Volevo solo avere più tempo

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Il nuovo romanzo di Stefania Convalle

domenica 2 gennaio 2022

Numero 396 - Ripercorrendo la mia carriera nel mondo delle parole. Quarta puntata - 2 Gennaio 2022


 Ripercorrendo la mia carriera nel mondo delle parole

Quarta puntata


Riassunto delle puntate precedenti :-D

Se volete partire dall'inizio ;-) ecco i link dei numeri del blog dove, un passo alla volta, vi sto raccontando tutto (o quasi) di me, nel mondo delle parole e delle emozioni.

https://st62co.blogspot.com/2021/05/numero-376-ripercorrendo-la-mia.html

https://st62co.blogspot.com/2021/05/numero-378-ripercorrendo-la-mia.html

https://st62co.blogspot.com/2021/05/numero-379-ripercorrendo-la-mia.html


Questa quarta puntata potrebbe diventare lunga, mettetevi comodi :-D In effetti l'accelerazione è stata costante e sempre più intensa.

Nel 2015 pubblicai per la prima volta, con una casa editrice di Roma, il romanzo "Una calda tazza di caffè americano".


                                                        La copertina della  prima edizione

Ma facciamo un passo indietro: com'era nato questo romanzo?

Ricordo che ero nella mia Milano e passeggiavo in Galleria Vittorio Emanuele, finendo come sempre alla libreria Rizzoli. Entrai. Lo sguardo mi cadde su un blocco, un notes che si chiamava, in uno strano gioco di parole, "Il blocco dello scrittore". Potete immaginare la mia curiosità, non tanto perché avessi quel blocco lì - dello scrittore - che non ho mai sperimentato perché starei sempre a scrivere e le idee non mancano, ma perché parlava di scrittura. Così lo comprai. Dentro conteneva un po' di consigli vari, tra i quali uno in particolare: scrivere per dieci minuti al giorno senza fermarsi. 

Facile, no?

Ci volli provare.

E così entrai dritta dritta nella scrittura di pancia.

Qualsiasi cosa stessi facendo, una volta al giorno mi fermavo, andavo al computer, sceglievo la musica e mettevo la sveglia. Dieci minuti di scrittura senza fermarsi.

E così è nato il romanzo.

Chi l'ha letto lo sa: è in due parti. Nella prima, il risultato di questo esperimento, dove c'è molto, direi tutto di quei giorni, della mia vita. Quel "tutto di me" che poi è diventato il "tutto di Molly", la protagonista di quello che poi si è trasformato in un romanzo vero e proprio.

"Una calda tazza di caffè americano", un romanzo che segna il passaggio in modo netto verso quella scrittura che è diventata la mia modalità: scrivere senza un progetto, scrivere di pancia, scrivere lasciandosi guidare dalle emozioni in una forte immedesimazione nei personaggi. Ero Molly, ma ero anche Alan. 

La svolta. Ecco.

Ma prima di proporvi un passo del romanzo, voglio anche ricordare che in quell'anno decisi di dare vita al premio letterario Dentro l'amore.

Come sempre, quando le idee mi frullano in testa, le metto in pratica e mi butto. E così feci anche quella volta, senza particolari aspettative, anzi, pensavo che sarebbe stata la prima e unica edizione, e invece fu un successo. Una serata finale in un locale gremito, dove cominciai a mettere in pratica un'altra idea: quella di dare vita a una serata finale che fosse anche spettacolo, non solo premiazioni.

Indimenticabile.


Stava per cominciare la serata. In prima fila vedete anche Cinzia Zerba, vincitrice per la sezione racconti. Fu proprio in quell'occasione che ci conoscemmo e questo diede il via al nostro sodalizio artistico che ancora oggi prosegue con tanti progetti.


Qui si giocava a fare le interviste ;-) Da sinistra: Rebecca Martinez, Madrina del Premio e modella; me medesima ;-) e Anna Quartiroli, giornalista.


La prima giuria del Premio


Il tango


E per finire, alla fine di tutto, avevamo festeggiato il compleanno di Giuseppe, a sorpresa! 
Bei ricordi :-)

Fu un anno pieno di eventi importanti, ricco di esperienze come quella di Voghera, l'Iria Castle Festival.



Eventi da condividere sempre con amici artisti. Qui con me Renata Vismara, la ballerina, e Carola Nadal, artista argentina professionista che mi aveva concesso l'onore di averla nel mio Poe-Tango.






In questa foto anche Cinzia Zerba che era una delle voci narranti, brava come sempre.



E poi, ancora a Voghera, un'altra esperienza molto particolare, un Poe-Tango in un centro commerciale. 








Le voci narranti: Cinzia Zerba e Simona Saglimbeni. Insieme mi hanno accompagnato in tanti eventi.


Quante esperienze in quell'anno, il tutto stava diventando impegnativo ed entusiasmante.

Quanta gavetta, ma cosa c'è di più bello?

Eh, quante cose ci sarebbero da raccontare... 

"Una calda tazza di caffè americano" è poi stato ripubblicato in una nuova veste nel 2017, con Edizioni Convalle. Dopo sei anni, ad oggi, dalla sua nascita, conquista ancora lettori e prosegue il suo cammino insieme a tutte le mie opere, quelle uscite prima e quelle che sarebbero uscite dopo, in questa straordinaria avventura.


Per voi ho scelto un brano particolare. Non è l'inizio, non è la fine, è la vita che scorre.


Da "Una calda tazza di caffè americano"

Come si fa a dire grazie alla Vita quando ti tradisce così? Non so dire se la rabbia che sento è la maschera di un dolore che non oso attraversare. Ho paura.

Lui non sapeva che, ogni volta che salvava uno scritto dei nostri “dieci minuti”, io ero lì a leggere i suoi pensieri, le sue parole, il suo ricordare, il suo raccontare del passato e di quel nuovo oggi che sembrava appartenerci. Eravamo due PC collegati e, di clic in clic, ero stata nella sua mente e avevo osservato in silenzio quello che maturava nel cuore di quell’uomo apparentemente duro.

E quando il silenzio si è fatto più forte ho capito, senza che nessuno me lo dicesse, che quell’aereo di cui parlava il telegiornale era quello sul quale si trovava lui, quello che aveva preso per venire qui, a prendermi.

È difficile spiegare. Ma ho chiuso tutte le persiane e poi le finestre, cercavo il buio, la notte perenne, l’assenza di rumore. In quei momenti si fanno le cose più strane e non so perché ho mangiato anche se non avevo fame, ho preso una pentola, l’ho riempita d’acqua, ho acceso il fuoco, l’ho fissata aspettando che bollisse e ho buttato gli spaghetti, ho preparato un sugo come se lui fosse a cena con me, ho riempito un bicchiere di vino, ho bevuto tutto d’un fiato senza farmi domande, senza perché, senza ma né come, ho affondato la forchetta nel piatto e l’ho girata, girata, girata, fino a quando il boccone era pronto. E ho mangiato, tutto, fissando una lavagnetta davanti a me dove scrivo le cose che non devo dimenticare e dove avevo segnato con un gessetto polveroso, solo pochi giorni fa, Alan sta per arrivare, disegnando una faccina col sorriso, come fanno i bambini. Ero felice.

Il vino rimane quello che mi può consolare, anestetizza i pensieri, offusca lo sguardo e stordisce le orecchie, non sento il telefono che squilla, squilla, squilla. Ma io non voglio sentire, parlare, piangere o urlare. Voglio stare qui e mi sento un felino ammaccato in mezzo alla savana, cerco un riparo, mi lecco le ferite e aspetto, aspetto che passi, aspetto che il tempo, come dicono, mi faccia dimenticare.

Ma come si fa a dimenticare?

Forse gli amori giovani e ancora non radicati sono quelli che passano prima? Che follia! Non è vero. Non lo è stato in passato, per me, e non lo è ora.

L’amore è l’amore e non conta da quanto ami.

Alan, sei stato il mio ultimo amore, lo so. L’ultima occasione che mi ha dato la Vita. Sei stato un sorriso che ha squarciato il mio cielo, e ora, ora, dove sei?

So che sei con Emily e, se ci penso, mi sembra tutto talmente assurdo! Un anno fa non conoscevo nessuno dei due, me ne stavo tranquilla qui a galleggiare dentro a un mare di equilibrio, ma com’è facile trovarsi dove non si tocca più, in balia delle profondità e sentirsi di nuovo in pericolo, fragili e vulnerabili; e quella sensazione di essere invincibili, come fa presto a trasformarsi in una sensazione di sconfitta e di perdita, di nuovo. Ma questa è la Vita, la lezione l’ho imparata tanto tempo fa, prende e dà, prende e dà, e a me ha dato qualcosa di inaspettato. Volevo dirtelo appena fossi arrivato qui. E invece non lo saprai mai. O forse sì, lo saprai da dove sei.

E allora, Alan, mio amore, dimmi tu cosa devo fare. Ti ascolto. Sono seduta tranquilla su questa poltrona, le mani lungo il corpo, mi guardo intorno, cerco nelle ombre, non ho paura, fatti vedere, mostrati, lo so che sei qui, dicono che le persone amate non se ne vanno subito, ma restano fino a quando sono necessarie. E tu lo sei. Adesso più che mai.

Dimmelo tu cosa devo fare. Ora.

Le ombre si muovono mute, persino i pensieri attraversano la mia mente al rallentatore. Sembra tutto annacquato come i miei occhi e mi ricordo di Alan quando spaccava la legna al funerale di Emily; forse anch’io dovrei fare qualcosa del genere, non so, spostare i mobili, fare fatica, sudare, sfinire i miei muscoli: anche il cuore lo è.

Mi viene in mente Rebecca e una mattina d’inverno quando lei, ancora piccola, sui tre anni, mentre giocava e sembrava assorta in quello che stava facendo, senza neppure alzare lo sguardo mi chiedeva: Tata, cosa c’è? Si era accorta di come mi ero incantata, guardando nel vuoto per qualche mio momento difficile di allora. Piccola adulta, aveva colto questo frammento di me e, come se fosse grande, se ne interessava. Chissà perché questo episodio attraversa la mia mente. Piccola grande Rebecca. Ti ho voluto così bene da averne paura. Ma perché dico così? Non sto per morire, anche se la morte m’insegue attraverso gli altri. Mi accorgo di pensare alla morte. Un pensiero che non mi piace mi attraversa. Forse la vita non m’interessa più, pensiero inquietante che allontano subito, quasi con un gesto delle mani. Ma lui, pensiero ostinato, insiste e sembra sussurrarmi che al di là di questa vita ci sono le persone a me più care, e poi c’è Alan…

Alan – Alan – Alan – Alan – Alan – Alan – Alan.

Sto perdendo il controllo. Devo uscire. Mi alzo, non mi curo di quello che indosso, afferro le chiavi della macchina ed esco.

E guido, guido, guido, guido, chilometri, chilometri, chilometri, non so dove vado, autostrada, per dove? Non guardo, non m’interessa. E non so come mi ritrovo nei pressi del mare, è notte, non c’è anima viva in giro, solo qualche pescatore che prepara la barca, lascio l’auto in qualche modo, non m’importa, c’è vento, mi colpisce il viso, mi accorgo che non ho una giacca, le braccia nude, ma non sento freddo. Cammino lungo la battigia. Tolgo le scarpe, i piedi nell’acqua e cammino. Il mare è nero, ma la Luna è piena e luminosa. Qualcosa mi chiama, qualcuno mi chiama, non tra le onde, no, sarebbe la morte e ho deciso che devo vivere. Tra quelle barche, là, verso un molo deserto. Una figura. Metto a fuoco.

Alan, ecco, ti riconosco, sei arrivato. Sì, corro, so che hai risposto al mio richiamo, le barriere non esistono, tutto fa parte del Tutto. Non c’è Vita, non c’è Morte.

C’è solo l’Amore.

E allora eccomi, ti abbraccio. Sei qui per me e capisco che non sarò mai sola. Senza voce mi dici “vai avanti, niente ti può fermare, non guardarti indietro perché io sono solo un passo avanti a te, ma ti aspetto per quando sarà il nostro tempo. Intanto vivi. Respira. Sogna. E ama ancora.”



Alla prossima puntata

dalla vostra 

Stefania Convalle





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