Volevo solo avere più tempo

Volevo solo avere più tempo
Il nuovo romanzo di Stefania Convalle

giovedì 16 dicembre 2021

Numero 395 - Per voce tua - 16 Dicembre 2021


Eh...

Non è facile scrivere questa recensione.

Un romanzo, quello di Daniela Montanari, "Per voce tua" (Phasar Edizioni), che ha suscitato in me osservazioni positive e altre meno.

Sarò sincera, come sempre faccio, e sono certa che l'autrice - che ritengo brava ed è pure simpatica - mi perdonerà.

Tutta la vicenda ruota intorno alla vita di una donna che a un certo punto della sua esistenza opera una sorta di bilancio il cui fulcro è la decisione, di quando era ragazza, di abortire.

Da qui si evincono sensi di colpa che si intrecciano con la quotidianità e che si concentrano in una sorta di groppo in gola, il boccone amaro che non si riesce a buttare giù, anche se in effetti la protagonista dovrà affrontare un intervento alle corde vocali.

Per taluni aspetti mi sono ritrovata nella vita della protagonista, in questa ricerca di risoluzione-assoluzione attraverso strade alternative che coinvolgono la sfera del mistero e delle terapie psicologiche alternative. Si citano le costellazioni familiari; si fa riferimento a Louise Hay e a Igor Sibaldi, che conosco; si racconta di una sorta di comunicazione con gli Angeli. Tutte pratiche che ho conosciuto e che mi hanno fatto pensare: "Caspita, l'autrice e io siamo sulla stessa lunghezza d'onda".

Come anche il lavoro stesso della protagonista, che è stato anche il mio in passato per lunghi anni; o anche la vita nella sfera amorosa con scelte sbagliate, ma anche con una raggiunta consapevolezza. 

Insomma, ho trovato tanti punti in comune tra la protagonista e me che hanno sviluppato una sorta di empatia verso la sua storia.

Ma c'è un "ma". Un ma un po' difficile da digerire. E vi spiego perché, anche se è un tema parecchio delicato.

La protagonista, come ho detto prima, decide di abortire quando è ventenne, non se la sente di portare avanti la gravidanza. Però negli anni a seguire questa decisione diventa un tarlo che le fa pensare a quanti anni avrebbe il figlio se fosse nato, arriva a dargli anche un nome. 

Ebbene, posto che ogni decisione va rispettata e ritengo anche giusto che chi decide di abortire possa farlo in sicurezza, questa vicenda narrata mi ha proiettato con forza verso la mia esperienza di tanti anni fa. E qui scendo nel mio privato, nel mio personale più profondo, ma lo spiego per far capire da dove nasce il mio disagio.

Ho sempre desiderato dei figli. Sempre. Ho cercato di fare cure per arrivare a diventare mamma, ma è andata male. Mi ero rassegnata quando, inaspettatamente, sono rimasta incinta. Avevo 38 anni e mi ero sembrato un miracolo! 

Però l'ho perso. 

Ai due mesi e mezzo di gestazione l'ecografia non dava scampo. Però ho sentito il suo cuore battere - lento - ma l'ho sentito.

Il mio aborto non è stata una scelta, l'ho subito.

Ho sperato che potesse riaccadere di nuovo, di restare incinta. Mi dicevo: se è successo una volta, può succedere ancora, e andrà bene. 

Ma non è stato così.

Ci ho messo tanto tempo, tantissimo tempo, per accettare questo brutto scherzo del destino. Ce l'avevo con Dio, mi chiedevo perché mi avesse regalato ciò che io desideravo di più, oltretutto quando ormai non ci pensavo più, per poi portarmelo via e non darmi una nuova occasione.

Facevo fatica a rapportarmi con le donne incinte, anche se ovviamente capivo che loro non c'entravano. Ce l'avevo con le donne che abbandonavano i figli in un cassonetto, o con chi interrompeva la gravidanza; pensavo, cavolo, ma con tutti i sistemi di contraccezione che si hanno a disposizione, perché non ci si pensa prima? Mi dicevo che era tutto molto ingiusto. Soffrivo, mi sentivo una donna incapace di procreare, mi sentivo una mamma senza il suo cucciolo. Mi sentivo male. Punto.

Poi ho metabolizzato e ho  capito che evidentemente il mio destino era un altro e ho avuto modo di essere mamma in tanti modi diversi.

Ecco. Il mio groppo in gola leggendo questo romanzo è stato questo. Non sono riuscita a provare empatia per la protagonista del romanzo per il motivo che ho spiegato. 

Posto - e lo sottolineo - che ogni scelta, in questo caso difficile, va rispettata e non giudicata, trovo difficoltà a condividere un passaggio nelle ultime pagine che dice: "[...] Ma ormai siamo talmente tante, e siamo talmente forti dopo quello che ci è successo, che andiamo avanti unite, [...]"

Ecco (di nuovo), non credo che una donna che decide di abortire possa dire quello che mi è successo, perché è stata una scelta, anche se forzata o obbligata per circostanze della vita, per età e per qualsiasi altro motivo, ma pur sempre di scelta si tratta. 

Le donne che invece hanno perso i propri bambini, vittime di aborti spontanei, allora sì che possono dire quello che ci è successo, perché non è dipeso da loro, l'hanno subito, e non senza dolore. Anzi, un dolore - un lutto - che pochi capiscono. 

Io, più di vent'anni fa, quel cuoricino l'ho sentito battere e non lo dimenticherò mai.

Detto questo, so che l'autrice, da donne sensibile qual è, capirà il mio stato d'animo e questa sorta di critica che rivolgo alla protagonista del suo romanzo.

La penna di Daniela è bella, scrive benissimo, e ci racconta la storia di una rinascita. Un libro che vi consiglio di leggere perché, come vedete, offre tanti spunti di riflessione.

E voglio chiudere così.

Non ho mai dato un nome al mio bambino mai nato, che non so se fosse maschio o femmina, e di cui conservo solo il ricordo del suo cuoricino. Però, per lui ho scritto una poesia, tanto tempo fa. Una poesia che dice così...


CERCAMI

 

Nell’indaco dei miei pensieri

si fa strada la risposta

del fiore mai nato.

 

Vive negli spazi siderali

tra il bianco di un petalo lunare

e il soffio di un atomo spaiato.

 

Vite mai nate

palpiti universali

diventano immortali.

 

Comunque,

sei qui.




Alla prossima

dalla vostra

Stefania Convalle









domenica 5 dicembre 2021

Numero 394 - Parlo di me, Alessandro Bolasco - 4 Dicembre 2021


 

Potrei dire niente e tutto, tante sono le sfumature che l'immagine di uno scrittore, esordiente o stagionato che sia, può assumere agli occhi del suo pubblico. La faccia di una persona è come gli altri la dipingono nel loro immaginario ma è pur sempre plasmata alla maschera che si porta appresso.

Che cosa posso raccontare, allora, che non sia fin troppo soggettivo o autoreferenziale? Parlo di me, dunque?

Ci proverò, ma limitando al minimo i convenevoli e i luoghi comuni. Non interessano a nessuno, a me per primo.

Razionale e attento ai dettagli per via della mia formazione economico-aziendale e del lavoro, sognatore nell’animo, forse è questo connubio caratteriale che mi ha portato a scrivere un thriller finanziario. O forse sono stati l’indole metodica e posata di mio padre, commercialista in pensione, peraltro apprezzato nel suo ambiente, e la natura artistica di mia madre, ex insegnante di musica. Difficile stabilirlo, ma nell’infinità di combinazioni possibili oggi sono diventato quello che sono.

Avrei potuto mandare avanti lo studio di mio padre insieme a mio fratello, ma sentivo che non risiedeva lì il mio destino.

Nato e cresciuto a Cagliari, all’età di 26 anni ho lasciato tutto e, alla ricerca della mia strada, mi sono trasferito a Londra, dove a oggi ho maturato la maggior parte della mia esperienza lavorativa. Non sorprenderà che anche qui in Inghilterra trovai impiego in un settore, quello societario, similare a quello di partenza.

Ho provato a rifarmi una vita a Cagliari dopo qualche anno, ma sono rientrato definitivamente a Londra nel 2015 insieme a mia moglie e a nostro figlio, il quale allora aveva tre anni e mezzo. Oggi ne ha dieci di anni e pian piano sta diventando grande. A volte, lo ammetto, sento un pizzico di malinconia al rendermi conto che non è più il bambinello di una volta ma cresce e mette su carattere; e presto, col subentrare dell’adolescenza, forse non vorrà più avere i genitori intorno. Ma è una cosa che posso solo accettare, e da genitore è giusto accettare.

Che cos’è quel qualcosa che mi ha spinto a scrivere un libro?

"Alla luce dell'ombra" è il mio primo romanzo e nasce dall'idea di raccontare un mondo tanto poco conosciuto quanto controverso, vissuto sulla pelle di tre personaggi. Là dove il sistema consentiva a capitali di qualsivoglia origine di filtrare dalle sue stesse falle e il confine del lecito rimaneva poco marcato.

Non era un gioco di parole, “Alla luce dell’ombra”, ma la realtà nella quale dovevano rassegnarsi a esistere. Per sempre. Senza mai esporsi e senza mai scappare.
Da fuggitivi potevano solo vivere nel silenzio, nell’oscurità, scrutando il mondo da un’intercapedine, camminando lungo il sentiero senza avventurarsi dove non potessero vedere, mimetizzandosi tra le fronde del sottobosco.

Questo era il clima di suspense e incertezza che ho voluto trasmettere. Il tutto segnato talvolta da situazioni che, pur essendo parte della storia, allentano la tensione, così come capita nella vita.

Arrivare al traguardo della pubblicazione non è stato in alcun modo scontato né è stato un percorso lineare. Mi ha richiesto tanto lavoro interiore, tanta autocritica e accettazione di quelle che sono state, nel bene e nel male, le critiche degli altri. Ho elaborato e rielaborato la trama. Ho corretto e ricorretto tante volte. Tante volte mi sono perso d’animo, ho esaurito l’entusiasmo, ho lasciato perdere.

Ma poi ho sempre ripreso.

Così, dopo tante interruzioni, tanto lavoro e tanto desiderio di riuscire, ho portato agli occhi del mondo il mio romanzo, “Alla luce dell’ombra”, forte della speranza che possa rappresentare il primo capitolo di una lunga carriera da scrittore.

Credo che la scrittura non sia solo aggregante in quanto strumento per trovare affinità con i lettori ma abbia anche un effetto benefico, liberatorio.

Già! Perché attraverso la scrittura possiamo raggiungere angoli della mente spesso dimenticati, spolverare cassetti rimasti chiusi per troppo tempo, dar voce a quella parte di noi che spesso resta sopita nell’animo, mettere a nudo contraddizioni e conflittualità che ci contraddistinguono, al di là degli stereotipi in cui ci troviamo a vivere.

Attraverso di essa ho potuto viaggiare con la fantasia, evadere anche se momentaneamente dai problemi, reali e non, che mi hanno accompagnato negli anni, vivere una vita come qualche volta forse desidererei o avrei desiderato vivere, uscire da me stesso e dar vita ad altri personaggi, creare situazioni, creare vita.

Alessandro


E ora la parola all'editrice

Un bel giorno è arrivato alla casella di posta manoscritti.ediconvalle@gmail.com il romanzo di Alessandro Bolasco che si proponeva a Edizioni Convalle.
E così "Alla luce dell'ombra" è stato un romanzo letto e rivoltato come un calzino dal Team delle mie collaboratrici, le magnifiche sette donne che mi aiutano anche a leggere e valutare le opere. Le voglio citare perché sono davvero brave: Cinzia Baroni, Silvana Da Roit, Claudia Gabrieli, Giulia Landini, Tiziana Mazza, Tania Mignani e Maria Rita Sanna. Dopo i nostri consueti confronti, dove si scambiano impressioni a 360°, la decisione è stata di accettare l'opera. E così è nata l'opera prima di Alessandro Bolasco.


Cosa ci ha conquistato? 
La storia avvincente in un ambito, quello finanziario, poco conosciuto dal mondo editoriale di Edizioni Convalle. Il ritmo serrato e l'atmosfera internazionale che si respira. Un thriller nuovo per il nostro catalogo. 
Alessandro è entrato quindi in questo mondo editoriale così complicato e sconosciuto per chi si appresta a confrontarsi con esso "da dentro". Ma lui, sardo e quindi tostissimo ;-) (sapete che ho un debole per la Sardegna e per i suoi abitanti), non avrà problemi a comprendere quanto duro lavoro lo aspetti per farsi conoscere. Tempo e pazienza. 
Intanto gli auguro tanta fortuna e soprattutto di divertirsi sempre, perché sarà il motore con cui portare avanti la sua passione: la scrittura.



Alla prossima
dalla vostra
Stefania Convalle