Parlami di te, mi chiedi. E mica è facile, sai. Posso provarci, ma capita che a volte io mi guardi allo specchio e mi chieda: ma tu chi sei?
Il mio nome è Valter. A mia mamma Mirella piaceva Valter Chiari, quindi lei e mio padre, Antonio - Nino per gli amici - il 10 febbraio del 1964 è così che mi chiamarono. Tutti i parenti sardi, sei, tra fratelli e sorelle cadauno, rimasero sorpresi da un nome non usuale a Sestu, in provincia di Cagliari.
Hai fatto il conto? Sì. Ho 58 anni. Sono un boomer, come dicono i miei nipoti. Ma, come dicono gli amici, non mi rassegno, e quindi mi porto dentro, insieme all’età anagrafica, anche un’altra età. Quella della meraviglia, della voglia di sorprendermi, della curiosità. Faccio sport per la salute ma, non ti nego, anche per mantenermi giovanile. Adoro i calzini colorati e i jeans come quelli dei ragazzi. Ascolto molta musica. Tutta. E se ti faccio vedere le mie playlist, sono convinto che trovando in mezzo a una Carmina Burana e a uno Chopin, tra un De Gregori e un Depeche Mode, tutte le canzoni di Blanco, anche tu penseresti… boh.
Come faccio a dirti chi sono?
Sono nato e cresciuto a Livorno, come ti ho detto, da due genitori sardi. E già questo fa di me un ossimoro vivente, per non dire un bipolare. Il disincanto, la goliardia verace e ciarliera, il gusto per la battuta aspra, da una parte. Dall’altra l’introspezione, l’acciglio della fronte, l’essere riflessivo fino all’eccesso. Un timido estroverso insomma, a cui non rimane a volte che una unica soluzione, un bel Martini.
Mi piace tutta l’arte. L’ho conosciuta da grande, e sviluppata con impegno. Come se studiassi tutto quello che non ho potuto studiare prima. Devo questo a Nino e Mirella. Nelle poche possibilità che avevamo non è mai mancata la spinta alla curiosità per la bellezza, insieme alla cultura del lavoro duro.
Gestisco un’Agenzia assicurativa. Il mio lavoro mi ha portato e mi porta alla ricerca e costruzione di relazioni con le persone più disparate. E questo è stato ed è il mio patrimonio più importante. La voglia di assorbire i mille mondi che circondano le persone che incrocio. La curiosità sincera per le loro passioni che spesso faccio mie.
Ho fatto il maratoneta amatoriale. Ho conosciuto la fatica del mio corpo portato all’estremo. Ho capito quanto possa essere importante fare un altro passo quando non ce la fai più. E un altro ancora. E non solo correndo.
Ho corso anche a Berlino, Amsterdam e New York, dove a un certo punto, mentre mi sentivo un fenomeno, mi sorpassarono in scioltezza due, mascherati da Topolino e Minnie, facendomi capire che è un po’ così che va, quando te la tiri troppo. Quando facevo il maratoneta fumavo. Sai quando ho smesso? Quando ho smesso di fare il maratoneta. Ma dimmi te.
Sono rimasto affascinato una volta, da una cosa che ho letto in un articolo di fisiologia, mi pare di ricordare. Ho letto che le cellule del nostro corpo ogni circa sette anni si rigenerano completamente. Ho pensato allora che di quello che sei stato sette anni prima, oggi non è rimasto nulla. E mi sono detto, ecco perché ogni tanto ti guardi allo specchio e ti chiedi… ma tu, chi sei?
Ho scoperto la scrittura, dopo e insieme alla lettura. Ho scoperto che è bellissimo provare a dire qualcosa che vuoi far sapere agli altri. Ho scoperto l’importanza della parola. Che è molto più intelligente di noi. Che oltrepassa tutto. Va oltre il tempo. Ho scoperto che la devi rispettare, se non altro per la fatica che ha fatto per arrivare al punto di poterti uscire dalla bocca. E che devi riflettere prima di farla scappare via. Perché indietro non può tornare.
Ho scritto una raccolta di racconti. Che racchiude anche un po’ di me. Si intitola Attimi Sospesi. Perché credo che è quello che siamo. Sospesi. Sospesi tra quello che siamo e quello che vorremmo essere. Tra quello che siamo, che siamo stati, e che saremo. Sospesi tra quello che sappiamo di essere e quello che gli altri pensano che noi si sia.
Ed è successa una cosa incredibile.
Che la raccolta sia stata pubblicata. Sia stata pubblicata da una Casa Editrice, la Edizioni Convalle. Sia stata pubblicata da Stefania, che ringrazio come non riesco a dire.
E adesso ci sono mie parole che girano. Che
vengono lette. Di me, altro non so che dirti.
Valter Manunza