Restiamo ancora per oggi sul tema degli Indiani d'America.
Stiamo approfondendo il tema sotto il profilo storico e sotto il profilo poetico, con l'aiuto di Mitla, Indio e White Buffalo; quest'ultimo mi ha promesso di inviarmi foto dei suoi viaggi, da proporvi insieme ad approfondimenti fatti sul "campo"; quindi per chi ama questo tema, ci sarà davvero da sentirsi appagati;-)
Quest'oggi vi propongo un brano di narrativa che ha scritto sul tema degli Indiani l'amica e collega scrittrice Antonella Diamanti, in arte Mitla;-)
Ci siamo conosciute qualche anno fa attraverso un sito letterario dove facevamo i primi passi in questo mondo; di lei mi colpì all'istante l'indubbia capacità nel narrare, la padronanza della lingua, lo stile a me congeniale. Quant'acqua è passata sotto i ponti... Ora siamo entrambe edite e chissà cosa ci riserva il futuro!
Nel frattempo leggetevi questo pezzo, è un po' lungo, ma nemmeno tanto e cmq, ne vale assolutamente la pena!
TORNA PRESTO A TROVARMI
di
Antonella Diamanti
…Ricordo ancora la prima volta che la vidi; era
seduta sopra una panchina nel grande parco dell'ospedale psichiatrico, nel
quale, stavo svolgendo il tirocinio.
Passeggiavo con un collega in attesa della lezione disquisendo su un trattato di psichiatria appena letto, quando, passandole di fianco, mi trovai ad osservarla. Fui attratta dai lineamenti severi, dall'immobilismo del volto solcato da rughe, ma al di sopra di tutto dallo sguardo fisso, immobile, verso un punto dell'orizzonte e, per un istante, soffermandomi sulle iridi ebbi come la sensazione che tramite quello sguardo, la donna stesse assorbendo le emozioni trasmesse da quel punto imprecisato che pareva fissare. Fu il collega a richiamare la mia attenzione prendendomi sotto braccio: <Andiamo o faremo tardi> Distogliere lo sguardo da quella figura mi costò una fatica inaspettata, ma mi lasciai condurre verso l'entrata dell'ospedale. <Sai chi è quella donna?> non mancai di chiedere. <Quella della panchina? Uhm, la chiamano Otianer, ma non conosco la sua patologia>. La risposta ottenuta m'innervosì a tal punto che la mia replica somigliò ad un sibilo: <Non ti ho chiesto perché è qui. Ti ho chiesto chi è!> L'espressione stupita del collega m'indusse a scusarmi inventando un'emicrania dovuta a stanchezza. La rividi molti giorni dopo; sedeva sotto un albero, le gambe piegate di lato, la mano poggiata a terra con il palmo aderente al suolo, lo stesso sguardo colmo di emozioni, ma il volto meno severo un sorriso appena accennato le addolciva i lineamenti. Mi avvicinai chiedendole il permesso di sedermi accanto e mormorando un allegro: <Bella giornata, non trova? >. La sua risposta fu calma, sembrava quasi che la voce uscisse come risonanza dal torace, mi vennero in mente i ventriloqui e sorrisi mentre l'ascoltavo: < ...ogni giornata è bella... puoi forse tu dire che la pioggia è brutta?... puoi dire tu forse che il sole è brutto?... puoi forse tu dire che la neve è brutta?... > Mi sentì improvvisamente stupida, annuii senza riuscire a dire qualcosa di altrettanto logico e profondo. <Sì ha ragione > Mi accorsi però che la donna aveva ripreso l'espressione seria e distante del primo giorno che la vidi, non era più lì... ed è con questa certezza che mi allontanai. Il giorno dopo cercai la vecchia; dovevo parlare con lei, vincere quella barriera e andare a fondo, curiosità professionale naturalmente, volevo capire la patologia della paziente. Ed eccola ancora lì... seduta sotto l'albero nella medesima posizione del giorno precedente. Decisi un approccio meno formale: < Salve mi chiamo Annie, sono quella di ieri > Fu lo sguardo questa volta a raggelarmi, mai mi ero sentita tanto impacciata, tutto in quella donna mi metteva a disagio. <... quella di ieri?... tu sei sicura di essere quella di ieri... io non sono quella di ieri... > Mi sedetti al suo fianco cercando d'imitarne la postura... quando ricominciò a parlare: <... mia nonna Otianer o-nun-da'-ga Onondaga, diceva che in giornate come questa lo spirito della terra si avvicina agli uomini e torna a parlare a loro....> Quell'apertura m'infuse coraggio, chiesi tutto d'un fiato: < sua nonna... chi era?> In quel preciso istante il volto della donna trasfigurò, i lineamenti parvero assumere l'identità di un'altra persona persino la voce era diversa. <...piccola squaw cosa ci fai qui?... vieni nella nostra capanna ti darò del cibo, mia madre ha fatto degli ottimi pani di segale... su su veloce entra, sai... lei è nel Sacro consiglio delle Madri... a lei è riservato il compito di custodire le stringhe Wampum, e a volte quando non c'è vado a vederle... ma non dirglielo lei non vuole. Dice che vi sono racchiuse tutte le decisioni suggellate nelle assemblee. Ce ne sono di bellissime alcune sono fatte di conchiglie raccolte nel fiume e sono a forma di spirale.. e sai sono infilate in cordicelle di pelle di cervo.. quello, che il Sachem War in carica per quell'anno di caccia, ha sacrificato per farle >. Rimasi incapace di muovermi e di reagire. Capì subito che la donna soffriva di dissociazione della personalità, ma da quel poco che riuscivo a cogliere data la mia ignoranza di cultura nativa americana, stava vivendo una giornata della sua fanciullezza in tribù. Frugai nella mia borsa rimediando una matita e un taccuino per gli appunti e continuai ad ascoltare annotando. <.. un giorno ne ho messa una.. sulla gonna.. per un momento mia mamma non mi scopriva.. ma dai vieni, entra nella ho-dè-no-sote, ma fai attenzione i miei fratelli hanno appena aggiunto una stanza, mia sorella si è sposata con un Ga-ne-a'ga-o-no.. del clan dell'orso , dovresti vedere com'è brutto…> La vecchia gesticolava e accompagnava il racconto con espressioni del viso ora complici, ora distaccate... come se parlasse realmente ad un'amica. <... ecco la mia famiglia è in questa stanza, si lo so che la nostra capanna è lunga, ma mia madre è importante e tutti vogliono imparentarsi con noi.. pensa che una volta ha persino adottato un nemico, ma a me quello non piace.. > Ci fu un lungo silenzio i tratti della Otianer ritornarono immobili e duri sotto quelle rughe di chissà quanti anni, poi voltandosi verso di me mi rispose atona: < mia nonna era Otianer o-nun-da'-ga Onondaga > e ritornò a fissare il vuoto. Mi alzai e accennando un saluto, non colto, mi diressi in biblioteca. Preso il mio taccuino cominciai a cercare freneticamente rispondenze storiche a tutto quello che la vecchia aveva detto. Lessi della caratteristiche "case lunghe" le ho-dè-no-sote fatte con fango e arbusti e ricoperte di legno e corteccia d'olmo, lessi del loro sistema fortemente matriarcale, lessi della lega degli Irochesi, come anche delle cinture Wampum fatte con conchiglie bianche per simboleggiare la pace e color porpora per altri significati dal valore sacro. Trovai rispondenza anche sul fatto che i Wampum erano tenuti nell'abitazione del Wampum keeper ovvero il detentore del wampum il quale era necessariamente una donna e necessariamente appartenente al popolo degli Onondaga ossia il popolo, aderente alla Lega, di mezzo. Ripensando alle dissociazioni della vecchia, ipotizzai che impersonificasse la nonna in età adolescenziale; feci alcuni conti: approssimativamente dovevano essere passati almeno 170 anni dagli episodi raccontati e tenendo presente che la nativa dei “sogni” vive libera in un villaggio, doveva essere per forza la nonna. Da quel giorno cominciò per me una nuova fase della vita; per più di un mese tornai tutti i giorni a parlare con quella donna. Alcune volte era straordinariamente lucida, parlava poco... si limitava ad assumere delle posture che m'invitava ad imitare... e mormorava un semplice <...taci... ascolta la terra... parla lei oggi >. Altri giorni invece era come se tutte le parole non dette in un'esistenza, venissero concentrate in poche ore. Parlava attraverso i personaggi che in quel momento interpretava: a volte era un guerriero, a volte un sachem in cerca della visione, a volte ritornava la bambina che giocava al villaggio, ma ogni giorno, un frammento di saggezza indiana mi veniva regalato. Mi rendevo conto che ero in balia di lei, come mi rendevo conto che stava pericolosamente diventando un'ossessione, ma non potevo farne a meno, ogni volta tornavo a cercarla. Anche quel giorno la trovai adagiata sull'erba, stava mormorando qualcosa... colsi l'ultima frase nel momento in cui mi sedetti di fianco a lei. < La parte più difficile della Grande Legge è capire il significato del concetto di pace... la pace non è semplicemente l'assenza della guerra, nell’idea Iroquoian la pace è una condizione della mente...> Annotai velocemente sul taccuino e cercai le parole adatte per provocare il proseguo di quello che all'esterno appariva un monologo. < ...e come si raggiunge... questa condizione...> La vecchia non mi guardò, spostò lo sguardo come se stesse osservando delle persone ad una ad una davanti a sè. Guardandola ebbi la sensazione che queste persone fossero sedute formando un semi-cerchio. <...seguendo la legge degli avi, gli insegnamenti che Deganawida trasmise al suo popolo i Mohawk e che furono poi ripresi e divulgati a tutta la lega da Hiawatha. Imparerete vivendo e seguendo giorno per giorno i comportamenti degli anziani del villaggio, ma due cose essenziali sono alla base di tutto, la Salute e il benessere del corpo e della mente, il rispetto e la giustizia per ogni membro femmina e maschio. Ora andate. Il cibo è pronto. Lo spirito del cervo che abbiamo cacciato attende che voi gli rendiate omaggio, non sprecando nemmeno una briciola di ciò che era in vita. > Non sapevo cosa fare, come replicare, non avevo nessuna esperienza in proposito, non sapevo bene se dovevo assecondarla o svegliarla da quella regressione. Fu lei a fare la prima mossa: si voltò... e per la prima volta mi sorrise direttamente: < Torna presto a trovarmi > La mia prima reazione fu la sorpresa poi la consapevolezza. Mi alzai indispettita, arrabbiata, confusa ed umiliata. Mi resi conto di come quella donna mi aveva ripetutamente e deliberatamente presa in giro. Giocava con me, fingeva delle dissociazioni, ma in realtà era del tutto presente e recitava. Fuggii quasi da lei e mi rinchiusi nella mia stanza.. Pensieri, parole, rabbia si mescolavano in me; non capivo il perché. Poteva raccontarmi di sua nonna, del suo popolo, senza inventarsi una patologia. Guardai la mia scrivania, i testi sugli Irochesi, gli appunti presi... mi sedetti e cercando di calmarmi riordinai i libri con l'intenzione di riportarli in biblioteca il giorno dopo: non sarei più andata a cercare quella Otianer. Richiudendo l'ultimo testo lessi di sfuggita una frase "Si racconta che i capi degli indiani Irochesi avessero un criterio molto particolare per valutare le decisioni da prendere: valutavano che non portassero con sè effetti negativi per sette future generazioni. Ogni assemblea del consiglio tribale cominciava con una formula che impegnava a prendere tali decisioni avendo a mente gli effetti desiderati nell'immediato futuro e per le generazioni che avrebbero vissuto 175 anni dopo." Chiusi il libro... e mi occupai d'altro. Il mattino dopo mi svegliai con il pensiero fisso alla vecchia e al significato dell'impegno che gli Irochesi prendevano per le generazioni future... 175 anni... d'un tratto capii. Feci colazione velocemente e altrettanto velocemente raggiunsi il grande parco e il luogo dove solitamente trovavo l'Otianer. Cercai vicino il “nostro” albero.. nulla... sulla panchina... nulla... una sensazione inquietante mi fece correre all'interno dell'ospedale. Cercavo la vecchia, l'Otianer, non sapevo neppure il suo nome. Come guidata da un istinto rinato, lessi l'elenco dei decessi: nessun nome mi sembrava familiare. Chiesi al personale, ma nessuno pareva sapere nulla su una vecchia indiana. In fondo all’ennesimo corridoio, scorsi un gruppetto di persone dai lineamenti tipicamente indiani che sostavano davanti alla porta chiusa dell'obitorio; mi feci forza ed entrai. La vidi; era come se stesse dormendo, nessuna alterazione sul suo viso. Un uomo, un nativo senza dubbio, raggiuntami al capezzale, mi chiese se la conoscessi e, sommariamente, gli dissi dei nostri incontri. L'uomo mi guardò, un pò sorpreso a dire il vero: <Ah, Allora è lei, venga con me la prego > Mi condusse fuori dall'ospedale aprì una sacca e mi consegnò una cintura, con delle conchiglie e strisce di pelle: <...suppongo che lei sappia cosa sia...è un sacro Wampum...se mia nonna ha voluto che lo tenesse lei...è perché lei ha compreso il suo valore...e lei ne farà buon uso...per l'immediato futuro e per le generazioni a venire...> Sono passati molti anni da allora, tante cose sono cambiate gli Irochesi hanno potuto far sentire la voce dei loro popoli e la Lega Irochese è tornata a vivere. Ho raccontato questa storia non so quante volte, di come... gli eventi, il fato, il destino... mi hanno portato nella comunità Onondaga, nonostante la mia pelle sia bianca e nel mio albero genealogico non vi sia traccia di antenati indiani. Quella Otianer mi ha spinta a studiare le origini, gli ideali, gli usi e i costumi del grande popolo che furono e sono gli Irochesi fino a desiderare di essere come loro e a desiderare di tramandare oralmente, per iscritto, tramite convegni e in tutti i modi possibili la loro cultura... affinché nessuno dimentichi per almeno.. perché no.. 175 anni.. |