti è capitato è subito pronto a riemergere per ricordati chi
sei, il cammino che hai percorso, spronandoti a portare a termine il viaggio che
hai iniziato molti o pochi anni fa, imparando da ogni esperienza che hai
sperimentato.
Insomma, per via di un idiota a
bordo di uno scooter che ha tagliato la strada al pullman, l’autista ha
inchiodato e sono rovinata completamente addosso al tipo seduto davanti a me:
speriamo non abbia il virus.
Ecco.
Grazie a Giuliana per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere una nostra lettrice, cosa apprezzatissima ancora di più in quanto Autore di questa CE.
Opere lette da Giuliana:
"Anime Antiche" di Stefania Convalle.
"Antologia 2019"
"Antologia 2020"
"Anime Antiche" di Stefania Convalle.
"Antologia 2019"
"Antologia 2020"
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SUBWAY
di
Valter Manunza
A un certo punto
ho dovuto correre. La giornata ha perso tutte le ombre all’improvviso. I grattacieli della Quinta Strada non riflettono più e
una pioggia fine, gentile e non invadente, schiaccia i colori dell’autunno
caduti dagli alberi di Central Park.
All’altezza del
Rockfeller sono sceso per la metro diretto a Soho. Ho aspettato la gialla, la
55.
Mi sono seduto
accanto a una giovane coppia, lui ha un bambino nel marsupio che gli tira la
barba e ride. Lei lo guarda con il viso stanco mentre una mano felice gli
accarezza la schiena.
Alla fine del buio
si aprono le porte, entrano gli odori e gli annunci. Entra la musica di
un sax che suona un ragazzo di colore coi capelli rasta, sulla piattaforma. Nella custodia, poggiata in terra, qualche dollaro.
Madison Square.
Un uomo con l’abito grigio, brizzolato,
azzimato, seduto curvo sul suo portatile è chiuso nella sua bolla. Entra un
ragazzo alto con le braccia sottili sotto la canottiera rossa dei Knicks,
sistema le cuffie nelle orecchie, dondola la testa a ritmo. Ha gli occhi
chiusi.
Un bambino in
fondo al vagone piange. Lo guardo, gli faccio le facce e lui mi risponde con
occhiate furtive mentre si aggrappa alla gamba della madre nascondendosi.
Il buio scorre veloce.
Una donna elegante si guarda riflessa nel
vetro, stretta nel suo impermeabile. Su una spalla tiene una borsa grigia col
nome stampato di una palestra di Time Square. Un vecchio legge il giornale con
gli occhi a fessura.
Si aprono le luci
al neon. Un mondo si rovescia fuori. Un mondo entra. Si incrociano
indifferenti.
Union Square.
Una donna grida, al collo ha appeso un
cartello che annuncia che tutto sta per finire e che ti devi svegliare. Tre
giapponesi di porcellana, in piedi la guardano fissa. Due ragazzi si parlano e
ridono. Hanno gli zaini e gli skate sotto braccio, i pantaloni molto larghi e
le felpe, hanno le guance arrossate e i denti bianchi. I capelli sulle spalle.
Una coppia litiga,
seduta di fronte a me. Lei gli toglie il cellulare dalle mani, lui nella sua
t-shirt nera, stretta sul collo che gli guizza, la prende per un braccio e la
scuote nel suo vestito rosso e blu. Gridano.
Lei piange.
Ancora la fine del
buio. Gli umori che entrano. Gli umori che escono. I rumori di fondo.
Greenwich.
L’uomo che grida esce col suo cellulare. La
donna che piange rimane.
Soho.
Non esco. Continuo a girare e a guardare le
schiene che vanno e le facce che vengono. Esistenze che corrono e scorrono.
La donna che piange rimane. Il vestito
rosso e blu è stropicciato e sottile. Si tiene i capelli neri con la mano
perché non le cadano sugli occhi. Le gambe piegate sulle ballerine delicate.
Il buio e la luce.
Gli odori, le voci, gli occhi che insistono, le mani che sfiorano.
Ho perso il senso del tempo che è andato
veloce.
Le porte si
aprono, il ragazzo di colore è ancora lì e i capelli rasta suonano il sax,
solo qualche dollaro in più nella custodia.
Mi alzo per
uscire.
La ragazza che piange rimane. Gli porgo un
fazzoletto di carta. Lo guarda esitante e mi guarda. Lo prende con la mano
leggera e sorride.
Esco e riemergo.
La pioggia è finita.
I grattacieli riflettono l’autunno e i colori.
Grazie a Valter per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere un nostro lettore.
Opere lette da Valter:
"Anime Antiche" di Stefania Convalle.
"Il canto dell'allodola" di Veronica Rocca
"Antologia 2020"
"Anime Antiche" di Stefania Convalle.
"Il canto dell'allodola" di Veronica Rocca
"Antologia 2020"
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RITORNARE
di
Alessandra Parabelli
Diciotto agosto,
salgo sulla 94. Milano deserta, lontana dalla frenesia che ricordavo. Il tram è
vuoto, cosa mi aspetto con questo caldo, mi siedo, fuori dal finestrino
piazzale Dateo, sulla mappa neo canta Calcutta. È una città dai mille volti. Il
pensiero ritorna lì, sempre lì. Penso a quando sei venuto a Milano, anni ’50.
Città in piena evoluzione, realtà diversa da quella che immaginavi, seppur
difficile ambientarsi pensi possa darti un’opportunità, sicuramente ti offre
più del piccolo paese da cui vieni. Lavori sodo, pensi ma chi me lo ha fatto
fare, si lavora tanto in queste fabbriche, è il prezzo da pagare se vuoi vivere
da solo in città e costruire qualcosa.
Impari a conoscere
Milano come le tue tasche, ogni singola strada e via, sai andare ovunque ormai,
carichi e scarichi, consegni, e non torneresti indietro. E l’affetto? Quello ti
manca, eccome se ti manca. La famiglia. Pensi che non sei il primogenito e ti è
toccato lasciare tutto, così hanno voluto. Hanno scelto gli altri per te, ti
senti l’ultima ruota del carro per questo. Solitudine, lo zio ti ospita e ti
vuole bene ma non è come tuo papà. Non lavori e basta, ti diverti anche,
frequenti le sale da ballo e ti innamori. È proprio questo il bello. È la
persona giusta? Sì, lo è. Chissà dove hai imparato a giocare a carte, in questi
bar? Sei un campione, vinci medaglie e persino coppe.
Un via vai di
pensieri mi riempie la mente, un misto di introspezione e sentimento, il
passato continua a prevalere sul presente... un contenitore di ricordi questo tram
di Milano. Scendo, anzi no, rimango su e continuo a sognare il giorno in cui ci
rivedremo, agli occhi di me nipote sarai sempre tu a ritornare.
Grazie ad Alessandra per aver partecipato, di aver messo il LIKE alla Pagina Edizioni Convalle su Facebook e di essere una nostra lettrice.
Opere lette da Alessandra:
"Come biglia in equilibrio precario" di Riccardo Simoncini
"Come biglia in equilibrio precario" di Riccardo Simoncini
Ma quante belle storie può suscitare un'immagine? Grazie Stefania Convalle per gli stimoli che ci proponi. I miei complimenti a tutti i partecipanti��
RispondiEliminaMa quante belle storie può suscitare un'immagine? Grazie Stefania Convalle per gli stimoli che ci proponi. I miei complimenti a tutti i partecipanti😊
RispondiEliminaMa quante belle storie può suscitare un'immagine? Grazie Stefania Convalle per gli stimoli che ci proponi. I miei complimenti a tutti i partecipanti😊
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