A Nord del Destino

A Nord del Destino
nuovo romanzo ordinabile sul sito Edizioni Convalle e su Amazon

mercoledì 13 aprile 2022

Numero 402 - Scriviamo un romanzo tutti insieme - 13 Aprile 2022




Oggi mi sono svegliata così: ho voglia di giocare con voi che amate scrivere!

In questo blog abbiamo già fatto in passato l'esperimento di scrittura che vado a riproporvi ora, ed era stato bellissimo scrivere insieme, giocare con la fantasia e vedere cosa poteva produrre un gioco di squadra con le parole.

Ecco come funziona: ho scritto un breve incipit che sarà il capitolo 1. Passerò la palla a un'autrice o autore che avrà circa 48 ore per scrivere il capitolo 2 portando avanti la storia come meglio crede, tenendo però presente quanto scritto prima dai colleghi, e lasciando la porta aperta per chi dovrà scrivere il capitolo successivo. Facile, no?

REGOLE

- scrivere capitoli brevi, 500/600 parole. Il giocatore che avrà in mano la palla che gli avrò lanciato io, naturalmente, avrà 48 ore per scrivere il capitoletto, me lo dovrà inviare in allegato a steficonvalle@gmail.com
Io inserirò il capitolo nel numero in questione del blog e passerò la palla a un altro partecipante.

- chi può partecipare? 
Possono partecipare gli autori di Edizioni Convalle; tutti coloro che seguono i miei laboratori di scrittura; i lettori di Edizioni Convalle se hanno voglia di mettersi in gioco. Dovrete scrivere in un commento che vi piacerebbe partecipare e io vi inviterò a giocare uno alla volta, capitolo per capitolo. 

Se poi alla fine ci sarà stato un risultato degno di pubblicazione, potrà anche essere presa in considerazione l'idea di pubblicarlo con la mia casa editrice.

Insomma, la regola numero uno è divertirsi! La regola numero due è mettersi in gioco con la scrittura :-)

La regola numero tre è che adesso mi vado a fare il caffè! Intanto voi leggetevi il primo capitolo che ha aperto i giochi. E la palla l'ho passata a Giuliana Degl'Innocenti, così sapete chi scriverà il capitolo due.



NON È MAI TROPPO TARDI

 

CAPITOLO UNO

STEFANIA CONVALLE


Non posso crederci.

Ieri ero povera, non sapevo come pagare l’affitto e mi vedevo già a chiedere l’elemosina all’angolo della strada. La mia vita solo poche ore fa sembrava sull’orlo del baratro, sembrava pronta a chiedermi il conto delle innumerevoli scelte sbagliate e invece… Il colpo di scena! Di quelli da restare a bocca aperta. Di quelli che ti mandano in tilt il cervello perché non riesci a realizzare come possa essere accaduto proprio a te che solitamente, se devi essere l’ago nel pagliaio, lo sei rispetto a qualsiasi tipo di sventura. Il riassunto della mia vita si fa in fretta: lavoro uguale fallimento; amore meglio non parlarne; affetti: quali? Li avete visti, voi? Insomma, non sono una tipa fortunata e ho quasi paura di quello che mi è successo, anche se ora mi sembra di avere l’intero universo in mano, ma che fare?

Ma facciamo un passo indietro.
Non tanto indietro, solo poche ore fa. Ieri.
Pioveva a dirotto, ovviamente… Visto che dovevo fare un colloquio per un lavoro, autobus stracolmi, temporale con aggiunta di grandinata, giusto per non smentire la sfortuna che è più fedele della mia ombra. 
Le faremo sapere, mi ha detto una tipa tutta impettita, antipatica e snob. Mi guardava con il sopracciglio alzato, con un atteggiamento di rimprovero per essermi presentata col vestito bagnato e sgualcito, i capelli… lasciamo perdere… La matita nera che era colata dagli occhi, insomma: un disastro, se ci aggiungiamo anche il lato confusionale dei miei discorsi.

Nel pieno stato della mia afflizione post tentativo di ottenere un posto di lavoro, ma sapendo già che l’avrei visto col binocolo, mi sono concessa un caffè.
Mi sono seduta in un angolino del bar depressa più che mai.
Al tavolo a fianco c’era una vecchietta con una pila di biglietti del Gratta e Vinci da grattare, appunto. La guardavo mentre con una monetina da cinque centesimi li passava uno a uno, accompagnando la pratica con diverse espressioni a seconda del risultato. Intanto mi chiedevo come si potesse buttare via i soldi in questo modo, a occhio e croce credo avesse sul tavolo un numero di biglietti pari a una spesa di almeno duecento euro.
Non sembrava andare bene, infatti era un po’ contrariata, talmente stizzita che a un certo punto si è alzata ed è uscita dal bar lasciando sul tavolo, in ordine sparso, i biglietti mezzi grattati.
Mi sono alzata anch’io per andarmene a disperarmi da qualche parte, mentre infilavo la giacca guardavo il tavolo e pensavo che con i soldi che aveva speso la vecchina, bruciati in pochi minuti, io avrei fatto la spesa almeno per due settimane, se non tre, essendo a stecchetto. Ho notato, però, che c’era un biglietto caduto sotto il tavolo. Caspita, la vecchina non se n’era accorta! L’ho raccolto, non era stato grattato.
Signora, ha dimenticato un biglietto! ho detto in direzione dell’uscita, ma lei non c’era più. Diciamo anche che non ho usato un tono molto alto, insomma, siamo onesti: l’ho sussurrato solamente. Volevo giocare anch’io. L’ho infilato in tasca e sono andata a casa dove avrei guardato se magari avevo vinto i soldi dell’affitto. Un colpo di fortuna ogni tanto.
E invece…

Non posso crederci.

***

CAPITOLO DUE

GIULIANA DEGL'INNOCENTI


Con piglio rapace, appena giunta in cucina, ho afferrato un paio di forbici e con la lama ho iniziato a grattare i cerchietti dorati stampigliati sul biglietto. Ho asportato in fretta tutta la patina che li ricopriva, ansiosa di scoprire se ero riuscita a vincere almeno la rata d'affitto di quel dannato mese. 
E invece no. 
Tutti spaiati, quei simboli maledetti che avrebbero dovuto decretare il mio successo. Non avevo vinto niente. Con i miei modi sempre garbati e gentili stavo per appallottolare il grattino e scagliarlo in un angolo, quando – non so come – ho sentito la spinta a girare il talloncino di cartone e sul retro, proprio in un angolino, vergato a penna con tratto veloce, ho notato un numero di telefono. 
Oh questo?!
Sembrava tutto così strano, ma poiché il mistero mi affascina ho deciso di provare a chiamare, anche se non sapevo cosa dire, qualcosa mi sarei inventata. Quindi più che mai incuriosita, ho composto quella sequenza intenzionata a vedere a chi corrispondeva.
«Pronto? Buongiorno, ho trovato questo numero in segreteria telefonica, vorrei sapere chi mi ha cercato.»
Ha risposto una voce maschile, calda, suadente.
«Buongiorno signora, sono il Dottor Tempestini dell’Ufficio risorse umane della Texline S.p.a., probabilmente, se ha inviato il curriculum, le ha telefonato una delle impiegate, stiamo infatti cercando un responsabile nell’area legale che si occupi della contrattualistica. Se mi lascia nuovamente il suo nome le fisso volentieri un appuntamento.»
Accipicchia, addirittura la Texline! Mi ci vorrebbe proprio una svolta lavorativa. Stai al gioco.
«Ah ecco, ora è tutto chiaro, infatti avevo inviato il mio ci vù proprio pochi giorni fa. Mi dica lei, Dottore, quando posso presentarmi.»
«Oggi stesso, se vuole. Venga pure alle sedici e trenta. La nostra sede è in Via della Riuscita, nove.»
Mi sono vestita meglio che potevo e divorata dall’ansia ho cercato di darmi un contegno sistemandomi sulla spalla destra il mio zaino organizer di pelle nera stile donna in carriera tre punto zero.
La Texline è un colosso farmaceutico che ha sedi in molti paesi europei. Non mi sembrava neppure possibile il fatto di avere ottenuto un modesto colloquio conoscitivo. Io, un minuscolo insetto insignificante al cospetto della capolista fra le aziende di biotecnologia e dei ritrovati farmaceutici più all’avanguardia. Mah!
L’impresa ha sede in un palazzo di vetro. Ho preso l’ascensore, l’incontro si sarebbe svolto, infatti, al settimo piano e affrontare le scale mi sembrava improponibile considerato il mio scarso allenamento.
Mi hanno fatto accomodare in un’ampia sala, su un divano di pelle scura. Dopo un’anticamera di circa dieci minuti, una ragazza chiusa in un tailleur grigio fumo si è affacciata sulla soglia e mi ha annunciato: «Si accomodi pure, il Dottore l’aspetta.»
Tempestini sedeva composto dietro una scrivania operativa, fasciato in un completo blu, gli occhi chiarissimi, i capelli lisciati all’indietro, mentre il volto lievemente incavato e pallido tradiva una leggera stanchezza.
«Venga, Dottoressa Baldieri, lieto di conoscerla.»
L’ho osservato incantata, aveva modi eleganti e affabili, ma soprattutto ho colto un’arrendevolezza nello sguardo che si scioglieva in un sorriso disarmante. Quella dolcezza mi ha sedotto. 
All’istante.
Ha iniziato rivolgendomi le solite domande di rito, io ho risposto misurata e intimidita, mentre con la mente già lo immaginavo nel mio letto, flesso sotto al giogo del piacere, mentre a smorzacandela, lo cavalcavo come una giovane amazzone ebbra solo di desiderio.

Devi essere mio.


***

CAPITOLO TRE

MARIA RITA SANNA


«Signora? Ha sentito cosa ho detto?»
Diavolo di un istinto! Ma che cosa mi è saltato in testa? Affamata di lavoro, bisognosa d’aiuto per risollevarmi nella vita mi sono lasciata andare a certi colpi di testa. La fortuna sembrava essere dalla mia parte, ieri pomeriggio, quell’uomo ascoltava mentre parlavo delle mie referenze e il percorso lavorativo, noncurante del lieve balbettare.
Eppure, è stato bello saltare come un’adolescente tra un discorso serio e un flash di vera e propria intimità con uno sconosciuto. Intimità è dire poco. La stanchezza che gli leggevo in volto era per me un segnale di resa davanti alle mie pretese. Le mani ossute, che teneva incrociate sulla scrivania, le vedevo su di me come fossero farfalle impazzite.
«Le ho chiesto se ha con sé una copia del curriculum, perché qui non me la ritrovo.»
Non sorrideva più. Lo sguardo s’era fatto serio. Come svegliata all’improvviso da un incanto, ho frugato dentro lo zaino, goffa e imbarazzata. Per fortuna l’avevo con me! E pensare che poco prima di uscire di casa l’avevo messo a stampare, ma anche quella stupida macchina non voleva aiutarmi; dopo averne fatto varie copie, e tutte distribuite, avevo esaurito l’inchiostro. E certo, dove li trovavo i soldi per comprare una cartuccia nuova? Ma il cartolaio sotto casa, all’ultimo momento, mi ha salvato le speranze.
Nell’atto di avvicinargli il documento ho azzardato. Con le dita sono arrivata fino alle sue. Volevo sentire la sua pelle. Era calda e asciutta.
I pochi attimi per consultare i miei dati mi erano sufficienti per volare ancora qualche secondo.  
«Bene, Dottoressa Baldieri, le sue qualità potrebbero rappresentare una risorsa per l’azienda. Le farò sapere. Io personalmente.»
Atterraggio perfetto. Ho sospirato. Ho sorriso. Ho fatto l’assalto finale.
«La prego, mi chiami Monica.»
Dopo poco più di un’ora dall’inizio del colloquio, mi trovavo di nuovo fuori a respirare quell’aria uggiosa. Almeno la pioggia aveva finito di bagnarmi. Ma avevo il fiatone. Anche scendere le scale può diventare una fatica pericolosa per la salute, e pedalare per sette piani verso giù, roteando le gambe, ma con la mente in caduta libera mi aveva reso felice e stralunata.
Presa da quel momento di strana euforia, anziché prendere l’autobus, ho deciso di camminare fina a casa, un bel tragitto devo dire. Avevo bisogno di stemperare gli umori audaci. Ma come avevo potuto costruirmi quel film? E soprattutto non ho provato nessun imbarazzo nel comunicargli le mie sensazioni. Potrebbe avermi letto nel pensiero. Si legge il pensiero? Il suo l’ho letto e ho percepito solitudine, stanchezza e desiderio d’amore. Come me. Lo stesso bisogno che sento io.
Ma le emozioni non erano finite. Poco prima di arrivare a casa, passando davanti alla cartoleria, mi ha fermata Giorgio, il proprietario.
«Monica, aspetta! Hai lasciato qui la pennina USB, tieni. Senti… Ti va una pizza, stasera?»   
Ah, Giorgio! Sempre carino, ma proprio non ci vedo niente in lui. Non sono sicura, ma credo abbia qualche anno meno di me. È molto simpatico, ogni tanto entro nel suo negozio solo per fare quattro chiacchiere e concedermi altrettante risate. Quattro più quattro uguale otto. Erano già le otto di sera e ripensando a casa ho visto il frigo vuoto e la dispensa con un barattolo di piselli e un pacco aperto di pasta. Guardavo Giorgio e guardavo il soffitto dove stava bella chiara la situazione di casa mia. La tentazione di accettare l’invito di Giorgio era forte. Stavo per rispondere sì, quando ha squillato il mio telefono.


***

CAPITOLO  QUATTRO

PAMELA PIROLA


Ho messo la mano nella tasca della giacca e ho afferrato  il telefono. Con  aria esterrefatta ho fissato  lo schermo e ho realizzato  che  il numero che mi stava chiamando era proprio quello del Dottor Tempestini.
Ho risposto  titubante e dall’altra parte ho sentito queste parole: «Dottoressa, mi scusi, volevo dire Monica... Ha lasciato il suo zaino in ufficio da me. Dentro c’è  anche un mazzo chiavi che credo siano quelle di casa. Dal suo cv ho visto dove abita. Mi aspetti sotto casa sua che sto venendo a portarglielo.»
«Davvero non so come ringraziarla. L'aspetto  davanti al portone» ho risposto. 
Ho salutato di fretta Giorgio. Povero ragazzo, è rimasto visibilmente confuso dal mio atteggiamento, ma non avevo tempo di spiegargli quello che avevo combinato. L’ennesima dimenticanza! Prima la penna usb e poi lo zaino. Addio cena e addio pizza. E ho iniziato a camminare  a passo svelto  verso casa.
Mi sono seduta sul gradino delle scale e sono rimasta  in attesa. Aveva smesso di piovere, il cielo era  buio ma tempestato di stelle luminose e la luna si ergeva proprio davanti a me.
In giro non c’era anima viva.  Le finestre delle villette nella via erano tutte illuminate.
Ho guardato lo schermo del cellulare e ho realizzato  che era tardi. Chissà per quanto tempo avrei dovuto ancora aspettare…Il mio stomaco ha iniziato a brontolare visto che era vuoto dalla mattina. Ma se la fortuna mi avesse assistito, a breve la mia vita avrebbe preso una piega completamente diversa. Non avrei più dovuto fare i conti, che a fine mese non tornavano mai, perché i soldi  erano sempre troppo  pochi. La mia mente ha iniziato  a fantasticare  con aria sognante sulla vita che avrei potuto condurre  con uno stipendio adeguato… Vestiti firmati, cene in ristoranti di lusso, vacanze in hotel da favola, sì, proprio come quelli che si vedono sulle riviste di arredamento; e avrei anche saldato l’affitto alla padrona di casa, sempre molto comprensiva nei miei confronti.
In lontananza ho avvertito il rumore di una macchina che sopraggiungeva,  seguito da un fragoroso boato. Chissà cosa sarà mai successo, ho pensato. A gran velocità ho visto sfrecciare un’ambulanza seguita da una pattuglia della Polizia. D’istinto, senza pensare, mi sono alzata  dalle scale e ho iniziato a correre verso il fondo della strada. La scena che ho visto  era agghiacciante. Una bicicletta era incastrata sotto a una Porsche. E poco più in là ho visto il corpo di un ragazzo steso a terra immobile.
Non sarà Giorgio… Se mi avvicino un po’ forse riesco a capire chi è il povero ragazzo, ho pensato  tra me e me. Intorno al corpo inerme c’erano parecchie persone incuriosite, che la Polizia cercava di allontanare per favorire i soccorsi.
Un’agente si è avvicinato chiedendomi  di tornare indietro. Prima di voltarmi ho osservato  meglio la scena e quello che ho visto  mi ha lasciato  senza parole. 


***

CAPITOLO  CINQUE

RICCARDO SIMONCINI


«Agente, la prego, mi lasci passare, conosco quell’uomo…»
Tempestini rimaneva freddo e stanco appoggiato alla sua fuoriserie. Sembrava osservare tutto in modo distaccato, forse una tecnica per affrontare gli inconvenienti in modo più lucido, nella vita come negli affari. Un inspiegabile sollievo mi ha avvolta quando ho riconosciuto nel ragazzo steso a terra il garzone del fioraio e non Giorgio. Una sensazione strana che ho avuto difficoltà a inquadrare e alla quale è seguito un timido istante di senso di colpa nei confronti del ferito.
«Dottor Tempestini, come sta? Cos’è successo?»
Mi ha guardato e di nuovo mi sono persa in quelle emozioni. Non so che cosa avrei dato per sapere se condivideva i miei desideri.
«Monica, chiamami Mario, ti prego.»
Si è voltato e aprendo lo sportello posteriore ha recuperato il mio zainetto.
«Ecco. Mi dispiace di non poterti dedicare altro tempo, ma come vedi…» ha aggiunto indicando il ragazzo.
«Come sta?»
«Sta bene, per fortuna. Prima che arrivassi tu si è alzato e ha, in esatto ordine, maledetto, offeso, bestemmiato e imprecato. Poi ha visto la Porsche e si è ridisteso delicatamente a terra in attesa dei soccorsi.»
Ho sorriso. Ma più a lui che alle sue parole.
«Posso aiutarti in qualche modo? Hai bisogno di qualcosa?» ho chiesto.
«No, ti ringrazio, ho già chiamato un paio di collaboratori che saranno qui a breve e mi aiuteranno a risolvere questa seccante faccenda. Certe giornate sembrano non finire mai. Tu vai pure. Grazie.»
E così ho fatto, anche se a malincuore. Mentre mi allontanavo riflettevo sul sapore strano di quel Grazie. Era un congedo, ma era stato dolce, tranquillizzante. E pronunciato spostando gli occhi sui miei…
Stavo fantasticando troppo e me ne sono resa conto nel momento in cui sono tornata con i piedi sul Pianeta Terra e ho fatto i conti con la mia sfortunata realtà.
Giorgio aveva chiuso il negozio andando via con il suo invito e la sua pizza, Tempestini mi aveva dato buca a beneficio dei suoi collaboratori, il mio frigo era vuoto e una volta aperto lo zaino e tirato fuori il portafoglio ho finito di contarne il contenuto a dodici euro e cinquanta centesimi.
Sono entrata nel bar-tabaccheria e ho chiesto di preparare un panino caprese da portare via. Una volta alla cassa ho pagato i due euro e cinquanta, ma prima di uscire mi sono bloccata.
Sono tornata indietro e…
«Può darmi anche un gratta&vinci da dieci euro, per favore?» ho chiesto poggiando sul bancone gli ultimi soldi a mia disposizione.
 
Sono le tre di notte, sono stesa sul letto, immobile con le mani incrociate sul petto, guardo il soffitto. Forse è solo un sogno, forse sono morta.
Poche ore fa ero povera e non avevo mai comprato un grattino. Mai.
Ora sono ricca, digiuna, con Giorgio come pensieri in testa e Tempestini come fuoco in corpo.
Sette ciambelline di rosa glassate, stampate su un pezzetto di carta, mi hanno regalato una vincita con altrettanti zeri.
Certe giornate sembrano non finire mai.
Già, proprio come questo mio ieri.

***

CAPITOLO  SEI

STEFANIA CONVALLE


Non sono riuscita a dormire nemmeno per un minuto. Stringevo quel biglietto vincente come se avessi paura che una folata di vento improvvisa potesse strapparlo dalle mie mani, anche se ero al sicuro nella mia casa.
Ora sono qui seduta al tavolo della cucina e sorseggio un caffè, intanto penso a tutto quello che potrò fare con questa montagna di soldi. Non sono abituata a essere ricca e il cervello sembra non fermarsi mostrandomi la carrellata di tutti i sogni chiusi in un cassetto, che ora potrei realizzare.
Ma da dove cominciare?
E se poi perdessi tutto? Meglio restare coi piedi per terra o vivere la vita che vorrei? Sapere che potrei davvero concretizzare ogni più piccolo desiderio fa quasi paura.

Mi viene in mente Mario e la sua Porsche, lui sicuramente se la passa bene, anche se non credo quanto me ora – mi scappa un sorriso – però non mi ha dato l’idea di essere felice. 
E Giorgio? Forse nella sua vita normale è il più sereno di tutti e quella pizza rimasta in sospeso potrebbe essere per lui come un viaggio alle Maldive in un resort a cinque stelle.

Guardo fuori dalla finestra, il sole mi sorride e sembra gioire per me, come anche quell’albero con i fiori rosa appena sbocciati.
Resta il fatto che nel portafoglio ho zero soldi e sul tavolo un biglietto che vale milioni di euro, ma non posso andare a fare la spesa con quello. Realizzo quindi che la prima cosa di cui occuparmi è capire come incassare la vincita. Mi viene da ridere, non si è mai presentato questo problema.
La telefonata di Tempestini arriva quasi a proposito. Potrei dirlo a lui, ma mi potrò fidare? Non lo so. Intanto non rispondo. Guardo il cellulare fino a quando smette di vibrare, benedico il fatto di non aver riattivato la suoneria con quella stupida canzone che avevo scelto. Forse voleva dirmi che il lavoro è mio, ma lo accetterei, adesso? In fondo potrei vivere di rendita.

Tempestini insiste, richiama. 
«Mario, buongiorno! Come stai? Com’è finita, poi, ieri sera?»
«Ciao Monica, sì, tutto risolto, se ne sta occupando l’assicurazione.»
«Mi dispiace, mi sento in colpa, se non avessi dimenticato lo zainetto tutto questo non sarebbe accaduto.»
«Non preoccuparti. Senti, non ho ancora nessuna buona nuova da darti per il lavoro, ma ho deciso di prendermi un giorno di vacanza. Mi farebbe piacere invitarti a pranzo fuori, la giornata è bella e vorrei portarti al lago. Che ne dici?»
Rimango in silenzio. Mi sembra tutto molto strano. Sono tentata, ma nella testa ora ho ben altro che imbarcarmi in una situazione anomala con chi potrebbe dover decidere del mio posto di lavoro. Mentre lo penso, un chissenefrega del posto di lavoro si fa largo nella mia mente.
Rido tra me e me.
«Monica, ci sei?»
«Sì, scusa… Mi dispiace, ma è sopraggiunto un impegno importante che non posso rimandare.»
«Ah… E sarebbe? Se posso chiedertelo.»
Mentre sono al telefono cammino per casa, lo specchio della camera cattura il mio sguardo, gli occhi nei quali mi rifletto  restituiscono tutta la confusione che alberga in me.
«Monica, ma è successo qualcosa?»
«Sì, qualcosa di grosso.»
«Magari ne possiamo parlare a pranzo» rilancia l'invito, sicuro di sé. Non aspetta nemmeno la mia risposta. Dice che passa a prendermi tra un’ora.
«No, davvero, non posso. Sarà per un’altra volta. Scusami.»
«Senti ma… Non sarà per via di quel biglietto
Adesso nello specchio posso vedere i miei occhi sbarrati.
Come lo sa?
Il telefono mi cade dalle mani mentre sento solo, come un’eco, la sua risata.

 

***

CAPITOLO  SETTE

SILVANA DA ROIT


Ma come può saperlo? Impossibile, a meno che mi abbia pedinata, e lo vedete voi un Tempestini che pedina proprio me? Io no, ma quella risata mi ha fatto accapponare la pelle e sebbene sia ormai ricca sfondata, anzi forse proprio per questo, inizio a vedere attorno a me complotti e tranelli per frodarmi. Devo rinsavire, adesso lo richiamo e chiedo di quale biglietto abbia parlato. Mentre penso che sia un passo falso, la segreteria dice che la persona è irraggiungibile, meglio così. Riprendo tra le mani il mio tesoro, lo giro e rigiro come mi fosse sfuggito qualcosa e all’improvviso, eccolo lì, scritto a matita, un numero di telefono diverso dall’altra volta. Lo compongo.
«Texline SpA, posso esserle utile?»
Ancora la maledetta Texline.
«Ho un appuntamento con il Dottor Tempestini, devo disdire e non so come raggiungerlo.»
«Il Dottore oggi non c’è, è andato in clinica. Se vuole, lasci detto a me.»
«Ha a che fare con l’incidente di ieri?»
Senz’altro la tipa pensa a una nostra intimità perché risponde che no, ci è andato per il consueto controllo mensile. Mi torna alla mente il suo pallore, chi si controlla mensilmente se non una persona bisognosa di cure? Nonostante questo pensiero so di avere delle priorità; prima di preoccuparmi per lui o indagare sul mistero dei numeri telefonici, devo mettere in sicurezza il mio biglietto e, a tal proposito, penso subito al notaio Roberti. Essendo amico del nonno, mi conosce da quando ero piccola e abita a pochi passi da qui. Sul portone mi guardo attorno, l’aria è vellutata come i petali dei fiori appena sbocciati sui mandorli, oggi tutto pare idilliaco. No, non tutto. All’angolo vedo il muso della Porsche di Mario e faccio in fretta dietrofront per rientrare in casa. 
Mi sta pedinando davvero!
Non ho perso la testa, ho chiamato il notaio che è venuto di persona a ritirare il biglietto e mi ha portato un piccolo anticipo in contanti per ovviare alle spese impellenti, che sia frutto di un antico affetto o solo il potere dei soldi, a questo punto non mi interessa. Poi ho chiamato Giorgio, in fondo è l’unico a cui posso chiedere consiglio. Verrà qui per la pausa pranzo con due belle pizze d’asporto. Era contento dell’invito, mai come me. E mentre aspetto, faccio ordine, ripongo lo zainetto in camera mia. Dalla tasca esterna cade un biglietto, non è la mia scrittura.
Cose da fare prima di morire. Oh, cazzo. Sgozzare una ragazza e farla sparire nelle acque profonde di un lago.
Era questo il biglietto! Mario è un malato terminale e io faccio parte dei suoi desideri, ma non nel senso che avevo creduto ieri. Realizzo che ha avuto in mano le mie chiavi di casa, che potrebbe anche averle duplicate. Stando ben attenta a non sporgermi troppo dalla finestra rischiando di farmi vedere, controllo la strada da cui tra breve dovrebbe arrivare Giorgio. Le mie speranze diventano tempesta quando lo vedo già sotto casa, intento a confabulare con Mario.
Morirò ricca, ricca sfondata.

***

CAPITOLO  OTTO

CAMILLA TERSO


La mia mente si offusca sempre più. 
Cosa ci fanno quei due insieme? Perché Mario ha scelto me come sua vittima? 
Li osservo dalla penombra, non devono vedermi. Dalla gestualità sembrano conoscersi bene. Guardano verso la finestra. Mario consegna una sacca nera a Giorgio che lo saluta dirigendosi verso casa mia. 
Suona, ma non rispondo, ho troppa paura. Gli mando un messaggio di scuse, inventandomi un improvviso malore.  Trascorro un lungo e tormentato pomeriggio. Chiudo tutte le imposte.  Mi blindo in casa dando qualche mandata in più alla porta. I pensieri si affollano nella mia mente alternandosi tra mistero e paura. Se devo morire - e non ne ho nessuna intenzione - voglio capire almeno il motivo. Una cosa, però, mi è chiara: non mi devo fidare più di nessuno. 
La delusione più grande è quella di sapere che Giorgio mi vuole fare del male. Proprio lui con cui ci conosciamo da anni ormai, da quando mi sono trasferita in questo rione e a furia di farmi stampare copie di curriculum siamo diventati grandi amici... Almeno così credevo. Certo, molte volte ci ha provato e io gli ho dato sempre un due di picche. A pensarci bene negli ultimi tempi stava diventando assillante. Mi tempesta di chiamate e messaggi e vuole essere a conoscenza di ogni mio passo, molte volte lo ignoro. Però non penso che sia motivo di vendetta.  
Ci vuole un piano d’azione. 
Devo agire con prudenza e intelligenza. Il primo passo è quello di recuperare il resto del denaro. Dopo comprerò una pistola e assumerò un investigatore privato. Voglio andare in fondo alla questione.
Ho passato tutto il pomeriggio e l’intera serata in casa, iniziando così a fare delle ricerche su Internet e scoprendo che i due hanno lo stesso cognome: Tempestini. 
Come in un flash rivedo il cognome sull’insegna del negozio di Giorgio! Come ho fatto a non collegare le cose? Eppure passo da lui ogni giorno. 
Sto pagando per il mio modo un po' troppo leggero di vivere le situazioni. Per questo motivo mi ritrovo alla mia età, ancora senza lavoro e ricca solo per aver seguito l’esempio di una vecchina. 
Non era questa la vita che avevo sognato. 
Dopo la laurea speravo di lavorare per qualche multinazionale, invece mi sono scontrata con la dura realtà della concorrenza e della non meritocrazia. Non ho mai avuto la spinta giusta per poter lavorare in una di quelle case farmaceutiche, colossi mondiali nel campo della ricerca medica. Il mio sogno.
Tornando a quei due e continuando la ricerca sui Social, scopro che sono fratelli! Questo è il prezzo da pagare per non usare i canali telematici, un’altra se ne sarebbe subito accorta. Giorgio sapeva anche del colloquio di lavoro che dovevo fare alla Texline, perché non mi ha detto che il titolare era suo fratello? Ormai si è fatta sera e dopo una cena frugale, per via dello stomaco chiuso, cerco di riposare un po'. Però il pensiero che quei due sono in possesso delle chiavi di casa non mi fa dormire. Meglio passare la notte altrove. Decido di usare i primi soldi della vincita per prendere una camera in una pensione. Mentre sto per uscire il telefono di casa squilla, rispondo e una voce quasi robotica mi dice: vestitino troppo leggero per questa serata frizzantina.
Mi osservano.

***

CAPITOLO  NOVE

ARIANNA DESOGUS

Sbatto giù la cornetta del telefono e corro in camera. Solo adesso la consapevolezza di quanto sta accadendo mi travolge per davvero. Sento una scossa attraversarmi da capo a piedi. Prendo un borsone e lo riempio coi primi vestiti che capitano, poi ci butto dentro diversi cambi di mutande e di calze. Ovunque siano loro, devo uscire da questa casa adesso. Non posso aspettare nemmeno un attimo di più. Ricontrollo l’anticipo del notaio Roberti e tiro un sospiro di sollievo: è sufficiente per pagare diverse notti in albergo. Una volta arrivata a destinazione, penso, mi rimetterò in contatto con lui per accordarci sul resto del denaro.
Entro in garage e salgo sulla mia vecchia macchinetta. Ultimamente l’ho usata pochissimo per risparmiare sul carburante, e questo mi fa sentire al sicuro: i due non mi seguiranno per il semplice fatto che non mi hanno mai vista guidare. Spesso scendo in garage ad accenderla, per evitare rogne con la batteria, e dunque adesso riesco a partire senza problemi. La mia vecchietta, così affidabile!, penso con un moto d’affetto.
Mentre guido, una serie di domande sfilano nella mia testa accavallandosi tra loro. Come hanno fatto a vedermi? Ci sono telecamere in casa? E se sì, chi, quando e come le ha piazzate? E se invece non ci sono, come hanno fatto a sapere cosa indosso, dato che mi sono barricata dentro tutto il pomeriggio? E ancora, cosa c’è nella sacca nera che Mario ha consegnato a Giorgio?
Mentre rimugino, continuo a scrutare nervosa nello specchietto retrovisore. I sentimenti che avrei potuto provare per quei due mi sembrano svaniti nel nulla.
Controllo il navigatore: l’albergo che ho scelto dista ancora un po’, dunque decido di fermarmi al primo distributore di benzina. Scendo e inserisco i contanti. Mentre aspetto che il serbatoio si riempia, una macchina si ferma dietro la mia. La donna al volante scende, sembra aver bisogno di una boccata d’aria. La guardo di sottecchi: mi colpiscono il suo viso dolce, delicato, e i due occhi verdissimi sotto la fronte alta e i capelli neri arricciati. Ha un’aria stanca, e mi viene spontaneo rivolgerle un sorriso impacciato, metà d’incoraggiamento e metà di scusa: quasi mi sento in colpa a farla aspettare. Riparto. Lei risale sulla sua auto e l'accosta all’erogatore.
Un po’ più tranquilla percorro l’ultimo tratto di strada e arrivo all’albergo. Faccio il check-in e mi sistemo in camera. Poi, esausta, crollo sul letto, mentre un senso di torpore mi avvolge; non voglio più pensare a niente, adesso.

Mi sveglio di soprassalto. La luce filtra dalle tapparelle che ho scordato di abbassare. È già mattina.
Scendo per la colazione, prendo pane e marmellata dal buffet e mi siedo nel primo tavolino in giardino, contemplando il laghetto. Sì, ho scelto proprio un bell’albergo, sorrido tra me e me.
All’improvviso qualcuno prende posto sulla sedia vuota accanto alla mia. Sgrano gli occhi dallo stupore. È la stessa donna di ieri, quella che ho incontrato al distributore di benzina.
«Piacere» dice. «Io sono Claudia.» 


***

 CAPITOLO  DIECI

TANIA MIGNANI

La fisso per un attimo in silenzio, valutando se svelarle il mio vero nome o inventarne uno su due piedi, tanto per non essere scortese. I miei occhi incrociano i suoi, come è successo al distributore, ho un tuffo al cuore, mi pare di fissare lo sguardo di mia madre, non solo per l’identica sfumatura dell’iride, ma per quello che vi leggo dentro.
«Piacere, Monica. Prego, accomodati.»
Le mostro la sedia di fronte alla mia, forse sarà l’ennesima cazzata di questi ultimi, travagliati giorni, ma l’istinto mi suggerisce di fidarmi.
Parliamo del più e del meno, le mie frasi si mantengono su toni e argomenti neutri, mi sento ancora vulnerabile, ma la sua voce mi infonde tranquillità e durante la nostra conversazione riesco a non pensare agli ultimi avvenimenti.
«A circa venti chilometri da qui c’è un percorso naturalistico molto interessante che conduce a un antico Santuario medioevale. Oggi ho in programma di raggiungerlo. La signora della pensione è stata molto gentile e si è offerta di prepararmi alcuni panini per il pranzo al sacco. Perché non viene anche tu? Ti piace camminare?»
«Sai Claudia, da bambina camminavo molto. I miei genitori erano grandi appassionati di montagna e trascorrevamo le vacanze estive in piccoli paesini sulle Alpi compiendo, ogni giorno, bellissime escursioni. Ma ora, sono fuori allenamento.»
«Oh, non ti preoccupare questo percorso è di appena sei-sette chilometri di cui solo gli ultimi due presentano una salita un po' impegnativa. Nulla di cui preoccuparsi per chi è abituato a camminare in alta montagna. Bene, allora. Vado dalla signora a chiederle di aggiungere alcuni panini anche per te. Ti darò anche un paio di scarponi più adatti delle tue scarpe da ginnastica, dovremmo avere lo stesso numero.»
La osservo allontanarsi e penso di essere impazzita ad avere accettato il suo invito. Trascorrerò ore in compagnia di una sconosciuta in un luogo solitario, evidentemente tutto ciò che mi è successo non mi ha insegnato nulla.
Claudia ritorna con uno zaino, appena la vedo ogni timore scompare e mi sento carica, è una splendida giornata, non conta nient’altro.
«Bene, andiamo allora.»
Mi sorride e mi guida verso la sua macchina.

Ora sono serena.
Claudia aveva ragione, il primo tratto del sentiero presenta una salita molto dolce e, nonostante i miei anni di sedentarietà, la affronto senza problemi, caricata dalla sua piacevole compagnia e dal gradevole paesaggio che ci circonda. Sembra conoscere molto bene questi luoghi e mi mostra le piante e i fiori selvatici che incontriamo. L’ultimo tratto, come mi aveva preannunciato, diventa via via sempre più ripido, il sole di mezzogiorno comincia a farsi sentire e questa parte di sentiero non è più riparata dall’ombra degli alberi.
Sono costretta a fermarmi, il fiato è corto e le gambe sembrano rifiutarsi di avanzare. Bevo un sorso di acqua mentre Claudia, davanti da me di molti metri, si accorge della mia sosta.
«Coraggio, Monica. Siamo quasi arrivate, dietro quello curva finisce la salita. Non ti fermare, poi sarà più dura ripartire. Avanza piano piano, un passo dopo l’altro.»
Le sue parole mi fanno trasalire: era la frase che mi ripeteva mia mamma quando, stanca, chiedevo di fermarci.
Un passo dopo l’altro, quante volte avevo sentito quelle parole e non solo durante le nostre gite in montagna, ma in varie altre occasioni, ogni volta in cui mi sentivo sfiduciata, non all’altezza o in difficoltà. Non ti arrendere, Monica, vai avanti… Un passo dietro l’altro.
E sono quelle parole che mi trascinano, mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime, un passo dietro l’altro raggiungo l’ultima curva alle spalle di Claudia ed eccolo lì, il Santuario.
Ci appare in tutta la sua sobria bellezza, è un Santuario di campagna, senza fasti, ma la pace e la tranquillità che ispira mi entrano nel profondo dell’anima. Ci aggiriamo all’interno in rispettoso silenzio, osserviamo le antiche tele appese alle pareti, la statua della Madonna a cui è dedicato, il pesante crocefisso in legno appeso sopra l’altare. Ci sediamo su una panca e vi rimaniamo per molti minuti, è il momento del raccoglimento, della riflessione, nel mio caso di una silenziosa preghiera che pare premere per uscire.
Decidiamo di uscire, la luce del sole ci accoglie e ci riscalda. Ci sono altre persone che, come noi, si sono avventurate in questa gita. Riusciamo a trovare un piccolo spazio solitario dove sederci e mangiare i nostri panini. Raramente mi sono sentita così tranquilla e in pace con me stessa. Approfitto di questa tregua prima che l’assillo degli accadimenti degli ultimi giorni si impossessi di me ancora una volta.
«Monica, è ora di scendere, altrimenti verrà buio.»
«Ok, rimettiamoci in marcia, un passo dopo l’altro.»

La discesa è rilassante e veloce, ci sono altri viandanti nel sentiero e con alcuni di loro ci scambiamo impressioni su quel luogo. Sono felice di aver accettato l’invito di Claudia, non mi sono mai sentita meglio come in queste ore trascorse insieme.
Dopo essere risalite in macchina Claudia mi chiede se ho voglia di fermarmi a cena in una trattoria nei paraggi. Naturalmente accetto, sono felice di trascorrere ancora qualche ora insieme.
«È un posto senza pretese, vedrai, ma fanno una polenta con i funghi celestiale.»
«Niente di più adatto dopo una gita al Santuario.»

Siamo sedute davanti a un piatto fumante di polenta, il camino acceso manda bagliori dorati in contrasto con il rubino del vino nei nostri bicchieri.
Claudia allunga una mano sul tavolo, stringe la mia, affondo ancora una volta nel verde lago dei suoi occhi.
«E ora, Monica, sei pronta a raccontarmi cosa ti tormenta?»

***

CAPITOLO  UNDICI

PINUCCIA SASSONE

Cosa dovrei essere pronta a raccontare?
Ma che ne sa questa donna dei miei tormenti e soprattutto dei miei ultimi tormenti.
Sono sempre più confusa. Nulla è normale di ciò che sta accadendo, in così poco tempo, per di più con persone sconosciute. Quel gratta e vinci doveva  solo risolvermi problemi economici e invece me ne sta causando altri, da cui non riesco a districarmi.
Mi sento come una preda, intrappolata in una ragnatela, senza capire chi ne è il tessitore.
Chi è… E che interesse ha questa donna a chiedermi cosa mi affligge? Non la conosco, eppure, con lei si annulla ogni diffidenza, sento solo una profonda serenità, come carezze che arrivano al cuore. Mi perdo nei suoi occhi come fossero calamita, identici a quelli di mia madre e pronuncia le sue stesse parole.
A tratti però mi ritorna la confusione. Ripenso al numero di telefono scritto sul biglietto trovato sotto il tavolino. Perché mi ha attratto proprio quello? La vecchietta ne aveva lasciati tanti altri in ordine sparso.
Ecco, mi sento proprio così, con un mucchio di pensieri in ordine sparso, senza sapermi raccapezzare tra le inspiegabili cose che mi stanno travolgendo.
Mi sono sempre sentita povera e fallita. La sorte ha voluto farmi diventare ricca, in modo casuale e misterioso, ma tutto si sta complicando in maniera enigmatica.
Da piccolo insetto insignificante a ricca sfondata, senza né capo né coda.
Sono inseguita, nel vero senso della parola, dalle circostanze o dal mistero?

Il colloquio di lavoro per un curioso gioco con i numeri, l’incontro con l’affascinante Mario Tempestini, la sfrontatezza nel porgergli il mio ci vù sfiorandogli le dita, per sentire il calore della sua pelle; i miei pensieri audaci, passionali, senza pudore, mentre lui era soltanto attento alla mia richiesta di lavoro. 

Il povero Giorgio, che quella sera avevo preso in considerazione solo per scroccargli una cena, intenzione interrotta dall’inaspettato squillo del telefono. Era Tempestini, mi avvisava che avevo lasciato lo zaino con le chiavi di casa nel suo ufficio. Me lo avrebbe recapitato di persona sotto casa. 

Le mie solite dimenticanze… Che non fossero diventate complici di un nuovo destino per me? Erano semplici coincidenze? La fortuna  mi aveva persa di vista da diversi anni, all’improvviso aveva deciso di corrermi dietro e scontare tutti gli arretrati?

Pianto Giorgio all’improvviso, senza spiegazioni, senza badare a quanto fosse turbato dal mio atteggiamento: corro verso casa, attendo impaziente sulle scale l’arrivo di Tempestini.

E invece no, un altro impedimento: l’incidente. Sto fantasticando troppo su quell’uomo e ogni volta che la ragione fa lo sgambetto al cuore, scendo dal piedistallo dell’illusione e di nuovo, in quanto a sfiga,  mi sento la prima in classifica.

Poi l’acquisto di un gratta e vinci, cosa mai fatta in vita mia. Ho consumato gli ultimi spiccioli che avevo in tasca, necessari per sfamarmi almeno con un panino. La dea bendata ha esagerato, mi ha fatto vincere una somma a sette zeri. Da niente a tanto, non sono nemmeno capace di pronunciare la cifra e forse nemmeno in grado di gestirla.

Presto potrò permettermi cose che ho sempre solo desiderato: vestiti di lusso, una nuova automobile, persino una casa, tutta mia, senza avere più l’assillo di dover pagare l’affitto. In realtà, ancora povera ma ricca di tutta la mia libertà, penso che non sia poi così bello diventare milionari se per paura di perdere tutto non puoi condividerlo con nessuno.

Ma non era ancora finita: la proposta di Mario per un giorno di vacanza insieme, il mio corpo  fortemente desideroso di accettare, contrastato dalla ragione, diffidente verso lo sconosciuto e finire per rinunciarci. Poi la sua ghignata al telefono, il riferimento al numero di cellulare scritto sul biglietto, il mistero di quei numeri telefonici che entrambi mi hanno portato a lui,  il foglio trovato nello zaino con quella scritta da farmi accapponare la pelle, Mario e Giorgio che confabulano sotto la mia finestra, la telefonata in cui una strana voce mi dice che indosso un vestitino leggero. Il panico… la fuga… Claudia,  la donna che ho incontrato al distributore di benzina e ritrovo in albergo al mio tavolo per la colazione, la passeggiata in montagna con lei, le sue parole che mi rimbombano assillanti nella mente: non ti arrendere Monica, vai avanti, un passo dietro l’altro.

Tutto è pazzesco, non connetto, non capisco se sono sveglia o se sono in un sogno ingarbugliato da cui non riesco a liberarmi. Forse non ho il cervello a posto. Mi ha sempre affascinato il mistero, ma ora, credo stia esagerando. Dopo tutto, ho solo ingenuamente giocato con un biglietto, adesso mi pare, però, che qualcosa di incomprensibile stia giocando con la mia vita. Per dirmi cosa?
Monica, ci sei?  rilassati, sono qui per te, togliti dalla mente quell’uomo, mi dice Claudia tenendomi le mani tra le sue. Mi rassicurano ancora quegli occhi verdi, profondi e limpidi, mentre nitida davanti a me è l’immagine di mia madre. Tiepide lacrime solcano con dolcezza il mio viso. Non è un sogno.

Claudia, ma tu, chi sei veramente?

***

CAPITOLO DODICI

TIZIANA MAZZA


«Claudia, ma tu chi sei?» la domanda che mi sta tormentando esce finalmente dalla mia bocca.
«Non ti ricordi proprio nulla?»
Osservo quegli occhi verdi che mi trasmettono tanta serenità e che mi rimandano a mia madre, alle sue parole, al suo amore e mi accorgo che Claudia le assomiglia. Un flash back mi riporta indietro negli anni, a un ricordo molto doloroso che avevo rimosso.
Ero piccola, molto piccola, avevo solo sei anni.
Ero ammalata e la mamma era rimasta a casa dal lavoro per accudirmi.
Pioveva forte, molto forte.
Suonarono alla porta e la mamma era andata ad aprire mentre io, curiosa, sbirciavo dalla mia stanza. Sulla soglia c’erano due uomini che non avevo mai visto, erano bagnati fradici e le chiesero di poter entrare ad asciugarsi. La mamma era titubante, poi la sua indole generosa ebbe il sopravvento e li fece entrare. Li fece accomodare in cucina, diede loro un telo per asciugarsi e si voltò verso i fornelli per preparare un caffè caldo. Ricordo ancora lo sguardo assassino che i due si scambiarono. L’assalirono alle spalle e le strapparono i vestiti di dosso, la cavalcarono uno dopo l’altro senza pietà. La mamma si dimenava, scalciava, cercava di urlare, ma uno dei due le teneva la bocca tappata. Alla fine, dopo un tempo che a me era sembrato interminabile, se ne erano andati lasciando la mamma in una pozza di sangue. Poi non ricordo più nulla. Sono cresciuta con la nonna in campagna, fino a che l’anno scorso è morta e mi sono ritrasferita in città.
Porto il suo cognome, quello della mamma.
Ho rivissuto un dolore straziante che, per sopravvivere, il mio cervello aveva cancellato dalla mente. Guardo il volto di Claudia: non mi serve una risposta. È lì, chiara e nitida nonostante le lacrime che sgorgano copiose annebbiandomi la vista.
«Sei mia sorella!»
Claudia sorride tra le lacrime a lungo trattenute e mi stringe più forte le mani.
«Sì, e finalmente ti ho ritrovata!»
Ci abbracciamo strette e così restiamo per un tempo indefinito, fino a sentirci un tutt’uno. Non provavo questa sensazione di calore da tempo immemore, da quando mi trovavo tra le braccia della mamma, ed è proprio lì che adesso mi sembra di essere. È come se lei fosse tornata per lenire le mie ferite, così a lungo nascoste dalla nebbia dell’incoscienza. La nonna aveva tenuto vivo il suo ricordo raccontandomi una favola. Mi diceva che la mamma era un angelo volato in cielo per vegliare su di me dall’alto affinché non mi capitasse niente di brutto. Non mi aveva mai parlato né del mio papà, né di mia sorella, né dei miei fratelli. Sapeva che mi avrebbero riportato alla mente una verità insopportabile da sostenere. È morta con questo segreto nel cuore.
Adesso però ho bisogno di sapere.
«Come ti chiami di cognome?»
«Tempestini.»
Sono annichilita. Ho sognato di scopare mio fratello.

***

CAPITOLO TREDICI

ADELIA ROSSI

Torno a casa e stravolta mi butto sul letto. Tempestini! Quel nome continua a battermi in testa come un martello pneumatico. Il solo pensiero di avere desiderato colui che ho appena scoperto essere mio fratello, mi fa correre in bagno a dare di stomaco. Adesso, tante cose ai miei occhi si ricompongono, ma quella che più mi tormenta è l’avere ricordato quei momenti di violenza subiti da mia madre. Quel pensiero per un attimo mi lascia senza respiro, mi riporta alla sua morte e non so per quale strana associazione anche alla recente paura che Giorgio volesse uccidermi. Sono confusa. Non so per quale strano gioco del destino, all’improvviso tutto sembra già scritto.  
A un tratto realizzo che gli occhi su Mario li avevo puntati io; lui, invece, mai aveva nutrito la mia fantasia. Quelle mani ossute che immaginavo sul mio corpo mentre si stringevano l’una con l’altra, non erano altro che nervosismo per qualcosa che ancora non conosco. Sento che anche i numeri di telefono riportati sul gratta e vinci sono legati a qualcosa che riguarda la storia della mia vita, e l’istinto  mi dice che presto avrò una risposta.
Mi siedo, accendo il computer e con bramosia cerco il contatto Facebook di Mario, entro nella sua pagina. Eccolo! A ben guardare, i suoi occhi hanno la stessa tonalità di quelli di Giorgio, identici a quelli di Claudia. Tutti e tre hanno ereditato il colore e la purezza dei fondali marini, dove sempre mi specchiavo, quando mia madre mi guardava. 
Non ho più dubbi, ma solo tanti perché senza risposta.
Navigo alla ricerca di non so nemmeno io cosa, quando improvvisamente mi si gela il sangue nelle vene. Cose da fare prima di morire, sgozzare una ragazza e farla sparire nelle acque profonde di un lago. La stessa frase trovata scritta nel biglietto dentro lo zainetto è qui riportata in corsivo. Mi si appanna la vista al punto che non ho il coraggio di leggere il seguito, ma mi costringo a farlo. Devo sapere. Strofino gli occhi e poi li spalanco sulla scritta Il nuovo romanzo che vi farà rabbrividire, segue nome e cognome di un noto autore di thriller. Mi lascio andare sfinita sulla sedia mentre la mia mente a un tratto ritrova lucidità. Ma perché non me lo hai detto? penso, ricordando la sera che al telefono chiesi a Mario di consigliarmi qualcosa da leggere. Molto probabile che mi volesse dire a voce del biglietto messo nello zainetto, ma l’incidente ha  capovolto le sue intenzioni.
Mi sento come se a un tratto davanti a me si spalancasse una nuova porta con molte incognite. Una più importante di tutte. E mentre la mia mente vacilla dal sonno, il pensiero ritorna al famoso  gratta e vinci caduto sotto il tavolo. 
Ma davvero era caduto? O forse…

***
CAPITOLO QUATTORDICI
STEFANIA CONVALLE

Sono passati sette anni da quei giorni. 
Una manciata di giorni che capovolsero la mia vita. Tutto era surreale... La vecchina al bar, il biglietto caduto, i numeri di telefono e tutti gli equivoci nati a catena. Una montagna di soldi all’improvviso, una famiglia ritrovata. Vecchi traumi riemersi.

Ecco, vecchi traumi riemersi.

Non sapevo davvero come fosse successo.
Non sapevo davvero se fosse successo.
Possibile che avessi rimosso un fatto tanto grave, compresi fratelli e sorella?
La decisione che presi dopo tutta quella tempesta di emozioni fu la più saggia: rivolgermi a una psicanalista.
E il colpo di fortuna più grande fu proprio quello, perché la dottoressa capì subito che ero caduta nella rete di un raggiro. Un sorta di banda di truffatori che usavano metodi, come dire… ipnotici? Mi avevano messo in testa un passato che passato non era. Erano stati bravi, non c’era altro da dire.
La verità era che di mia madre non avevo saputo niente, ero cresciuta con la nonna, ma lei aveva sempre sorvolato su cosa fosse realmente accaduto a colei che mi aveva dato la vita che, sì, era morta, ma non per quello che mi aveva messo nella mente quella Claudia…

Ritornai sui miei passi, in quei giorni. Andai in quel bar dove avevo trovato la giocatrice compulsiva. Era ancora lì. E grattava grattava grattava. E perdeva perdeva perdeva. E di nuovo, stizzita, si alzava e se ne andava. Però quella volta la fermai e le chiesi se quel numero di telefono l’avesse scritto lei, quello che mi portò da Tempestini. Lei mi rispose con una grassa risata e se ne andò ridendo, almeno fino a svoltare l’angolo, lasciandomi lì come una cretina. Che cosa aveva voluto intendere, ridendomi in faccia? 

Forse era stato davvero tutto un caso.

Mi decisi di chiedere a Giorgio, in fondo lo conoscevo da tempo, mi fidavo di lui, non mi aveva mentito – almeno lo pensavo e lo giustificavo – non era tenuto a dirmi che fosse anche lui un Tempestini.
Mi spiegò che il negozio era di Tempestini – omise che fosse il fratello – anzi, sottolineò che il solo legame tra loro fosse d'affari. La conoscenza mia e di colui del quale mi ero presa una cotta – diciamo così – era stata apparentemente casuale, come casuale che io avessi visto loro due parlare e avessi immaginato chissà quale trama.

Però sapevano che il biglietto era vincente.

Come?

Era segnato. Un codice misterioso che in teoria nessuno dovrebbe sapere, ma evidentemente c’era una falla da qualche parte: c’è sempre una falla nel sistema, si sa.

Giorgio sapeva che era un biglietto vincente, magari non poteva immaginare quanto. Da uno scambio di informazioni tra loro, capirono che il mio biglietto doveva essere milionario e architettarono una sorta di truffa per ricongiungere una famiglia che non c’era e portarmi via il malloppo. Anche se, mi chiedo ancora, non poteva tenerselo direttamente lui? Perché coinvolgermi? Forse era davvero interessato a me e voleva aiutarmi in un momento di difficoltà, chissà, anche se di razionale c'è poco in questa ipotesi, ma non tutto ha una spiegazione, soprattutto quando si tratta della mente umana. Ormai l'ho capito.

Comunque, tornando a tutta la storia, come so queste cose? Lo so perché la psicanalista mi convinse a denunciare il fatto e i tre finirono nei guai. La vincita fu congelata e ancora sto aspettando di riscuotere, con buona pace dell’amico Notaio che mi aveva dato un anticipo di tasca sua, ma credo che non accadrà mai. In fondo la lezione l’ho imparata e ho toccato con mano che i soldi – anche se ne ho immaginato solo il profumo senza sfiorarli mai – non fanno la felicità, come si dice.

E ho anche avuto conferma, per proseguire con i modi di dire, che la realtà, a volte, supera davvero la fantasia.

La cosa bella è che mi sono fermata a riflettere sulla mia vita, su quello che stavo facendo, chiedendomi cosa volevo essere. Come volevo vivere.

Zaino in spalla, sono partita. Destinazione, il mondo.

E ho scoperto la vita. Sì. Non ho ancora trovato un posto dove fermarmi a invecchiare, solo brevi periodi vissuti in luoghi che probabilmente, in una vita cosiddetta normale, non avrei visitato mai. Qualche lavoretto saltuario, per il necessario. Tanti amici e ognuno di loro mi ha regalato qualcosa, un pezzo della loro vita, un pasto insieme, uno sguardo curioso, un abbraccio di quelli che si appiccicano al cuore.
Forse doveva capitare tutto questo, vivere quasi in un film, anni fa.
Forse doveva succedere per portarmi qui. Dove voglio stare.
Nella libertà.

 


Hanno partecipato al gioco: 

Me medesima ;-) autrice di numerosi romanzi, ma lo sapete perché mi seguite.

Giuliana Degl'Innocenti, autrice di: "Estate '36"; "La giostra delle possibilità"; "Il tempo della caramella". Tutti Edizioni Convalle.

Maria Rita Sanna, autrice di: "Pane e fragole"; "Mandorla amara" (Marchio di qualità della Microeditoria) e co-autrice "La vita in uno scatto". Tutti Edizioni Convalle.

Pamela Pirola, allieva del Laboratorio di Scrittura. Quando scrive, si mette il cappuccio della felpa sulla testa ed entra nel suo mondo ;-) 

Riccardo Simoncini, autore di "Come biglia in equilibrio precario" e "Il granello di sabbia nell'ingranaggio". "Cerca di non mancarmi troppo", scritto insieme a me medesima;-) e "Dalla A alla Zeta", scritto insieme a me, Tania Mignani e Claudio Gurra. Tutti Edizioni Convalle.

Silvana Da Roitautrice di: "I Tunnel di Oxilla"; "Niente come prima" e co-autrice "La vita in uno scatto". Tutti Edizioni Convalle.

Camilla Tersoallieva del Laboratorio di Scrittura. Tostissima!

Arianna Desogus, autrice che tra pochissimo pubblicherà un bellissimo romanzo con Edizioni Convalle.

Tania Mignani, autrice delle raccolte di racconti "L'altra" e "Nessuno è innocente. Nemmeno tu." Co-autrice delle opere: "Dalla A alla Zeta" e "La vita in uno scatto". Tutti Edizioni Convalle.

Pinuccia Sassoneallieva del Laboratorio di Scrittura. Quando sarà pronta la sua prima opera? Pinuccia, datti da fare!

Tiziana Mazza, autrice del romanzo "Sulle tracce di Lucifero", un giallo-rosa, e della raccolta di racconti lunghi "Compleanni noir", giallo-noir-thriller. Co-autrice dell'opera: "La vita in uno scatto". Tutte Edizioni Convalle.

Adelia Rossi, autrice della silloge poetica "Luci e Ombre, del romanzo "Nonna, mi spazzoli i capelli?" e di "Come petali di un fiore", Haiku. Tutte opere edite da Edizioni Convalle.

Se siete curiosi di saperne di più, cercatele nel sito www.edizioniconvalle.com



Alla prossima

dalla vostra 

Stefania Convalle