In questo blog abbiamo già fatto in passato l'esperimento di scrittura che vado a riproporvi ora, ed era stato bellissimo scrivere insieme, giocare con la fantasia e vedere cosa poteva produrre un gioco di squadra con le parole.
Ecco come funziona: ho scritto un breve incipit che sarà il capitolo 1. Passerò la palla a un'autrice o autore che avrà circa 48 ore per scrivere il capitolo 2 portando avanti la storia come meglio crede, tenendo però presente quanto scritto prima dai colleghi, e lasciando la porta aperta per chi dovrà scrivere il capitolo successivo. Facile, no?
REGOLE
Io inserirò il capitolo nel numero in questione del blog e passerò la palla a un altro partecipante.
Possono partecipare gli autori di Edizioni Convalle; tutti coloro che seguono i miei laboratori di scrittura; i lettori di Edizioni Convalle se hanno voglia di mettersi in gioco. Dovrete scrivere in un commento che vi piacerebbe partecipare e io vi inviterò a giocare uno alla volta, capitolo per capitolo.
Se poi alla fine ci sarà stato un risultato degno di pubblicazione, potrà anche essere presa in considerazione l'idea di pubblicarlo con la mia casa editrice.
Insomma, la regola numero uno è divertirsi! La regola numero due è mettersi in gioco con la scrittura :-)
La regola numero tre è che adesso mi vado a fare il caffè! Intanto voi leggetevi il primo capitolo che ha aperto i giochi. E la palla l'ho passata a Giuliana Degl'Innocenti, così sapete chi scriverà il capitolo due.
NON È MAI TROPPO TARDI
Non posso crederci.
Ieri ero povera,
non sapevo come pagare l’affitto e mi vedevo già a chiedere l’elemosina all’angolo
della strada. La mia vita solo poche ore fa sembrava sull’orlo del baratro,
sembrava pronta a chiedermi il conto delle innumerevoli scelte sbagliate e
invece… Il colpo di scena! Di quelli da restare a bocca aperta. Di quelli che
ti mandano in tilt il cervello perché non riesci a realizzare come possa essere
accaduto proprio a te che solitamente, se devi essere l’ago nel pagliaio, lo
sei rispetto a qualsiasi tipo di sventura. Il riassunto della mia vita si fa in
fretta: lavoro uguale fallimento; amore meglio non parlarne; affetti: quali? Li
avete visti, voi? Insomma, non sono una tipa fortunata e ho quasi paura di
quello che mi è successo, anche se ora mi sembra di avere l’intero universo in
mano, ma che fare?
Le faremo sapere, mi ha detto una tipa tutta impettita, antipatica e snob. Mi guardava con il sopracciglio alzato, con un atteggiamento di rimprovero per essermi presentata col vestito bagnato e sgualcito, i capelli… lasciamo perdere… La matita nera che era colata dagli occhi, insomma: un disastro, se ci aggiungiamo anche il lato confusionale dei miei discorsi.
Mi sono seduta in un angolino del bar depressa più che mai.
Al tavolo a fianco c’era una vecchietta con una pila di biglietti del Gratta e Vinci da grattare, appunto. La guardavo mentre con una monetina da cinque centesimi li passava uno a uno, accompagnando la pratica con diverse espressioni a seconda del risultato. Intanto mi chiedevo come si potesse buttare via i soldi in questo modo, a occhio e croce credo avesse sul tavolo un numero di biglietti pari a una spesa di almeno duecento euro.
Non posso crederci.
***
CAPITOLO DUE
GIULIANA DEGL'INNOCENTI
Oh questo?!
Sembrava tutto così strano, ma poiché il mistero mi affascina ho deciso di provare a chiamare, anche se non sapevo cosa dire, qualcosa mi sarei inventata. Quindi più che mai incuriosita, ho composto quella sequenza intenzionata a vedere a chi corrispondeva.
La Texline è un colosso farmaceutico che ha sedi in molti paesi europei. Non mi sembrava neppure possibile il fatto di avere ottenuto un modesto colloquio conoscitivo. Io, un minuscolo insetto insignificante al cospetto della capolista fra le aziende di biotecnologia e dei ritrovati farmaceutici più all’avanguardia. Mah!
Devi essere mio.
***
CAPITOLO TRE
MARIA RITA SANNA
Diavolo di un istinto! Ma che cosa mi è saltato in testa? Affamata di lavoro, bisognosa d’aiuto per risollevarmi nella vita mi sono lasciata andare a certi colpi di testa. La fortuna sembrava essere dalla mia parte, ieri pomeriggio, quell’uomo ascoltava mentre parlavo delle mie referenze e il percorso lavorativo, noncurante del lieve balbettare.
Eppure, è stato bello saltare come un’adolescente tra un discorso serio e un flash di vera e propria intimità con uno sconosciuto. Intimità è dire poco. La stanchezza che gli leggevo in volto era per me un segnale di resa davanti alle mie pretese. Le mani ossute, che teneva incrociate sulla scrivania, le vedevo su di me come fossero farfalle impazzite.
«Le ho chiesto se ha con sé una copia del curriculum, perché qui non me la ritrovo.»
Non sorrideva più. Lo sguardo s’era fatto serio. Come svegliata all’improvviso da un incanto, ho frugato dentro lo zaino, goffa e imbarazzata. Per fortuna l’avevo con me! E pensare che poco prima di uscire di casa l’avevo messo a stampare, ma anche quella stupida macchina non voleva aiutarmi; dopo averne fatto varie copie, e tutte distribuite, avevo esaurito l’inchiostro. E certo, dove li trovavo i soldi per comprare una cartuccia nuova? Ma il cartolaio sotto casa, all’ultimo momento, mi ha salvato le speranze.
Nell’atto di avvicinargli il documento ho azzardato. Con le dita sono arrivata fino alle sue. Volevo sentire la sua pelle. Era calda e asciutta.
I pochi attimi per consultare i miei dati mi erano sufficienti per volare ancora qualche secondo.
«Bene, Dottoressa Baldieri, le sue qualità potrebbero rappresentare una risorsa per l’azienda. Le farò sapere. Io personalmente.»
Atterraggio perfetto. Ho sospirato. Ho sorriso. Ho fatto l’assalto finale.
«La prego, mi chiami Monica.»
Dopo poco più di un’ora dall’inizio del colloquio, mi trovavo di nuovo fuori a respirare quell’aria uggiosa. Almeno la pioggia aveva finito di bagnarmi. Ma avevo il fiatone. Anche scendere le scale può diventare una fatica pericolosa per la salute, e pedalare per sette piani verso giù, roteando le gambe, ma con la mente in caduta libera mi aveva reso felice e stralunata.
Presa da quel momento di strana euforia, anziché prendere l’autobus, ho deciso di camminare fina a casa, un bel tragitto devo dire. Avevo bisogno di stemperare gli umori audaci. Ma come avevo potuto costruirmi quel film? E soprattutto non ho provato nessun imbarazzo nel comunicargli le mie sensazioni. Potrebbe avermi letto nel pensiero. Si legge il pensiero? Il suo l’ho letto e ho percepito solitudine, stanchezza e desiderio d’amore. Come me. Lo stesso bisogno che sento io.
Ma le emozioni non erano finite. Poco prima di arrivare a casa, passando davanti alla cartoleria, mi ha fermata Giorgio, il proprietario.
«Monica, aspetta! Hai lasciato qui la pennina USB, tieni. Senti… Ti va una pizza, stasera?»
Ah, Giorgio! Sempre carino, ma proprio non ci vedo niente in lui. Non sono sicura, ma credo abbia qualche anno meno di me. È molto simpatico, ogni tanto entro nel suo negozio solo per fare quattro chiacchiere e concedermi altrettante risate. Quattro più quattro uguale otto. Erano già le otto di sera e ripensando a casa ho visto il frigo vuoto e la dispensa con un barattolo di piselli e un pacco aperto di pasta. Guardavo Giorgio e guardavo il soffitto dove stava bella chiara la situazione di casa mia. La tentazione di accettare l’invito di Giorgio era forte. Stavo per rispondere sì, quando ha squillato il mio telefono.
***
CAPITOLO QUATTRO
PAMELA PIROLA
Ho risposto titubante e dall’altra parte ho sentito queste parole: «Dottoressa, mi scusi, volevo dire Monica... Ha lasciato il suo zaino in ufficio da me. Dentro c’è anche un mazzo chiavi che credo siano quelle di casa. Dal suo cv ho visto dove abita. Mi aspetti sotto casa sua che sto venendo a portarglielo.»
«Davvero non so come ringraziarla. L'aspetto davanti al portone» ho risposto.
Ho salutato di fretta Giorgio. Povero ragazzo, è rimasto visibilmente confuso dal mio atteggiamento, ma non avevo tempo di spiegargli quello che avevo combinato. L’ennesima dimenticanza! Prima la penna usb e poi lo zaino. Addio cena e addio pizza. E ho iniziato a camminare a passo svelto verso casa.
Mi sono seduta sul gradino delle scale e sono rimasta in attesa. Aveva smesso di piovere, il cielo era buio ma tempestato di stelle luminose e la luna si ergeva proprio davanti a me.
In giro non c’era anima viva. Le finestre delle villette nella via erano tutte illuminate.
Ho guardato lo schermo del cellulare e ho realizzato che era tardi. Chissà per quanto tempo avrei dovuto ancora aspettare…Il mio stomaco ha iniziato a brontolare visto che era vuoto dalla mattina. Ma se la fortuna mi avesse assistito, a breve la mia vita avrebbe preso una piega completamente diversa. Non avrei più dovuto fare i conti, che a fine mese non tornavano mai, perché i soldi erano sempre troppo pochi. La mia mente ha iniziato a fantasticare con aria sognante sulla vita che avrei potuto condurre con uno stipendio adeguato… Vestiti firmati, cene in ristoranti di lusso, vacanze in hotel da favola, sì, proprio come quelli che si vedono sulle riviste di arredamento; e avrei anche saldato l’affitto alla padrona di casa, sempre molto comprensiva nei miei confronti.
In lontananza ho avvertito il rumore di una macchina che sopraggiungeva, seguito da un fragoroso boato. Chissà cosa sarà mai successo, ho pensato. A gran velocità ho visto sfrecciare un’ambulanza seguita da una pattuglia della Polizia. D’istinto, senza pensare, mi sono alzata dalle scale e ho iniziato a correre verso il fondo della strada. La scena che ho visto era agghiacciante. Una bicicletta era incastrata sotto a una Porsche. E poco più in là ho visto il corpo di un ragazzo steso a terra immobile.
Non sarà Giorgio… Se mi avvicino un po’ forse riesco a capire chi è il povero ragazzo, ho pensato tra me e me. Intorno al corpo inerme c’erano parecchie persone incuriosite, che la Polizia cercava di allontanare per favorire i soccorsi.
Un’agente si è avvicinato chiedendomi di tornare indietro. Prima di voltarmi ho osservato meglio la scena e quello che ho visto mi ha lasciato senza parole.
***
CAPITOLO CINQUE
RICCARDO SIMONCINI
Tempestini rimaneva freddo e stanco appoggiato alla sua fuoriserie. Sembrava osservare tutto in modo distaccato, forse una tecnica per affrontare gli inconvenienti in modo più lucido, nella vita come negli affari. Un inspiegabile sollievo mi ha avvolta quando ho riconosciuto nel ragazzo steso a terra il garzone del fioraio e non Giorgio. Una sensazione strana che ho avuto difficoltà a inquadrare e alla quale è seguito un timido istante di senso di colpa nei confronti del ferito.
«Dottor Tempestini, come sta? Cos’è successo?»
Mi ha guardato e di nuovo mi sono persa in quelle emozioni. Non so che cosa avrei dato per sapere se condivideva i miei desideri.
«Monica, chiamami Mario, ti prego.»
Si è voltato e aprendo lo sportello posteriore ha recuperato il mio zainetto.
«Ecco. Mi dispiace di non poterti dedicare altro tempo, ma come vedi…» ha aggiunto indicando il ragazzo.
«Come sta?»
«Sta bene, per fortuna. Prima che arrivassi tu si è alzato e ha, in esatto ordine, maledetto, offeso, bestemmiato e imprecato. Poi ha visto la Porsche e si è ridisteso delicatamente a terra in attesa dei soccorsi.»
Ho sorriso. Ma più a lui che alle sue parole.
«Posso aiutarti in qualche modo? Hai bisogno di qualcosa?» ho chiesto.
«No, ti ringrazio, ho già chiamato un paio di collaboratori che saranno qui a breve e mi aiuteranno a risolvere questa seccante faccenda. Certe giornate sembrano non finire mai. Tu vai pure. Grazie.»
E così ho fatto, anche se a malincuore. Mentre mi allontanavo riflettevo sul sapore strano di quel Grazie. Era un congedo, ma era stato dolce, tranquillizzante. E pronunciato spostando gli occhi sui miei…
Stavo fantasticando troppo e me ne sono resa conto nel momento in cui sono tornata con i piedi sul Pianeta Terra e ho fatto i conti con la mia sfortunata realtà.
Giorgio aveva chiuso il negozio andando via con il suo invito e la sua pizza, Tempestini mi aveva dato buca a beneficio dei suoi collaboratori, il mio frigo era vuoto e una volta aperto lo zaino e tirato fuori il portafoglio ho finito di contarne il contenuto a dodici euro e cinquanta centesimi.
Sono entrata nel bar-tabaccheria e ho chiesto di preparare un panino caprese da portare via. Una volta alla cassa ho pagato i due euro e cinquanta, ma prima di uscire mi sono bloccata.
Sono tornata indietro e…
«Può darmi anche un gratta&vinci da dieci euro, per favore?» ho chiesto poggiando sul bancone gli ultimi soldi a mia disposizione.
Poche ore fa ero povera e non avevo mai comprato un grattino. Mai.
Ora sono ricca, digiuna, con Giorgio come pensieri in testa e Tempestini come fuoco in corpo.
Sette ciambelline di rosa glassate, stampate su un pezzetto di carta, mi hanno regalato una vincita con altrettanti zeri.
Certe giornate sembrano non finire mai.
Già, proprio come questo mio ieri.
***
CAPITOLO SEI
STEFANIA CONVALLE
Non sono riuscita a dormire nemmeno
per un minuto. Stringevo quel biglietto vincente come se avessi paura che una
folata di vento improvvisa potesse strapparlo dalle mie mani, anche se ero al
sicuro nella mia casa.
Ora sono qui seduta al tavolo della cucina e sorseggio un caffè, intanto penso
a tutto quello che potrò fare con questa montagna di soldi. Non sono abituata a
essere ricca e il cervello sembra non fermarsi mostrandomi la carrellata di
tutti i sogni chiusi in un cassetto, che ora potrei realizzare.
Ma da dove cominciare?
E se poi perdessi tutto? Meglio restare coi piedi per terra o vivere la vita che vorrei? Sapere che potrei davvero concretizzare ogni
più piccolo desiderio fa quasi paura.
E Giorgio? Forse nella sua vita normale è il più sereno di tutti e quella pizza rimasta in sospeso potrebbe essere per lui come un viaggio alle Maldive in un resort a cinque stelle.
Tempestini insiste, richiama.
«Mario, buongiorno! Come stai? Com’è finita, poi, ieri sera?»
«Ciao Monica, sì, tutto risolto, se ne sta occupando l’assicurazione.»
«Mi dispiace, mi sento in colpa, se non avessi dimenticato lo zainetto tutto
questo non sarebbe accaduto.»
«Non preoccuparti. Senti, non ho ancora nessuna buona nuova da darti per il
lavoro, ma ho deciso di prendermi un giorno di vacanza. Mi farebbe piacere
invitarti a pranzo fuori, la giornata è bella e vorrei portarti al lago. Che ne
dici?»
Rimango in silenzio. Mi sembra tutto molto strano. Sono tentata, ma nella testa
ora ho ben altro che imbarcarmi in una situazione anomala con chi potrebbe
dover decidere del mio posto di lavoro. Mentre lo penso, un chissenefrega
del posto di lavoro si fa largo nella mia mente.
Rido tra me e me.
«Monica, ci sei?»
«Sì, scusa… Mi dispiace, ma è sopraggiunto un impegno importante che non posso
rimandare.»
«Ah… E sarebbe? Se posso chiedertelo.»
Mentre sono al telefono cammino per casa, lo specchio della camera cattura il
mio sguardo, gli occhi nei quali mi rifletto restituiscono tutta la
confusione che alberga in me.
«Monica, ma è successo qualcosa?»
«Sì, qualcosa di grosso.»
«Magari ne possiamo parlare a pranzo» rilancia l'invito, sicuro di sé. Non
aspetta nemmeno la mia risposta. Dice che passa a prendermi tra un’ora.
«No, davvero, non posso. Sarà per un’altra volta. Scusami.»
«Senti ma… Non sarà per via di quel biglietto?»
Adesso nello specchio posso vedere i miei occhi sbarrati.
Come lo sa?
Il telefono mi cade dalle mani mentre sento solo, come un’eco, la sua risata.
***
CAPITOLO SETTE
SILVANA DA ROIT
«Texline SpA, posso esserle utile?»
Ancora la maledetta Texline.
«Ho un appuntamento con il Dottor Tempestini, devo disdire e non so come raggiungerlo.»
«Il Dottore oggi non c’è, è andato in clinica. Se vuole, lasci detto a me.»
«Ha a che fare con l’incidente di ieri?»
Senz’altro la tipa pensa a una nostra intimità perché risponde che no, ci è andato per il consueto controllo mensile. Mi torna alla mente il suo pallore, chi si controlla mensilmente se non una persona bisognosa di cure? Nonostante questo pensiero so di avere delle priorità; prima di preoccuparmi per lui o indagare sul mistero dei numeri telefonici, devo mettere in sicurezza il mio biglietto e, a tal proposito, penso subito al notaio Roberti. Essendo amico del nonno, mi conosce da quando ero piccola e abita a pochi passi da qui. Sul portone mi guardo attorno, l’aria è vellutata come i petali dei fiori appena sbocciati sui mandorli, oggi tutto pare idilliaco. No, non tutto. All’angolo vedo il muso della Porsche di Mario e faccio in fretta dietrofront per rientrare in casa.
Non ho perso la testa, ho chiamato il notaio che è venuto di persona a ritirare il biglietto e mi ha portato un piccolo anticipo in contanti per ovviare alle spese impellenti, che sia frutto di un antico affetto o solo il potere dei soldi, a questo punto non mi interessa. Poi ho chiamato Giorgio, in fondo è l’unico a cui posso chiedere consiglio. Verrà qui per la pausa pranzo con due belle pizze d’asporto. Era contento dell’invito, mai come me. E mentre aspetto, faccio ordine, ripongo lo zainetto in camera mia. Dalla tasca esterna cade un biglietto, non è la mia scrittura.
Cose da fare prima di morire. Oh, cazzo. Sgozzare una ragazza e farla sparire nelle acque profonde di un lago.
Era questo il biglietto! Mario è un malato terminale e io faccio parte dei suoi desideri, ma non nel senso che avevo creduto ieri. Realizzo che ha avuto in mano le mie chiavi di casa, che potrebbe anche averle duplicate. Stando ben attenta a non sporgermi troppo dalla finestra rischiando di farmi vedere, controllo la strada da cui tra breve dovrebbe arrivare Giorgio. Le mie speranze diventano tempesta quando lo vedo già sotto casa, intento a confabulare con Mario.
Morirò ricca, ricca sfondata.
CAPITOLO OTTO
CAMILLA TERSO
Ci vuole un piano d’azione.
Ho passato tutto il pomeriggio e l’intera serata in casa, iniziando così a fare delle ricerche su Internet e scoprendo che i due hanno lo stesso cognome: Tempestini.
Tornando a quei due e continuando la ricerca sui Social, scopro che sono fratelli! Questo è il prezzo da pagare per non usare i canali telematici, un’altra se ne sarebbe subito accorta. Giorgio sapeva anche del colloquio di lavoro che dovevo fare alla Texline, perché non mi ha detto che il titolare era suo fratello? Ormai si è fatta sera e dopo una cena frugale, per via dello stomaco chiuso, cerco di riposare un po'. Però il pensiero che quei due sono in possesso delle chiavi di casa non mi fa dormire. Meglio passare la notte altrove. Decido di usare i primi soldi della vincita per prendere una camera in una pensione. Mentre sto per uscire il telefono di casa squilla, rispondo e una voce quasi robotica mi dice: vestitino troppo leggero per questa serata frizzantina.
Mi osservano.
CAPITOLO NOVE
ARIANNA DESOGUS
Scendo per la colazione, prendo pane e marmellata dal buffet e mi siedo nel primo tavolino in giardino, contemplando il laghetto. Sì, ho scelto proprio un bell’albergo, sorrido tra me e me.
TANIA MIGNANI
«Piacere, Monica. Prego, accomodati.»
Le mostro la sedia di fronte alla mia, forse sarà l’ennesima cazzata di questi ultimi, travagliati giorni, ma l’istinto mi suggerisce di fidarmi.
Claudia allunga una mano sul tavolo, stringe la mia, affondo ancora una volta nel verde lago dei suoi occhi.
«E ora, Monica, sei pronta a raccontarmi cosa ti tormenta?»
CAPITOLO UNDICI
PINUCCIA SASSONE
Ma che ne sa questa donna dei miei tormenti e soprattutto dei miei ultimi tormenti.
Il colloquio di lavoro per un
curioso gioco con i numeri, l’incontro con l’affascinante Mario Tempestini, la
sfrontatezza nel porgergli il mio ci vù sfiorandogli le dita, per sentire il
calore della sua pelle; i miei pensieri audaci, passionali, senza pudore,
mentre lui era soltanto attento alla mia richiesta di lavoro.
Il povero Giorgio, che quella sera
avevo preso in considerazione solo per scroccargli una cena, intenzione interrotta
dall’inaspettato squillo del telefono. Era Tempestini, mi avvisava che avevo
lasciato lo zaino con le chiavi di casa nel suo ufficio. Me lo avrebbe
recapitato di persona sotto casa.
Le mie solite dimenticanze… Che non
fossero diventate complici di un nuovo destino per me? Erano semplici
coincidenze? La fortuna mi aveva persa
di vista da diversi anni, all’improvviso aveva deciso di corrermi dietro e
scontare tutti gli arretrati?
Pianto Giorgio all’improvviso, senza spiegazioni, senza badare a quanto fosse turbato dal mio atteggiamento: corro verso casa, attendo impaziente sulle scale l’arrivo di Tempestini.
E invece no, un altro impedimento: l’incidente. Sto fantasticando troppo su quell’uomo e ogni volta che la ragione fa lo sgambetto al cuore, scendo dal piedistallo dell’illusione e di nuovo, in quanto a sfiga, mi sento la prima in classifica.
Poi l’acquisto di un gratta e vinci, cosa mai fatta in vita mia. Ho consumato gli ultimi spiccioli che avevo in tasca, necessari per sfamarmi almeno con un panino. La dea bendata ha esagerato, mi ha fatto vincere una somma a sette zeri. Da niente a tanto, non sono nemmeno capace di pronunciare la cifra e forse nemmeno in grado di gestirla.
Presto potrò permettermi cose che ho sempre solo desiderato: vestiti di lusso, una nuova automobile, persino una casa, tutta mia, senza avere più l’assillo di dover pagare l’affitto. In realtà, ancora povera ma ricca di tutta la mia libertà, penso che non sia poi così bello diventare milionari se per paura di perdere tutto non puoi condividerlo con nessuno.
Ma non era ancora finita: la proposta di Mario per un giorno di vacanza insieme, il mio corpo fortemente desideroso di accettare, contrastato dalla ragione, diffidente verso lo sconosciuto e finire per rinunciarci. Poi la sua ghignata al telefono, il riferimento al numero di cellulare scritto sul biglietto, il mistero di quei numeri telefonici che entrambi mi hanno portato a lui, il foglio trovato nello zaino con quella scritta da farmi accapponare la pelle, Mario e Giorgio che confabulano sotto la mia finestra, la telefonata in cui una strana voce mi dice che indosso un vestitino leggero. Il panico… la fuga… Claudia, la donna che ho incontrato al distributore di benzina e ritrovo in albergo al mio tavolo per la colazione, la passeggiata in montagna con lei, le sue parole che mi rimbombano assillanti nella mente: non ti arrendere Monica, vai avanti, un passo dietro l’altro.
Monica, ci sei? rilassati, sono qui per te, togliti dalla mente quell’uomo, mi dice Claudia tenendomi le mani tra le sue. Mi rassicurano ancora quegli occhi verdi, profondi e limpidi, mentre nitida davanti a me è l’immagine di mia madre. Tiepide lacrime solcano con dolcezza il mio viso. Non è un sogno.
Claudia, ma tu, chi sei veramente?
CAPITOLO DODICI
TIZIANA MAZZA
«Claudia, ma tu chi sei?» la domanda che mi sta tormentando esce finalmente dalla mia bocca.
«Non ti ricordi proprio nulla?»
Osservo quegli occhi verdi che mi trasmettono tanta serenità e che mi rimandano a mia madre, alle sue parole, al suo amore e mi accorgo che Claudia le assomiglia. Un flash back mi riporta indietro negli anni, a un ricordo molto doloroso che avevo rimosso.
Ero piccola, molto piccola, avevo solo sei anni.
Ero ammalata e la mamma era rimasta a casa dal lavoro per accudirmi.
Pioveva forte, molto forte.
Suonarono alla porta e la mamma era andata ad aprire mentre io, curiosa, sbirciavo dalla mia stanza. Sulla soglia c’erano due uomini che non avevo mai visto, erano bagnati fradici e le chiesero di poter entrare ad asciugarsi. La mamma era titubante, poi la sua indole generosa ebbe il sopravvento e li fece entrare. Li fece accomodare in cucina, diede loro un telo per asciugarsi e si voltò verso i fornelli per preparare un caffè caldo. Ricordo ancora lo sguardo assassino che i due si scambiarono. L’assalirono alle spalle e le strapparono i vestiti di dosso, la cavalcarono uno dopo l’altro senza pietà. La mamma si dimenava, scalciava, cercava di urlare, ma uno dei due le teneva la bocca tappata. Alla fine, dopo un tempo che a me era sembrato interminabile, se ne erano andati lasciando la mamma in una pozza di sangue. Poi non ricordo più nulla. Sono cresciuta con la nonna in campagna, fino a che l’anno scorso è morta e mi sono ritrasferita in città.
Porto il suo cognome, quello della mamma.
Ho rivissuto un dolore straziante che, per sopravvivere, il mio cervello aveva cancellato dalla mente. Guardo il volto di Claudia: non mi serve una risposta. È lì, chiara e nitida nonostante le lacrime che sgorgano copiose annebbiandomi la vista.
«Sei mia sorella!»
Claudia sorride tra le lacrime a lungo trattenute e mi stringe più forte le mani.
«Sì, e finalmente ti ho ritrovata!»
Ci abbracciamo strette e così restiamo per un tempo indefinito, fino a sentirci un tutt’uno. Non provavo questa sensazione di calore da tempo immemore, da quando mi trovavo tra le braccia della mamma, ed è proprio lì che adesso mi sembra di essere. È come se lei fosse tornata per lenire le mie ferite, così a lungo nascoste dalla nebbia dell’incoscienza. La nonna aveva tenuto vivo il suo ricordo raccontandomi una favola. Mi diceva che la mamma era un angelo volato in cielo per vegliare su di me dall’alto affinché non mi capitasse niente di brutto. Non mi aveva mai parlato né del mio papà, né di mia sorella, né dei miei fratelli. Sapeva che mi avrebbero riportato alla mente una verità insopportabile da sostenere. È morta con questo segreto nel cuore.
Adesso però ho bisogno di sapere.
«Come ti chiami di cognome?»
«Tempestini.»
Sono annichilita. Ho sognato di scopare mio fratello.
CAPITOLO TREDICI
ADELIA ROSSI
Mi siedo, accendo il computer e con bramosia cerco il contatto Facebook di Mario, entro nella sua pagina. Eccolo! A ben guardare, i suoi occhi hanno la stessa tonalità di quelli di Giorgio, identici a quelli di Claudia. Tutti e tre hanno ereditato il colore e la purezza dei fondali marini, dove sempre mi specchiavo, quando mia madre mi guardava.
Navigo alla ricerca di non so nemmeno io cosa, quando improvvisamente mi si gela il sangue nelle vene. Cose da fare prima di morire, sgozzare una ragazza e farla sparire nelle acque profonde di un lago. La stessa frase trovata scritta nel biglietto dentro lo zainetto è qui riportata in corsivo. Mi si appanna la vista al punto che non ho il coraggio di leggere il seguito, ma mi costringo a farlo. Devo sapere. Strofino gli occhi e poi li spalanco sulla scritta Il nuovo romanzo che vi farà rabbrividire, segue nome e cognome di un noto autore di thriller. Mi lascio andare sfinita sulla sedia mentre la mia mente a un tratto ritrova lucidità. Ma perché non me lo hai detto? penso, ricordando la sera che al telefono chiesi a Mario di consigliarmi qualcosa da leggere. Molto probabile che mi volesse dire a voce del biglietto messo nello zainetto, ma l’incidente ha capovolto le sue intenzioni.
Mi sento come se a un tratto davanti a me si spalancasse una nuova porta con molte incognite. Una più importante di tutte. E mentre la mia mente vacilla dal sonno, il pensiero ritorna al famoso gratta e vinci caduto sotto il tavolo.
Una manciata di giorni che capovolsero la mia vita. Tutto era surreale... La vecchina al bar, il biglietto caduto, i numeri di telefono e tutti gli equivoci nati a catena. Una montagna di soldi all’improvviso, una famiglia ritrovata. Vecchi traumi riemersi.
Ecco, vecchi traumi riemersi.
Non sapevo davvero se fosse successo.
Possibile che avessi rimosso un fatto tanto grave, compresi fratelli e sorella?
Ritornai sui miei passi, in quei giorni. Andai in quel bar dove avevo trovato la giocatrice compulsiva. Era ancora lì. E grattava grattava grattava. E perdeva perdeva perdeva. E di nuovo, stizzita, si alzava e se ne andava. Però quella volta la fermai e le chiesi se quel numero di telefono l’avesse scritto lei, quello che mi portò da Tempestini. Lei mi rispose con una grassa risata e se ne andò ridendo, almeno fino a svoltare l’angolo, lasciandomi lì come una cretina. Che cosa aveva voluto intendere, ridendomi in faccia?
Forse
era stato davvero tutto un caso.
Mi spiegò che il negozio era di Tempestini – omise che fosse il fratello – anzi, sottolineò che il solo legame tra loro fosse d'affari. La conoscenza mia e di colui del quale mi ero presa una cotta – diciamo così – era stata apparentemente casuale, come casuale che io avessi visto loro due parlare e avessi immaginato chissà quale trama.
Però sapevano che il biglietto era vincente.
Come?
Era segnato. Un codice misterioso che in teoria nessuno dovrebbe sapere, ma evidentemente c’era una falla da qualche parte: c’è sempre una falla nel sistema, si sa.
Giorgio sapeva che era un biglietto vincente, magari non poteva immaginare quanto. Da uno scambio di informazioni tra loro, capirono che il mio biglietto doveva essere milionario e architettarono una sorta di truffa per ricongiungere una famiglia che non c’era e portarmi via il malloppo. Anche se, mi chiedo ancora, non poteva tenerselo direttamente lui? Perché coinvolgermi? Forse era davvero interessato a me e voleva aiutarmi in un momento di difficoltà, chissà, anche se di razionale c'è poco in questa ipotesi, ma non tutto ha una spiegazione, soprattutto quando si tratta della mente umana. Ormai l'ho capito.
Comunque, tornando a tutta la storia, come so queste cose? Lo so perché la psicanalista mi convinse a denunciare il fatto e i tre finirono nei guai. La vincita fu congelata e ancora sto aspettando di riscuotere, con buona pace dell’amico Notaio che mi aveva dato un anticipo di tasca sua, ma credo che non accadrà mai. In fondo la lezione l’ho imparata e ho toccato con mano che i soldi – anche se ne ho immaginato solo il profumo senza sfiorarli mai – non fanno la felicità, come si dice.
E ho anche avuto conferma, per proseguire con i modi di dire, che la
realtà, a volte, supera davvero la fantasia.
La cosa bella è che mi sono fermata a riflettere sulla mia vita, su quello che stavo facendo, chiedendomi cosa volevo essere. Come volevo vivere.
Zaino in spalla, sono partita. Destinazione, il mondo.
Forse doveva succedere per portarmi qui. Dove voglio stare.
Nella libertà.
Hanno partecipato al gioco:
Me medesima ;-) autrice di numerosi romanzi, ma lo sapete perché mi seguite.
Giuliana Degl'Innocenti, autrice di: "Estate '36"; "La giostra delle possibilità"; "Il tempo della caramella". Tutti Edizioni Convalle.
Maria Rita Sanna, autrice di: "Pane e fragole"; "Mandorla amara" (Marchio di qualità della Microeditoria) e co-autrice "La vita in uno scatto". Tutti Edizioni Convalle.
Pamela Pirola, allieva del Laboratorio di Scrittura. Quando scrive, si mette il cappuccio della felpa sulla testa ed entra nel suo mondo ;-)
Riccardo Simoncini, autore di "Come biglia in equilibrio precario" e "Il granello di sabbia nell'ingranaggio". "Cerca di non mancarmi troppo", scritto insieme a me medesima;-) e "Dalla A alla Zeta", scritto insieme a me, Tania Mignani e Claudio Gurra. Tutti Edizioni Convalle.
Silvana Da Roit, autrice di: "I Tunnel di Oxilla"; "Niente come prima" e co-autrice "La vita in uno scatto". Tutti Edizioni Convalle.
Arianna Desogus, autrice che tra pochissimo pubblicherà un bellissimo romanzo con Edizioni Convalle.
Tania Mignani, autrice delle raccolte di racconti "L'altra" e "Nessuno è innocente. Nemmeno tu." Co-autrice delle opere: "Dalla A alla Zeta" e "La vita in uno scatto". Tutti Edizioni Convalle.
Pinuccia Sassone, allieva del Laboratorio di Scrittura. Quando sarà pronta la sua prima opera? Pinuccia, datti da fare!
Tiziana Mazza, autrice del romanzo "Sulle tracce di Lucifero", un giallo-rosa, e della raccolta di racconti lunghi "Compleanni noir", giallo-noir-thriller. Co-autrice dell'opera: "La vita in uno scatto". Tutte Edizioni Convalle.
Adelia Rossi, autrice della silloge poetica "Luci e Ombre, del romanzo "Nonna, mi spazzoli i capelli?" e di "Come petali di un fiore", Haiku. Tutte opere edite da Edizioni Convalle.
Se siete curiosi di saperne di più, cercatele nel sito www.edizioniconvalle.com
dalla vostra
Stefania Convalle