Volevo solo avere più tempo

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Il nuovo romanzo di Stefania Convalle

lunedì 10 maggio 2021

Numero 376 - Ripercorrendo la mia carriera nel mondo delle parole - Prima Puntata - TRE. IL NUMERO IMPERFETTO - 10 maggio 2021

Ripercorrendo la mia carriera nel mondo delle parole 

Prima puntata

TRE. IL NUMERO IMPERFETTO



Tutto è cominciato da quella macchina da scrivere, una Olivetti 22, proprio come quella della fotografia. 
Avevo letto su un giornale di un concorso: Scrivi un romanzo d'amore. 
Detto. Fatto.
Ho preso la macchina da scrivere e ho cominciato. Avevo poco tempo prima della scadenza e quindi mi sono data da fare e in tre mesi ho scritto "Tre. Il numero imperfetto". 
L'ho inviato al premio, ma non ho vinto.
Effettivamente non era proprio un granché, siamo onesti ;-)
Non sapevo tutto quello che so adesso sulla scrittura. Ero, come dire... alle elementari ;-)
Così ho riposto il romanzo nel famoso cassetto e lì è rimasto per almeno vent'anni.

Dopo qualche anno da allora, esattamente dopo la morte di mia madre, ho ripreso a scrivere. Così, con poca convinzione, avevo partecipato al Concorso Festival delle lettere, e la lettera che avevo scritto arrivò con mio sommo stupore in finale, ma non ho vinto nemmeno lì :-D 
Stava diventando un'abitudine! (Non vincere, intendo)
La mia lettera fu anche rappresentata, insieme alle altre finaliste, in teatro. Mi sembrava di cominciare a sentire nell'aria il profumo del successo... Ma mi sbagliavo: era solo quello dell'arrosto della mia vicina ;-)
E così altra lunga pausa, durante la quale, però, cominciai a frequentare il Club dei Poeti, un sito internet, che è stato una grande palestra dove pubblicavo racconti e versi, lanciandoli in pasto a critici - alcuni bravi, alcuni improvvisati - ma di sicuro ho imparato tanto e, soprattutto, ho conosciuto artisti che ancora adesso sono nella mia vita, alcuni sono diventati anche autori della mia casa editrice.
Però, nel 2010, finalmente ho vinto qualcosa! :-D 
Avevo inviato un racconto "Gli occhi non invecchiano mai" al concorso "Il poeta e il narratore" e sono arrivata seconda! 

Ricordo l'emozione di quel momento e anche l'assegno di 300 euro :-D Non prendetemi per venale, ma il fatto di stringere tra le mani un assegno per qualcosa che avevo scritto è stato il primo segnale che forse la mia scrittura valeva qualcosa... Col tempo poi ho capito che le due cose non sono affatto collegate ;-) ma questa è un'altra storia.

Finalmente, nel 2011 ho tirato fuori dal cassetto quel romanzo scritto tanti anni prima e ho cominciato a cercare una casa editrice.
Al primo colpo mi ha risposto una CE che - miracolo - non voleva soldi da me, ma mi proponeva un contratto di dieci anni con il diritto di prelazione. Ricordo di aver chiesto a quell'editore se si poteva modificare la durata. Gli ho persino detto: «Dieci anni mi sembrano davvero tanti! Nemmeno il mio primo matrimonio è durato così a lungo!»
Non ha gradito la battuta :-D e comunque ho rinunciato. 
Poi è arrivata una CE dove c'era un'editrice molto intraprendente. Ha deciso di pubblicarmelo e così ho cominciato il cammino tortuoso per farmi conoscere.
Lo ammetto, anch'io come tutti gli autori agli esordi ho pensato che sarei stata come d'incanto in tutte le librerie del pianeta e che tutti avrebbero acquistato il mio romanzo e che - donna dalle grandi ambizioni - avrei venduto un milione di copie :-D
Ricordo la prima, e unica presentazione per quel romanzo, che avevo organizzato in un locale dove andavo a ballare il tango.


Ho venduto pochissimo e ho cominciato a pensare che forse non era così facile ;-) (sono una donna perspicace :-D)
L'editrice poi si è data alla fuga e io, sconsolata, ho rimesso il romanzo (edito) nel cassetto e ho pensato alla seconda opera. 
"Tre. Il numero imperfetto" è stato poi ripubblicato in una nuova edizione dalla seconda casa editrice che pubblicò la mia seconda opera "Dentro l'amore", ma di questo parleremo nella seconda puntata di questa storia che vi voglio raccontare.


Appunto. Ho deciso di raccontarvi la mia storia. Anche se per sommi capi. Perché? Non lo so. Ho voglia di farlo.

Per oggi siamo arrivati fino a qui, a quel primo romanzo che non aveva iniziato il suo cammino proprio col piede giusto, come si dice... Però, diciamolo, non era un capolavoro :-D 
Ma non rinnego niente. 
Fa parte del mio cammino e senza di lui, ora non sarei qui. Anzi, vi dirò, rileggerlo mi fa quasi tenerezza perché ha tutte le ingenuità della scrittura che ho limato negli anni, oggi non sono più la stessa scrittrice.
Diciamolo, se oggi arrivasse alla mia CE un romanzo scritto così, probabilmente lo boccerei ;-) Questo mi fa riflettere sul mio ruolo di editrice che deve cercare belle penne. A volte devono ancora sbocciare... Bisogna saper leggere tra le righe...
Devo dire grazie a quella mia prima editrice, perché anche se c'erano lati oscuri (parecchi), mi ha pubblicato e da lì tutto è iniziato.

Ve ne regalo un pezzo.

TRE 

IL NUMERO IMPERFETTO


Capitolo uno

 

Yuri era seduto accanto a lei, le teneva la mano e la guardava  ancora incredulo per ciò che era accaduto. Camilla giaceva nel letto, i capelli rossi  sparsi sul  cuscino, il viso bianco e   rilassato, sembrava  che dormisse. Yuri  non  poteva  darsi   pace,  si  riteneva colpevole   per l’incidente. Perché  aveva fatto quello scatto quando aveva cercato di baciarla? Questa domanda continuava  a martellare nella sua mente, lui l’amava e sapeva di essere corrisposto.

O forse no?

A un tratto si aprì la porta della camera ed entrò il medico.

«Buongiorno» disse il dottor Pardi.

«Buongiorno» rispose Yuri. E domandò preoccupato: «Mi dica, quali sono le condizioni di Camilla?»

«La  situazione è  stazionaria; la paziente è in coma, mi dispiace, non posso dirle altro.  Possiamo solo sperare che  si riprenda.  Comunque è sotto  osservazione, al  minimo  cenno di  miglioramento   l’avviseremo subito. Lei è un parente?»

«No, sono un suo amico.»

«Il marito è stato avvisato?»

«Sì» rispose, facendosi   più  cupo  in  viso. «L’ho fatto personalmente, dovrebbe arrivare a momenti.»

«Allora non ci resta che attendere, cerchi di essere ottimista, vedrà, andrà tutto bene.»

Il dottore uscì dalla stanza. Yuri  tornò a  guardarla  cercando di  cogliere  ogni  minimo movimento. Povera  Camilla, così dolce, così bella, così tormentata da quello che era nato tra loro e dalla sconvolgente realtà che aveva scoperto. Se non ce l’avesse fatta, non se lo sarebbe mai perdonato. Ma non doveva  pensare al peggio,  doveva  pensare che si  sarebbe  risvegliata e  tutto si  sarebbe risolto.

Assorto in quei  pensieri, non sentì  aprirsi  la porta:  lui era arrivato.

Andrea rimase in fondo alla stanza, in silenzio, a guardarli. Passò qualche istante prima che Yuri si accorgesse della sua presenza.

Era  lì,  dietro le sue spalle. Aspettò un  momento prima  di voltarsi, cercando di  raccogliere tutto il coraggio, la freddezza, la calma di cui poteva disporre. Poi, lentamente, si alzò in piedi e si voltò verso Andrea.

Ecco, erano uno di fronte all’altro e si guardavano negli occhi, in un lungo gelido sguardo.

 

Capitolo due

                       

Yuri  e  Andrea  si  conoscevano da sempre.  Erano nati  e  cresciuti   a Portovenere,  un  borgo marinaro della Liguria. E  quanto  era bella Portovenere coi suoi vicoli,  la chiesetta arroccata sulla scogliera, con quella terrazza  raggiungibile solo attraverso una scalinata piccola e stretta da  dove  si  poteva  ammirare  il  mare  fino  all’orizzonte, avendo la sensazione di  poter  toccare le isole di  fronte.  Le  barche  dei pescatori, i gatti a ogni angolo... E quelle case, tutte colorate a tinte pastello, come fossero parte di un bel dipinto. 

Lì, Yuri e Andrea, avevano percorso insieme un tratto della loro vita. Avevano vent’anni, in quegli anni settanta, quando le  loro strade  si  erano separate  per  differenti scelte. Frequentavano entrambi la facoltà di architettura, ma Yuri aveva deciso di abbandonare gli studi universitari per inseguire un sogno, quello di fare della sua passione una vera professione: voleva diventare fotografo. 

Desiderava immortalare gli angoli più belli della Terra, conoscere altri popoli, uomini e donne di razze diverse e  fermare tutto ciò nelle sue immagini. Decise quindi di partire. Andrea, essendo un tipo estremamente razionale, pensò che fosse diventato pazzo.

«Come vivrai?» gli chiese. 

Ma Yuri era deciso e gli rispose che aveva del denaro da parte, grazie alla sua famiglia che aveva risparmiato per lui,  mese dopo mese dal  giorno della sua nascita,  per  garantirgli un futuro.

«Con questi soldi posso cominciare; mi basteranno per qualche tempo, per trovare una sistemazione e un lavoro, e poi vedrò, strada facendo.»

Era inutile, la decisione era  stata  presa e qualsiasi cosa  Andrea avesse potuto dire al suo più caro amico, sarebbe stata vana. Così lo vide partire una  mattina  di  settembre per  la  Francia: da lì sarebbe iniziata  la  sua avventura. La  sera prima della partenza andarono a bere la solita birra. Yuri era euforico per l’esperienza che stava per vivere, ma al momento di salutarsi, sentì gli occhi inumidirsi. Strinse Andrea in un abbraccio fraterno senza dire una parola.

«Buona fortuna»  sussurrò Andrea, e si girò per non mostrare la sua commozione, allontanandosi verso casa.

Sì, erano amici, grandi amici. In quegli anni, lo erano.

Yuri e Andrea, non si sarebbero più rivisti per quindici anni.

                                             

 Capitolo tre

 

«Andrea, svegliati, sono le otto!»

Lui socchiuse gli occhi e nella penombra della camera vide Camilla porgergli il caffè, cosa che faceva sempre da quando si erano sposati. Si mise a sedere sistemandosi bene i cuscini dietro la schiena, mentre lei  apriva le persiane facendo entrare la luce del sole di quella mattina estiva. Ancora  assonnato,  sorseggiava  il suo caffè e  intanto la guardava  prepararsi per uscire. Si era tolta l’accappatoio e l’aveva appoggiato su un piccolo divano bianco di fronte al letto in ferro battuto. Sul divano c’erano dei cuscini il cui colore albicocca riprendeva quello delle pareti dove erano appese delle vecchie fotografie dal caratteristico colore nero di seppia, Camilla le aveva sistemate in cornici d’argento. La osservò mentre stava frugando in  un antico cassettone per  scegliere la biancheria da indossare. Pensò che sua moglie  fosse veramente  bella: alta, snella, con un corpo ben modellato. Effettivamente  cercava di tenersi in  forma; per niente al mondo avrebbe  rinunciato alla  sua mezz’ora di corsa all’alba. Andrea si chiedeva dove trovasse l’energia per alzarsi di prima mattina e andare a correre; i primi tempi del loro matrimonio, aveva cercato di trascinarlo con sé, ma lui si era sempre rifiutato, amava la sua pigrizia; ciò nonostante portava bene i suoi trentacinque anni, il suo non era un fisico atletico, ma era alto e magro; i tratti del viso erano delicati, portava i capelli biondi tagliati molto corti, mettendo così  in  risalto gli occhi di un azzurro intenso.  Neanche per quanto riguarda la colazione  era riuscita a fargli cambiare abitudini; per lei, quel primo pasto del  giorno, era quasi un  rito e   soprattutto pantagruelico, almeno agli occhi di Andrea che beveva solo un caffè. Continuò a guardarla. Stava  scegliendo il vestito adatto per la giornata, optando, dopo averci pensato un po’, per un tailleur blu. Era sempre molto elegante, almeno quanto lui, sempre impeccabile nei suoi abiti. S’infilò la gonna e, prima di mettere la giacca, cominciò a spazzolare i lunghi capelli rossi, le  piaceva tenerli sciolti e  le  stavano bene perché erano morbidamente ondulati. Cominciò poi a truccarsi guardandosi in un grande specchio sopra il cassettone: un velo di cipria, un po’ di matita nera sugli occhi, occhi grandi e scuri, e per finire un po’ di rossetto sulle labbra carnose. S’infilò la giacca senza dimenticare di mettere un fazzolettino di  pizzo bianco nel taschino. Era quasi pronta.  Si guardò le mani per controllare che lo smalto rosso fosse in ordine, quindi si mise un unico anello, quello che Andrea le aveva regalato in occasione del loro ultimo anniversario, il quinto. Si spruzzò il profumo che preferiva, dall’aroma  orientale. Infilò gli Chanel, controllò che nella borsetta ci fosse tutto e alzò lo sguardo verso il marito.

«Ma sei ancora a letto? Alzati o farai tardi allo studio. Io vado, ci vediamo questa sera.»

«Perché» rispose sbadigliando. «A pranzo dove sei?»

«Non ti ricordi che mi vedo con Francesca? Te l’ho detto ieri sera.»

«Già, è vero. Se riesco passo dal negozio nel pomeriggio» disse Andrea, alzandosi  finalmente dal letto e andandole incontro per salutarla.

Camilla aveva un negozio di antiquariato nel centro di Todi. Il negozio era piccolo, ma molto conosciuto nella zona in quanto lei aveva la fama di riuscire a scovare i migliori pezzi della tradizione umbra. Francesca, oltre a essere la sua migliore amica, era anche la  restauratrice. Insieme lavoravano bene. I loro caratteri si compensavano perfettamente e ciò le aveva portate a fare grandi progetti per il futuro. Volevano aprire una serie di Botteghe dell’antiquariato - così avevano deciso di chiamarle - per tutta l’Umbria.

Avevano la stessa età, trentadue anni. Francesca abitava da sola in un piccolo appartamento insieme a una gatta completamente bianca, a eccezione della punta della coda che era nera. L’aveva chiamata Neve. Le era molto affezionata,  e Neve era sempre in  adorazione quando la sua padroncina era in casa. Viveva in un perenne disordine, cercando di districarsi tra pile di  riviste di arredamento, libri in  attesa di essere sistemati e un’infinità di oggetti comprati dai rigattieri. Camilla, che al contrario era molto ordinata, non capiva come l’amica potesse vivere in una tale confusione, però le piaceva andare a casa sua e perdersi tra le montagne di libri. Più di una volta, Francesca, quando l’aveva invitata a pranzo o a bere un caffè,  l’aveva  vista aprire e  sfogliare con cura dei  piccoli volumetti di poesie alla ricerca delle sue preferite. Avevano in comune l’amore per la lettura e discutevano a lungo di libri che si erano scambiate.

Francesca l’ammirava  per la sua bellezza così sobria. Al contrario, non aveva una grande considerazione del proprio aspetto, nonostante Camilla le ripetesse in continuazione che era una bella donna. Effettivamente aveva ragione, Francesca aveva dei folti e lunghi capelli biondi che portava sempre raccolti, i suoi occhi erano verdi e il corpo sottile, troppo sottile, era solita dire. Non aveva una vita sentimentale, era completamente dedita ai loro progetti.

Camilla camminava con passo spedito verso il negozio, gustando l’aria fresca e pulita, e riempiendosi gli occhi delle bellezze di Todi.  Mentre salutava con un sorriso le  persone che era  solita incontrare, pensava a quanto le piacesse percorrere ogni mattina quel tratto di strada.

Il negozio era un rifugio in cui dimenticare gli aspetti del suo matrimonio che la facevano soffrire. In quei  giorni aveva deciso di affrontare  quelli che lei percepiva come problemi nella sua vita con Andrea.

Aveva cercato più volte l’occasione per parlargli, voleva fargli capire il suo stato d’animo, ma Andrea era talmente impegnato con il suo lavoro da non riuscire a trovare il tempo da dedicarle. Camilla si era sempre sforzata di comprendere quell’atteggiamento, ma ultimamente non si sentiva più capace di farlo.

Si sentiva immensamente sola, ma da lì a poco qualcosa sarebbe cambiato nella sua vita. Questo, però, ancora non lo sapeva.

 

Capitolo quattro

 

Yuri  guardò  l’orologio  appoggiato sul  comodino, erano  le  dieci del mattino. Aveva dormito più del solito, ma non aveva fretta. Era arrivato a Todi la sera prima;  si  era  fermato al Tuder, un  albergo appena  fuori  le Mura. Gli sarebbe piaciuto andare subito da Andrea,  ma era  troppo tardi e aveva deciso di rimandare al giorno dopo.

Si alzò, si avviò alla doccia; l’acqua era  tiepida ed era piacevole lasciarsela scorrere addosso. Cominciò a radersi con cura e al momento di vestirsi scelse attentamente gli abiti da indossare, quel giorno voleva essere al meglio. Si  accese una sigaretta e scese nella  hall. Depositò la chiave della  camera e  si avviò all’uscita. Salì sul taxi  che aveva  fatto chiamare dal portiere e si fece accompagnare fino a dove si poteva arrivare  in  automobile. Lo  studio di  Andrea  si  trovava  nel  centro  storico ed era raggiungibile solo a  piedi. Fece questa  passeggiata  fino a  via  Roma, cercò il numero sette dove lavorava Andrea.

Era emozionato. Aveva faticato tanto per rintracciarlo e ora era lì!  Entro  pochi  minuti  avrebbe  rivisto colui che  era stato l’amico  più importante mai  avuto. Pensò con un certo senso di colpa ai lunghi anni trascorsi senza dargli  notizie. I primi tempi, dopo la sua partenza per la Francia, gli aveva scritto; a mano a mano che si spostava da un posto all’altro, gli  aveva spedito qualche cartolina. Raramente gli aveva telefonato. Il denaro, a quell’epoca, non era molto  e  spesso aveva dovuto rinunciare  a tutto ciò che non  fosse  indispensabile  per  vivere. Successivamente   era  stato    travolto dalle  novità  che  incontrava durante i suoi viaggi, dal lavoro che andava sviluppandosi, dai  nuovi incontri e così non si era fatto più vivo con Andrea. Di lui ormai sapeva solo che era diventato un celebre architetto, che si era sposato e che viveva a Todi. Eppure non l’aveva mai dimenticato e adesso lo avrebbe rivisto.

Erano trascorsi quindici anni.  Non erano più due ragazzi, erano  due uomini. Si guardò riflesso nella vetrina di un negozio. Vide un uomo leggermente appesantito rispetto a quello che era a vent’anni, con una ruga  profonda  sulla fronte e  qualcuna intorno agli occhi;  lo  sguardo sicuro, ma allo stesso tempo vide anche un uomo solo. Certo, aveva realizzato il suo sogno, le sue fotografie erano ben quotate e le prospettive di lavoro all’orizzonte erano ottime; il denaro, per lui, non era più un problema.  Non era ricco, ma il suo tenore di vita era certamente migliorato  negli ultimi tempi.  Apparentemente aveva raggiunto ciò che aveva a lungo desiderato da ragazzo, però  era  un  uomo  solo.

Viaggiare tanto aveva arricchito la sua anima; era entrato nella vita di tanta gente e  attraverso queste persone aveva vissuto storie  talvolta commoventi, talvolta disperate, altre divertenti, buffe  o sorprendenti. In alcune occasioni, per fortuna rare,  si  era ritrovato  in situazioni persino pericolose. Ma il suo spostarsi continuamente gli aveva impedito di creare dei legami solidi e duraturi con qualcuno.

Forse per questo era nato in lui il desiderio di ritrovare Andrea.

Suonò il citofono.

[CONTINUA]

  Alla prossima, 

con la seconda puntata della mia storia,

dalla vostra 

Stefania Convalle












 

3 commenti:

  1. Bella la tua storia, Stefania. Grazie di avermi regalato questa tua prima opera. Anche se imperfetta, come tu dici, è un qualcosa di prezioso per te. Onorata, quindi, di conservarla nella mia libreria.

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    1. Grazie, Elisabetta, per questo tuo commento che mi fa tanto piacere :-)

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  2. Ripeto il commento già scritto prima (chissà dov’è andato a finire!)
    Io voto:
    Besana originale e gradevole
    Malerba: simpatico e leggero
    Motta romantico e gradevole
    Pirola piacevole e scorrevole
    Barilaro semplice ma gradevole

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