di
Michele Fierro
«Agli ordini, commissario. La
attendiamo in loco.»
Chiuse la comunicazione radio con
il sovrintendente Di Stefano e parcheggiò l’auto di servizio davanti
all’ingresso dell’albergo.
Il commissario Melis aveva
ascoltato la voce gracchiante del piantone della centrale operativa, pochi
minuti prima, e aveva così saputo che c’era stato uno scontro a fuoco nel quale
era stata ferita gravemente una donna.
Aveva deciso che avrebbe raggiunto
i suoi uomini dopo aver provato a raccogliere informazioni per l’indagine sul
pestaggio che aveva subito il padre di Patrizia. Aveva scoperto che sua sorella
Lara aveva trovato impiego in quell’albergo e sperava di poter ricavare qualche
indizio prezioso che potesse illuminare il buio pesto nel quale stava vagando.
Soltanto dopo avrebbe raggiunto le
pattuglie che aveva mandato sul luogo del ferimento di quella donna. Dopotutto
era un tentativo, il suo, nel quale non riponeva grandi speranze ed era certo
che ci avrebbe impiegato solo pochi minuti.
Scese dall’auto e attraversò
l’ingresso dell’hotel. Si avvicinò al banco della reception infilando
contemporaneamente la mano nella tasca interna della giacca, per estrarre il
distintivo della Polizia.
Stava per aprire bocca e
presentarsi, quando il suo occhio allenato colse un lampo dalla vista
periferica che non poteva sfuggirgli. Quella cicatrice l’avrebbe riconosciuta
in mezzo a mille altri volti e quello sguardo spento, quel disincanto per la
vita, non lo avrebbe mai dimenticato.
Svetlana capì che l’uomo l’aveva
riconosciuta e cominciò a maledire la mala sorte e il destino che le stavano
giocando l’ennesimo brutto scherzo. Aveva dovuto aspettare che tutte le sue
colleghe andassero via, prima di uscire da lì, per non essere vista mentre
recuperava i suoi soldi che teneva nascosti al sicuro nell’armadietto dello
spogliatoio.
La ragazza distolse lo sguardo e
voltò il capo dritto davanti a sé, cercando di non dare nell’occhio, ma la sua
tattica disperata non funzionò.
Il commissario ricacciò in fretta
il distintivo nella giacca e, farfugliando poche indefinibili parole di scuse
al portiere, tornò a grandi passi verso la porta di ingresso che la donna aveva appena superato.
Appena fuori in strada, vide la
ragazza già parecchio distante che, quasi correndo, cercava di seminarlo. Non
fu difficile per lui raggiungerla e, quando fu a portata di braccio, la afferrò
per una spalla e la costrinse a fermarsi.
«Dove credi di andare?»
«Il più lontano possibile da te e
da tutti voi.” Ripose Svetlana, restando con gli occhi puntati a terra.
«Proprio come un anno fa. Non
cambierai mai, vero?”
La donna ricordò la casa di
recupero in cui l’avevano tenuta al sicuro, dopo la retata che le aveva
fruttato la cicatrice che portava sul viso. In quel posto l’avevano protetta
per il tempo che le era stato necessario a guarire.
Ma gli sguardi delle altre ragazze,
le loro storie tristi e le speranze che morivano, giorno dopo giorno, rimanendo
nascoste come topi nella fogna, dopo un po’ erano diventate insopportabili.
Fuggì da quel posto per poi ricascare tra le braccia dei suoi aguzzini, così
come stava fuggendo anche quello stesso giorno.
Fuggire, sempre fuggire, in
continuazione fuggire. Era stanca di tutta quella storia.
«Sei venuto per parlare con Lara,
vero?»
«Non proprio. Volevo sapere se
c’erano stati strani movimenti negli ultimi giorni, qui in albergo. Non credevo
di incontrarti qui.»
«Ci lavoro solo da pochi giorni.
Comunque io non ho visto nessuno, se proprio vuoi saperlo.»
Melis guardò la ragazza, indeciso
se crederle o meno. C’era qualcosa nei suoi occhi che sembrava voler emergere
dalla solita luce piatta che ricordava.
Svetlana era indecisa. Continuare a
tenere gli occhi bassi e provare a riprendere il suo cammino nell’ombra,
strisciando lungo i muri, o liberarsi del peso che si trascinava da sempre e
provare a fidarsi di qualcuno. Sentiva che la seconda ipotesi era l’unica
strada possibile, ormai. Quell’ultimo anno le aveva insegnato che da certi
fantasmi non ci si libera e non ci sarebbe stato alcun posto al mondo nel quale
sarebbe riuscita a sentirsi davvero sicura.
Alzò il capo e guardò l’uomo dritto
negli occhi. Si accorse soltanto in quel momento di quanto fosse giovane. Forse
anche bello, ma quella era una parola della quale aveva smarrito il significato
da troppo tempo. Aprì la bocca per parlare e, mentre lo faceva, le sembrò quasi
che non fosse la sua voce, quella che stava ascoltando.
«Io so che “lui” è qui a Torino.»
Non aggiunse altro, ma al
commissario non servivano altre parole. Aveva già capito, o almeno era quello
di cui era convinto, finché la donna non continuò.
«Avevo già deciso di andare via di
qui, mi sono fermata a raccogliere le mie cose. Questo posto è diventato
pericoloso per me dopo che hanno riempito di botte il padre di Patrizia.»
Melis ci mise un po’ a capire che
l’uomo di cui stava parlando Svetlana, il suo vecchio aguzzino che l’aveva
messa a lavorare in strada, forse aveva anche a che fare con la droga e i guai
in cui si era cacciata Lara.
«Cosa sai del padre di Patrizia?»
«Quello che mi basta per non
rischiare di finire all’obitorio. Ho conosciuto Lara in albergo e mi ha parlato
di una sorella scomparsa un anno fa e di quello che hanno fatto a suo padre. Io
ho fatto solo uno più uno.»
Gli occhi della donna ritornarono
spietati e cinici mentre pronunciava quelle parole.
«Alcune mie amiche mi hanno
avvisato di quello che “lui” ha fatto fare a quel vecchio e lo hanno sentito
parlare di questo albergo. Lo conosco, prima o poi verrà a cercare Lara.»
«Quindi non è mai stato qui.»
«Qui no, per ora. Ma è in città e
ha trovato Patrizia, anche lei è qui. Le mie amiche mi hanno avvisata che è
andato a cercarla per “farla fuori”.»
Il commissario ebbe un brivido
mentre pensava alla donna a cui avevano sparato pochi minuti prima, ma pensò che
non poteva essere. Patrizia era lontana chilometri da lì.
«E tu dove pensavi di andare?»
«Non lo so ancora. Ovunque, pur che
sia dalla parte opposta del mondo rispetto a dove sta “lui”.»
«Già, come se fosse facile sapere
dove si trovi.»
«Poliziotto, forse sarà difficile
per te, ma non per me. Io so dov’è.»
Melis sbiancò in viso nel sentire
le parole della ragazza. Quella donna era preziosa come acqua nel deserto. Era
deciso a non lasciarsela più scappare, a non lasciar scappare le informazioni
che aveva e a non perdere quella bella luce che cercava di liberarsi dai suoi
occhi.
Le prese la mano dolcemente e lei
si lasciò trascinare fino alla sua auto.
L’uomo doveva
scoprire un bel po’ di cose ed era deciso a farlo insieme a quella donna.
Capitolo 16
di
Daniela Perego
Quanto
tempo era passato? Un’ora, un giorno o una settimana; non ne aveva idea. Il
tempo si era fermato nell’attimo in cui qualcosa le era arrivato dritto
addosso, esplodendole dentro; il fuoco e il dolore, poi il nulla. Solo il
buio.
Non
sapeva se fosse viva o stesse vivendo un’esperienza extra corporea. Poteva
pensare ma non vedere. Sapeva di persone che, in coma o in pericolo di vita,
vedevano i loro corpi e la scena in cui tutto si svolgeva: per lei non era
così. Pensava e ricordava ogni istante, ma attorno c'era solo nero. Immaginò di
essere vicina alla fine.
Le
sembrò di sentire ancora i baci di Giorgio e le sue carezze, i loro corpi uniti
nell’amore ritrovato. Come ultimo ricordo della sua vita terrena non poteva
sperare in niente di meglio.
Immaginava
il Commissario Melis, incazzato nero per avergli disubbidito, ma anche
triste per le conseguenze della sua impulsività. Già, lei non pensava: agiva!
Come nel voler aiutare quelle povere ragazze, a tutti i costi, mettendo in
pericolo la sua vita e quella delle persone a lei vicino.
Non
bastava Lara con i suoi problemi di personalità
fragile che l’avevano spinta a drogarsi... Sua sorella si era annullata, venduta, era
arrivata a tradire la sua famiglia per un pizzico di quella polvere magica che la stava uccidendo.
Con tanta pazienza e determinazione l’aveva aiutata, riportandola a nuova
vita. Iniezioni
di fiducia, stima e tanto amore per non vedere crollare il fragile mondo di
Lara; i genitori felici di questa “guarigione” avevano sperato in un futuro sereno per la
famiglia.
Invece, testarda come sempre, aiutata da Don Luigi, si era fatta prendere da
una nuova sfida molto più grande di lei. Aveva
salvato le ragazze e assicurato alla giustizia i malfattori, ma all’inferno
c’era finita lei. Privata del suo passato e del futuro. Addio alla famiglia e
all’amore. E tutto questo non era servito a salvarla dall’ira dell’unica
persona ancora latitante.
Il
male aveva vinto. Lei aveva perso. Forse anche la vita.
Era
colpa sua se la sorella era ricaduta nel baratro della droga. Non sapeva
spiegare la sensazione d’angoscia che provava in quel momento, sentiva che la
sorella era in pericolo e lei, ancora una volta, non c’era. Sì, l’aveva
abbandonata. E sempre per colpa sua il padre giaceva in un letto d’ospedale in
gravi condizioni. Se non fosse andata via, Lara si sarebbe laureata e papà
non sarebbe stato male.
Ah Patrizia, volevi solo fare del
bene invece, hai causato tanto male…
Ma
lei era anche Emma.
Come tale si era sempre sentita molto sola. Si era
reinventata una vita e un passato studiato a memoria durante il viaggio dal
Piemonte a Gaeta. Gli unici amici: Carlo e Marina. Simpatici e molto
disponibili nei suoi confronti, la invitavano spesso a uscire insieme, ma a lei
non piaceva fare il terzo incomodo, quindi il più delle volte rifiutava con
qualche scusa.
Un
giorno si era presentato a cena un bel ragazzo di nome Federico che, piano
piano, aveva conquistato la sua amicizia; con lui aveva passato delle belle serate sulla
spiaggia, dopo il lavoro.
Rivide
la tempesta con la mareggiata che si portò via buona parte del locale. Federico, insieme a Carlo e Marina, l’aveva aiutata a pulire e risistemare il tutto e, proprio tra i detriti portati dal mare, avevano trovato la bottiglia con la
lettera di Giorgio.
Quella
sera, Emma si era abbandonata a Federico. Non se lo sarebbe mai perdonata. Non come
Emma ma, soprattutto, come Patrizia.
Amava
Giorgio. Un amore così forte che accompagnava i suoi respiri e scorreva come
linfa nelle sue vene. Era stato la sua vita sin dal primo incontro e se non
fosse stata così testarda ora sarebbe felicemente al suo fianco. Le sembrava
quasi di sentire la sua voce che la chiamava da molto lontano…
“Patrizia, amore mio, mi senti?”
Le
sembrò di sentire voci sconosciute, in lontananza. Mentre qualcosa le punse
il braccio e un liquido freddo le procurò un brivido.
di
Francesco Lisa
Federico si ritrovava nella condizione di uomo perduto,
viveva lo stesso dolore che aveva provato la sera che Marta gli aveva fatto
trovare le valigie pronte appoggiate al portone di casa.
Dal racconto dell’amico Giorgio era riuscito a capire la
complicata evoluzione degli ultimi anni della vita di Patrizia. Una realtà che
gli veniva difficile accettare, proprio ora che in quella ragazza aveva trovato
un’amicizia così forte e vicina da tirarlo fuori dal buio in cui era piombato.
Ripensò a quella sera, quando avevano fatto l’amore... Non si
era mai pentito, forse si era illuso di poter ricominciare da Emma per riuscire a
dimenticare Marta. Ma l’amore per quella donna aveva lasciato un’impronta
indelebile nel suo cuore, nemmeno nei momenti più felici con Emma era riuscito
a dimenticarla del tutto. Marta era rimasta in lui, si era allontanata
fisicamente, non si vedevano più da quasi tre mesi, ma i loro cuori, quelli non
si sarebbero mai stancati di cercarsi.
Rannicchiato sul pavimento del bagno dell’appartamento di
Giorgio, Federico versava lacrime amare e si interrogava su cosa ne sarebbe
stato del suo futuro. Capiva le motivazioni che avevano spinto Patrizia a
comportarsi come aveva fatto, non le portava rancore e ora che era stata
dimessa dall’ospedale, era contento di vederla felice tra le braccia di
Giorgio. In fondo, aveva cercato solo di proteggere i suoi cari, lo aveva fatto
a modo suo, rischiando di perdere la vita per una lotta che avrebbe smesso di
combattere solo quando si fosse conclusa definitivamente. Nonostante il
perdono nei confronti di quella ragazza che aveva rappresentato una mera
illusione, Federico si sentiva sprofondare nello
sconforto più totale, non vedeva alcuna compagnia nel suo futuro se non quella
della solitudine.
«Federico, tutto bene? Il telefono squilla insistentemente,
penso che sia qualcosa di importante!» disse Giorgio bussando alla porta.
Federico pensò subito ai genitori, si ricompose in fretta e
uscì dal bagno per afferrare il cellulare. Tirò un sospiro di sollievo quando
vide sul display un numero che non aveva in rubrica.
«Pronto?» rispose spostandosi verso la vetrata del salone.
Ascoltava le parole dell’interlocutore senza riuscire a
rispondere, si avvicinò al divano sul quale si lasciò sprofondare mentre le
lacrime solcavano le sue guance. Giorgio e Patrizia lo osservavano con
apprensione. Alla fine riuscì soltanto a dire: «Ti raggiungo stasera.» Il
suo viso si illuminò di una luce che abbagliò il buio in cui era piombato.
«Allora? Chi era? Cos’è successo?» gli chiese Patrizia
accarezzandogli il viso.
«Marta» pronunciò quel nome con la voce strozzata
dall’emozione «è incinta di quattro mesi e mi ha chiesto di tornare a vivere
con lei per accogliere il nostro bambino. Marta mi ama ancora e mi renderà
padre.»
Mentre i due amici lo abbracciavano, Federico capì che
l’amore lo aveva salvato ancora una
volta.
Capitolo 18
di
Riccardo Simoncini
Il commissario Melis ingranò la prima, la seconda e la terza
marcia in rapida successione, per poi passare alla quarta e infine alla quinta
in morbida sequenza, assestando il ritmo dell’auto a una rilassante velocità
di crociera. Per la prima volta da diversi giorni non aveva fretta. Per la
prima volta dopo molto tempo non era alla guida di un auto di servizio.
Spense la radio, fonte di distrazione e si dedicò a
riordinare mentalmente la serie di fatti che lo avevano portato fino a quel
punto, oggi, verso la sua insolita destinazione.
Svetlana era appena salita in auto quando la centrale lo
aveva informato del precipitare degli eventi. I suoi timori si erano rivelati
fondati: la donna a cui qualcuno aveva sparato era, inspiegabilmente, Patrizia.
La sorella, Lara, era stata presa a forza, probabilmente dallo stesso autore
del colpo di pistola e del pestaggio del padre. Quello stronzo era tornato all’opera,
e sembrava che tutti i suoi obiettivi avessero deciso di radunarsi nello stesso
punto per facilitargli l’impresa. Ancora adesso un brivido gelido gli percorse
la schiena ripensando al caso che aveva messo Lara e Svetlana a lavorare nello
stesso albergo. Ancora una volta ringraziò colui che muove le pedine dall’alto,
per averlo fatto trovare al momento giusto nel posto giusto, fuori da
quell’albergo, probabilmente a salvare inconsapevolmente la vita della donna
ucraina.
Una volta ascoltate le novità trasmesse dalla radio,
Svetlana aveva perso ogni reticenza, e aveva scaricato tutte le informazioni in
suo possesso sull’unico soggetto ancora accanito, ancora pericoloso,
probabilmente pazzo, di tutta quella torbida vicenda risalente ormai all’anno
precedente. Il fatto che fosse stato isolato ed emarginato dal giro dei
malavitosi perché ritenuto instabile e inaffidabile, spiegava come avesse fatto
a rimanere inosservato alle forze dell’ordine, nell’ombra per così tanto tempo.
L’operazione era stata organizzata, perfetta e tempestiva,
con efficienza della quale Melis si compiaceva e per la quale ringraziava la
donna, che a conclusione delle operazioni – con Lara in salvo e il bastardo con
un colpo di pistola piantato in petto – era crollata in un pianto isterico tra
le sue braccia.
Ripensando a tutte le vicissitudini passate e presenti della
ragazza, Melis non si stupiva della sua ferrea volontà di voler fuggire il più
lontano possibile, non si meravigliava dell’espressione ostile che il suo volto
assumeva ogni qualvolta si posasse su qualsiasi soggetto di sesso maschile, non
si sorprendeva della stanchezza che trovava concretezza nel tratto oltraggioso
di quella cicatrice sui lineamenti perfetti.
Quello che lo colpiva, invece, era stata la propria
reazione.
Melis aveva dato piena disponibilità e appoggio anche
ufficiale all’espatrio immediato di Svetlana, gestendo personalmente ogni pratica
burocratica e logistica, e ottenendo anche l’utilizzo di modesti fondi per la
realizzazione dei progetti della donna.
E poi le aveva chiesto di uscire. Di incontrarsi, di
vedersi, di poter avere l’occasione di parlarle davanti a un bicchiere di vino
e senza indossare una veste ufficiale, per sentirla raccontare di sé e non di
indagini.
Non si aspettava un incontro galante, non si aspettava di
poter guadagnare la fiducia di quella donna o farle recuperare da solo una luce
che si era spenta dentro lei da troppo tempo. In realtà non sapeva cosa si
aspettasse e non aveva neppure studiato adeguatamente ciò che lo avesse spinto
a quella proposta. Troppo timido, Melis, per parlare d’amore, anche con se
stesso. Troppo realista per aspettarsi un finale romantico inserito come un fiocchetto
alla storia della donna che lo stava aspettando.
Ma era concreto, Melis. E aveva espresso questa sua
improvvisa esigenza senza interrogarsi e senza fornire spiegazioni.
E Svetlana aveva accettato…
Capitolo 19
di
Veronica
Lara era pronta per uscire, aveva
un appuntamento alle quindici col tipo dell'agenzia immobiliare.
Aveva indossato un paio di jeans e
una maglietta, ma sarebbe uscita anche come stava, una tuta scolorita e
deformata per l'uso all'altezza delle ginocchia, tanto le importava cercare una
nuova sistemazione.
Ma doveva andarsene, non poteva
certo restare a casa di Giorgio a fare da terzo incomodo, ora che Patrizia era
di nuovo insieme a lui.
Di tornare coi genitori non se ne
parlava proprio, ormai aveva assaporato il gusto dell'indipendenza e non
sarebbe più riuscita a sopportare i commenti e le critiche pesanti che spesso
le muovevano. Viva la libertà! Almeno quella.
Aveva perso Giorgio. Chissà cosa si
era messa in testa: non era amore, non era affetto, solo pietà.
Lei invece si era innamorata, si
era persa seguendo un'illusione. Giorgio amava Patrizia, non c'era alcun
dubbio; mai aveva rivolto a lei quegli sguardi, forse neppure la considerava
come donna, era solo la sorella di Patrizia.
Stava malissimo quando li vedeva
assieme, quando si abbracciavano o si scambiavano baci e carezze, incuranti di
lei, quasi facesse parte dell'arredo.
“Smettetela! Non vedete che sto
male? Perché dovete sempre stare appiccicati a quel modo?” pensava ogni volta, mentre cercava una scusa per uscire dalla stanza, da quella casa che l'aveva
accolta e che ora la faceva soffocare. Punto e a capo.
Meglio il veleno, quello è sempre a
portata di mano, lo compri ed è a tua disposizione, quando e come ti pare.
Uscì in strada e si incamminò verso
l'agenzia, non era distante, sarebbe arrivata in dieci minuti.
Le vetrine dei negozi riflettevano
la sua immagine, la guardava compiaciuta senza fermarsi, un gioco nuovo per lei
che fino a qualche mese prima si detestava. Aveva preso qualche chilo e i
capelli, una volta opachi e spenti, le scendevano morbidi sulle spalle; sexy
nonostante il suo abbigliamento casual. Non sarebbe durata, presto sarebbe
tornata quella di sempre, abbruttita dalla droga, incapace di combattere sul
ring per la vita.
Il ragazzo dell'immobiliare la
salutò con un largo sorriso e la invitò a salire sulla sua auto, avrebbero
raggiunto la via dove era ubicato l'appartamento di due locali che aveva visto
sulla locandina, l'unico che si poteva permettere.
Durante il tragitto Giancarlo,
questo era il suo nome, portò avanti una conversazione brillante, infiorata di
battute spiritose, ma Lara non era nella condizione di apprezzarle e desiderò
che visita e trattative si risolvessero in fretta. Inoltre la infastidiva il
suo modo di fissarla, sembrava scavarle dentro alla ricerca di verità
inconfessabili.
Era così trasparente? Lui riusciva
a vedere la sua fragilità, le sue colpe, i suoi desideri? E lei se la sentiva
di appoggiarsi a un uomo nuovo, non altri che l'ultimo di una lunga serie?
Visionato l'appartamento, stavano
tornando in agenzia per la firma del contratto.
Lui non mollava, la stava invitando
a cena, le stava chiedendo che tipo di cucina preferisse.
Lara, deciditi, ci vuoi uscire o
no?
Giancarlo parcheggiò, scese
velocemente e la raggiunse, chiudendo la portiera. Erano vicini.
“Non mi hai ancora detto cos'hai
intenzione di fare.”
“Mi piace il messicano.”
Per tutta risposta, preso
dall'entusiasmo le diede un bacio e Lara lo assecondò, un po' stordita
dall'incalzare degli eventi.
A un tratto, la netta sensazione di
essere osservata, si girò e trasalì, sentendosi in colpa come fosse stata
sorpresa a rubare. La voce le morì in gola mentre pronunciava il suo nome:
Giorgio!
L'espressione di lui non lasciava
spazio a dubbi...
Capitolo 20
di
Tania Mignani
Patrizia chiuse la valigia e si
avvicinò alla finestra. Un’altra partenza, ormai non le sembrava di fare altro.
Ripensò con un brivido agli ultimi avvenimenti. Il suo ferimento, il rapimento
di Lara, ogni cosa si era fortunatamente risolta nel modo migliore. Tutti i
componenti della banda erano stati arrestati, ora era libera finalmente. Libera
di scegliere tra restare o andarsene, ma, soprattutto, libera di non
nascondersi.
E libera di amare? Ripensò a Giorgio e sorrise con tenerezza,
perché era quello il sentimento predominante: tenerezza, affetto ma, l’amore?
Avrebbe potuto accontentarsi, farselo bastare forse, vivere finalmente quella
tranquillità che da tanto aspettava, ma aveva sentito la morte al suo fianco,
se l’era trovata davanti, faccia a faccia, come avrebbe potuto semplicemente accontentarsi?
No, non dopo aver provato sulla sua pelle quanto può essere labile e precaria
questa vita, talmente breve da meritarsi di vivere appieno ogni singolo
istante. Era stata felice di ritrovare Giorgio, i gesti, le abitudini, le
parole che tanto le erano mancate durante quell’anno di lontananza, poi aveva
capito: non era più amore. Un tempo forse, ora non più.
Il vero amore era il
senso di smarrimento e gli occhi abbassati di Lara quando si ritrovavano loro
tre insieme. Il vero amore erano i silenzi di Giorgio, il suo sguardo alla
finestra, il suo malcelato sollievo quando sentiva Lara rientrare. Patrizia
aveva capito ciò che Giorgio non riconosceva ancora e quando Lara li aveva
informati che se ne sarebbe andata, che stava cercando un appartamento in cui
trasferirsi, il turbamento di Giorgio era talmente evidente che nessuno dei due
era riuscito a ignorarlo.
Patrizia aveva parlato con
sincerità: “Non siamo più gli stessi di prima, Giorgio, questo è evidente.
Tutto ciò che è successo ci ha cambiati, dobbiamo riconoscerlo. È stato bello
ritrovarti, riabbracciarti, e ci ho provato, Giorgio. Dio solo sa quanto ci ho
provato: gettarmi tutto alle spalle e provare a ricominciare. Ma ho capito
che noi non ci amiamo più, e, forse non ci siamo mai amati veramente. Ci
conosciamo da tanti anni e tutto quello che è successo forse ha ingigantito i
nostri sentimenti, è stato come osservare qualcosa sotto una lente di ingrandimento,
una volta tolta puoi vedere sola la realtà.”
Giorgio aveva cercato di negare le
parole di Patrizia, quasi a voler più convincere sé stesso, poi si era
avvicinato alla finestra ed era rimasto in silenzio. Lei si era avvicinata e
abbracciandolo le aveva sussurrato: “Vai ora, cercala e riportala a casa”.
Ora Patrizia era pronta, come
quella valigia ormai chiusa. Pronta a ricominciare. Sapeva che doveva andarsene
e questa volta non era una fuga, non si sarebbe più nascosta né da chi voleva
farle del male né da sé stessa. Dove? Ancora non lo sapeva e non si sentiva
smarrita per questo, al contrario, si sentiva libera finalmente.
Un ultimo sguardo a quella camera,
alla casa, quasi a voler prendere commiato dalla sua vecchia vita, con gli
occhi lucidi di lacrime ma il volto incorniciato da un sorriso.
Si richiuse la porta alle spalle.
“Sono pronta, andiamo!”.
Capitolo 21
di
Maria Rita Sanna
L'uomo aspettava nervosamente sul marciapiede senza darsi pace; ancora
una volta quella donna gli sfuggiva. Solo il giorno prima lo avevano informato
che la giovane voleva partire, ma nessuno sapeva per dove.
“Tranquilla,
ragazza, non mi scapperai facilmente!”
Patrizia, nell'aria frizzante di quella mattina, si caricò di energia
positiva e con determinazione si diresse verso l'agenzia di viaggi, a pochi
isolati da lì, ma l'uomo alle sue spalle la raggiunse prendendola per un
braccio, quasi strattonandola.
“Dove credi di andare... Patrizia!”
“Santo cielo, commissario Melis! Mi ha fatto prendere un colpo! È vero
che in passato mi ha salvato la vita, ma ora è mancato poco perché la
perdessi.”
I due, che da tempo non si vedevano, si abbracciarono amichevolmente,
scambiandosi le notizie sulle loro vite. Tra loro era rimasta una profonda
amicizia.
“Patrizia, so io dove mandarti, in Sardegna, a Costa Rei! Stai
tranquilla, cara, nell'agriturismo gestito dalla mia famiglia, farai una vita
da regina e mia sorella si occuperà di tutto. Per questa volta lascia che sia
qualcuno a prendersi cura di te.”
Patrizia, in quella terra, iniziò una nuova vita, con la primavera che
avanzava facendo sfoggio di sé tra ginestre e rosmarino, corbezzolo e lentisco;
su tutto dominava il mare. La ragazza si rigenerava ogni giorno, guardando il
sole nascere da quell'acqua turchese, quello stesso sole che per un anno intero
lo aveva visto morire, quando si trovava nascosta a Gaeta.
Che contraddizione, la vita! Nei momenti in cui ero più vulnerabile e
prigioniera, ho avuto la libertà di amare Federico e ritornare tra le braccia
di Giorgio. Ora sono libera di muovermi con la mia identità, ma ho il cuore
prigioniero della malinconia e non c'è più spazio per l'amore.
Da poco più di un mese questi pensieri l'accompagnavano spesso durante i
suoi lavori nell'agriturismo, ma non quel giorno. Era atteso, poi, un giovane
chef professionista per la stagione turistica che avanzava, e tutto doveva
essere in ordine. Patrizia era ben felice di imparare nuove cose da una figura
competente, e mentre diceva questo a una sua collega, improvvisamente si
spalancò la porta della cucina. Antonio, lo chef, guardò le persone con occhi
severi, imponendo subito la sua superiorità e dando ordini per la
predisposizione della cucina. Iniziamo bene, pensò la ragazza, ma certo non
cadrò ai suoi piedi.
Patrizia cadde, invece, sulle sue mani: forti, grandi, nodose. Antonio
le muoveva con delicatezza tra quei cibi, trasformandoli in prelibati piatti
colorati. Gli occhi di lui, seri e scuri, non lasciavano spazio a distrazioni;
al contrario, la sua mandibola, che
formava una perfetta elle, e le labbra, gli donavano una certa simpatia. Dopo una
settimana Patrizia aveva appreso alcuni segreti per cucinare ottimamente, ma
aveva perso ogni controllo sulla ragione. E il cuore? Batteva forte davanti a
lui. Ormai aveva le idee più chiare, si stava innamorando di quell'uomo che
conosceva a malapena. In lui vedeva una barriera che aveva ben provato sulla
sua pelle tempo prima.
Nella cucina, deserta a quell'ora di mattina, Patrizia cercò
freneticamente una tisana per calmare i conati di vomito; sobbalzò dallo
spavento quando sulla porta comparve Antonio.
La ragazza non fece in tempo a parlare, ebbe un forte capogiro e cadde a
terra priva di sensi.
Antonio la svegliò dolcemente, regalandole per la prima volta un largo
sorriso, ma Patrizia di nuovo in sé fu cosciente delle sue condizioni fisiche,
e quel ritardo non dava spazio a dubbi: era incinta.
Il suo nome scaturì da un
tempo che sembrava lontano. Giorgio.
Tempo lontano
Natura selvaggia
Ridona vita
The end