Comincio quindi a postare qui di seguito i 5 testi che potrete
votare.
CONCORRENTE NUMERO TRE
(Racconto)
Stella del mattino
Parigi si
sveglia e si stiracchia, pigra, dopo una leggera pioggia notturna. I segreti
della notte si nascondono alla luce dell’alba e l’ultima stella, annunciando
l’aurora, svanisce all’orizzonte.
Essere al servizio di un
affascinante viveur ha notevoli vantaggi. Oltre allo stipendio dignitoso (sebbene
il mio datore di lavoro non sia così facoltoso come appare), posso alloggiare
sia nella dimora parigina che nella casa di campagna in periferia, entrambe
frutto di un’eredità che va consumandosi velocemente. Non è affar mio, comunque,
perché sono oculato nel gestire i miei esborsi e anche dovessi rimanere senza
impiego, non farei fatica a rimediare velocemente. Sarò anche l’ultima spesa
che Monsieur Henri taglierà dovesse trovarsi in difficoltà: conosco troppi segreti.
Le mie incombenze sono generalmente
piacevoli: servo i pasti, mi occupo dell’ordine e della biancheria, conduco la
carrozza. Non da sottovalutare il beneficiare della compagnia, seppur di
riflesso nel mio ruolo di maggiordomo, delle donne che bazzicano la casa. Perlopiù
vedove benestanti, ritrovano nella galanteria e nel magnetismo del mio padrone
la voglia di civettare e tornare a divertirsi senza pensieri dopo anni persi in
noiosi matrimoni. E lui, del godersi la vita, è un vero esperto.
Ho anche da ottemperare ad alcuni
compiti meno graditi che fortunatamente, fino a questo momento, si sono presentati
in maniera occasionale.
Nelle ultime settimane, però, un
cambiamento preoccupante si è palesato nella routine di Monsieur: frequenta una
donna per lui alquanto insolita. Giovane, bionda e bellissima, Sophie pare una
rosa fiorita in un’aiuola di crisantemi: le altre rappresentanti dell’universo
femminile che finora hanno popolato la dimora, al confronto, appaiono polverose
suppellettili destinate alla soffitta.
La sera scorsa, per la prima volta,
la ragazza si è trattenuta per la notte. Avrei voluto metterla in guardia, rendendole
il soggiorno in qualche modo spiacevole ma Monsieur, come mi leggesse nel
pensiero, mi ha marcato stretto in maniera che tutto venisse preparato a
puntino. L’argenteria in tavola, le candele profumate, il caminetto fornito di
ciocchi, le più fini lenzuola nel grande letto a baldacchino. Poi mi ha
congedato fino a stamane, quando mi sono presentato con la carrozza per
accompagnare a casa l’ospite.
Ed eccomi qui, a cassetta. Scende
dal cocchio che è uno splendore, Sophie, in una nuvola di velluto verde
brillante come i suoi occhi, con la sottoveste in pizzo che sbuca ammiccante a
ogni passo leggero. Monsieur, dopo averla invitata in campagna per il fine
settimana, l’ha omaggiata con un mazzo di rose fresche, ma tanto è splendente
il suo sorriso, che sbiadiscono i fiori insieme a tutto il resto della mia
visuale sul viavai colorato della Rue du Marchè.
Non oso rivolgerle un ultimo
sguardo, mentre si allontana. Il cielo del mattino perde adagio l’astro che
l’ha intensamente illuminato. Riesco solo a fissare le redini che stringo tra
le mani inguantate, pensando di doverla salvare: la sua luce merita di
rischiarare molte albe ancora.
Parigi vive, e custodisce
gelosamente le proprie stelle. Monsieur Henri Désiré Landru, truffatore, ladro
e assassino seriale, ha i giorni contati.
(Lettera d'amore)
L’ultimo scritto
Pavia, 16 dicembre 1984
Bianca, mia amata,
ti chiedo perdono. Io che ho
scritto tutta una vita per professione, non ho mai osato scrivere per te, di
te, di noi. In un dizionario praticamente infinito, non ho mai saputo trovare
le parole giuste per dar voce alle emozioni dei molti anni in cui abbiamo
camminato insieme, fianco a fianco, mano nella mano. Ci provo ora, ora che il
mio tempo si va esaurendo e il destino, inesorabile, sarà costretto a separarci.
Ero e sono soltanto un giornalista
di provincia e i milioni di vocaboli che ho usato sono sempre stati adatti alle
cronache dei fatti, ai luoghi, alle persone, senza dover e poter lasciare
spazio al sentimento. Avrei voluto riservare a te i più grandi, più esatti e
limpidi, ma quelli che a mano a mano affioravano nella mia costante ricerca non
erano mai abbastanza degni. La verità è che, probabilmente, non esistono.
Perché tu e io, in fondo, non
abbiamo mai avuto bisogno di parole. I nostri pensieri, i nostri gesti, i
nostri silenzi e soprattutto i nostri sguardi si sono espressi più potentemente
di infinite voci.
Sin da quando il caso, mescolando
sapientemente le sue carte, ci ha fatto incontrare, ho saputo che l’inchiostro
sarebbe prima o poi sbiadito, i fogli ingialliti, i nostri figli invecchiati e
i nostri nomi dimenticati, ma che noi due, insieme, saremmo andati oltre.
Ne sono sicuro tuttora, Bianca, io
lo so. Io ci credo. Perchè ti ho vista e riconosciuta. Come tu hai saputo
vedere e riconoscere me allora, nel lontano 1929, al nostro primo fortuito
incontro.
Hai trasformato un uomo qualunque
dal mestiere qualunque, quello che non si nota, quello che siede in ultima
fila, che chiede permesso, destinato a una normale esistenza consumata
nell’ordinario quotidiano, nel protagonista di una vita intensa e ricca di
colori e di emozioni. Scegliendoci e completandoci, abbiamo costruito la nostra
storia attraversando insieme giorni, mesi e stagioni. Abbiamo saputo
trasformare anche i periodi più difficili in mattinate di sole primaverile,
piene di promesse sul domani.
Ti sembrerà, ora che dobbiamo
lasciarci, che un futuro non ci sia più.
Non è così, mia dolce sposa, abbi
fiducia in me ancora una volta. Io continuerò a essere con te, al tuo fianco.
Noi esisteremo ancora, insieme. Perché ti lascio con le tre uniche parole che
non ho saputo pronunciare finora, che mi sopravviveranno e resisteranno forti a
qualunque tempo, perché per loro, il tempo, non ha nessun significato.
La mia vecchia mano trema, ma la
mia anima no. E allora te le scrivo adesso, sottovoce, con le ultime energie
che mi rimangono, ma tu le potrai sentire forti e chiare rieccheggiare nel tuo
cuore, a ogni battito, in ogni istante:
io ti amo.
Eternamente tuo,
Edoardo
***
CONCORRENTE NUMERO QUATTRO
(Racconto)
Porcellana
Non è facile essere donna. Non è facile essere vecchia. Non è facile
essere serva. Non è facile esserlo, a Parigi. Non è facile esserlo, a Parigi,
nel Milleottocento. Io lo sono, sono tutte queste cose.
Mentre attraversavo la via, quel mattino, aghi di ghiaccio, dal cielo, pungevano
l’aria. Aghi sul viso, negli occhi, sulle mani. L’ultima neve. Sulle spalle
avevo buttato il mio unico scialle. Era logoro. Era azzurro. Il cielo era
grigio, ma sulle mie spalle no, sulle mie spalle era celeste, il cielo. Quello
scialle mi ricordava da dove venivo e dove, un giorno non troppo lontano, sarei
ritornata. Ma intanto i miei piedi procedevano a fatica, nel fango e nella
polvere densa e brillante di quella strada parigina.
L’avrei ricordato per sempre quel giorno. Era il primo marzo 1875. Fu il
giorno che Claude, il maggiordomo, mi sferrò un calcio sulla bocca così forte
da farmi cadere uno dei pochi denti rimasti. Si credeva il padrone, Claude, per
quelle chiavi scintillanti che gli tintinnavano nelle tasche. Per quelle credenze scure e sempre lucide che
la padrona gli permetteva di custodire. Si fida solo di me, diceva lui.
Era ancora buio quando mi alzai. Prima di uscire feci cadere una tazza di
porcellana. Porcellana bianchissima. Aveva tintinnato, quel bianco, per tutta
la cucina. Mi si era conficcato negli occhi, quel bianco, a forza di tirar su
pezzetti, uno dopo l’altro, uno dopo l’altro. Ossa candide, che andavano in
frantumi.
Claude le contava tutte le mattine le tazze bianche di porcellana. Le
contava e una alla volta le lucidava, accarezzandole a lungo, una ad una.
Non sapeva, Claude, non poteva sapere che io li contavo ogni giorno i
miei denti. Che andavo nell’orto a rubare la salvia, per renderli candidi, profumati,
per renderli perle preziose, i pochi denti che mi erano rimasti. Forse, se
avesse saputo, mi avrebbe colpita più forte.
Arrivata nel luogo convenuto avevo atteso la mia padrona sul ciglio della
strada, prima di attraversare. Lei era venuta in carrozza, in mano un fascio di
rose. Io ero partita all’alba: non avrei mai voluto farla aspettare. Era bella,
era giovane, era vestita di scuro, quel giorno, la mia padrona. Profumava di
velluto nero, quel giorno, la mia padrona. Mi diede il denaro e poi fece un
gesto del capo. Sapevo quello che dovevo fare. Ci dovevo andare io in quel
negozio candido di lingerie. Avrei dovuto parlare con la commessa, cercando di
aprire il meno possibile la bocca. La mia bocca, divenuta una caverna oscura e
dolorante. Dovevo scegliere, per la padrona, un corsetto di pizzo, una
sottoveste di seta e una giarrettiera rosa carne; perle da indossare che lui
non avrebbe visto, mai. L’avrei fatto anche per lui, sì, per il mio padrone, che
quel pomeriggio avremmo salutato, per sempre. Perché lei, la mia giovane
padrona, quel giorno per lui voleva essere bella, bella sotto il nero degli
abiti, come una sposa.
Al ritorno ci avrebbe attese Claude.
Era Claude, adesso, l’unico uomo della casa.
(Lettera d’amore)
Cara Sara,
io ti amo.
Non ti amo per ciò che di te so. Ti amo per ciò che di te non so.
Ti amo per i tuoi buchi, per le tue mancanze azzurre e segrete, che sono
i miei soli tesori. Le tue mancanze che son porte dorate, per me. Che son porte
scintillanti e senza cardini, aperte sul mistero di te.
Ti amo per quella tua bocca screpolata, avara di sorrisi da quando,
ragazza, hai perduto quel dente guasto. E poi, per paura, non lo hai sostituito
mai. E nessuno lo sa: la tua bocca è un sigillo rosso che non lascia trapelare
alcuna assenza. Solamente io lo so. Solamente i miei baci lo sanno. Solamente i
miei baci possono accarezzarla, possono lambirla, quell’assenza.
Ti amo per le parole che balbetti e poi non dici. Che ingoi di nuovo.
Come i pezzi di carota scotti del minestrone. Duri, sì, ma colorati di un
arancio così brillante che non hai cuore di avanzarli, mai. Balbetti e ingoi. Mentre mi guardi e in
silenzio cerchi la voce. La tua voce bucata, che non vuole uscire, che non esce
mai.
Passano nuvole d’argento, sopra i tuoi occhi. E quando si decide ad
uscire esce come acqua dalla sabbia, la tua voce. Esce come pioggia salata, a
lungo covata da un cielo nero. Ma sono quelle tue nuvole che io amo, anche se
portano il sale.
Non ti amo per il tuo abito più bello, per l’abito alto e bianco che
indossasti quando ci sposammo. Ti amo per quell’abito rosso un po’ scucito,
quell’abito che no, non hai voluto indossare, mai più.
Eravamo su quel prato, ricordi? Per letto il fango e il cielo, nero di
stelle. Dopo quella sera per anni ho sognato i tuoi capelli, castani e sudati,
invasi dalle lucciole. E tu lo sai come si scucì, quell’abito rosso.
Un giorno ti eri messa d’impegno ad aggiustarlo. Ti ho preso il polso
quando ti ho vista lì: l’ago lucente e il filo rosso in mano. Ho bloccato
quell’ago prima ancora che potesse infilare un solo punto. Tu non l’hai mai
capito il perché. Non posso andare in giro come una stracciona, mi dicevi. Ma
il nostro primo amore era ancora là, tra quei fili strappati. Non dovevamo
pungerlo, imbrigliarlo troppo stretto. Non se lo meritava, no, quel nostro primo
amore.
Non ti amo per i giorni e i ricordi che brillano senza tempo nella nostra
memoria. Ti amo per i giorni senza luce. Ti amo per i giorni assenti e grigi.
Perché il nostro amore è tra i piatti ancora da lavare. Tu che ti lamenti che
son sempre troppi. Il cane da portar fuori anche con la pioggia. E la credenza
ancora da spolverare.
Ma tu dimentica tutto quello che ti ho scritto. Ricorda soltanto che ti
amo.
Tuo Aldo
***
CONCORRENTE NUMERO SEI
(Racconto)
L’uomo della carrozza
Juliet mi nascondeva qualcosa, usciva tutti i giorni, alla stessa ora.
Non c’era né pioggia, né vento che potessero fermarla. Sentivo odore di
bruciato, la mia gelosia, ossessiva, iniziava a provocarmi segni di squilibrio.
Era la governante personale di mia sorella Luise, moglie del Conte La Fayette.
Vivevo presso di loro a causa delle mie frequenti crisi nevrotiche che non mi
permettevano di vivere solo.
Quella ragazza mi piaceva molto, non potevo avvicinarla, ma la volevo a
ogni costo.
In preda a una crisi, una notte bussai alla porta della sua stanza, sul
retro del palazzo, dove nessuno poteva vedermi. Per farmi aprire, finsi di
avere bisogno di aiuto. Entrato in casa, cominciai a stringerla spaventandola. La
minacciai di non dire nulla a nessuno, nonostante la mia patologia, avrebbero
creduto a me, non certo a una serva.
Andavo da lei ogni notte, le avevo imposto di non chiudersi a chiave. Mi
respingeva, soffocando dolore, mostrando disgusto e paura nei miei confronti,
ma sapeva che non doveva fiatare e questo favoriva ogni mia azione di piacere.
Non poteva rifiutarsi, l’avrei fatta licenziare.
Di giorno seguivo ogni suo spostamento, era un pensiero fisso.
Noleggiai una carrozza, volevo capire dove andava tutti i pomeriggi.
Arrivò in Piazza delle Fontane col volto sorridente; chiesi al cocchiere di
fermarsi, mentre Juliet entrò in un negozio da cui uscì con un bellissimo
bouquet di fiori. Mi affacciai allo sportellino per guardare con attenzione se
aspettasse qualcuno, invece si incamminò in una viuzza, troppo stretta per
poterci accedere con la carrozza. Aspettai, fino al suo ritorno e così per
diversi giorni.
Dopo qualche settimana, Juliet uscì come sempre, una domenica pomeriggio.
Decisi di seguirla a distanza, proprio nel vicolo dove sempre si era diretta. Lo
percorsi fino in fondo, osservando ogni abitazione per vedere se si fosse
rifugiata in qualche casa. Di lei nemmeno l’ombra, fino a quando sentii da
lontano il vagito di un neonato.
Per non destare sospetti fingevo di leggere sui campanelli delle abitazioni,
come se stessi cercando qualcuno. Mi avvicinai al grande caseggiato da cui
proveniva quel fastidioso pianto che mi dava al cervello e spiai all’interno,
dalla finestra. La scena che vidi mi lasciò di ghiaccio: Juliet stava
allattando un bambino! C’erano tutte suore intorno a lei e quello era un
orfanotrofio.
Entrai, senza chiedere permesso, urlando oltre ogni controllo,
pretendendo spiegazioni. Tentarono invano di calmarmi, invitandomi a uscire, le
mie urla si diffusero al punto tale che accorsero alcuni gendarmi, chiamati dal
vicinato impaurito.
Quindi Juliet mi tradiva? Di chi era quel bambino?
Mi portarono in caserma e le mie crisi divennero compulsive, per poi
essere ricoverato in un ospedale psichiatrico, dove rimasi diversi mesi, vegetando
come un imbambolato, imbottito di psicofarmaci.
Il mio stato di salute era
peggiorato, mi dimisero dichiarandomi incapace di intendere e di volere.
Non trovai più Juliet e nemmeno quel bambino nell’orfanotrofio.
Juliet…Juliet…dov’è Juliet…? così trascorrevo le mie giornate per strada,
cercando invano la mia Juliet.
Lasciatelo stare, è il pazzo del paese, dicevano.
(Lettera d'amore)
Non riceverai mai questa lettera. La scrivo perché rimanga indelebile dentro
di me l’impronta del tuo appassionato ricordo: il mio segreto più bello.
Eri il responsabile del servizio catering alla festa di Flavia. L’elegante
divisa blu ti metteva in risalto il corpo statuario. I capelli lunghi e la
barba incolta incorniciavano il tuo volto giovane, dandoti un’aria misteriosa e
intrigante; ma non consideravo nemmeno l’ipotesi di guardarti con interesse, anche
se non ti nego che un apprezzamento, casto e puro, attraversò il mio pensiero.
Mi avvicinai al buffet.
<<Prego, cosa posso servirle?>> mi chiedesti rivolgendoti a me.
Il giovanotto ha anche una bella voce, pensai, carezzevole e rauca al
punto giusto.
<<Scelga lei per me, niente dolci, preferisco il salato >>risposi.
Qualche giorno dopo mi arrivò la tua richiesta di amicizia su facebook, non
ricordavo chi fossi e dovetti sfogliare alcune delle tue foto.
Ah… è il ragazzo del buffet, pensai sorridendo.
La settimana successiva, un altro messaggio, discreto, ma carico di complimenti,
tipico di chi vuole attaccare bottone. Iniziammo così ad approfondire la nostra
conoscenza, meravigliata del fatto che tu sapessi già molte cose di me.
Quattro anni di amicizia virtuale, fino a che ci trovammo per un
aperitivo. Accettai l’incontro con piacere, finalizzandolo al fatto che mi
servivano informazioni per un servizio catering.
Tra discorsi vari e risate trascorremmo una simpatica serata e non fu l’unica
,perché accadde ancora tante altre volte. Ci si trovava sempre più di frequente
e si sa…tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.
Mi piaceva quando volevi curiosare nella mia vita, provavo una profonda
tenerezza, e oltre l’attrazione fisica qualcosa di inspiegabile mi portava da te. Un amore impossibile, c’era
ben poco da sognare, ma la passione ormai ci aveva travolti. Mi piacevi da
impazzire, eri il riscatto della mia giovinezza non vissuta e di un amore cercato
da sempre. Sentivo lo stesso ardore che poteva darti una donna della tua età, i miei sensi, ormai sopiti da anni, con te si
erano risvegliati. Mente e corpo ritornavano indietro, illudendosi di vivere in
un tempo passato, ormai inesistente.
Com’erano intensi i nostri incontri! Sguardi profondi, poche parole,
respiro nel respiro, mentre il tempo volava, impietoso del nostro amore clandestino.
Ogni volta temevo che sarebbe stata l’ultima e invece durò altri anni,
fino a quando decisi di troncare.
<<Posso essere tua madre>> ti dicevo.
<<Ma non lo sei e io ti amo.>> mi rispondevi.
<<Meriti una vita diversa, e non con me.>> Pronunciavo queste
parole col cuore in gola e le lacrime agli occhi, sperando che tu potessi
convincermi del contrario.
Mi costò molto rinunciare a te, ma mi sentivo intrappolata in una storia
impossibile e convinta di fare il tuo bene, decisi di lasciarti.
Ancora mi chiedo se quella fu la scelta giusta.
Vivi… vola libero, amore mio e che la gioia accompagni ogni giorno della
tua vita.
Non ti dimenticherò, resterai per sempre il mio segreto più bello.
Tua Laura
***
CONCORRENTE NUMERO SETTE
(Racconto)
Il cane nero:
Marie è riversa sul pavimento, petali colorati ovunque e una leggera
striscia di sangue, l'ho appena colpita col candelabro.
In fondo alle lunghe gambe la sottoveste si è risvoltata sul vestito a balze:
ha fatto l'ultima ruota, il mio Pavone. Possibile non capisca che può
dismettere quella faccia da santa, e insista con la sceneggiata persino da
morta. Vai a vedere che ci credeva, il mio tesoro, di essere nel giusto.
Dolce Marie, la sicurezza del mio focolare, e mille remore sotto le
sottane. Solo con me, a quanto pare.
Pensava non li avessi scoperti. Figurati. Figurati se Claude non si
insospettiva per i comportamenti del suo fidanzato, monsieur Cilindro. Non ci
volevo credere, ma ho visto come ha appena guardato Marie dalla carrozza,
spudorato e inopportuno. Eh sì che, col suo mestiere, dovrebbe sapere come si
sta al mondo!
Essere così plateali è irridere la discrezione dei gentiluomini come me,
la fatica di organizzare incontri segreti con Claude. Non li ha mai letti i
giusti modi nei libri che vende?
Marie stava attraversando la strada, veniva dal negozio di lingerie. Sono
corso qui a casa ad attenderla.
Mi sono gelato a vedere la scena, poco fa: lui che passa in calesse, e
piega il busto in avanti per guardarla il più a lungo possibile.
Compare proprio in quel momento, ma non dà proprio l'idea d'essersi
smarrito come il cane nero sul selciato, vicino alla mia bella.
Non ho neanche voluto sapere dei fiori, quando è rientrata. Effetto
sorpresa dietro il portone di ingresso, lei che poggia il mazzo, io che le
fracasso la testa.
Lei è solo mia. Solo mia.
E ora tocca a lui. Ma prima, nella notte, la sbatto nella Senna appena
fuori città.
Tanto so dove trovarlo, non mi scappa.
Domani, all'imbrunire, Île de la Cité. Lascerò che venga la notte più
nera, regno di qualche rado barbone. Sistemerò quel bouquiniste da quattro
soldi, anche lui nel fiume, comodo comodo che ci lavora di fronte.
Un forte rumore mi sveglia nel letto disfatto, sembra un tonfo, una massa
che cade in un'acqua lenta. Mi viene da sporgermi e guardare giù, come mi
aspettassi di vedere il verde smosso della superficie. Ma sono a casa. C'è solo
il rosso fermo del cotto.
Devo andare da Claude. Le racconterò cosa mi ha detto in sogno, che ora
l'ho visto che ha un altro. Devo andare, prima che quest'incubo ritorni.
La cercherò. Scommetto che di giorno fa l'aiuto del suo venditore di
libri. Me la immagino, che racconta le storie a un capo della bancarella, e
incanta i turisti come ha stregato me.
Le urlerò che me l'ha quasi fatta ammazzare, Marie, che non voglio più
essere un traditore, e per di più omicida, seppure solo per sogno.
E anche a lui. A lui dirò che si svegli, che è ora di allungarla davvero
la testa.
Mi porto uno di quei fiori freschi nel vaso, spero se lo riuscirà a
ficcare in quel suo capo a cilindro!
(Lettera d’amore)
Mia cara, ti scrivo per spiegarti perché ora sono qui, solo come un
pianeta nell'universo, ma mi piacerebbe esserti accanto.
Mi chiedo perché t'ho sempre negata, fin da quando è stato subito amore,
felicità.
Ti sollevavo stringendo le braccia sotto al sedere e sentivo la gioia, ma
pure gravità ben celata nelle curve.
Poi i nostri corpi si sono allontanati e tenuti distanti, siamo diventati
concetti, onde mentali l'uno dell'altro, ma sono sicuro che ci siamo sempre
pensati.
Dei sogni non t'ho mai raccontato perché sono perfetti e io non ci credo.
Scarrozzavo in giro i pensieri cercando di sottrarti alla loro essenza,
perché la loro materia eri tu; altre volte di rinsaldarti dentro la consistenza
rassicurante della ripetizione. Era un modo per tenerti in qualche modo vicino,
senza affrontare le mie paure. Che scemo, chissà quale miracolo speravo.
Nei sogni che non ricordavo tornavi, irriconoscibile. Eri come quei vuoti
tra gli atomi di cui siamo fatti e non li sappiamo, la tua leggerezza pesante
che facevo volare, speravo insieme alle mie paranoie. Erano quelle che dovevo
cominciare ad amare, insieme a me, saremmo stati un noi.
Non sei più tornata ma ti sento, come negazione che conferma l'esistenza,
le cose che abbiamo in comune sono come un nostro alfabeto, apro gli occhi e
non troverei strano avvistarti.
Torna, ti prego...
E al diavolo il vuoto tra gli atomi, la poesia e questo mio strano
approcciare: quanto mi piacerebbe ricominciare a parlarti, girarti attorno come
a un satellite.
Senza di te è un'altra vita, è quella di un altro.
Mi hai sempre attratto, lo sai, con quella forza che non si riesce a
spiegare, ci siamo pensati, non ho piu timori, e ti ho fatta volare.
***
CONCORRENTE NUMERO 8
(Racconto)
La donna misteriosa
Parigi in primavera era un tripudio
di colori e profumi. Le vie erano piene di gente, che invogliata dal tepore del
sole, uscivano per lunghe passeggiate e ne approfittavano anche per fare
merenda nei piccoli bistrot. Antoine, che di mestiere
faceva il cocchiere, parcheggiava la sua
carrozza, poco distante dalla boulangerie in piazza.
Capitava che restasse fermo in
attesa di clienti o turisti anche dalle ore tra una corsa e l’altra e allora
per occupare il tempo si divertiva a osservare tutti coloro che attraversavano
la piazza.
Ogni giorno, sempre alla stessa ora
lo sguardo di Antoine era attratto da una donna meravigliosa che passava
davanti alla sua carrozza. Era alta,
bionda, con una pelle bianca come la
porcellana, sempre vestita con gonne svolazzanti. Ma ciò che lo colpiva era che
la donna misteriosa teneva tra le sue mani sempre un mazzo di fiori, ogni
giorno composto da fior diversi.
Le domande iniziarono a insinuarsi
nella sua mente… a chi portava i fiori ogni giorno? Dove andava a passo svelto? Forse
era una ballerina del Moulin Rouge,
oppure una cameriera che comprava su
ordinazione della sua signora si recava al chiosco di fiori.
Era talmente bella e leggiadra nei
suoi movimenti che non aveva nemmeno il coraggio di rivolgerle parola e certo
non poteva permettersi di seguirla e lasciare a la sua carrozza e i suoi
cavalli incustoditi. .
I giorni passavano tutti uguali e Antoine
cercava sempre lo sguardo della sconosciuta.
Era la Vigilia di Natale, la neve cadeva copiosa e
aveva già imbiancato le strade e il manto scuro dei cavalli. L’aria di festa
invadeva le strade e le case, ma un velo di malinconia si celò negli occhi di
Antoine perché da quel giorno non vide più la donna misteriosa.
Chissà cosa le era successo?
Chissà chi era? Domande a cui non seppe mai dare risposta.
(Lettera d'amore)
Mio caro,
non so quando è iniziata questa
nostra storia, né so spiegare tutto questo tumulto di sentimenti che vivono
dentro di me. È difficile trasformare in parole i misteri che aleggiano nel
cuore; per quanto io ci provi ho la sensazione di non esserne all’altezza.
Non è giusto ridurre questo
sentimento così nobile in poche righe, non ti mentirò e ti confesso che ho
anche paura di non saper trasmettere ciò che mi invade.
Quando mi guardi la scintilla dei
miei occhi ti dice tutto quello che a parole non si può scrivere. Il passare
del tempo insieme mi ha fatto capire che la vita riserva sempre piacevoli
sorprese e a volte ti fa incontrare persone che sanno dare svolte inaspettate
alla nostra esistenza.
Né tu né io ci aspettavamo l’un
l’altro. Il giorno in cui ci siamo
incontrati non so se sia stata una meravigliosa coincidenza o il risultato di
una forza maggiore ma l’intesa tra di noi è stata immediata. Non mi riferisco
solo agli sguardi ma anche a quella sensazione che irrompe dal profondo e ti
inebria senza sapere come. Ricordo che da lì tutto ha iniziato ad avere un senso.
Non importa dove andiamo, cosa
facciamo o di chi parliamo, da quando ti ho trovato è come se il mondo esterno avesse
cessato di avere importanza.
Sei diventato la mia coincidenza
preferita. È difficile spiegarlo a parole ma la verità è che amo il modo in cui
mi fai sentire.
Sei l’asse dei miei sorrisi, colui
che muove i miei pensieri, il mio rifugio…
Amo ascoltarti perché mi aiuta a
conoscerti e in un certo senso a sentirmi parte di te.
Da subito mi hai mostrato le tue
luci ma che le tue ombre.
Ombre che insieme abbiamo fatto diventare colorate.
Sei il mio punto di svolta, il filo
conduttore dei miei sentimenti, il motore dei miei sorrisi. E per tutte queste ragioni
io voglio ringraziarti. Grazie per essere stato te stesso, fin da subito. A
volte divertente, altre esplosivo, a volte un po’ testardo ma sei sempre stato
essenzialmente TU.
Grazie perché, quando in me
iniziano a prender piede l’insicurezza e la paura, tu mi prendi per mano e mi
conduci fuori da quel labirinto di pensieri negativi.
Spero di camminare accanto a te
ancora per molto tempo, intraprendendo quel meraviglioso sentiero che è la
vita. La nostra vita.
Ti amo.
E ORA VOTATE VOTATE VOTATE!
Si può votare fino alle
ore 12 di giovedì 20 ottobre 2022
Qui di seguito i testi dei 3 concorrenti che hanno passato il
turno grazie al voto della giuria tecnica.
NON SONO SOGGETTI A VOTAZIONE, ma se dopo aver espresso il vostro voto relativamente ai concorrenti in ballottaggio, volete esprimere un commento anche sui testi che sono già passati alla fase 3, potete farlo in un commento: gli autori ne saranno felici!
CONCORRENTE NUMERO UNO
(già promosso dalla giuria tecnica)
(Racconto)
Il mazzo della modernità
Lavoro come addetta alle vendite presso il negozio di Lingerie del signor
Bonnet dalla primavera di questo 1889 che oramai si appresta a consegnare le
nostre vite all’ultima decade di un secolo che ci ha regalato rivoluzioni
culturali e scoperte mirabolanti. Così, tra diverse fatiche e molti affanni
appresso alle commesse da dirigere, nonché dietro alle assurde pretese della
stolta clientela, giungo a sera sfinita, tutti i giorni, senza soluzione di
continuità.
Però, a dirla tutta, un bel diversivo nelle mie settimane generose di
seccature e discussioni c’è e mi regala sempre tante emozioni.
Ebbene, ve lo racconterò così come mi viene, così come lo vivo ogni
sabato mattina, quando assisto alla scena.
Proprio qua vicino abita una giovane, si tratta della figlia di un
mobiliere che gestisce il negozio a fianco a quello dove mi trovo io, tutti nel
quartiere parlano di lei: è giovane e bella, con un volto angelico incorniciato
da morbidi ricci biondi, ma il suo carattere è ribelle e anticonformista. Si
chiama Julie Delacroix, lavora nell’esercizio del padre, ma sogna di fare la
scrittrice. Da un paio di mesi si è innamorata di un cameriere della
Caffetteria Le Petit che si trova sul lato opposto della via e in barba alle
convenzioni, ogni sabato acquista un mazzo di fiori e lo porta al suo amato,
suscitando lo stupore generale e attirando le critiche più aspre dagli astanti.
Io mi diverto da morire. Il padre tutte le volte minaccia di diseredarla, ma
lei se ne infischia. Prende i soldi dalla cassa e mentre il genitore è
impegnato con qualche cliente, esce, acquista il bouquet e si precipita,
sagittabonda, dal suo amore. Appena lo scorge a servire tra i tavoli del caffè,
solleva il mazzo ed esclama: “Sono per te!” Dovete vedere le carrozze: i fiaccherai
tirano le briglie e soffermano le vetture stupiti da cotanto ardire, come pure
i loro passeggeri che si sporgono financo dall’abitacolo per guardarla meglio.
Il fidanzato di costei imbarazzato sino all’inverosimile ritira i fiori, li
annusa, ringrazia e li porta nel retro della Caffetteria. Ma lei non si dà per
vinta, gli corre dietro, gli getta le braccia al collo, lo bacia davanti agli
avventori del locale e poi tona versa il suo negozio tra lo sdegno generale.
“Che svergognata, il mondo si è proprio rovesciato!” Urlano tutti. “Che
donna all’avanguardia!” penso io.
(Lettera d'amore)
Amore mio,
Ti dedico queste poche righe, senza preamboli inutili, per mirare dritta
al tuo cuore.
Mi hai colpita, impressionata, intimamente avvinta.
Quando il tuo sguardo si posa su di me, fuggevole e repentino, mi sento
mancare. Un lieve crampo di piacere mi contorce i visceri, con la mente
fantastico sul tuo corpo e si accresce in me il desiderio di averti in pieno su
un letto disfatto. Ti amo. All’inizio era solo un’avventura della coscienza,
poi, pian piano la tua eleganza mi ha sedotto incatenandomi alla voglia di te,
imperitura e spasmodica.
Vorrei che i minuti trascorsi in tua compagnia potessero allungarsi, sì
da diventare ore e poi anni, mesi, magari secoli, per non sprecare neppure un
istante di questa vita che ci è stata donata in sorte e così dedicarla solo a
te. La tua risoluta dolcezza mi disarma e sempre i tuoi modi garbati e gentili
travolgono la mia anima sottomettendola al sentimento più antico del mondo.
Vorrei poterti dire “domani faremo” ma la vita mi ha insegnato a vivere
nel presente e a cogliere il bene come un frutto assaporandolo immediatamente
dopo averlo colto, senza lavarlo e senza attendere la sua perfetta maturazione:
perché l’eternità risiede nel qui ed ora.
Perciò di quest’amore che ci unisce al di là dell’umana comprensione
faccio tesoro proprio come l’attingere a una sorgente d’acqua costituisce un
prezioso ristoro per il viandante assetato. Ti ringrazio per aver scardinato
ogni mio freno emotivo permettendo all’entusiasmo di trovare finalmente
scaturigine nella breccia che hai sapientemente aperto nel mio cuore. Tutto è
caduco, tutto è precario ma la seduzione, fine, della lingua che, dispettosa,
si affaccia nel parlare sul greto delle tue labbra mi regala la certezza dell’esistere
che solo il fuoco vivo della passione sa donare.
Perciò, amore mio ti dico: eccomi, adesso, in questo posto.
***
CONCORRENTE NUMERO DUE
(già promosso dalla giuria tecnica)
(Racconto)
Domani sarà diverso
Il primo vento d’autunno ha visitato Parigi in questi giorni, lasciando
come ricordo la luce di un cielo terso, che rende più viva e brillante ogni
cosa.
Ho pensato di fare una passeggiata fino al Pont Neuf, per sgranchire le
mie vecchie gambe, ma non credevo che l’aria fosse già così fresca. Perciò
indosso solo la solita cuffia bianca a coprire la testa, e il mio scialle
preferito sulle spalle. Azzurro, come
questo cielo limpido.
Prima, però, voglio passare a salutare Jeanne. Mi basta attraversare la
strada, il suo negozio di biancheria e camicie è proprio di fronte al portone
del palazzo in cui abito.
Questa mattina Rue Lepic è davvero affollata. Pigalle è un quartiere
molto frequentato, e, da quando hanno aperto quel nuovo locale – mi pare si
chiami Moulin Rouge, se ricordo bene – il traffico è aumentato notevolmente.
Ecco passare di nuovo quella ragazza. Mi è già capitato di incontrarla.
E’ sempre così ordinata, ma gli abiti che indossa sono invariabilmente di
colore scuro, che contrasta con il candore della sua pelle. E, ogni volta che
la vedo, regge tra le mani un mazzo di fiori. Oggi sono rosa, come le sue
labbra sottili.
Quello che mi colpisce in lei è soprattutto la tristezza che le leggo
negli occhi, talvolta così evidente che devo trattenermi dal fermarla, per
domandarne il motivo.
Spesso gli uomini la seguono con lo sguardo. Come quel signore che sta
passando ora in carrozza e la fissa intensamente.
Ma guarda, le è caduto qualcosa dalla tasca…
«Mademoiselle! Avete perduto un fazzoletto.»
«Dite a me? Oh, grazie! Ci tengo molto, perché apparteneva a mia madre.»
«Apparteneva?»
«Sì, purtroppo i miei genitori sono morti, e quando posso, porto dei
fiori sulla loro tomba.»
Abbassa lo sguardo, arrossisce. E capisco che non dipende da questa
intima confessione.
«Qualcosa non va?»
«Non è nulla, non vi preoccupate.»
Non mi convince, una lacrima le ha bagnato una guancia.
«Ne siete certa?»
«Quell’uomo in carrozza. E’ uno dei clienti del locale dove lavoro. Sono
rimasta sola, ho cercato a lungo un impiego per mantenermi, ma finora ho
trovato solo un ingaggio come ballerina nel Cabaret di Pigalle che hanno
inaugurato di recente.
Devo indossare abiti succinti e danzare il Cancan, ma mi vergogno, mi
sento fuori luogo.
E poi gli uomini si permettono avances, perché mi credono poco seria.»
La osservo mentre si allontana, le fragili spalle un po’ incurvate sotto
il peso del suo destino.
So cosa significa, è capitato anche a me.
Ho conosciuto i bordelli, e ho ceduto a compromessi che ancora tormentano
la mia anima. L’ho fatto per Jeanne. Non volevo abbandonarla, come fece suo
padre.
Ma la storia non deve ripetersi.
Perciò, domani parlerò con mia figlia. Ha bisogno di un aiuto in bottega,
adesso che aspetta un bambino. E tutto andrà a posto.
Ma non ora. Non oggi.
Oggi ho bisogno di respirare quest’aria pulita e leggera, e lasciare che
il vento soffi sulla polvere mio passato, per aiutarmi a dimenticare.
Domani sarà diverso.
(Lettera d'amore)
A te che, forse, mi aspetti
Ancora una volta è scesa la notte, come accade dall’inizio dei tempi,
secondo il volere degli Dei che hanno creato la Terra.
Le fatiche della giornata sono terminate, e gli uomini stanno riposando.
Lo scafo accoglie le onde, tra i bagliori biancastri della luna, che disegna
sentieri luminosi sullo specchio scuro del mare. Sono finalmente solo sul ponte di prua,
veglio e governo la nave, perché non perda la rotta.
Domani riprenderemo il viaggio, i remi canteranno la loro canzone,
sollevando la spuma candida, mentre le vele schioccheranno al vento mattutino.
Ma ora, in questo silenzio smisurato e senza confini, ascolto il suono
dei miei pensieri, e lascio che mi conducano a te.
Ti confesso che è con grande timore che permetto che ciò accada.
Ma come, potresti pensare, un Re, un eroe valoroso che ha sconfitto
migliaia di nemici, ha paura di una donna?
E’ passato così tanto tempo, vent’anni sono lunghi lontano da casa, da te
e da nostro figlio, che non ho visto crescere. Non ho potuto evitarlo, mia
adorata, e vorrei spiegarti ciò che mi ha spinto ad allontanarmi, sperando che
non sia troppo tardi.
Quando mi è stato chiesto di partire per una missione di guerra, ho
accettato per un motivo evidente, e per un altro racchiuso nella mia anima.
Aiutare un amico e aiutare me stesso.
Ho sempre provato un desiderio incontrollabile di conoscere, di esplorare
altri orizzonti, nuovi lidi. E questo tarlo che rodeva il mio spirito, non mi
ha lasciato scampo. Dovevo andare per scoprire se sarei tornato, e allora
sarebbe stato per sempre.
So che, in apparenza, potrei sembrare un mostro di egoismo che ha pensato
solo a sé, e non a noi. Ma il demone che mi possedeva non accettava sconti, e
attendeva la sua vittima sacrificale.
Perciò, alla fine, ho accettato la sfida. La più difficile, la più
ignota, contro l’avversario peggiore… La mia natura umana, così irrequieta e meschina.
Ho deciso di intraprendere il mio folle viaggio, consapevole del fatto
che non sapevo cosa avrei trovato al ritorno, portandovi con me, nel cuore.
Giorno dopo giorno, sono riuscito a placare il fuoco che mi divorava e a
colmare il vuoto scavato dall’inquietudine, superando lontananze nello spazio e
nel tempo. Sono partito da casa, dove mi sentivo solo, nonostante voi, fuori
luogo, quasi inutile.
Ho attraversato il mondo, e ora sto tornando.
Ma non sono più solo, perché mi sono ritrovato. E mi sono rassegnato a
non essere ancora un Dio. Ho compreso che viaggiare non significa cercare altre
terre, ma guardare la realtà che conosco con occhi diversi.
Sto tornando a Itaca, ma non sarebbe la mia patria se non l’avessi
lasciata. E Itaca sei tu.
Tra qualche giorno getteremo l’ancora nel porto, finalmente. Le acque
azzurre non celano più segreti o magie, il canto delle Sirene si è dissolto nei
fischi gioiosi dei delfini.
Dove sei, dolcissima moglie? Vorrei che tu stessi tessendo un abito per
me.
Penelope, mio unico amore, potrai perdonarmi?
Eternamente tuo, Ulisse
***
CONCORRENTE NUMERO CINQUE
(già promosso dalla giuria tecnica)
(Racconto)
Nessuna rivoluzione
«Buondì Mademoiselle Madeleine, come state?»
«Saluti a voi, Baptiste. È una splendida giornata, grazie. E voi? Come
vanno i vostri dipinti?»
La sua gentilezza supera di gran lunga la sua bellezza, farsi notare in
piena mattina impegnata a conversare con me non deve essere semplice.
Madeleine è la figlia del gendarme, l’uomo che già tre volte ha pensato
bene di farmi passare qualche notte in gattabuia. Certe abitudini ti attaccano
un’etichetta che poi è davvero difficile da scollare.
Sarà anche per questo che nessuna galleria della città ha mai deciso di
puntare sui miei quadri.
E io sono ancora un pittore squattrinato.
Ma come si fa a rinunciare all’arte? Come si può ignorare il bisogno di
fare l’amore con la tavolozza? Non si può.
Come non si può che restare incantati davanti alla freschezza di questa giovane
donna.
«Oh, i dipinti dormono sonni profondi. Sembra che in tutta Parigi non ci
sia nessuno che abbia il desiderio di svegliarli. Forse riposano di sogni
turbati e i galleristi della città pretendono soggetti più consoni al
buonsenso.»
«Così mi incuriosite. Perché cosa dipingete? Non siete voi forse
l’artista di cui si parla con lode per la capacità di rendere reali i paesaggi?»
«Vi confondete, Vostra Grazia. La mia pittura è più ardita…»
Lascio la frase in sospeso.
Studio la sua reazione mentre con la coda dell’occhio mi accorgo che Monsieur
Moreau ci sta osservando dalla sua carrozza. Riferirà di aver visto la figlia
del gendarme intrattenersi con il pittore delle cortigiane.
È questo quello che si dice di me nei palazzi.
Mi temono. Cercano di tenermi fuori dal giro che conta. Sì, perché nelle
mie ore artistiche trascorse presso i bordelli della città, ho visto più di una
volta i loro volti lasciarsi andare alla lussuria: banchieri, dottori, politici
e gendarmi.
I miei occhi custodiscono un tesoro inestimabile.
«Cosa volete dire, Baptiste? Mi turbate.»
Si guarda intorno. Questo paese si vanta per aver fatto la Rivoluzione ma
è rimasto ancorato alla sua infanzia. Almeno per ciò che concerne il pudore.
Io no.
Io oso.
Un uomo deve sempre azzardare al cospetto di una donna. Deve farlo. Con
gentilezza e cortesia ma deve farlo.
«Dipingo corpi di donne senza veli, Mademoiselle. Rendo omaggio alla loro
bellezza catturando l’anima più intima nascosta in ognuna di voi.»
«Volete dirmi che i vostri quadri rappresentano nudità?»
«Lo sto dicendo.»
Indietreggia.
Un cane che scodinzola viene investito dal suo imbarazzo.
«Santo cielo, Baptiste. Non vi vergognate?»
Me lo aspettavo. Ci sono abituato. Anzi, resto stupito dalla sua
innocenza. Davvero non sapeva della mia poetica?
«Signorina, l’arte non può essere mai una vergogna. Mai.»
Eppure mi sembra in bilico tra la curiosità di proseguire il discorso e la
necessità di allontanarsi per la vergogna: ci sono occhi e orecchie in ogni
angolo a Parigi.
Sceglie la seconda opzione, nessuna rivoluzione oggi.
La osservo andare via. Nella mente la raffiguro stesa sul sofà vestita
soltanto di quel mazzo di fiori che riflette la sua bellezza.
Dipingerei un capolavoro.
(Lettera d'amore)
Alla mia luna piena
Esse.
Esse come sentimento. Quello che provo ancora per te.
Esse come se deve essere una lettera d’amore, una sola, allora che sia la
S.
Esse come scusa. Scusa amore se non sono stato in grado di capirti, di
ascoltarti e di regalarti tutte le attenzioni che meritavi.
Esse come si fotta l’orgoglio. Così fragile davanti all’immensità del
sentimento che lo travolge ogni volta che ripenso ai giorni che abbiamo
trascorso insieme.
Esse come stelle. La cornice dove tutto è cominciato. Ricordi? Un bacio
timido e infreddolito dalla brezza marina di una notte di metà agosto che non
si può dimenticare. Non te l’ho mai detto, ma quella sera ho desiderato di
poterti tenere tra le braccia per sempre. Ora maledico ogni giorno quella scia
luminosa che tuffandosi in mare mi ha illuso di poterlo credere.
Esse come sono fatto così: sogno e credo nei sogni. E tu eri il mio
desiderio più grande. Lo sei ancora.
Esse come sole che tramonta dentro di me ogni volta che ti penso. La
nostalgia mi divora. Mi manchi. Ricominciamo?
Esse come so bene che non ho nessun diritto di chiedertelo e che non
dovrei farlo. Le tue parole sono state chiare: non mi ami più. Sentirle uscire
dalla tua bocca è stato doloroso. Truce.
Mi hanno fatto così male che come reazione ho pensato di odiarti. Ho
cancellato dalla memoria tutti i baci, tutte le carezze e tutta la felicità che
ci apparteneva.
Almeno credevo.
Invece giorno dopo giorno, quella reminiscenza ha scavato nel muro eretto
dal dolore e si è aperta un varco. È riuscita a evadere dalla prigionia
dell’orgoglio ed è arrivata fino a qui, fino a questa lettera. Fino a queste
parole, le ultime, con cui ti chiedo di provare ad aggrapparti a quei ricordi.
Immaginali come un film: guardali e ascolta l’effetto che fanno.
Esse come se sarai indifferente, allora prosegui per la tua strada. Sii
felice. Se invece toccheranno ciò che risiede dentro di te, voltati da questa
parte.
Esse come sarò lì ad aspettarti.
Esse come sincerità. Non posso giurarti che mi troverai cambiato,
commetterei un altro errore. Mi troverai innamorato e pronto a custodire il
bene più prezioso della mia vita. Tu.
Esse come senza troppi giri di parole. Senza intingere questo foglio nel
miele.
Esse come sarai sempre la mia luna piena.
Esse come scrivere lettere d’amore. Abitudine che non mi appartiene.
Esse come stupire. Quello che confido di fare con queste parole dettate
dal cuore.
Esse come speranza.
Esse come spiaggia. L’ultima.
Esse come stupido.
Esse come solo.
Esse come solo tu.
Il tuo lupo mannaro
***
ATTENZIONE
Nella diretta di giovedì 20 ottobre alle 21, nella Pagina Facebook di Edizioni Convalle, svelerò i nomi
degli autori dei testi del GIRONE A - FASE 2 (questo girone).
Complimenti a tutti i
partecipanti!
Il Masterbook prosegue e rimarrà un
solo vincitore, ma ci saremo tutti divertiti condividendo la stessa passione:
SCRIVERE!